L’avvocato e la verità

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Autore: Ettore Randazzo

Editrice: Sellerio Editore, Palermo

Anno edizione:2003 ISBN: prezzo:

C’è il tempo (secondo, minuto, ora, anno) della fattualità contingente e c’è il tempo (finito ed infinito, infinitesimale) della giustizia sul fatto, entrambi scanditi dal passaggio umano e da quelli professionali, in due città ideali divise: Opinione Pubblica e Giustizia.
 
La cittadella della giustizia delineata dall’illustre Avvocato Randazzo è composta d’uomini-operatori del diritto, che – non paia cacofonico – hanno ad essere “dritti”; non certo nel senso mediterraneo del termine, ma nel senso più alto: quello deontico.
La deontica è la scienza comunemente e giuridicamente (fattualità e riduzione in fattispecie astratta qui si sovrappongono meravigliosamente, inaspettatamente) nota come deontologia, afferente/inerente dati comportamenti professionali e la loro dinamicità stretta e relazionale; e le necessarie polis e poiesis, unite nel termine più comune, ed apparentemente poco edificante, di politica. Se la politica in senso ampio, intesa come funzione delle funzioni democratiche ed espressione dell’impegno civico, necessita d’esplicarsi in un campo determinato, essa dev’essere anche guidata da norme viventi certe dinamiche e capaci di cogitazione col sistema di referenza.
Chiaro è, quindi, che l’Avvocato, essendo soggetto del paese giustizia, fatto d’indagini, interrogatori, ricerca di prove (poco prima INDIZI) e giudizi formativi e, pertanto, infinite possibilità di relazioni umane (prima). Giuridiche (durante) e tecniche (sempre), dovrà conoscere interiorizzare possedere un archivio d’accesso ed uscita dal vulnus dell’irreparabilità (prima ancora, naturaliter, ch’essa si realizzi) di modo che possa essere non solo il difensore dell’uomo in senso stretto, ma anche l’empirico “artista creativo” capace d’evitare il maggior danno.
Esempio di questa concettualizzazione dell’essere difensore, che a molti può parer nuova e che per questo, forse, ha dato al “libello legale” la notorietà di più edizioni, è la denominata deontologia della denuncia. Si annida in questo postulato dell’Ettore tutta una sintassi operativa quotidiana del penalista, tutta una massa informe e plastica d’opportunità dell’operatore “privato”, che apre gli occhi ad un lettore digiuno del primo passo nel mondo della pretesa giuridica.
La pretesa giuridica, sia essa di natura civilistica o penalistica (questa più nota al pubblico, perché ahinoi sempre più mediatica), è una pre-figura giuridica, che andrà ad occupare le valutazioni di necessità opportunità economicità, da approntarsi ad opera dell’avvocato nei confronti del proprio assistito, prevenendo (ove possibile è sempre opportuno) il pensiero del giudicante. Questo fa parte dell’essere pienamente ottemperanti a quell’obbligazione di mezzi (tutti ed ognuno) cui la legge civile e deontica mirano dare spessore concreto, e non aleatorietà superiore agli oneri di conoscenza seriamente imposti; non soltanto (e non al principiare di una necessità d’ordine interna) ex lege.
Conoscere significa proteggere al meglio l’altrui interesse, ed anche armonizzarsi non cinicamente con l’humus spaziale ed umano dal quale s’è circondati. L’avvocato è obbligato a sapere, non può evitare un principio comportamentale ed interiorizzarne uno generale, fallando nel corollario e/o codicillo interno ai due.
Non v’è nel diritto praticato (più che pratico), ci viene detto, superiore ed inferiore, norma fondante e norma eludibile e, soprattutto, la legalità non è un optional; essa va letta e dev’essere interpretata con canoni propri, precipui del difensore. Soggetto – almeno in linea di principio (sia costituzionale che secondario) – comprimario, insieme alla pubblica accusa, d’un processo di parti.
Le novità del “lavoro professionale” dato alle stampe col titolo, tutto da scoprire, del concetto-non concetto di verità, sono senza dubbio nella conversio incruenta d’ogni norma dinamico-operativa e di puro diritto in deontica, con la meravigliosa magica scoperta che ogni norma c.d. di rango inferiore diviene lo specchio d’un sistema in cui credere, e del quale desiderare maggiore e severa perfettibilità, nell’interesse della giustizia “Una e Trina”: Accusa, Difesa, Terzietà del giudice naturale precostituito per legge.
 
Tutti questi ed altri concetti di diritto sono espressi ed esemplificati per il grande pubblico digiuno di legge, per il praticante voglioso di prassi professionale, per il piacere d’ogni avvocato che sia pronto a confrontarsi sui grandi principî dell’umana civiltà. Che non possono prescindere da un’umana ed antropologica, ma non umanitaria, difesa.
Un ruolo professionale, il suo costume ed i suoi luoghi, sono fotografati con la lente di una letterarietà in fieri, dolcemente shakerata con un linguaggio giuridico depurato del suo più stretto vocabolario, per notiziari l’uomo – soprattutto comune – sui luoghi e gli attori del “gioco libertà-verità”. Gioco possibile all’avvocato soltanto a patto che «ci si [documenti] compiutamente prima di esporre al rischio di svolgere malamente il proprio mandato. Si lascia che le regole si introducano dentro di noi» (pag. 49).
A cura di Monica Cito

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