Infezioni nosocomiali: responsabilità della struttura senza rispetto dei protocolli

In materia di infezioni nosocomiali per escludere la responsabilità della struttura è necessario provare il rispetto dei protocolli.

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Tribunale di Brindisi -sez. civ.- sentenza n. 1056 del 11-07-2025

SENTENZA_TRIBUNALE_DI_BRINDISI_N._1056_2025_-_N._R.G._00001504_2017_DEPOSITO_MINUTA_11_07_2025__PUBBLICAZIONE_11_07_2025.pdf 346 KB

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Indice

1. I fatti: la responsabilità della struttura per l’infezione


Gli eredi di una signora che si era sottoposta ad un intervento chirurgico per la cura di una artrosi del ginocchio, convenivano in giudizio la struttura sanitaria dove era stato eseguito l’intervento ed il medico che lo aveva materialmente eseguito, nonché altre strutture sanitarie dove la paziente si era successivamente recata, al fine di chiedere il risarcimento per il danno biologico subito dalla signora.
In particolare, gli attori esponevano che la paziente si era sottoposta ad un intervento chirurgico per l’applicazione di una protesi al ginocchio sinistro al fine di eliminare una grave artrosi, ma subito dopo l’operazione lamentava disturbi, calore, gonfiore e difficoltà funzionale. Nonostante avesse riferito detti sintomi al personale della struttura sanitaria, la paziente era stata comunque dimessa dalla prima struttura sanitaria, con la prescrizione di effettuare soltanto la riabilitazione.
Il giorno successivo, però, la paziente si era recata presso un’altra struttura sanitaria dove era stata diagnosticata la formazione di un’ulcera post-operatoria ed era stata sottoposta ad un nuovo intervento chirurgico. Successivamente, i sanitari della seconda struttura avevano isolato l’agente patogeno colpevole delle sofferenze e l’avevano poi dimessa.
Pertanto, dopo qualche settimana, la paziente si era recata presso una terza struttura sanitaria in cui veniva diagnosticata un’infezione alla protesi e conseguentemente circa un mese dopo, presso un’altra struttura sanitaria, veniva sottoposta ad un nuovo intervento chirurgico per l’espianto della protesi infetta.
Gli attori asserivano che l’infezione era stata contratta durante l’intervento subito presso la prima struttura sanitaria a cura del medico convenuto ed era stata causata da un’insufficiente disinfezione e sterilizzazione dello strumentario e dell’ambiente chirurgico, mentre – sempre secondo la prospettazione degli attori – le altre strutture sanitarie convenute presso le quali la paziente si era successivamente recata avevano omesso qualsivoglia cura, nonostante il quadro clinico della medesima.
La prima struttura sanitaria e il medico convenuti avevano contestato la propria responsabilità nella contrazione dell’infezione, sostenendo di aver eseguito la propria prestazione in maniera corretta. Mentre le strutture sanitarie convenute, costituitesi in giudizio, avevano confermato di aver avuto in cura la paziente durante il periodo in cui la stessa si era sottoposta a terapie e interventi per debellare l’infezione e per reimpiantare la protesi al ginocchio sinistro, ma attribuivano la responsabilità delle lesioni e delle cure tardive alle strutture sanitarie intervenute prima o dopo il proprio operato. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon

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2. Le valutazioni del Tribunale


Per quanto qui di interesse, il tribunale ha affrontato il tema del riparto dell’onere probatorio nelle fattispecie di infezione nosocomiale.
Preliminarmente, il giudice ha ricordato che la parte attrice deve dimostrare la verificazione del pregiudizio lamentato e che lo stesso sia stato causato dalle condotte poste in essere dalle strutture sanitarie convenute. Mentre spetta a queste ultime dimostrare di aver correttamente seguito la prestazione o che la stessa è stata di impossibile esecuzione per causa alle medesime non imputabile.
In particolare, per andare esente da responsabilità, sotto il profilo soggettivo, il dirigente apicale deve dimostrare di avere indicato le regole cautelari da adottarsi, in attuazione del proprio potere-dovere di sorveglianza e verifica; il direttore sanitario di averle attuate e avere organizzato gli aspetti igienico e tecnicosanitari, vigilando altresì sull’attuazione delle indicazioni fornite; il dirigente di struttura complessa, esecutore finale dei protocolli e delle linee-guida, deve infine dimostrare di avere collaborato con gli specialisti microbiologo, infettivologo, epidemiologo e igienista, essendo tenuto ad assumere precise informazioni sulle iniziative degli altri medici ovvero a denunciare le eventuali carenze della struttura.

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3. La decisione del Tribunale


Nel caso di specie, il Tribunale pugliese ha ritenuto che la parte attrice abbia assolto l’onere probatorio sulla medesima gravante: sia in quanto la CTU eseguita nel giudizio ha accertato la responsabilità della prima struttura sanitaria e del medico che ha eseguito l’operazione per la contrazione dell’infezione nonché la responsabilità della seconda struttura sanitaria per l’omissione delle doverose cure; sia in quanto dette responsabilità possono essere ricavate anche per presunzioni, tenuto conto del lungo periodo post operatorio che ha dovuto affrontare la paziente.
In particolare, i consulenti del giudice hanno ritenuto che la presenza dell’infezione sia stata rilevata già al momento del ricovero presso la seconda struttura sanitaria e che ciò faccia desumere, in applicazione del criterio del più probabile che non, che l’infezione fosse già in atto e riscontrabile anche al momento delle dimissioni presso la prima struttura sanitaria. Conseguentemente, gli ausiliari del giudice hanno censurato la condotta dei sanitari per l’omessa sorveglianza infettivologica: sia dei sanitari dove la paziente ha eseguito il primo intervento chirurgico e contratto l’infezione, sia dei sanitari della seconda struttura che ebbero in cura la paziente e che avrebbero dovuto, verificata la presenza dell’infezione, eseguire ulteriori accertamenti diagnostici.
Invece, dal canto loro, le due strutture sanitarie suddette non hanno fornito alcuna prova sul rigoroso rispetto dei protocolli igienici vigenti al momento dell’intervento: infatti, i testimoni escussi nel corso dell’istruttoria orale hanno riferito le prassi della fase pre e post operatoria e, tuttavia, data la mole di pazienti assistiti ed il trascorrere del tempo, non hanno potuto confermare che nel caso in esame tutti gli operatori intervenuti si siano attenuti ai protocolli stessi.
In considerazione di quanto sopra, il giudice ha ritenuto di suddividere la responsabilità per i danni subiti dalla paziente nella misura del 60% a carico della prima struttura sanitaria e del medico, per aver causato l’infezione e non aver constatato il processo infettivo intervenendo di conseguenza, e nella misura del 40% in capo alla seconda struttura sanitaria, per aver colpevolmente omesso i dovuti controlli sulla paziente durante il mese di degenza nonostante la sintomatologia che la stessa manifestava.

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Avv. Muia’ Pier Paolo

Co-founder dello Studio Legale “MMP Legal”, svolge la professione di avvocato in Firenze, Prato e Pistoia, occupandosi in via principale con il suo staff di responsabilità professionale e civile; internet law, privacy e proprietà
intellettuale nonchè diritto tributario. …Continua a leggere

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