L’attestazione di qualificazione rilasciata sulla base di falsi documenti va annullata anche se in ipotesi la falsità non sia imputabile all’impresa che ha conseguito l’attestazione.

Lazzini Sonia 23/12/10
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Ciò che rileva, al fine dell’annullamento dell’attestazione di qualificazione, è il fatto oggettivo della falsità dei documenti sulla base dei quali è stata conseguita, indipendentemente da ogni ricerca sulla imputabilità soggettiva del falso.

Come osservato, il Collegio è principalmente chiamato a verificare se un’impresa che abbia richiesto il rilascio di un’attestazione delegando tutta la relativa attività ad un professionista possa essere considerata responsabile delle eventuali falsità documentali poste in essere da quest’ultimo al fine di ottenere il rilascio dell’attestazione.

Qual è il parere dell’adito giudice amministrativo di appello del Consiglio di Stato?

Ciò posto, giova osservare che, come già sostenuto da questo Consiglio di Stato, ciò che rileva, al fine dell’annullamento dell’attestazione di qualificazione, è il fatto oggettivo della falsità dei documenti sulla base dei quali è stata conseguita, indipendentemente da ogni ricerca sulla imputabilità soggettiva del falso.

Invero, l’attestazione deve basarsi su documenti autentici, e non può rimanere in vita se basata su atti falsi, quali che siano i soggetti che hanno dato causa alla falsità.

Ne consegue che l’attestazione di qualificazione rilasciata sulla base di falsi documenti va annullata anche se in ipotesi la falsità non sia imputabile all’impresa che ha conseguito l’attestazione.

Invero, la non imputabilità della falsità all’impresa che ha conseguito l’attestazione acquista rilevanza ai soli fini del rilascio di nuova attestazione, in quanto in caso di falso non imputabile, ai sensi dell’art. 17, lett. m), d.P.R. n. 34 del 2000, sussiste il requisito di ordine generale di non aver reso false dichiarazioni circa il possesso dei requisiti richiesti per l’ammissione agli appalti e per il conseguimento dell’attestazione di qualificazione (Cons. Stato, sez, VI, n 128 del 2005).

Detto altrimenti, l’imputabilità soggettiva all’impresa della falsità della documentazione de qua ha quale fondamentale conseguenza la perdita, da parte dell’impresa stessa, del requisito dell’affidabilità morale e professionale.

Ne deriva, come ulteriore conseguenza, che l’impresa non può ottenere una nuova attestazione per il periodo di un anno dalla data di inserimento nel casellario delle imprese qualificate della relativa notizia: tanto in analogia alla fattispecie che dà vita alla causa di esclusione di cui all’art. art. 38, lett. h), del D. Lgs. n. 163/2006.

Alla stregua delle esposte argomentazioni, va quindi ritenuta la legittimità degli atti impugnati in primo grado nella parte in cui è stata con gli stessi disposta la decadenza di attestazioni Soa certo rilasciate sulla base di falsa documentazione.

Ciò non toglie, tuttavia, che la questione della imputabilità o meno all’odierna società ricorrente delle suindicate falsità sia destinata a riproporsi nel verificare se debba o meno operare il divieto annuale di riattestazione.

Ritiene, al riguardo, il Collegio che l’imputabilità -intesa come riferibilità oggettiva e soggettiva all’impresa che ha compiuto l’azione con dolo e colpa- se certo va esclusa laddove il falso sia addebitabile a soggetti terzi, estranei all’impresa e in alcun modo controllabili dalla stessa, non può esserlo viceversa allorché, come nel caso in esame, la condotta del soggetto cui è certo imputabile l’utilizzazione di false certificazioni è stata svolta sulla base di un incondizionato mandato avente ad oggetto il subingresso nel ramo di azienda e la predisposizione dell’istanza volta al conseguimento dell’attestazione Soa.

