L’art. 12 del decreto legislativo n. 157 del 1995 e l’art. 75 del D.P.R. n. 554 del 1999 sono disposizioni identiche nella finalità di evitare che soggetti i quali, per la commissione di determinati reati, abbiano dato prova di scarsa affidabilità morale

Lazzini Sonia 02/11/06
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Il Consiglio di stato con la sentenza numero 4970 del 24 agosto 2006, ci insegna che:

< l’art. 12 del D.Lgs. n. 157 del 1995 e l’art. 75 del D.P.R. n. 554 del 1999 (a parte la maggiore articolazione e complessità della lett. “c” di quest’ultimo articolo, rispetto alla formulazione della lett. “b” dell’art. 12) esprimono l’identica volontà normativa di porre sullo stesso piano, per i fini che interessano la sentenza di applicazione della pena su richiesta, emessa ai sensi dell’art. 444 codice di procedura penale (cosiddetto patteggiamento), alla sentenza di condanna vera e propria>

ma non solo.

<la mancanza di parametri fissi e predeterminati e la genericità della prescrizione normativa, lasciando un ampio spazio di valutazione discrezionale alla stazione appaltante, cui spetta decidere quali imprese escludere dalle procedure di affidamento degli appalti, in conseguenza di fatti costituenti reato (anche di non rilevante entità), richiede una concreta valutazione da parte dell’amministrazione, rivolta alla verifica della effettiva incidenza della condanna sul vincolo fiduciario da instaurare attraverso il contratto con l’Amministrazione stessa, e che di tale concreta valutazione l’Amministrazione deve dare contezza, senza che tale apprezzamento possa ritenersi compiuto per implicito attraverso la semplice enunciazione delle fattispecie di reato alle quali si riferisce la condanna.

 

E’ però altrettanto pacifico che l’ordinamento di per sé esprime una particolare qualificazione di taluni reati, per ciò che riguarda l’allarme sociale che ne deriva, non soltanto per l’ordinamento generale (come avviene per la totalità delle fattispecie rilevanti penalmente) ma propriamente con riferimento agli interessi pubblici specifici, la cui realizzazione, attraverso la committenza, è in qualche modo affidata alla mano privata.

 

     Si tratta dei reati contro la pubblica amministrazione (libro secondo, titolo II, del codice penale), l’ordine pubblico (libro secondo, titolo V, del codice penale), la fede pubblica (libro secondo, titolo VI, del codice penale), il patrimonio (libro secondo, titolo XIII, del codice penale) e, comunque, quelli relativi a fatti la cui natura e contenuto sono idonei ad incidere negativamente sul rapporto fiduciario con la stazione appaltante per la inerenza alla natura delle specifiche obbligazioni dedotte in contratto e la loro incidenza sul rapporto fiduciario>

 
Testo della massima ufficiale:
 

< Testo massima: L’art. 12 del D.Lgs. n. 157 del 1995 e l’art. 75 del D.P.R. n. 554 del 1999 (a parte la maggiore articolazione e complessità della lett. “c” di quest’ultimo articolo, rispetto alla formulazione della lett. “b” dell’art. 12) esprimono l’identica volontà normativa di porre sullo stesso piano, per i fini che interessano la sentenza di applicazione della pena su richiesta, emessa ai sensi dell’art. 444 codice di procedura penale (cosiddetto patteggiamento), alla sentenza di condanna vera e propria; pertanto, in tema di ammissione alle gare indette della pubblica amministrazione (o da soggetti comunque tenuti ad osservarne le norme), in vigenza della normativa anzidetta, la sentenza di applicazione della pena su istanza di parte e quella di condanna devono essere considerate stesso piano, quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e della affermazione che l’imputato lo ha commesso>

 
a cura di Sonia LAzzini
 

 REPUBBLICA ITALIANA   IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale   Quinta Sezione           ANNO 2005
 
ha pronunciato la seguente
 
DECISIONE
 
 

