L’affidamento in house del servizio di raccolta dei rifiuti

Greco Massimo 12/03/09
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La decisione del Consiglio di Giustizia Amministrativa n. 48 del 09/02/2009 in merito all’annosa questione degli affidamenti in house dei servizi pubblici locali merita di essere commentata. Il caso, arrivato all’attenzione del Giudice Amministrativo siciliano, riguarda l’affidamento diretto operato dalla società d’ambito “EnnaEuno” nei confronti della società per azioni a totale partecipazione pubblica (?) “SiciliaAmbiente”. Il CGA, nell’accogliere le censure sollevata dal ricorrente, si esprime in questi termini: “È la stessa sentenza gravata a ricordare che i due fondamentali requisiti in proposito elaborati dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale – ossia la partecipazione totalitaria del soggetto pubblico affidante al capitale della società “in house” affidataria; nonché il c.d. “controllo analogo” (a quello, totale, che si avrebbe sui propri organi interni) che il primo deve avere su quest’ultima – vanno “interpretati restrittivamente e l’onere di dimostrare l’effettiva sussistenza delle circostanze eccezionali che giustificano la deroga a quelle regole grava su colui che intende avvalersene. Orbene, sembra chiaro al Collegio come, nel caso in esame, non ricorra, quantomeno, il primo presupposto (cioè quello della par-tecipazione pubblica totalitaria al capitale sociale della società che si assume essere “in house”); condizione comunque necessaria, e da sola neppure sufficiente, per la legittimità dell’affidamento diretto. Invero il capitale sociale di Sicilia Ambiente s.p.a. è detenuto per il 51%, dalla stessa Enna Euno s.p.a., ma per la restante frazione è solo in parte di proprietà dei vari enti locali ricompresi nel relativo A.T.O. (anch’essi da considerare legittimamente amministrazioni aggiudicatrici). È pacifico, nell’attuale stato di evoluzione giurisprudenziale, che il requisito della totalità della proprietà pubblica del capitale della società “in house” debba sussistere in termini assoluti. Per escludere radicalmente ogni possibilità di legittimo affidamento “in house” è infatti sufficiente che vi sia, sebbene in minima percentuale, una partecipazione privata al capitale sociale. Nella specie, lo 0,5% del capitale sociale di Sicilia Ambiente è in atto detenuto dall’Unione Regionale delle Provincie Siciliane”.
 
Il CGA, quindi, risolve la controversia richiamando i principi, già affermati in giurisprudenza, della necessaria partecipazione totalitaria del capitale pubblico per giustificare l’affidamento in house del servizio. Ma, a questo punto sorge spontanea una domanda: nel caso in cui la società concessionaria del servizio eliminasse il difetto riscontrato, tra l’altro irrisorio, determinando il 100% della partecipazione pubblica, la società d’ambito potrebbe, ratione temporis, procedere a riaffidare il servizio senza incorrere in altri ostacoli di legittimità?
 
La risposta, secondo la regola pacifica in giurisprudenza del rapporto necessario tra dedotto e giudicato, poteva essere data dallo stesso Consiglio di Giustizia, ma poiché non sono a noi noti tutti i motivi di censura sollevati dall’appellante, dobbiamo, per esclusione, affermare che al cospetto del Giudice d’appello è stato prospettato il solo vizio di legittimità oggetto del giudicato e non anche, ad esempio, la violazione dell’art. 202 del D.Lgs n. 152/2006. Rimane infatti il dubbio, non riscontrandosi precedenti in giurisprudenza, sulla possibilità che le Amministrazioni hanno di utilizzare lo strumento dell’in house anche per i servizi pubblici connessi alla gestione del ciclo dei rifiuti (raccolta, trattamento ecc…).
 