In un’ipotesi siffatta non può escludersi l’imputabilità del falso al soggetto mandante salvo che non emergano -il che non può sostenersi nel caso di specie- significativi elementi attestanti l’attuazione, ad opera dell’incaricato, di manovre elusive del dovuto controllo

Diversamente opinando, invero, la previsione che sanziona con il divieto di riattestazione il fatto di aver reso false dichiarazioni circa il possesso dei requisiti richiesti per il conseguimento dell’attestazione di qualificazione si presterebbe ad una troppo agevole (ed in alcun modo sindacabile) possibilità di elusione.

Deve quindi concludersi nel senso della legittimità dei provvedimenti impugnati anche nella parte in cui è stato con gli stessi comminato il divieto annuale di riattestazione, legittimamente peraltro fatto decorrere dalla data di inserimento nel casellario delle imprese qualificate della relativa notizia, a partire dalla quale soltanto si ha la certezza che il divieto sia entrato nella sfera conoscitiva delle stazioni appaltanti.

Alla stregua delle esposte argomentazioni, va quindi respinto il gravame.

 

A cura di *************

 

Riportiamo qui di seguito la decisone numero 8054 del 15 novembre 2010 pronunciata dal Consiglio di Stato

 

N. 08054/2010 REG.SEN.

N. 04943/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)


ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4943 del 2010, proposto da:
RICORRENTE S.r.l., rappresentata e difesa dall’avv. ************ di Lovere, con domicilio eletto presso ************* in Roma, via Ludovisi, 35;

contro

Autorita’ per la Vigilanza Sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture, Olp-Soa Spa;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE III n. 08809/2010, resa tra le parti, concernente DECADENZA ATTESTAZIONI SOA – ANNOTAZIONE NEL CASELLARIO INFORMATICO

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 ottobre 2010 il Cons. **************** e udito per l’appellante l’avvocato ****;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con la sentenza impugnata il primo giudice ha respinto il ricorso con cui è stato chiesto l’annullamento:

1) del provvedimento n. 17 del 20 luglio 2009 del Consiglio dell’intimata Autorità con il quale è stata disposta la decadenza delle attestazioni soa n. 1590/30/00 del 25.6.2008 e delle successive che l’hanno sostituita (nn. 1630/00/00 dell’8.10.2008 e 1884/30/00 dell’8.4.2009) rilasciate alla RICORRENTE dalla soa QLP s.p.a. e la successiva annotazione del suddetto provvedimento di decadenza nel casellario delle imprese;

2) del provvedimento del 2 ottobre 2009 con cui la suddetta soa, in ottemperanza della citata delibera dell’AVICP, ha disposto la decadenza delle attestazioni de quibus con conseguente revoca a far data dal 2 ottobre 2009 dell’attestazione 1884/20/00.

Come ricostruito dal primo giudice:

a) la società odierna ricorrente ha acquistato nel 2005 il ramo di azienda facente capo alla Edil ALFA s.r.l. ed ha ottenuto in forza di tale acquisto il rilascio da parte della soa SOANC spa dell’attestazione n. 7748/19/00 del 6 dicembre 2005;

b) a tale attestazione ne sono seguite altre due ( n. 7876/19/00 dell’11 gennaio 2006; n. 8239/19/00 del 22 marzo 2006) sempre rilasciate dalla s.p.a. SOANC;

c) nel 2008 la RICORRENTE ha ottenuto dalla s.p.a. QLP l’attestazione n. 1990/30/00 del 25 giugno 2008, successivamente sostituita dalla n. 1680/30/00 dell’8 ottobre 2008, a sua volta sostituita dalla n. 1884/30/00 dell’8 aprile 2009;

d) a seguito degli accertamenti effettuati dalla soa s.p.a. ***** (che aveva incorporato la SOANC s.p.a.), sulle attestazioni rilasciate da quest’ultima, essendo risultato che l’attestazione n. 7748/19/00 era stata rilasciata sulla base di certificazioni non confermate nel loro contenuto dalle stazioni appaltanti, la AXSOA ha interessato in merito l’intimata Autorità, la quale, sul presupposto che all’atto del rilascio da parte della soa QLP dell’attestazione n.11590/30/00 non sussistesse in capo alla odierna istante il requisito di cui all’art.17, lett. m), del DPR 34/2000, ha adottato la contestata deliberazione, cui ha fatto seguito l’adozione da parte .della citata soa QLP del provvedimento di decadenza delle attestazioni.