sul ricorso in appello n.5185 del 2005, proposto dalla società *** – IMPRESA *** OPERE SPECIALI s.r.l., con sede in Campobasso , in persona del legale rappresentante in carica, Sig. Corrado Occhionero, rappresentata e difesa dall’Avv. Vincenzo Colalillo, con domicilio eletto presso io studio dell’Avv. Clementino Palmiero, in Roma, via Albalonga n. 7

 
contro
 

il COMUNE di PIETRAMONTECORVINO, in persona del Sindaco in carica, Dr. Saverio Lamarucciola, rappresentato e difeso dall’Avv. Prof. Enrico Follieri, con domicilio eletto in Roma, Viale Mazzini, n. 6 presso lo studio Lupis;

 
e nei confronti
 

delle Società ***. s.r.l. e *** s.r.l,.ciascuna in persona del legale rappresentante in carica, non costituite;

 
per la riforma
 

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia, Sezione I, n. 757/2005 del 24 febbraio 2005;

 

      Visto il ricorso con i relativi allegati;

 

      Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Pietramontecorvino;

 

      Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

 

      Visti gli atti tutti della causa;

 

      Relatore, alla pubblica udienza del 3 marzo 2006, il Consigliere Chiarenza Millemaggi Cogliani; udito!Fine dell’espressione imprevista, altresì, l’Avv. L. Gentile per delega dell’Avv. V.Colalillo!Fine dell’espressione imprevista;

 

      Pubblicato il dispositivo n. 180 dell’8 marzo 2006;

 

      Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

 
FATTO     E    DIRITTO
 

      1.1. La Sezione I del Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia, sentiti i difensori e trattenuta la causa per la decisione immediata nel merito alla Camera di consiglio del 23 febbraio 2005 – fissata per l’esame della domanda incidentale di sospensione – ha respinto il ricorso proposto dalla attuale appellante per l’annullamento della determinazione del Responsabile del settore tecnico del Comune di Pietramontecorvino (FG), n. 155 del 21 novembre 2004, con la quale sono stati aggiudicati alla controinteressata soc. *** s.r.l. i lavori di “rassetto organizzativo e funzionale per la difesa del suolo nel territorio comunale – lavori di consolidamento del centro abitato nella zona a valle del Corso Aldo Moro”, nonché di tutti gli atti della procedura per pubblico incanto esperita in base a determinazione n. 89 del 7 luglio 2004 del Responsabile di settore, di quelli preordinati, consequenziali e comunque connessi; nonché per l’integrale risarcimento del danno.

 

      L’attuale appellante, ritenendosi lesa dalla esclusione dalla gara della concorrente soc. ***. s.r.l. (in seguito alla revisione del procedimento da essa stessa sollecitato, dopo l’espletamento della procedura e l’individuazione dell’aggiudicataria nella ditta Centro Meridionale Costruzioni sr.l. con sede in Afragola) e la consequenziale determinazione di una nuova soglia di anomalia, ha proposto impugnazione con riferimento specifico alla suddetta esclusione, che a suo dire sarebbe avvenuta in violazione e falsa applicazione del disciplinare di gara, dell’art. 3 della L. n. 241 del 1990, dell’art. 75 del D.P.R. n. 554/99, nonché con eccesso di potere sotto molteplici profili sintomatici, avendo la stazione appaltante provveduto alla esclusione senza alcuna concreta valutazione della incidenza della sentenza patteggiata sulla affidabilità morale e professionale della concorrente e, in ogni caso senza avere fornito idonea motivazione della valutazione ostativa; dopo che, nella prima fase della procedura, la commissione giudicatrice aveva ritenuto di non dover annettere rilevanza preclusiva alla dichiarazione regolarmente resa, sul punto, dal legale rappresentante.

 

      Il giudice di primo grado ha ritenuto corretto e legittimo il comportamento della stazione appaltante sulla considerazione che in materia di contratti della pubblica amministrazione la vigente legislazione (art.12 del D.Ls. n. 157 del 1995 ed art. 75 D.P.R. n. 554 del 1999) espressamente prevede l’esclusione dalle gare dei concorrenti nei cui confronti sia stata emessa sentenza di applicazione della pena su richiesta ex art. 444 del codice di procedura penale per qualsiasi reato che incide sulla moralità professionale o per delitti finanziari, e della natura dei reati per i quali, nella specie, è intervenuta condanna passata in giudicato a carico del legale rappresentante della società esclusa.