Se è vero che “Nella prospettiva europea, la pubblica amministrazione può decidere di erogare direttamente prestazioni di servizi a favore degli utenti mediante proprie strutture organizzative senza dovere ricorrere, per lo svolgimento di tali prestazioni, ad operatori economici attraverso il mercato[1] è anche vero che il sistema dell’affidamento in house costituisce un’eccezione ai principi generali del diritto comunitario. Un sistema derogatorio siffatto giustifica la fissazione di confini entro i quali devono muoversi gli enti affidanti, al fine di evitare che l’istituto venga utilizzato al solo fine di aggirare le regole sulla concorrenza.
Le novità introdotte dall’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 25 giugno 2008, convertito con modificazioni nella legge n. 133 del 6 agosto 2009, aggiungono altri vincoli rispetto a quelli derivanti dall’ordinamento comunitario: è necessario che sussistano particolari condizioni “economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche” che rendono impercorribile l’affidamento ordinario con procedura ad evidenza pubblica. Il comma 4, dello stesso articolo, dispone altresì che l’ente territoriale intenzionato ad affidare in deroga debba dare adeguata pubblicità alla propria intenzione e che tale scelta sia supportata da un’analisi di mercato da trasmettere all’Autorità garante della concorrenza e del mercato che renderà un parere obbligatorio ma non vincolante.
Tuttavia tale ragionamento, ritornando, anche se di striscio, alla decisione del CGA, rischia di essere inconferente per il semplice motivo che, in presenza di una materia disciplinata da norme speciali e di settore, è da escludere l’applicazione di norme a carattere generale. Orbene, nel caso del’affidamento del servizio di raccolta dei rifiuti, non può farsi riferimento alle norme generali sulla gestione dei servizi pubblici locali, da ultimo disciplinata dal citato art. 23-bis, ma alla disciplina di settore prevista dall’art. 202, comma 1 del D.lgs n. 152/2006 che così recita: “L’Autorità d’ambito aggiudica il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani mediante gara disciplinata dai principi e dalle disposizioni comunitarie, in conformità ai criteri di cui all’articolo 113, comma 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonchè con riferimento all’ammontare del corrispettivo per la gestione svolta, tenuto conto delle garanzie di carattere tecnico e delle precedenti esperienze specifiche dei concorrenti, secondo modalità e termini definiti con decreto dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio nel rispetto delle competenze regionali in materia. I soggetti partecipanti alla gara devono formulare, con apposita relazione tecnico-illustrativa allegata all’offerta, proposte di miglioramento della gestione, di riduzione delle quantità di rifiuti da smaltire e di miglioramento dei fattori ambientali, proponendo un proprio piano di riduzione dei corrispettivi per la gestione al raggiungimento di obiettivi autonomamente definiti”.
In pratica, la normativa di settore sembra escludere l’ipotesi, ancora oggi consentita, dell’in house. Appare utile in questa sede ricordare che il Decreto Ministeriale 2 maggio 2006 pubblicato sulla G.U. n. 108 dell’11 maggio 2006, anche se non produttivo di effetti giuridici in forza della nota dello stesso Ministero del 26/06/2006 pubblicata nella G.U. n. 146 del 26/06/2006[2], all’art. 2, comma 2°, così recitava: “La gestione del servizio di cui al precedente comma 1 è aggiudicata mediante gara ad evidenza pubblica disciplinata dai principi e dalle disposizioni comunitarie, in conformità ai criteri di cui all’art. 113, comma 7, del decreto legislativo n. 152/2006, nel rispetto del piano d’ambito e del principio di unicità della gestione per ciascun ATO”. Il successivo art. 2, comma I°, così recita: “Le AATO sono soggetti aggiudicatari e procedono all’affidamento della gestione del servizio mediante gara pubblica, da espletarsi con il sistema della procedura aperta, adottando per l’aggiudicazione il sistema dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata secondo le modalità di cui al presente decreto”. Quindi, “E’ emersa fin da subito la scomparsa della possibilità di scelta tra diversi modelli di gestione come consentito dal comma 5 dell’art. 113 del TUEL sostituita dalla previsione della procedura ad evidenza pubblica per la scelta del gestore. Il Codice, dunque, ammette una sola modalità di affidamento del servizio, ritenendo che in questo settore esista un mercato dove operano soggetti economici ed è quindi intervenuto a tutela di quel mercato, e, in definitiva della concorrenza, creando per i rifiuti una disciplina di settore diversa rispetto a quella ordinaria. Lo stesso comma 1 dell’art. 202 contiene dei criteri di selezione del gestore (l’ammontare del corrispettivo offerto) che non sono pertinenti ad un rapporto in house, ma lo sono se si tratta di selezionare un soggetto terzo, pubblico o privato[3].
            Illuminante appare altresì il parere espresso dal Consiglio di Stato n. 3838 del 5/11/2007 sullo schema di decreto legislativo concernente “Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale” che al punto 29 così recita: “La modifica, mediante rinvio generalizzato all’art. 113, consente anche, in luogo della gara, l’utilizzo del sistema in house che invece il decreto legislativo aveva inteso, in questo settore, eliminare. Essa, pertanto, è di carattere sostanziale ed esula, come tale, dai limiti del potere correttivo. Va aggiunto che il ripristino del sistema in house non è in linea con il diritto comunitario, secondo cui laddove vi è un mercato contendibile in cui gli operatori privati sono in grado di assicurare il servizio pubblico, la riserva del servizio pubblico all’amministrazione (mediante gestione diretta, o società in house) non è giustificabile. Il sistema in house deve essere pertanto considerato eccezionale, consentito laddove vi sono oggettive esigenze di svolgimento di un servizio pubblico in regime di privativa……….Non sono ammissibili deroghe alla concorrenza che non siano necessarie al perseguimento della missione di carattere generale affidata al gestore del servizio. La relazione, invece, nulla dice sulle ragioni oggettive ed eccezionali che rendono ancora attuale l’in house[4]. Il fatto che nelle citate "Disposizioni correttive e integrative del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale”, veicolate attraverso il D.Lgs 8 novembre 2006, n. 284, sia scomparsa la citata proposta di reintrodurre l’ipotesi dell’in house, conferma la fondatezza del ragionamento fin qui illustrato. Lo stesso Consiglio di Stato[5] recentemente, questa volta in sede giurisdizionale, ha stabilito che “..a mente del combinato disposto degli artt. 199, 200 e 201, D.lgs. n. 152 del 2006 l’organizzazione territoriale dei servizi di gestione integrata dei rifiuti è affidata agli enti gestori degli ambiti territoriali ottimali; questi ultimi, giusta il puntuale disposto dell’art. 202, D.lgs. n. 152 cit., sono obbligati ad esternalizzare il servizio mediante gara nel rispetto dei principi comunitari e nazionali; non è prevista la formula organizzativa della società pubblica”.  
 
Massimo Greco
 
  
 


[1] Corte Cost. sent. n. 439 del 15/12/2008.
[2] Si veda a tal proposito Tar Palermo, sez. I, sent. n. 2511, 05/11/2007.
[3] Carlo Rapicavoli, “La gestione dei rifiuti urbani nel codice ambientale”, LexItalia.it, n. 10/2007.
[4] A tal riguardo la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 206 del 2001, ha affermato che i decreti correttivi ed integrativi devono avere lo stesso oggetto del decreto originario e seguire gli stessi criteri direttivi ai quali quest’ultimo si è ispirato.
[5] Consiglio di Stato, sez. V, sent. 13/02/2009 n. 824.

Greco Massimo

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