L’accertamento tecnico preventivo nel processo previdenziale: procedimento e spunti critici

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L’art 38 c.1 della legge 15 luglio 2011 n. 111 ha disposto che chi intende agire in giudizio per il riconoscimento dei propri diritti in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché di pensione di inabilità e di assegno di invalidità, deve preventivamente proporre, ai sensi del nuovo art. 445 bis c.p.c dinanzi al giudice competente ai sensi dell’articolo 442 codice di procedura civile, presso il Tribunale nel cui circondario risiede l’attore, istanza di accertamento tecnico per la verifica delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere. La legge in questione ha introdotto il nuovo art. 445 bis rubricato accertamento tecnico preventivo obbligatorio (ATP) “Al fine di realizzare una maggiore economicità dell’azione amministrativa e favorire la piena operatività e trasparenza dei pagamenti nonché deflazionare il contenzioso in materia previdenziale, di contenere la durata dei processi in materia previdenziale, nei termini di durata ragionevole dei processi“. L’espletamento dell’accertamento tecnico preventivo costituisce condizione di procedibilità della domanda.
L’ìmprocedibìlità’ deve essere eccepita dal convenuto a pena di decadenza o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. La richiesta di accertamento tecnico preventivo è subordinata alla preventiva presentazione della domanda amministrativa e dei ricorsi amministrativi ove previsti, incontrando il procedimento sommario le medesime preclusioni del procedimento ordinario di cognizione. In materia di prestazioni previdenziali ed assistenziali infatti la domanda amministrativa all’ente erogatore, ex art. 7 legge n. 533 del 1973, è condizione di proponibilità della domanda giudiziaria, in quanto il legislatore ha disposto che il privato non affermi un diritto davanti all’autorità giudiziaria prima che esso sia sorto, ossia prima del perfezionamento della relativa fattispecie a formazione progressiva, nella quale l’obbligo dell’ente previdenziale sorge soltanto dopo la presentazione della domanda amministrativa (Cass. 15 gennaio 2007, n. 732; Cass. 29 dicembre 2004, n. 24103).