 

      I medesimi vizi sono riproposti in questa sede d’appello.

 

     L’appellante imputa al giudice di primo grado l’errore nella individuazione della normativa applicabile alla fattispecie (art. 12 del D.P.R. n. 554) che, a suo dire, avrebbe contenuto differente della norma effettivamente applicabile (art. 75 del D.P.R. n. 554 del 1999). Ne deriverebbe il vizio del procedimento logico giuridico attraverso cui la sentenza è pervenuta alla decisione di rigetto, omettendo di considerare, nella giusta luce, il comportamento illegittimo della stazione appaltante che ha ritenuto “dovuta” l’esclusione della società il cui legale rappresentante è incorso nella misura penale, senza alcuna concreta valutazione della natura dei reati e della loro effettiva incidenza sulla moralità professionale della rappresentata, e la sostanziale contraddittorietà del provvedimento di riesame che – sollecitato dalla stessa attuale appellante – non avrebbe potuto riprendere in considerazione un requisito nella prima fase considerato positivamente.

 

      1.2. Costituitosi il Comune di Pietramontecorvino per resistere all’impugnazione, la causa è stata successivamente chiamata alla pubblica udienza del 3 marzo 2006 e trattenuta in decisione.

 

      2.1. L’appello è manifestamente infondato.

 

      2.2. Non è configurabile il vizio di eccesso di potere, sotto il profilo sintomatico della contraddittorietà, nei riguardi di provvedimento emesso in sede di riesame, per il fatto che esprime una valutazione difforme da quella in precedenza espressa nell’atto annullato.

 

      Invero, l’esclusione dalla gara del concorrente in precedenza ammesso illegittimamente non può che contraddire la precedente illegittima valutazione del requisito.

 

      2.3. Né, d’altra parte, è ammesso a dolersene il controinteressato che, con il proprio esposto, ha provocato il riesame.

 

      Si legge nella nota indirizzata dalla attuale appellante al Responsabile Unico del procedimento ed al Sindaco del Comune di Pietramontecorvino in data 24 agosto 1994 la circostanziata denuncia secondo cui “la società GEO. R.A.S. è stata più volte esclusa da varie gare di appalto per aver la stessa violato le disposizioni di cui all’art. 75 comma 1 lett. c) del d.p.r. 21 dicembre 1999 n. 554”, accompagnata dalla perentoria affermazione che “è evidente che la ditta *** S.r.l. va esclusa per violazione da parte della ditta stessa dell’art. 75 comma 1 lett. c) D.P.R. n. 554/99”.

 

     Il ripensamento postumo del denunciante (che ha dato avvio al riesame) a causa del mancato conseguimento dell’effetto sperato (l’aggiudicazione dei lavori senza che si procedesse alla determinazione di una nuova soglia di anomali) non vale certo a costituire, in capo al medesimo, una posizione di interesse qualificata, tale da legittimarlo alla impugnazione dell’atto di esclusione, sostanzialmente conforme alla sua richiesta.

 

     2.4. Da tale dirimente riflessione, si può prescindere – pur essendo l’inammissibilità del ricorso di primo grado, per difetto di legittimazione attiva, rilevabile d’ufficio, in assenza di pronuncia sul punto, nella sentenza appellata – essendo anche manifestamente infondati gli ulteriori motivi di impugnazione i quali si incentrano sulla pretesa illegittimità della esclusione della società concorrente a causa della condanna inferta al legale rappresentante con sentenza di applicazione della pena su richiesta per reati ritenuti incidenti sull’affidabilità morale e professionale.

 

     E’ irrilevante che la sentenza sia incorsa in una svista nell’affermare che la norma di riferimento é l’art. 12 del decreto legislativo n. 157 del 1995, quando, invece, alla gara in questione deve trovare applicazione l’art. 75 del D.P.R. n. 554 del 1999. 

