Incontro sul tema “Scioglimento della comunione ereditaria, collazione e azione di riduzione”

Redazione 22/03/01
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organizzato dall’Associazione Italiana Giovani Avvocati Sezione di Catania A.i.g.a.
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Alcune questioni sostanziali e processuali in materia di divisione ereditaria ed in materia di lesione di legittima
RELATORE: Dott. Massimo Escher
Parte prima
SCIOGLIMENTO DELLA COMUNIONE EREDITARIA
PREMESSA
Presupposto di ogni divisione ereditaria (eccezion fatta per l’ipotesi di divisione operata dal testatore) è l’esistenza di uno stato di comunione ereditaria. Obiettivo del giudizio di divisione è proprio la trasformazione della proprietà collettiva in proprietà individuale.
Si dà luogo alla comunione ereditaria quando alla morte di una persona se ne apre la successione e, devoluta l’eredità a più chiamati, questi l’accettano, espressamente o tacitamente.
A seguito del fenomeno di coeredità, intesa come successione a titolo universale di più coeredi al medesimo soggetto, si pone in essere una situazione soggettiva di contitolarità pro quota dei vari coeredi in ordine al patrimonio ereditario.
La comunione investe tutto il complesso dei beni costituenti il patrimonio del de cuius, salvo quelli dei quali egli abbia disposto mediante legati, beni questi che entrano direttamente nel patrimonio del legatario senza transitare per lo stato di indivisione.
La comunione è sempre unica anche in presenza di eredi a diverso titolo (eredi legittimi e testamentari).

1. La divisione plurimasse.
Nel caso di divisioni di beni in godimento comune provenienti da titoli diversi (per esempio, eredità del padre e eredità della madre), per giurisprudenza pacifica (Cass. 1979 n. 2937; Cass. 1973 n. 1111), ogni condividente deve far valere i propri diritti all’interno di ciascuna massa, indipendentemente dalle altre comunioni e relative divisioni; sicché, all’interno di ciascuna divisione, per la formazioni delle porzioni non si può tenere conto di beni compresi in un altra massa[1].
Per derogare alla regola citata e per procedere ad un’unica divisione è possibile un accordo delle parti in tal senso, ma tale negozio, importando un reciproco trasferimento di diritti immobiliari, deve avere la forma scritta ad substanziam a norma dell’art. 1350. n. 3 c.c. (così Cass. 1992, n. 5798, in Arch. Civ. , 1992, 1049)[2].

2. Beni oggetto della comunione ereditaria

2.1.Carattere universale della comunione.
In comunione entrano tutti i beni: immobili, mobili, denaro e crediti.
La divisione ha carattere universale, dovendo necessariamente abbracciare tutti i beni. A tale universalità può derogarsi solo con il consenso unanime dei condividenti.
2.2. I crediti.
Il problema di stabilire se l’ordinamento includa o meno i crediti nella comunione ereditaria è stato risolto in modo opposto.
Esiste una tesi restrittiva che nega che la comunione possa avere ad oggetto un credito[3].
Viceversa, la giurisprudenza più recente e parte della dottrina[4] rispondono affermativamente (diversamente a ciò che avviene per la comunione ordinaria, per la quale per lo più la comunione del credito si esclude).
In particolare, la Corte di Cassazione, con la sentenza 13 ottobre 1992, n. 11128 , ha escluso l’automatica divisione tra i coeredi, prendendo le mosse dal silenzio della legge sul punto (diversamente da quanto valeva nel diritto romano secondo cui nomina et debita ipso iure dividuntur ). Per i debiti, e solo per i debiti, infatti, vale il disposto dell’art. 752 c.c. (i coeredi contribuiscono tra loro al pagamento dei debiti e dei pesi ereditari in proporzione delle loro quote ereditarie, salvo che il testatore abbia altrimenti disposto).
Che i crediti non si dividano automaticamente tra gli eredi si ricava –secondo la Corte- dall’esame di alcune disposizioni del codice civile, disposizioni le quali certamente presuppongono che i crediti facciano parte della comunione.
Innanzitutto l’art. 727, secondo cui le porzioni debbono essere formate comprendendo nelle stesse,oltre ai beni immobili e mobili anche i crediti (che altrimenti, a ritenere cioè la divisione automatica, non sarebbero utilizzabili per comporre i lotti).
Un altro argomento si ricava dall’art.757, disposizione questa, la quale, prevedendo che il coerede cui siano assegnati tutti i crediti o l’unico credito del de cuius è reputato il solo successore nei crediti dal momento dell’apertura della successione, esclude inequivocamente la ripartizione automatica dei crediti tra i coeredi, e, quindi, la partecipazione degli stessi alla comunione ereditaria.
Una conferma di questa tesi viene dall’art. 760, norma che, contemplando l’implicita possibilità di assegnare i crediti a uno solo dei coeredi (“non e’ dovuta garanzia per l’insolvenza del debitore di un credito assegnato a uno dei coeredi…”), presuppone necessariamente la presenza dei detti beni nella comunione.