Il giudice qualora rilevi che l’accertamento tecnico preventivo non e’ stato espletato ovvero che e’ iniziato ma non si e’ concluso, assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione dell’ istanza di accertamento tecnico ovvero di completamento dello stesso. Al procedimento si applica l’articolo 696 bis c.p.c. (consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite), in quanto compatibile, nonché le disposizioni che regolano l’accertamento peritale di cui all’art. 195 c.p.c. e all’art. 10 co. 6 bis, del d.l. 30 settembre 2005 n. 203, come convertito dalla l. 2 dicembre 2005 n. 248 (disposizioni, queste ultime, che prevedono la partecipazione obbligatoria del c.t.p. dell’Ente Previdenziale). Il riferimento della norma all’art. 10, e. 6 bis, legge 2 dicembre 2005, n. 248. fa intendere che l’INPS è parte necessaria 1 del procedimento per cui sarebbe esclusa la possibilità di applicazione dell’istituto in esame – non potendosi fare ricorso ad una sua interpretazione analogica, trattandosi di normativa eccezionale limitativa dell’accesso alla tutela giurisdizionale – a quei casi in cui la determinazione della soglia invalidante rileva ai fini del riconoscimento di altre utilità ad opera di altri soggetti, quali ad esempio l’esenzione dal ticket disposta dalle aziende sanitarie provinciali, ovvero l’iscrizione negli elenchi del collocamento obbligatorio, di competenza delle Regioni. II ricorso contenente l’istanza di accertamento dovrà essere dunque depositato con l’assistenza di un avvocato e contenere sia l’indicazione della prestazione che si intende far valere nel giudizio cui è preordinato l’accertamento sanitario che la documentazione del precedente iter amministrativo che, come si è visto, costituisce condizione di proponibilità e/o procedibilità dell’istanza di ATP. Nel ricorso ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c, relativamente alla liquidazione delle spese, delle competenze e degli onorari « la parte ricorrente, a pena di inammissibilità di ricorso, formula apposita dichiarazione del valore della prestazione dedotta in giudizio, quantificandone l’importo nelle conclusioni dell’atto introduttivo» – è dubbio se si tratti del valore della prestazione richiesta ovvero se si tratti di valore indeterminabile, avendo il procedimento ad oggetto il solo requisito sanitario – comunque la sanzione della INAMMISSIBILITA’ rischia di produrre effetti preclusivi per i diritti del cittadino ricorrente (es. decadenza) tanto che alcuni Tribunali proprio al fine di evitare questi effetti preclusivi hanno pubblicato linee guida. Altro dubbio è quello relativo alla quantificazione del contributo unificato da versare sicuramente ridotto alla metà ma calcolato con riferimento all’importo fisso di euro 37 per come previsto in materia di previdenza ed assistenza ex art. 13 punto 1 lettera a) DPR 115/2002 o in generale sul valore del giudizio per come dichiarato dalla parte che presenta il ricorso? In assenza di indicazioni sembra prevalere la tesi di chi ritiene prevalente la materia previdenziale del procedimento ( cfr. Caglioti). Il giudice procede ai sensi dell’ari. 696 bis c.p.c. in quanto compatibile. Deve pertanto valutare la sussistenza dei presupposti di ammissibilità quindi valutare il fumus boni iuris del diritto da azionare nel successivo ed eventuale giudizio di merito, altrimenti diversamente l’istituto sarebbe rimesso all’arbitrio del ricorrente (cfr. Trib. Milano 13 aprile 2011, in tema di art. 696 bis c.p.c), mentre non sarà oggetto di valutazione il periculum, data la configurazione dell’ATP come condizione di procedibilità del giudizio di merito e del richiamo espresso all’ari. 696 bis c.p.c.. Ma che valore ha il richiamo a tale ultimo articolo? L’istituto previsto dall’art.445 bis c.p.c. pur richiamando l’art 696 bis c.p.c.. che disciplina l’accertamento tecnico preventivo, procedimento sommario non cautelare con funzioni di composizione della lite o più in generale l’accertamento tecnico preventivo mezzo di istruzione preventiva della causa, che consente, qualora ne ricorra l’urgenza, di verificare lo stato di luoghi o la qualità e la condizione di cose, prima della proposizione della domanda di merito, rispetto alla quale si pone in funzione del tutto strumentale, se ne differenzia sia per la natura dell’istituto che della materia. Il nuovo procedimento assistenziale di cui al cit. art. 445 bis c.p.c., infatti, così come previsto e disciplinato, non può essere considerato né un mezzo di istruzione preventiva e né, nonostante siano ad esso applicabili le disposizioni di cui al cit. art. 696 bis c.p.c., un valido strumento di conciliazione; la sua obbligatoria utilizzazione, prescindendo dalla sussistenza del requisito dell’urgenza dell’accertamento ed essendo volta all’ottenimento di un provvedimento di carattere sostanzialmente decisorio, non è direttamente finalizzata alla successiva instaurazione di un giudizio di merito, che è solo eventuale, e l’espletamento del preliminare tentativo di conciliazione che il C.T.U. dovrebbe effettuare prima di sottoporre a visita il periziando, risulta di poca utilità pratica, ed è facile capirne il perché. Il ricorso all’a.t.p. ex art. 445 bis c.p.c. presuppone che l’INPS abbia già negato, a chiusura della precedente e come detto necessaria fase amministrativa , a seguito del compimento di tutti gli accertamenti sanitari del caso, la prestazione assistenziale richiesta. L’’INPS poi essendo Ente facente parte della P.A. è sottoposto alla osservanza dei principi costituzionali che regolano l’azione amministrativa – di legalità, di imparzialità e trasparenza – che limitano la possibilità transattiva e/o conciliativa. E’ difficile pertanto, immaginare sulla base di quali presupposti ed attraverso quali reciproche concessioni, l’interessato e l’INPS possano, prima che il perito depositi l’elaborato, raggiungere accordi e/o conciliazioni di sorta.

