L’anatocismo a doppia velocità: la sentenza n. 78 del 24 aprile 2012 della Corte Costituzionale

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Tradizionalmente lo studio del vigente codice civile, descrivendo un quadro di traffici commerciali piuttosto vetusto, definiva l’attuale art. 1283, quale espressione normativa del divieto dell’anatocismo.

Pur tuttavia tale definizione non era precisa, se non altro perché tale non è il testo dell’articolo, il quale consente comunque l’anatocismo in presenza di determinati presupposti, ossia se vi sia domanda giudiziale o se la pattuizione sia successiva alla scadenza degli interessi ed essi siano dovuti da almeno sei mesi; a ciò si aggiunga che tali limitazioni sussistono solamente in presenza di usi contrari.

Si ritenevano pertanto esistenti tali usi nella normativa bancaria e che quindi le banche agissero legittimamente liquidando gli interessi a debito del cliente correntista con frequenza trimestrale, mentre gli interessi a credito dello stesso erano liquidati con cadenza annuale; tale comportamento era stato ampiamente avallato dalla giurisprudenza. Si trattava di un anatocismo a due velocità che poneva, in ogni caso, il problema della sua dubbia liceità; ma sino al 1999 la giurisprudenza sosteneva la sussistenza di un uso contrario che rendeva, nei rapporti bancari, lecita la previsione di questi interessi anatocistici a prescindere dal rispetto delle specifiche condizioni stabilite dall’art. 1283 cc.

Con la sentenza della Cass. civ., Sez. I, 16/03/1999, n.2374, la Suprema Corte cambia orientamento;

sul presupposto della tripartizione degli usi presenti nell’ordinamento giuridico (usi normativi art. 8 preleggi, negoziali ex art. 1340 cc ed interpretativi ex art. 1368 cc) osserva, dunque, che, nei rapporti tra banche e clienti, non sussiste la convinzione della giuridica obbligatorietà delle pattuizioni relative all’anatocismo sicchè tali usi, avendo natura negoziale, non possono derogare alle disposizioni di legge e quindi non è ammissibile l’anatocismo a doppia velocità.

Immediata è la risposta del legislatore: con il D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342 stabilì che le clausole che prevedevano per il passato interessi anatocistici dovevano ritenersi valide mentre, per le successive, l’anatocismo era valido solo se prevedeva meccanismi di calcolo analoghi per i rapporti attivi e per quelli passivi. La norma effettuava una sanatoria relativa alle clausole anatocistiche antecedenti al decreto.

La Consulta è, peraltro, intervenuta sul meccanismo di sanatoria in esame dichiarandolo illegittimo per eccesso di delega.

La Suprema Corte SSUU del 4 novembre 21095/2004, con riferimento alle clausole anteriori al 1999, osservando come la sentenza n. 425/2000 la Corte Cost aveva dichiarata illegittima per eccesso di delega la sanatoria di cui all’art. 25 comma 3, ne ha dichiarato, dunque, l’invalidità, in difetto di una espressa previsione normativa legittimante.

Purtuttavia la lunga storia (pari quasi ad uno sceneggiato lungo e ricco di colpi di scena) non sembrava essersi conclusa così: in seguito alle battaglie giudiziarie tramite le quali correntisti piuttosto agguerriti tentano di farsi restituire le somme indebitamente versate utilizzando così il conteggio rivisto e corretto, interviene il legislatore con il maxi emendamento al decreto milleproroghe (D.L. 29 dicembre 2010, n. 225 convertito in l. 26 febbraio 2011, n. 10, art. 2 comma 61) e con una norma di interpretazione autentica dell’articolo 2935 del codice civile, ai sensi del quale la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere. La norma in esame prevede che, con riguardo alle operazioni bancarie regolate in conto corrente, l’articolo 2935 del codice civile si debba interpretare nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa. In ogni caso, viene aggiunto, «non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della presente legge».

Tale norma ha ulteriormente infiammato la guerra aperta tra associazioni dei consumatori e banche che trova comunque la spaccatura dei tribunali.

Di conseguenza: viene sollevata la questione di legittimità costituzionale dal tribunale di Benevento, Brindisi, Ferrara, Venezia e Brescia; questione ritenuta manifestatamente infondata da Milano.

I motivi della rimessione alla Corte costituzionale sono succintamente i seguenti:

A Il termine di prescrizione decennale per il reclamo delle somme trattenute dalla banca indebitamente a titolo di interessi su un’apertura di credito in conto corrente, decorre dalla chiusura definitiva del rapporto, trattandosi di un contratto unitario che dà luogo ad unico rapporto giuridico, anche se articolato in una pluralità di atti esecutivi, sicché è solo con la chiusura del conto si stabiliscono definitivamente i crediti e i debiti delle parti tra loro. (cfr Cass. civile , SS.UU., sentenza 02.12.2010 n° 24418).

B il c.d. decreto mille proroghe non può di certo introdurre, retroattivamente, un effetto estintivo di un diritto azionato.

Finalmente, con sentenza n. 78 del 24 aprile 2012, la Corte Costituzionale si è nuovamente pronunciata, ribadendo quanto già precedentemente affermato.

Infatti in primo luogo individua una giurisprudenza maggioritaria alla quale la sentenza n. 24418 del 2 dicembre 2010 della Corte di Cassazione ha dato voce.

La norma interpretativa pertanto non ha alcuna ragion d’essere poiché non vi sono contrasti giurisprudenziali o scarsa chiarezza della norma; l’art. 2935 del codice civile è inoltre una norma di natura generale, che viene applicata proprio perché non vi sono leggi specifiche in materia; a ciò si aggiunga che la legge oggetto del giudizio ha anche effetti retroattivi, consentiti dai principi generali dell’ordinamento solo a tutela di principi, diritti o beni di rilievo costituzionale; infine pur se la materia della prescrizione è sostanziale, si esplica concretamente e coerentemente anche sul piano processuale, agendo sui processi in essere e quindi ponendo in essere una interferenza del potere legislativo sul potere giudiziario; tale interferenza è ancora più forte nel secondo periodo del comma sanzionato, laddove pone un evidente limite all’azione in giudizio per situazioni giuridiche soggettive sorte prima dell’entrata in vigore del decreto milleproroghe.

La vicenda pare giunta a conclusione, e viene ribadito ancora il principio di uguaglianza tra il soggetto banca ed il suo cliente.

Pare opportuno sperare che in questi tempi di crisi non vi siano ulteriori puntate di questa annosa vicenda.

Rossini Letizia

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