 

     Le due disposizioni differiscono nella formulazione letterale per una maggiore incisività della disposizione contenuta nell’art. 75 del D.P.R. n. 554 del 1999 e non (diversamente da quanto mostra di ritenere l’appellante) perché l’art. 12 del decreto legislativo sull’affidamento dei servizi esprima un che di diverso che possa avere influito sul tenore della decisione.

 

     Come rilevato dal giudice di primo grado, l’una e l’altra disposizione sono identiche nella finalità di evitare che soggetti i quali, per la commissione di determinati reati, abbiano dato prova di scarsa affidabilità morale e professionale, possano partecipare alle procedure di evidenza pubblica.

 

     La svista nella indicazione della norma “in concreto applicata”, nessuna incidenza ha avuto nella valutazione (peraltro corretta) del caso da parte del giudice di primo grado

 

     2.5. Invero, l’art. 12 del D.Lgs. n. 157 del 1995 e l’art. 75 del D.P.R. n. 554 del 1999 (a parte la maggiore articolazione e complessità della lett. “c” di quest’ultimo articolo, rispetto alla formulazione della lett. “b” dell’art. 12) esprimono l’identica volontà normativa di porre sullo stesso piano, per i fini che interessano la sentenza di applicazione della pena su richiesta, emessa ai sensi dell’art. 444 codice di procedura penale (cosiddetto patteggiamento), alla sentenza di condanna vera e propria.

 

      E’ dunque infondata la tesi propugnata secondo cui la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, non sarebbe equiparabile (in tema di ammissione alle procedure concorsuali indette da pubbliche amministrazioni o da organismi comunque tenuti ad osservarne le norme) alla sentenza di condanna.

 

     Correlativamente, é fuor di luogo il richiamo a giurisprudenza di questo giudice (Cons. Stato, Sez. IV n. 5937 del 26 novembre 2001) che esprime un orientamento formatosi su una casistica anteriore alla entrata in vigore dell’art. 75 D.P.R. n. 554/1999.

 

      E’ appena il caso di precisare, che lo stesso precedente giurisprudenziale invocato dall’appellante non ha affatto escluso la possibilità, per il legislatore, di stabilire una piena equiparazione fra i due tipi di sentenza, né ha messo in dubbio la legittimità di una tale scelta in relazione a parametri desunti dalla Costituzione o dalla normativa comunitaria. Al contrario, l’equiparazione è stata rinvenuta in specifiche norme del diritto positivo vigente, e la Sezione ne ha tratto argomento a contrario, per affermare che essa non può trovare applicazione là dove non sia espressamente prevista, con la precisazione della natura innovativa (e non interpretativa) dei “più recenti interventi normativi”nella materia contrattuale.

 

      Il precedente invocato (che può essere condiviso), non soltanto non nega, ma anzi afferma, l’operatività, allo stato, dell’anzidetta equiparazione, nella materia contrattuale della quale si tratta.

 

      2.6. L’appellante, a tutto concedere, è incorso, poi, in evidente equivoco nel ritenere che il giudice di primo grado si sia espresso nel senso di una sorta di automatismo dell’esclusione, inconciliabile con la mancanza di parametri normativi predeterminati per la individuazione dei reati che compromettono la capacità di contrarre con la pubblica amministrazione.

 

      L’impianto motivazionale della sentenza appellata chiaramente esprime – sia pure nella forma sintetica ammessa dal testo innovato dell’art. 21 della legge n. 1034 del 1971, in relazione all’art. 26 della stessa legge – una valutazione di oggettiva capacità di incidenza della sentenza di condanna penale della quale di tratta sulla affidabilità morale e professionale della concorrente e dunque della congruità del giudizio di valore sul cui base è stata disposta l’esclusione.

 

      In questo senso, infatti, si muovono infatti primo ed il secondo “ritenuto” che precedono il dispositivo.

