Instagram e il consenso genitoriale: educare o farsi firmare la liberatoria?

C’è un momento esatto, nel processo di crescita di un figlio, in cui si passa da “può andare in gita?” a “può aprirsi un profilo Instagram?”

C’è un momento esatto, nel processo di crescita di un figlio, in cui si passa da “può andare in gita?” a “può aprirsi un profilo Instagram?” così, senza soluzione di continuità. È lo stesso giorno in cui il figlio va a dormire bambino e si sveglia la mattina dopo con i baffi, tutto nel giro di una notte.
A quanto pare, anche Meta si è accorta di questo dilemma esistenziale dei genitori moderni ed ha approntato un sistema che dovrebbe renderci (a noi adulti e genitori intendo) la vita un po’ più semplice.
Con il nuovo sistema di approvazione genitoriale per gli under 16, Instagram introduce un meccanismo di verifica che sembra voler conciliare l’ossessione per la retention adolescenziale con qualche obbligo legale qua e là. Funziona così: se un ragazzo sotto i 16 anni cerca di iscriversi alla piattaforma, deve indicare l’indirizzo e-mail del genitore o tutore. Quest’ultimo riceve una notifica, clicca, approva, et voilà: identità digitale avviata.
A prima vista, potrebbe sembrare un gesto responsabile, persino virtuoso. Ma se lo si guarda da vicino, questo sistema è la cartina di tornasole di un problema più profondo: stiamo davvero proteggendo i minori, o ci stiamo solo limitando a fornire autorizzazioni spesso inconsapevoli?
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Indice

1. L’illusione del controllo: tra parental check e delega cieca


Chi lavora da anni con l’impatto delle piattaforme digitali sulla privacy dei minori sa bene che dietro ogni gesto di consenso si nasconde una domanda più complessa: chi ha davvero il controllo? Il genitore che clicca su “approva” ricevendo un link via mail, o l’algoritmo che suggerisce contenuti, promuove reels, monetizza l’attenzione e invoglia all’interazione compulsiva?
Meta, con questo aggiornamento, prova a mettere una pezza sul nodo del consenso al trattamento dei dati dei minori, che il GDPR, all’art. 8, collega al ruolo genitoriale fino ai 16 anni (con soglia derogabile a 13 dagli Stati membri – e infatti in Italia è fissata a 14, art. 2-quinquies Codice Privacy). Instagram alza l’asticella a 16, formalmente per “maggiore tutela”, ma in realtà anche per allinearsi a standard internazionali e prevenire future batoste regolatorie.
La novità vera, però, non è tecnica né normativa. È politica, nel senso etimologico del termine: riguarda la gestione del potere educativo. Instagram ha capito che per continuare a offrire un prodotto usabile dai minori senza farsi troppo male legalmente, deve coinvolgere i genitori. Ma coinvolgere non è educare. E autorizzare non è supervisionare.
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Ricordate quando i nostri genitori ci dicevano di non parlare con gli sconosciuti? Il concetto non è cambiato, si è “trasferito” anche in rete. Gli “sconosciuti” possono avere le facce più amichevoli del mondo, nascondendosi dietro uno schermo. Ecco perché dobbiamo imparare a navigare queste acque digitali con la stessa attenzione che usiamo per attraversare la strada. Ho avuto l’idea di scrivere questo libro molto tempo fa, per offrire una guida pratica a genitori che si trovano, come me, tutti i giorni ad affrontare il problema di dare ai figli alternative valide al magico potere esercitato su di loro – e su tutti noi – dallo smartphone. Essere genitori, oggi, e per gli anni a venire sempre di più, vuol dire anche questo: scontrarsi con le tematiche proprie dei nativi digitali, diventare un po’ esperti di informatica e di sicurezza, di internet e di tecnologia e provare a trasformarci da quei boomer che saremmo per diritto di nascita, a hacker in erba. Si tratta di una nuova competenza educativa da acquisire: quanto è sicuro il web, quali sono i rischi legati alla navigazione, le tematiche della privacy, che cosa si può postare e che cosa no, e poi ancora il cyberbullismo, il revenge porn, e così via in un universo parallelo in cui la nostra prole galleggia tra like, condivisioni e hashtag. Luisa Di GiacomoAvvocato, Data Protection Officer e consulente Data Protection e AI in numerose società nel nord Italia. Portavoce nazionale del Centro Nazionale Anti Cyberbullismo. È nel pool di consulenti esperti di Cyber Law istituito presso l’European Data Protection Board e ha conseguito il Master “Artificial Intelligence, implications for business strategy” presso il MIT. Autrice e docente di corsi di formazione, è presidente e co-founder di CyberAcademy.