Ritornando all’esame dell’art.445 bis: II giudice, terminate le operazioni dì consulenza, con decreto comunicato alle parti, fissa un termine perentorio non superiore a trenta giorni, entro il quale le medesime devono dichiarare, con atto scritto depositato in cancelleria, se intendono contestare le conclusioni del consulente tecnico dell’ufficio. A cura della cancelleria del tribunale, il decreto viene comunicato all’INPS, al difensore se costituito in giudizio ed alla Direzione della sede competente, nell’ipotesi di contumacia. Questo è il vero e proprio snodo del nuovo procedimento, scopo della comunicazione è di ottenere, con un comportamento concludente, la tacita accettazione dell’accertamento sanitario, al fine di eliminare ogni altra possibilità di indagine sul punto e riportare in sede amministrativa la verifica degli ulteriori requisiti di accesso alla prestazione. In assenza dì contestazione, l giudice, se non procede ai sensi dell’articolo 196, con decreto pronunciato fuori udienza entro trenta giorni dalla scadenza del termine previsto dal comma precedente omologa l’accertamento del requisito sanitario secondo le risultanze probatorie indicate nella relazione del consulente tecnico dell’ufficio provvedendo sulle spese. Il decreto, non impugnabile ne’ modificabile, e’ notificato agli enti competenti. Nei casi di mancato accordo, fallito lo scopo della procedura attivata, si apre la strada al contenzioso in senso stretto, nel termine perentorio fissato dal giudice la parte deve depositare una mera dichiarazione scritta, anche non motivata, con la quale comunica la volontà di contestare le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio e successivamente, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla formulazione della dichiarazione di dissenso, il ricorso introduttivo del giudizio, specificando, a pena di inammissibilità, i motivi della contestazione. La sentenza che definisce il giudizio previsto dal comma precedente è inappellabile (comma inserito con art. 27, e. 1, lett. f, legge 12 novembre 2011, n.183) e questo secondo alcuni commentatori sarebbe in contrasto con la riforma dell’art. 111 Cost. e l’introduzione, nel nostro ordinamento, del principio del “giusto processo”,2 inteso quale clausola di carattere generale con funzione di “norma di apertura” del sistema a nuove garanzie costituzionali della giurisdizione ed alla tutela di tutti quei principi necessari per un’effettiva e completa tutela delle ragioni delle parti, incluso il principio del doppio grado di giudizio. Per quanto appena detto, risulta quindi non manifestamente infondato l’insinuato dubbio di costituzionalità del nuovo art. 445 bis c.p.c., nella parte in cui lo stesso esclude l’impugnabiltà del decreto di omologa dell’a.t.p. (qualora si attribuisca allo stesso portata decisoria) e, soprattutto, l’appellabilità della sentenza di I° grado che definisce il giudizio di merito. La sentenza costituisce ovviamente titolo esecutivo diversamente dal decreto; sembra infatti che il decreto de quo non possa costituire titolo esecutivo, in quanto ciò non è espressamente previsto dall’ art. 445 bis c.p.c. ed in quanto, dato l’ oggetto di semplice accertamento di un requisito sanitario, il decreto non può che concretizzarsi in una “pronuncia” sostanzialmente dichiarativa, cosa che lo renderebbe inidoneo in ogni caso, a porsi a fondamento di un’azione esecutiva. A seguito del positivo espletamento dell’a.t.p. l’invalido, vede accertato solo il proprio stato di invalidità, spettando poi all’INPS di verificare la sussistenza degli altri requisiti di legge necessari all’ottenimento della prestazione assistenziale richiesta e di provvedere, nei successivi 120 giorni successivi alla notifica del decreto ed all’esito di tale verifica, alla