L’ aggressività nel capitale umano

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L’aggressività si può esprimere in termini attivi o passivi, ossia come mancata collaborazione, e può essere strumentale o più semplicemente ostile questo comporta la non necessaria presenza di emozioni ritenute ostili, tanto che l’aggressività in termini strumentali è usata anche come semplice mezzo per richiamare l’attenzione su condizioni di vita sofferenti ( Lubek ), ove  la pace è inrealtà il risultato di un perfetto controllo oppressivo, si vengono quindi a contrapporre due tesi opposte, che l’aggressività sia il frutto biologico di una mancata capacità genetica di bloccare le manifestazioni (Lorenz-Freud) o all’opposto la non necessaria presenza di un alto livello di aggressività, essendo questa il portato di circostanze storiche e della conseguente elaborazione culturale del conflitto (Wilson).

L’aggressività è quindi per molti psicologi un risultato non tanto biologico quanto culturale, più precisamente esperienziale ed osservativo, è il risultato dell’osservazione per cui il possederla porta dei vantaggi sul lato pratico, così che un complesso di punizioni e disapprovazione sociale induce ad un suo controllo, d’altra parte vi sono casi in cui la punizione porta ad una contro aggressione venendo meno il principio elementare del rinforzo, si tratta dei casi in cui si agisce sotto l’impulso della rabbia indipendentemente dal raziocinio della futura punizione o quando si ritiene di avere subito la lesione di un proprio diritto, in quest’ultima ipotesi vi è la necessità di ripagare l’offesa.

Indipendentemente da questa ipotesi intervengono i modelli imitativi, questi forniscono le informazioni su i modelli comportamentali premianti riducendo eventualmente le inibizioni verso le azioni aggressive più produttive come al contrario possono inibire l’aggressività stessa (Bandura), vi è quindi in essa un notevole influsso dei modelli culturali.

Considerare l’aggressività come strategia di un modello culturale appreso non può estromettere l’aspetto emozionale che in molti casi vi è primariamente alla base, dobbiamo considerare l’aggressività come una rappresentazione culturale, tanto che Averill la definisce una prestazione sociale che come tale ha bisogno di una scenografia in cui i protagonisti si muovono secondo un copione, infatti le diverse culture regolano i modi e le situazioni in cui viene tollerata fino ad essere imposta in determinate situazioni secondo leggi non scritte, vi sono relazioni tra stati emotivi e reazioni sul piano sociale che sono oggetto di apprendimento, questo tuttavia non elimina l’aggressività derivante da stati emotivi come la frustrazione, tanto più intensa quanto più legata alla vicinanza della meta, o l’arbitrarietà a cui si è sottoposti, è pertanto l’individuo che nel definire il proprio stato emotivo ne predispone la risposta aggressiva e ne legittima l’uso secondo i parametri culturali accettati (Berkowitz).

Vi è una aggressività individuale ed una collettiva che è stata nel passato esaltata nella ricerca di una nuova società, una violenza finalizzata alla distruzione dell’ordine esistente, un concetto non esclusivo del materialismo occidentale ( Sorel) ma diffuso presso altre culture nella ricerca dell’affermazione di verità o virtù superiori, il conflitto che Simmel traduce in una lotta perenne tra forma della società ed evolversi della vita, un incremento necessario della volontà dell’individuo (Nietzsche), che fa sì che vi sia uno scontro tra spirito collettivo ed individuo, l’aggressività viene quindi riassorbita nella natura umana e finalizzata al suo evolversi politico, economico e sociale; tuttavia ad una fase collettiva succede una fase individuale nella quale il fallimento di una pretesa totalitaria induce ad un individualismo narcisistico che sul piano giuridico si manifesta nella ricerca di continui diritti della persona, in una bolla espansiva continua in cui la tecnologia sembra sostenere la richiesta ma ne prepara al contempo il possibile controllo totale e l’impossibilità del dissociarsi, l’individualismo viene ad assecondare le nuove forme economiche e si manifesta esteticamente in comportamenti collettivi quali il “Selfie”, ossia la smodata necessità dell’auto-rappresentazione.

L’aggressività da collettiva mascherata su basi politiche ed ideologiche diventa individuale in uno scontro personale, il conflitto distruttivo si inserisce nelle organizzazioni e ne viene legittimato acquisendo una negatività non controllabile, da elemento di raffronto gestibile diventa elemento che mina la cooperazione con una percezione di avversione personale che impedisce il gioco negoziale e la sua ridefinizione (Galtur).

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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