 
      2.7. L’apprezzamento non può che essere condiviso.
 

      E’ evidente, dagli atti, che l’Amministrazione ha compiuto una penetrante istruttoria sulla natura degli addebiti per i quali è intervenuto il “patteggiamento”. Sul punto è chiaro il verbale n. 2 del 9 noembre 2004, che rende conto della acquisizione e dell’esame della sentenza, e non si limita affatto a definire con clausola di stile ed in maniera assoluta che “il legale rappresentante dell’impresa ha commesso reati che incidono sull’affidabilità morale e professionale” o a citare le norme penali di riferimento (artt. 56, 640 e 484 c.p.), ma si inoltra nella specificazione di taluni dei fatti accertati (“falsificazione del registro delle presenze giornaliere, con la finalità di ottenere finanziamenti”, “apposizione di firma falsa sul registro delle presenze”) sintomatici per la loro negativa incidenza sulla moralità e professionalità dell’impresa.

 

      E’ bene ricordare che l’equiparazione legale della sentenza di applicazione della pena su istanza di parte alla sentenza di condanna implica che esse devono porsi sullo stesso piano quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso.

 

     E’ pur vero che la mancanza di parametri fissi e predeterminati e la genericità della prescrizione normativa, lasciando un ampio spazio di valutazione discrezionale alla stazione appaltante, cui spetta decidere quali imprese escludere dalle procedure di affidamento degli appalti, in conseguenza di fatti costituenti reato (anche di non rilevante entità), richiede una concreta valutazione da parte dell’amministrazione, rivolta alla verifica della effettiva incidenza della condanna sul vincolo fiduciario da instaurare attraverso il contratto con l’Amministrazione stessa, e che di tale concreta valutazione l’Amministrazione deve dare contezza, senza che tale apprezzamento possa ritenersi compiuto per implicito attraverso la semplice enunciazione delle fattispecie di reato alle quali si riferisce la condanna (Cons. Stato, sez. V, 28 aprile 2003, n. 2129).

 

     E’ però altrettanto pacifico che l’ordinamento di per sé esprime una particolare qualificazione di taluni reati, per ciò che riguarda l’allarme sociale che ne deriva, non soltanto per l’ordinamento generale (come avviene per la totalità delle fattispecie rilevanti penalmente) ma propriamente con riferimento agli interessi pubblici specifici, la cui realizzazione, attraverso la committenza, è in qualche modo affidata alla mano privata.

 

     Si tratta dei reati contro la pubblica amministrazione (libro secondo, titolo II, del codice penale), l’ordine pubblico (libro secondo, titolo V, del codice penale), la fede pubblica (libro secondo, titolo VI, del codice penale), il patrimonio (libro secondo, titolo XIII, del codice penale) e, comunque, quelli relativi a fatti la cui natura e contenuto sono idonei ad incidere negativamente sul rapporto fiduciario con la stazione appaltante per la inerenza alla natura delle specifiche obbligazioni dedotte in contratto e la loro incidenza sul rapporto fiduciario.

 

     Essi sono individuati espressamente come incidenti sulla moralità professionale, secondo la previsione dell’art. 17, comma 1, lettera c), del D.P.R. 34/2000, concordemente, sia nella circolare del Ministero LL.PP., 1 marzo 2000 n. 182/400/93, sia nella determinazione del 13 dicembre 2000, n. 56/2000, dell’Autorità di vigilanza per i lavori pubblici.

 

     La successiva determinazione n. 16/23 del 5 dicembre 2001 non rinnega ma ribadisce anzi siffatta valutazione, pur avvertendo che di determinate circostanze (quali l’intervenuta riabilitazione) la stazione appaltante deve pur tenere conto, nella valutazione del caso concreto.

 

     Tutto ciò premesso deve dunque concludersi nel senso che non sono rinvenibili i profili di eccesso di potere e violazione di legge denunciati dall’attuale appellante nel ricorso di primo grado ed in quello di appello, nella determinazione della commissione giudicatrice che, al cospetto di una sentenza di applicazione della pena ad istanza di parte per reati del tipo sopra enunciato, a carico del rappresentante legale della società concorrente, ne ritiene l’incidenza sull’affidabilità morale e professionale, essendo sufficientemente compiuta la valutazione e correttamente motivata l’esclusione della società dalla gara, con il riferimento specifico ai fatti assunti nella loro concreta materialità e gravità in relazione al rapporto da instaurare con la concorrente. 