Nel dettaglio, il primo giudice -nel disattendere il primo motivo di ricorso con cui la società oggi appellante ha contestato la legittimità dei provvedimenti impugnati sul rilievo per cui nella vicenda in esame era in perfetta buona fede, avendo fatto affidamento sul professionista e sulla soa, non potendole conseguentemente essere addebitata alcuna negligenza in ordine al mancato controllo della veridicità della documentazione prodotta – ha osservato che:

a) non si deve far riferimento ad una nozione soggettiva di colpa, ma ad una nozione oggettiva per cui la colpa deve consistere nell’inosservanza della normale diligenza, intesa come sforzo volitivo e tecnico da parametrare ad obiettivi canoni sociali e professionali di condotta;

b) la circostanza di aver fatto ricorso ad un professionista esterno per la cura del rilascio di un’attestazione non può in alcun modo rappresentare per la società un elemento tale da farla ritenere legittimamente esonerata dall’effettuare un controllo in ordine alle modalità con cui il terzo espleta la suddetta attività, avuto presente che la suddetta facoltà di controllo è prevista dall’art. 2224 del codice civile in materia di contratto di opera, applicabile alla prestazione di opera intellettuale in forza del rinvio di cui all’art. 2230 cod. civ., secondo cui “Se il prestatore d’opera non procede all’esecuzione dell’opera secondo le condizioni stabilite dal contratto e a regola d’arte, il committente può fissare un congruo termine, entro il quale il prestatore d’opera deve conformarsi a tali condizioni”;

c) diversamente opinando, risulterebbe sostanzialmente vanificato il sistema sanzionatorio in materia, in quanto sarebbe sufficiente il mero ricorso ad un professionista esterno per rendere inoperante la previsione legislativa che prevede quale requisito di ordine generale di attestazione il non aver prodotto falsa documentazione o di non aver reso dichiarazioni mendaci ai fini del rilascio di una precedente attestazione.

Il primo giudice ha inoltre respinto il secondo motivo di ricorso con cui è stata impugnata la richiamata deliberazione dell’Autorità nella parte in cui ha individuato il dies a quo di decorrenza del periodo interdittivo per poter ottenere una nuova attestazione, non già dalla data di adozione del provvedimento di revoca da parte di AXSOA, bensì da quella dell’iscrizione nel casellario informatico del provvedimento con il quale AXSOA aveva dichiarato la decadenza dell’attestazione n. 8239/19/00 rilasciata da SOANC spa il 22 marzo 2006.

Avverso la sentenza propone appello la società ricorrente, sostenendone l’erroneità e chiedendone la riforma.

All’udienza dell’8 ottobre 2010 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

Il ricorso va respinto.

Come osservato, il Collegio è principalmente chiamato a verificare se un’impresa che abbia richiesto il rilascio di un’attestazione delegando tutta la relativa attività ad un professionista possa essere considerata responsabile delle eventuali falsità documentali poste in essere da quest’ultimo al fine di ottenere il rilascio dell’attestazione.

Ciò posto, giova osservare che, come già sostenuto da questo Consiglio di Stato, ciò che rileva, al fine dell’annullamento dell’attestazione di qualificazione, è il fatto oggettivo della falsità dei documenti sulla base dei quali è stata conseguita, indipendentemente da ogni ricerca sulla imputabilità soggettiva del falso.

Invero, l’attestazione deve basarsi su documenti autentici, e non può rimanere in vita se basata su atti falsi, quali che siano i soggetti che hanno dato causa alla falsità.

