Intercettazioni telefoniche: riprende alla Camera l’esame del disegno di legge

Redazione 29/09/11
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Dopo oltre un anno, la Camera dei deputati riprende l’esame, in seconda lettura, del disegno di legge (n. 1415-B) in materia di intercettazioni telefoniche, essendo stato l’argomento inserito tra quelli in calendario in questi giorni.

Il disegno di legge propone una congerie di modifiche alla disciplina normativa in tema di segreto investigativo, di pubblicità degli atti di indagine e di intercettazioni di ogni tipo. Lo scopo dichiarato è la tutela del diritto alla riservatezza di soggetti estranei alle indagini e degli stessi indagati, anche attraverso la limitazione delle ingerenze nella sfera privata dell’individuo.

Per «intercettazione» si intende la captazione, mediante l’impiego di strumenti meccanici o elettronici, di una comunicazione o conversazione riservata, quando la captazione medesima è operata in modo clandestino da un soggetto terzo rispetto ai comunicanti.

Le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni rappresentano un mezzo di ricerca della prova particolarmente incisivo, che determina però una grave limitazione del diritto alla libertà e alla segretezza di ogni forma di comunicazione, garantito come inviolabile dall’art. 15 Cost. Sono diversi anni ormai che il dibattito politico e parlamentare sottolinea l’esigenza di una modifica della disciplina delle intercettazioni telefoniche, essendo venute alla luce alcune criticità nel loro utilizzo e nella loro diffusione. Con riguardo al tema specifico dell’informazione, di fronte all’irrompere delle innovazioni tecnologiche e scientifiche, il rischio è quello che la ricchezza e la molteplicità degli strumenti dell’informazione rendano l’informazione medesima, da strumento necessario ed essenziale a momento patologico, potendo la divulgazione delle intercettazioni, ad esempio, diventare strumento di diminuzione della privacy. In questo senso occorreva un intervento legislativo complesso, giacché il diritto costituzionalmente garantito alla tutela della vita privata e alla libertà e segretezza delle comunicazioni (artt. 2 e 15 Cost.) vanno bilanciati con precetti di eguale rango costituzionale, quali quelli della libertà di stampa e del diritto all’informazione (art. 21 Cost.), dell’obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 Cost.), del giusto processo (art. 111 Cost.).

Tanto premesso, l’analisi complessiva delle disposizioni contenute nel disegno di legge sembra tradire l’idea secondo la quale lo scopo perseguito attraverso lo stesso sarebbe effettivamente rappresentato dall’esigenza di garantire maggiore privacy ai cittadini, privacy molte volte violata anche in danno di chi non era indagato, risultando del tutto estraneo alle attività d’indagine.

Il provvedimento interviene sui limiti di ammissibilità delle intercettazioni, modificando in modo rilevante la disciplina vigente, ampliando il novero degli strumenti di indagine soggetti ai limiti di ammissibilità, aggiungendo alla lista dei reati intercettabili anche il reato di “Atti persecutori” (cd. stalking), nonché limitando la possibilità di disporre intercettazioni di tipo ambientale e rendendo più articolata la procedura per ottenere l’autorizzazione allo svolgimento delle intercettazioni tra presenti. Con riguardo a tale ultimo profilo, si consentono le intercettazioni ambientali (o tra presenti), a prescindere dal luogo in cui sono effettuate, solo nel caso in cui sussista «fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa», così imprimendo una forte limitazione all’utilizzo delle stesse.

Quanto ai presupposti per l’ammissibilità delle intercettazioni, viene completamente novellato il vigente art. 267 c.p.p. La nuova versione della norma prevede, come già nell’attuale disciplina, la necessità, ai fini dell’autorizzazione alle intercettazioni, della sussistenza di gravi indizi di reato e della indispensabilità delle operazioni per la prosecuzione delle indagini; viene invece ancorata la valutazione circa la sussistenza dei «gravi indizi di reato» a parametri ulteriori rispetto a quelli di cui al solo art. 203. Il riferimento è infatti anche agli artt. 192, co. 3 e 4, e 195, co. 7, c.p.p., ed opera nel senso di limitare l’utilizzabilità, ai fini della valutazione, delle dichiarazioni rese da coimputati o imputati in reati connessi e collegati.

La competenza ad autorizzare le intercettazioni, oggi spettante al giudice per le indagini preliminari, è demandata al Tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente, che decide in composizione collegiale. Novità, questa, foriera di numerosi inconvenienti che vanno dall’aggravio del carico di lavoro negli uffici giudiziari presso i Tribunali interessati ad un inevitabile rallentamento dei tempi di esaurimento degli affari giudiziari distrettuali. In tal modo, peraltro, è esposta a forti rischi la segretezza delle indagini, favorendosi paradossalmente proprio la fuga di notizie in violazione della privacy, in quanto gli atti di indagine saranno inevitabilmente messi a disposizione di un numero più esteso di persone.

Ancora, la nuova formulazione dell’art. 267 c.p.p. ha l’effetto di circoscrivere temporalmente la durata massima delle intercettazioni entro limiti molto stringenti (30 giorni, anche non continuativi), prevedendo la possibilità per il P.M. di chiedere ed ottenere delle proroghe (ciascuna per un periodo di 15 giorni) al ricorrere di determinati presupposti. Termini così limitati alla durata delle intercettazione appaiono tuttavia inadeguati rispetto alla complessità di accertamento di taluni reati, con il rischio di vanificare gli sforzi investigativi compiuti a causa di un ostacolo formale non rapportato alla reale esigenza di assicurare completezza all’attività di indagine.

Il rischio paventato dagli operatori del settore è quello per cui il nuovo sistema delle intercettazioni coniato dal legislatore sia potenzialmente lesivo dell’attività investigativa, sottraendo alla magistratura uno strumento fondamentale e insostituibile per contrastare il crimine ed espropriando i cittadini del diritto costituzionale ad essere informati in modo corretto, completo e tempestivo su come viene amministrata la giustizia. Tra le tante norme controverse contenute nel disegno di legge figurano altresì quelle che prevedono maggiori limitazioni e sanzioni per i giornalisti e, soprattutto quella comunemente definita come norma «ammazzablog» (art. 1, co. 29), la quale pone uno stringente obbligo di rettifica indistintamente per blogger e testate professionali on-line. La disposizione è formulata in modo tale da non fare alcuna distinzione esplicita tra un giornale on-line, dunque una testata registrata soggetta a uno specifico apparato di norme e leggi, e un semplice cittadino che ha aperto un sito personale per raccogliere le proprie opinioni ed esercitare il proprio diritto di critica. A tutti è imposto il dovere di pubblicare le rettifiche entro 48 dalla relativa richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono, pena l’applicazione di sanzioni che, per un blogger, potrebbero arrivare fino a 12.000 euro. Invero, l’applicazione anche ad un privato utente del web della medesima prescrizione imposta ad un’azienda editoriale implica la possibilità di controllare ed intimidire tutta la comunicazione su Internet, anche perché la minaccia di gravose sanzioni e faticose azioni legali costituisce un’arma minacciosa nelle mani di chiunque voglia intervenire su notizie e informazioni pubblicate in rete.

Da più parti si auspica che il testo del disegno di legge possa essere emendato in più punti nel corso della discussione parlamentare, anche se l’accelerazione dell’iter di approvazione del provvedimento, che potrebbe anche essere blindato con un voto di fiducia, sembra lasciare ben pochi spazi di manovra. (Anna Costagliola)

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