 

     3. Sulla base di tutte le considerazioni che precedono l’appello deve essere respinto, ed a carico dell’appellante, ed in favore del Comune resistente, devono essere poste le spese del giudizio che si liquidano in dispositivo. Nulla nei confronti delle parti non costituite in giudizio. In questo senso deve essere integrato il dispositivo che dispone “nulla” per spese nei confronti della sola soc. ***.

 
P.   Q.   M.
 

      Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando, respinge l’appello in epigrafe;

 

      Condanna l’appellante, in favore del Comune di Pietramontecorvino (FG), al pagamento delle spese del giudizio che si liquidano in € 5.000,00; nulla nei confronti della Soc. *** s.r.l. e della GEO.R.A.S. s.r.l. non costituite.

 

      Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

 

      Così deciso in Roma, addì 3 marzo 2006, dal Consiglio di Stato in s.g. (Sez. V) riunito in camera di consiglio

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
 
                                    il            24 agosto 2006                                  
 
CONSIGLIO DI STATO –
 
– Sezione Quinta –
 
 
 
Sent.n. del pos.doc Ord. ndel pos.doc. Par. n.del pos.doc
 

Presidente: IANNOTTA !Fine dell’espressione imprevista Estensore: MILLEMAGGI COGLIANI!Fine dell’espressione imprevista

 
 
Parti:Soc. *** c. Comune di Pietramontecorvino ed altri   !Fine dell’espressione imprevista
 
 

Titoletto: Annullamento e revoca d’ufficio – Atto di riesame – Contraddittorietà rispetto all’atto annullato – Inconfigurabilità.

 
 

Testo massima: La differenza delle valutazioni di identiche situazioni (sotto il profilo della legittimità o del merito) è insita nell’esercizio del potere di autotutela della pubblica amministrazione; pertanto, non è configurabile il vizio di eccesso di potere, sotto il profilo sintomatico della contraddittorietà, nei riguardi di provvedimento emesso in sede di riesame, per il fatto che esprime una valutazione difforme da quella in precedenza espressa nell’atto annullato. 

 
 
Il Presidente –
 
– Sezione Quinta –
 
 
 
 
 
 
 
 
CONSIGLIO DI STATO –
 
– Sezione Quinta –
 
 
 
Sent.n. del pos.doc Ord. ndel pos.doc. Par. n.del pos.doc
 

Presidente: IANNOTTA !Fine dell’espressione imprevista Estensore: MILLEMAGGI COGLIANI!Fine dell’espressione imprevista

 
 
Parti:Soc. *** c. Comune di Pietramontecorvino ed altri   !Fine dell’espressione imprevista
 
 

Titoletto: Contratti della P.A. – Appalto in generale – Gara – Ammissione – Requisiti – Sentenza di applicazione della pena su istanza di parte – Equiparazione a sentenza di condanna – Ex art. 12 D.Lgs. n. 157 del 1995 ed art. 75 D.P.R. n. 554 del 1999 – Conseguenze. 

 

Testo massima: L’art. 12 del D.Lgs. n. 157 del 1995 e l’art. 75 del D.P.R. n. 554 del 1999 (a parte la maggiore articolazione e complessità della lett. “c” di quest’ultimo articolo, rispetto alla formulazione della lett. “b” dell’art. 12) esprimono l’identica volontà normativa di porre sullo stesso piano, per i fini che interessano la sentenza di applicazione della pena su richiesta, emessa ai sensi dell’art. 444 codice di procedura penale (cosiddetto patteggiamento), alla sentenza di condanna vera e propria; pertanto, in tema di ammissione alle gare indette della pubblica amministrazione (o da soggetti comunque tenuti ad osservarne le norme), in vigenza della normativa anzidetta, la sentenza di applicazione della pena su istanza di parte e quella di condanna devono essere considerate stesso piano, quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e della affermazione che l’imputato lo ha commesso.

 
Il Presidente –
 
– Sezione Quinta –
 
 N°. RIC. 5185/05

Lazzini Sonia

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