Ne consegue che l’attestazione di qualificazione rilasciata sulla base di falsi documenti va annullata anche se in ipotesi la falsità non sia imputabile all’impresa che ha conseguito l’attestazione.

Invero, la non imputabilità della falsità all’impresa che ha conseguito l’attestazione acquista rilevanza ai soli fini del rilascio di nuova attestazione, in quanto in caso di falso non imputabile, ai sensi dell’art. 17, lett. m), d.P.R. n. 34 del 2000, sussiste il requisito di ordine generale di non aver reso false dichiarazioni circa il possesso dei requisiti richiesti per l’ammissione agli appalti e per il conseguimento dell’attestazione di qualificazione (Cons. Stato, sez, VI, n 128 del 2005).

Detto altrimenti, l’imputabilità soggettiva all’impresa della falsità della documentazione de qua ha quale fondamentale conseguenza la perdita, da parte dell’impresa stessa, del requisito dell’affidabilità morale e professionale.

Ne deriva, come ulteriore conseguenza, che l’impresa non può ottenere una nuova attestazione per il periodo di un anno dalla data di inserimento nel casellario delle imprese qualificate della relativa notizia: tanto in analogia alla fattispecie che dà vita alla causa di esclusione di cui all’art. art. 38, lett. h), del D. Lgs. n. 163/2006.

Alla stregua delle esposte argomentazioni, va quindi ritenuta la legittimità degli atti impugnati in primo grado nella parte in cui è stata con gli stessi disposta la decadenza di attestazioni Soa certo rilasciate sulla base di falsa documentazione.

Ciò non toglie, tuttavia, che la questione della imputabilità o meno all’odierna società ricorrente delle suindicate falsità sia destinata a riproporsi nel verificare se debba o meno operare il divieto annuale di riattestazione.

Ritiene, al riguardo, il Collegio che l’imputabilità -intesa come riferibilità oggettiva e soggettiva all’impresa che ha compiuto l’azione con dolo e colpa- se certo va esclusa laddove il falso sia addebitabile a soggetti terzi, estranei all’impresa e in alcun modo controllabili dalla stessa, non può esserlo viceversa allorché, come nel caso in esame, la condotta del soggetto cui è certo imputabile l’utilizzazione di false certificazioni è stata svolta sulla base di un incondizionato mandato avente ad oggetto il subingresso nel ramo di azienda e la predisposizione dell’istanza volta al conseguimento dell’attestazione Soa.

In un’ipotesi siffatta non può escludersi l’imputabilità del falso al soggetto mandante salvo che non emergano -il che non può sostenersi nel caso di specie- significativi elementi attestanti l’attuazione, ad opera dell’incaricato, di manovre elusive del dovuto controllo

Diversamente opinando, invero, la previsione che sanziona con il divieto di riattestazione il fatto di aver reso false dichiarazioni circa il possesso dei requisiti richiesti per il conseguimento dell’attestazione di qualificazione si presterebbe ad una troppo agevole (ed in alcun modo sindacabile) possibilità di elusione.

Deve quindi concludersi nel senso della legittimità dei provvedimenti impugnati anche nella parte in cui è stato con gli stessi comminato il divieto annuale di riattestazione, legittimamente peraltro fatto decorrere dalla data di inserimento nel casellario delle imprese qualificate della relativa notizia, a partire dalla quale soltanto si ha la certezza che il divieto sia entrato nella sfera conoscitiva delle stazioni appaltanti.

Alla stregua delle esposte argomentazioni, va quindi respinto il gravame.

Sussistono giustificate ragioni per disporre la compensazione tra le parti delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sul ricorso, lo respinge.

Spese del grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 ottobre 2010 con l’intervento dei magistrati:

**************, Presidente FF

*******************, Consigliere

Maurizio Meschino, Consigliere

****************, ***********, Estensore

***************, Consigliere

 

 

 

L’ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 15/11/2010

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Lazzini Sonia

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