erogazione della stessa prestazione, senza tuttavia che lo stesso Ente Previdenziale possa esservi costretto esecutivamente. Né ritengo si potrebbe ipotizzare una sua natura di provvedimento costitutivo contenente statuizione di condanna c.d. implicita al pagamento dei ratei di pensione scaduti eo a scadere in quanto con il decreto non si dichiara o costituisce alcun diritto dell’invalido ad ottenere la prestazione assistenziale, ma si perviene al solo accertamento della invalidità necessaria all’ottenimento della prestazione previdenziale. Efficacia esecutiva dovrebbe invece riconoscersi, in applicazione della disposizione di cui al III comma dell’art. 696 bis c.p.c richiamato dall’art. 445 c.p.c., all’eventuale verbale di conciliazione redatto preliminarmente allo svolgimento delle operazioni peritali. Tale ultima ipotesi risulta tuttavia del tutto residuale in quanto nella realtà, come sopra evidenziato, saranno veramente pochi o nulli i casi in cui, prima l’espletamento degli accertamenti peritali, l’invalido e l’INPS giungano alla redazione di un verbale di conciliazione. L’introduzione del nuovo art. 445 bis c.p.c. rappresenta l’ennesimo intervento  legislativo nel settore del contenzioso previdenziale ed assistenziale  diretto, almeno nelle intenzioni, a razionalizzare e soprattutto a deflazionare il numero dei procedimenti giudiziari che ingolfano gli uffici giudiziari, nasce dalla necessità di contenere i costi sul sistema giustizia generati da un contenzioso a basso coefficiente di complessità giuridica con l’idea di spostarne l’accento su una valutazione ante causam delle condizioni sanitarie di accesso alla tutela. Molti sono i problemi aperti e molti quelli che si apriranno nel corso dell’applicazione di questo istituto. Gli esperti di materia previdenziale dubitano che gli obiettivi prefissati di deflazionamento del contenzioso e di contenimento della spesa e della durata dei processi, possano essere raggiunti per questa via. in quanto valorizzazione dell’accertamento sanitario ante causam avrebbe dovuto comportare una ristrutturazione importante della fase amministrativa. La fase amministrativa dovrebbe essere più incisiva capace di garantire tutela attraverso il riconoscimento di una maggiore autorevolezza delle decisioni assunte dai componenti le commissioni mediche e concretamente disincentivare il ricorso giudiziale. Il legislatore del 2011 istituisce invece una fase intermedia, di accertamento tecnico preventivo obbligatorio, che si pone dopo la fase amministrativa e prima della fase giudiziaria in senso stretto, in sintesi una ulteriore frammentazione che inserisce nel sistema un corpo estraneo, dalla natura incerta, che talvolta richiama una specie di ricorso amministrativo, in altro momento il rito della volontaria giurisdizione; altre volte ancora una vera e propria fase di cognizione, parziale e sommaria ( il giudice nel decreto con cui omologa l’accertamento provvede sulle spese). Solo l’esperienza giudiziaria potrà dire se il nuovo modello processuale voluto dal legislatore sarà funzionale ai fini per cui è stato pensato; quello che può obiettivamente rilevarsi è la dubbia coerenza del legislatore che ) ha introdotto con l’art. 39 d.l. 6.7.011 n.98 l’ennesimo sistema processuale, quasi contestualmente all’introduzione della normativa sulla riduzione e semplificazione dei riti civili di cognizione (dlgvo n.150 del 1.9.2011).

1 L’accertamento tecnico preventivo nel processo previdenziale di Pietro Caruso e Gino Madonia, febbraio 2012 (Fonte www.Lavoroprevidenza.com)

2 Cfr. VIGNERA, ll “giusto processo” nell’art. 111 comma 1 Cost.: Nozione e Funzione, Ambientediritto.it ciit avv. Giovanni Minauro (Fonte: http://www.studiocataldi.it/

Ciancio Daniela

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