 

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2. Genitori spettatori o protagonisti?


Qui casca l’asino. O meglio: casca l’adulto.
Perché il genitore che approva l’account del figlio di 13 anni spesso non ha la minima idea di cosa accade sulla piattaforma. Non sa cosa siano gli algoritmi di raccomandazione, non distingue un reel da una storia, non ha mai guardato un feed diverso dal proprio. Non sa che cosa sono gli account finsta (non lo sapevo nemmeno io, a dire il vero, finché mia nipote quindicenne non mi ha illuminato).
E così, nella maggior parte dei casi, clicca “sì” per amore, per fiducia, per quieto vivere. Ma in realtà sta firmando una liberatoria inconsapevole.
Ecco allora la questione: possiamo davvero considerare questa “approvazione” come un consenso valido, informato, effettivo? O è solo una forma di deresponsabilizzazione istituzionalizzata, una scappatoia brillante per continuare a offrire un prodotto potenzialmente rischioso a una fascia d’età vulnerabile, appaltando ai genitori la patata bollente?

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3. Privacy, età digitale e sorveglianza


Dietro l’apparente semplicità della misura, si muovono meccanismi complessi. Per esempio: come verifica Instagram che il genitore sia davvero tale? Cosa impedisce a un adolescente di indicare l’indirizzo mail compiacente di un amico maggiorenne? Come si garantisce la tracciabilità del consenso nel tempo, soprattutto se il minore cambia dispositivo, numero, contesto familiare?
Il GDPR richiede che il titolare del trattamento “compia ogni sforzo ragionevole” per verificare che il consenso genitoriale sia stato prestato. Ma cosa sia “ragionevole” in un ecosistema a iscrizione gratuita, a scalabilità planetaria e basato su self-declaration, è tutto da discutere, anche se pare apprezzabile la volontà di Meta di provare ad attuare misure tecniche ed organizzative ispirate all’accountability del GDPR.
Ma c’è un’altra domanda che resta, come sempre, nel ruolo dei genitori-educatori 4.0:  in questo nuovo modello, dove finisce la tutela e dove inizia la sorveglianza? Il Family Center offre ai genitori strumenti per monitorare tempo di utilizzo, report di attività, gestione dei follower. Ma qui si entra in un territorio scivoloso, in cui la supervisione rischia di trasformarsi in controllo invasivo, e la fiducia reciproca in tracciamento unilaterale. Serve delicatezza, serve alfabetizzazione digitale, serve equilibrio. Non solo una dashboard che rischia di scivolare nel “braccialetto elettronico”.

4. Educare alla presenza, non solo alla prudenza


Il punto vero, come sempre, è culturale. Nessun parental control potrà mai sostituire una relazione educativa attiva, curiosa, disposta a sporcarsi le mani nel linguaggio e nei codici della generazione Z. Per questo motivo, il consenso genitoriale dovrebbe essere l’inizio – non il culmine – del percorso.
La domanda giusta non è: “ti lascio aprire Instagram?”. È: “possiamo esplorarlo insieme, almeno all’inizio?”. Perché la minore età non è solo un dato anagrafico: è una fase in cui la libertà ha bisogno di contesto, di linguaggio, di accompagnamento. E questo, nessun sistema automatico lo può offrire.

5. Conclusione: una rivoluzione a metà su Instagram


L’approvazione genitoriale su Instagram è un segnale importante, che mostra come le piattaforme inizino, seppure a rilento, ad assumersi qualche responsabilità. Ma da sola non basta. Se resta un gesto burocratico, perde significato. Se non è accompagnata da informazione, formazione, trasparenza, resta un atto vuoto.
La vera tutela dei minori online non si gioca su un click, ma nella costruzione di una cultura condivisa della presenza digitale. Dove i genitori non siano semplici custodi del consenso, ma alleati, interpreti, testimoni critici del viaggio dei propri figli nello spazio online.
E se proprio vogliamo usare parole forti, diciamolo chiaramente: non ci serve un genitore che approva. Ci serve un adulto che resta.

Avv. Luisa Di Giacomo

Laureata in giurisprudenza a pieni voti nel 2001, avvocato dal 2005, ho studiato e lavorato nel Principato di Monaco e a New York.
Dal 2012 mi occupo di compliance e protezione dati, nel 2016 ho conseguito il Master come Consulente Privacy e nel 2020 ho conseguito il titolo…Continua a leggere

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