Intelligenza artificiale generativa e diritti di proprietà intellettuale: riflessioni e giurisprudenza

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L’Intelligenza Artificiale (IA) generativa, la forma avanzata di IA che può creare autonomamente contenuti originali come testi, immagini e musica, sta rapidamente trasformando il panorama della produzione creativa. In un mondo in cui “il contenuto” è diventato sovrano, in cui siamo tutti content creator (nuovo termine che ha soppiantato il più banale “influencer” e che sta ad indicare tutti coloro che creano contenuti testuali e audiovisivi per il web, sia a scopo di lucro sia a scopo meramente ricreativo), gli strumenti di IA generativa aprono nuove frontiere di innovazione e creatività. Sarà a breve possibile far scrivere interi testi da una IA generativa, presentazioni, immagini, video e forse interi lungometraggi. È il futuro, ma il futuro è già qui e come tutte le innovazioni dirompenti pone interrogativi fondamentali sotto svariati punti di vista: etici, umanistici e giuridici.
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Indice

1. Intelligenza artificiale e proprietà intellettuale


Con riferimento a questi ultimi, parliamo oggi del tema inerente i diritti di proprietà intellettuale associati a opere generate da macchine, senza intervento umano diretto. Così come in tema di responsabilità ci si interroga su chi debba essere chiamato in causa, nell’eventualità in cui una IA generi un incidente di qualsiasi tipo (l’inventore della macchina? Il programmatore dell’algoritmo? L’umano che se ne è servito?), così quando parliamo di invenzioni e opere dell’ingegno non è chiaro se “inventore” debba essere considerata l’IA che ha generato l’opera, il programmatore che ha scritto l’algoritmo o l’umano che ha preso l’elaborato e se ne è servito per i suoi scopi (pubblicazione, divulgazione, creazione di contenuti di qualsiasi genere).
Nel sistema legale tradizionale, i diritti di proprietà intellettuale sono assegnati agli autori dell’opera, che hanno investito tempo e sforzo nella creazione di opere creative, e nascono in contemporanea alla nascita dell’opera stessa. Questi diritti forniscono agli autori il controllo sull’uso e la distribuzione delle loro opere e consentono loro di trarre profitto dal loro lavoro.
Ma quando un’opera è generata da un algoritmo di IA senza l’intervento diretto di un essere umano, emergono domande complesse, che non hanno risposte chiare e sollevano importanti implicazioni giuridiche ed etiche.
Alcuni Paesi stanno cercando di affrontare la questione attraverso modifiche delle leggi esistenti. Ad esempio, in alcuni casi, i diritti di proprietà intellettuale sono stati assegnati al proprietario dell’IA generativa o al programmatore che l’ha sviluppata. Tuttavia, ciò solleva domande su come definire il valore del contributo umano rispetto a quello dell’IA. Oltre alle sfide giuridiche, sorgono anche questioni etiche importanti. L’IA generativa può produrre opere che sono indistinguibili da quelle create da esseri umani. Ciò solleva interrogativi sulla genuinità e l’autenticità delle opere creative. Inoltre, il fatto che l’IA possa essere utilizzata per generare opere in modo massiccio solleva domande sull’originalità e sull’individualità delle creazioni artistiche.


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2. Il caso DABUS


Il dibattito sulla titolarità dei brevetti per le opere create da IA è esemplificato dal caso DABUS,acronimo di “Device for the Autonomous Bootstrapping of Unified Sentience,” un algoritmo di IA sviluppato dallo scienziato statunitense Stephen Thaler, pioniere nell’ambito dell’IA e della programmazione.
Nel 2018, DABUS ha ideato due invenzioni originali: un contenitore per alimenti e un dispositivo luminoso per attirare l’attenzione in situazioni di emergenza. Entrambe le invenzioni sono state oggetto di domanda di brevetto, presentate contestualmente in più Stati (tra gli altri, Stati Uniti, Regno Unito, Sud Africa, Australia ed Europa) accendendo di fatto il dibattito sul tema di cui ci occupiamo oggi. Il caos generato dalle diverse domande di brevetto dimostra chiaramente come il diritto e l’interpretazione normativa non stiano al passo con l’innovazione tecnologica.
In prima istanza Stati Uniti, Regno Unito, Australia ed Unione Europea hanno rigettato entrambe le domande di brevetto, sostenendo che un’opera per essere brevettabile deve avere un inventore, una persona fisica dotata di capacità giuridica, caratteristiche che si possono attribuire al dott. Thaler, ma non certo a DABUS. L’inventore di DABUS, nel presentare vari ricorsi, ha tentato di sostenere che sebbene sia lui l’inventore di DABUS, è stato DABUS stesso a inventare i prodotti per cui si chiedeva il brevetto e che dunque lui non avrebbe potuto prendersi meriti tecnicamente non suoi.
Ma questa ricostruzione non ha convinto nessuno degli Uffici preposti all’esame della domanda. Stati Uniti, Regno Unito, Unione Europea e Australia (quest’ultima, peraltro, dopo aver inizialmente accolto le domande di Thaler) hanno respinto la domanda di brevetto sostenendo tutti allo stesso modo che non è possibile riconoscere diritti a una macchina in quanto entità priva di capacità giuridica. Sarebbe come dire che Alexa o Siri hanno diritti propri, tanto per fare un paragone.
Ad oggi, l’unico Ufficio al mondo che ha riconosciuto a DABUS la qualità di inventore è quello del Sud Africa: il 24.6.2021 le due domande di brevetto presentate dal Dott. Thaler sono state ritenute conformi al Patents Act del 1978 e pubblicate ufficialmente sul South African Patent Journal.

3. Prospettive Future sulla Titolarità dei Brevetti nell’IA


La vicenda di DABUS, che si è conclusa con un verdetto negativo sui “diritti degli algoritmi” pressoché unanime, lascia comunque aperta la questione e ci fa capire che quando entra in gioco l’intelligenza artificiale la partita è tutt’altro che chiusa e molte pagine devono ancora essere scritte. Sono state individuate diverse possibili soluzioni in merito al tema che qui ci occupa, ossia la brevettabilità delle invenzioni scaturite da algoritmi di IA senza apporto umano: dal mantenimento della normativa attuale, che considera solo gli esseri umani come inventori, assegnando la titolarità delle invenzioni generate da IA all’individuo o all’entità che gestisce il sistema, al riconoscimento dell’IA come “inventore” autonomo (opzione che richiederebbe una revisione significativa delle leggi sui brevetti a livello globale, sollevando complesse questioni legali relative ai diritti associati all’invenzione) a soluzioni intermedie quali quella di creare una nuova categoria di inventori “non umani” applicando loro leggi particolari, fino all’esclusione totale delle invenzioni IA dalla brevettabilità.
Le strade sono molteplici e ciascuna, come spesso accade, presenta fautori e detrattori.
Quello che sicuramente si può affermare è che mai come in questo tempo e negli anni che verranno, il ruolo di giuristi e del legislatore sarà sempre più interconnesso e collegato a quello degli scienziati e della tecnologia, nel complesso, ma incredibilmente affascinante e stimolante, tentativo di vincere la sfida che vuole porre quest’ultima al servizio dell’uomo e non il contrario.

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