La determinazione dell’indennità di espropriazione rappresenta uno dei temi più delicati del diritto urbanistico ed espropriativo, poiché incide direttamente sul bilanciamento tra interesse pubblico e tutela della proprietà privata. Un nodo cruciale riguarda i terreni che, pur formalmente non edificabili, si collocano in aree con una vocazione edilizia “latente” o comunque suscettibili di trasformazioni future. L’ordinanza della Corte di Cassazione, Sez. I Civile, n. 21862 del 29 luglio 2025, affronta proprio questa problematica, chiarendo i criteri da seguire quando il fondo espropriato si trovi in una situazione urbanistica “intermedia” tra l’agricolo e l’edificabile. La decisione fornisce spunti significativi sia per la prassi amministrativa sia per l’attività dei consulenti tecnici e dei professionisti chiamati a valutare il valore indennitario dei beni. Per approfondire questi temi, abbiamo organizzato il corso di formazione Affitto di fondo rustico ed esecuzione immobiliare.
Indice
- 1. La vicenda processuale dell’espropriazione e il contesto urbanistico
- 2. La risposta della Cassazione: oltre la rigidità della zonizzazione
- 3. Conformità urbanistica ed edificabilità legale: una distinzione sottile
- 4. La censura al metodo di stima e i compiti del CTU
- 5. Esiti processuali e indicazioni operative
- 6. La massima di diritto e le ricadute applicative
- Formazione per professionisti
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1. La vicenda processuale dell’espropriazione e il contesto urbanistico
La controversia trae origine dall’esproprio di un fondo di oltre 60.000 mq, destinato dal PRG a zone F2 (attrezzature di quartiere) e F4 (parchi urbani e rispetti assoluti). Si trattava, dunque, di aree formalmente non edificabili. Il giudice d’appello aveva liquidato un’indennità ridotta, assumendo come parametro esclusivo la destinazione urbanistica, ritenuta incompatibile con qualsiasi edificabilità. Gli eredi del proprietario espropriato hanno impugnato la decisione in Cassazione, contestando la valutazione meramente formale operata dalla Corte territoriale.
2. La risposta della Cassazione: oltre la rigidità della zonizzazione
Con l’ordinanza n. 21862 del 29 luglio 2025, la Suprema Corte ha accolto il ricorso, criticando l’impostazione che equipara la destinazione urbanistica non edificabile a un valore agricolo minimo. I giudici hanno riaffermato un principio già consolidato: la determinazione dell’indennità di espropriazione deve tener conto non soltanto della classificazione urbanistica, ma anche delle potenzialità edificatorie concretamente riconosciute dall’ordinamento. La zona F, infatti, pur non ammettendo edificazione diretta, può consentire interventi edilizi mediati da strumenti convenzionali o attuativi, che costituiscono un elemento di valorizzazione del bene.
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3. Conformità urbanistica ed edificabilità legale: una distinzione sottile
Il fulcro dell’ordinanza risiede nella differenza tra conformità urbanistica ed edificabilità in senso stretto. Un’area priva di edificabilità immediata può nondimeno rivelare una vocazione edilizia se inserita in un contesto pianificatorio che consente trasformazioni urbanistiche future. La Cassazione evidenzia che il criterio di stima non deve limitarsi a una lettura statica della zonizzazione, ma deve valorizzare il grado di trasformabilità giuridicamente ammissibile, anche se destinato a manifestarsi solo tramite convenzioni pubblico-private o piani attuativi.
4. La censura al metodo di stima e i compiti del CTU
Ampio spazio viene dedicato al tema tecnico-estimativo. Il CTU aveva applicato un criterio sintetico-comparativo, ma aveva poi ridotto il valore del fondo a quello agricolo, con un abbattimento ulteriore del 20% per oneri di urbanizzazione. La Corte ha giudicato questa operazione incongrua: il mero difetto di comparabili non legittima l’applicazione automatica del parametro agricolo, soprattutto in presenza di destinazioni urbanistiche “intermedie”. Il consulente, così come il giudice di merito, deve motivare la scelta del criterio adottato e considerare, se necessario, metodi alternativi (ad esempio, il tecnico-ricostruttivo).
5. Esiti processuali e indicazioni operative
Pur riconoscendo la fondatezza del ricorso, la Cassazione non ha deciso nel merito, preferendo cassare con rinvio alla Corte d’Appello di Lecce. Nondimeno, l’ordinanza ribadisce che, in presenza di errori giuridici evidenti, la Corte di legittimità può decidere direttamente, ai sensi dell’art. 384, comma 2, c.p.c. Sul piano operativo, la pronuncia offre spunti chiari:
- la zonizzazione urbanistica non esaurisce il giudizio sul valore espropriativo;
- il CTU non può applicare valori agricoli “di default”;
- occorre motivare adeguatamente l’attribuzione di un valore “intermedio”, calibrato sulle effettive possibilità di utilizzazione edilizia del fondo.
6. La massima di diritto e le ricadute applicative
Il principio espresso dalla Cassazione può essere così sintetizzato: “In tema di indennità di espropriazione, la possibilità di utilizzazioni intermedie del fondo, giuridicamente ammissibili secondo gli strumenti urbanistici, deve essere considerata nella stima del valore venale; è quindi illegittima una valutazione che ignori tali potenzialità, limitandosi alla mera destinazione formale non edificatoria”.
L’orientamento ha impatto non solo sulle procedure espropriative, ma anche in altri ambiti, come le esecuzioni immobiliari aventi a oggetto fondi rurali suscettibili di trasformazioni. Si pensi, ad esempio, al contenzioso sull’opponibilità dei contratti di affitto agrario agli aggiudicatari: anche qui, la concreta utilizzabilità del terreno assume rilievo strategico nella determinazione del valore e nella tutela delle posizioni giuridiche coinvolte.
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