2.3. Immobili abusivi.
Il problema esiste per gli immobili costruiti dopo l’1.9. 1967. Per quelli anteriori alla suddetta data il problema di documentarne la regolarità urbanistica non si pone in radice, e ciò ai sensi degli artt. 40 e 41 l. 28 febbraio 1985 n. 47 (norme queste che, dettando le regole delle nullità degli atti di trasferimento di diritti reali relativi ad immobili soggetti alla disciplina urbanistica, semplificano appunto le modalità di documentazione della regolarità urbanistica dei manufatti iniziati prima dell’entrata in vigore della legge-ponte). Per tale ipotesi l’art. 40, 2 co., richiede soltanto che sia prodotta una dichiarazione sostitutiva di atto notorio attestante che l’opera è iniziata prima dell’1.9.1967.
Ove l’immobile post 1967 risulti abusivo, esso sarà indivisibile, e si deve pervenire ad un rigetto della domanda per illiceità -ovvero per impossibilità giuridica- dell’oggetto.
Vero è che nella legge 47 del 1985 si esonerano dalla nullità gli atti mortis causa, ma ciò è irrilevante posto che la divisione, quant’anche ereditaria, è pur sempre un atto inter vivos.
Quanto alla sanatoria degli immobili abusivi, bisogna distinguere:
– se si è attivato la prima sanatoria , operante per abusi precedenti al 1983, con domanda avanzata entro il 30.6.1987(così prorogato per la Sicilia il termine del 30.10.1985), le parti devono provare l’avvenuto pagamento delle prime due rate di oblazione. L’avvenuto pagamento va ritenuto confrontando le distinte di pagamento postali con l’autodichiarazione di cui alla domanda di sanatoria;
per gli abusi successivi al 1983 –e quindi per le sanatorie richieste in base alla c.d. legge Berlusconi, l. 297/1994- occorre che le parti, oltre all’intera oblazione, abbiano provveduto al pagamento anche degli oneri concessori, oneri dei quali è creditore il Comune. Per documentare l’avvenuto pagamento, i comunisti devono allegare l’attestazione di congruità del versamento rilasciata dal Comune. Si ritiene che per le divisioni che effettuate dopo l’entrata in vigore della l. Berlusconi la sanatoria deve essere eseguita alla luce della nuova normativa anche se riguardante opere precedenti all’entrata in vigore della legge 297.
Va dato altresì atto di una tesi minoritaria, secondo cui la nullità prevista dall’art. 17 (u.c.) della legge 47/85 non si applica ove la divisione venga chiesta dal creditore procedente in caso di pignoramento di immobile indiviso.

3. I Soggetti

3.1. Litisconsorzio tra tutti i comproprietari.
La Comunione ereditaria è universale anche sotto il profilo soggettivo.
La divisione, stante il dettato dell’art. 784 c.p.c, e salvo diverso unanime accordo, deve sciogliere la comunione in modo integrale nei confronti di tutti i condividenti.
In particolare devono partecipare al giudizio tutti coloro che fanno parte della comunione al momento della proposizione della domanda.
L’inosservanza dell’ordine di integrazione del contraddittorio comporta l’estinzione del giudizio su eccezione della parte. In mancanza di eccezione, il giudice emetterà sentenza in punto di rito pronunciando l’improponibilità della domanda (Cass. 1994 n.878).

3.2. In caso di cessione di quota partecipazione al giudizio del cessionario.
Si pone il problema delle conseguenze derivanti dalla cessione di quota ereditaria.
Ebbene, secondo l’orientamento dottrinario preferibile, fatto proprio dalla giurisprudenza (Cass. 1.5.1967 e più di recente Cass. 1990, n. 7862), se la cessione è avvenuta prima della domanda, rilevando la titolarità attuale, litisconsorti necessari sono i cessionari della stessa e non gli eredi cedenti.
Vi è però un’altra tesi secondo cui il giudizio va instaurato anche nei confronti dei cedenti, dato che la cessione della quota non fa perdere a costoro la qualità di eredi.
Sicuramente non ricorre la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di chi sia divenuto condomino in corso di causa, non operando il trasferimento a titolo particolare del diritto controverso alcun effetto sul rapporto processuale (art. 111 c.p.c.). Così Cass. 1993 n. 4891.

3.4. Creditori ed acquirenti di diritti minori.
Un ulteriore problema riguarda la partecipazione al giudizio dei creditori e degli aventi causa, ossia di coloro che abbiano acquistato diritti su un determinato bene in comunione in virtù di atti soggetti a trascrizione.
Gli art. 784 cpc e 1113 cc. sono stati interpretati dalla dottrina in due modi diversi.
Tesi A: i creditori e gli aventi causa non devono necessariamente partecipare al giudizio; saranno chiamati in causa al solo al fine di rendere agli stessi opponibile la divisione. Si tratta infatti di interventori senza poteri di disposizione in ordine alle modalità ed agli esiti della divisione[5].
Tesi B: si distingue la posizione dei creditori opponenti (i quali prima dell’inizio del giudizio di divisione hanno provveduto a notificare un atto di opposizione e a trascriverlo) da un lato, e dei creditori non opponenti ed acquirenti di diritti reali sull’immobile trascritti prima della divisione dall’altro, attribuendo la qualifica di litisconsorti necessari solo ai primi (ai creditori opponenti). Così Cass. 1973 n. 2889; Cass. 1982 n. 2889).
In questa prospettiva va intesa la giurisprudenza secondo cui, in caso di immobile gravato pro quota da usufrutto, in virtù di un negozio trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda di divisione giudiziale, l’usufruttuario non è litisconsorte necessario, ma può essere chiamato in giudizio affinché la sentenza abbia effetto nei suoi confronti, ai sensi dell’art. 1113, 3° comma, c. c., e ciò in base all’art. 106 c. p. c (comunanza della causa). Così Cass. civ., 29 luglio 1981, n. 4858.
Come è stato esattamente rilevato, l’usufruttuario di regola non dovrebbe subire pregiudizi dalla divisione, atteso che il suo diritto resta intatto nella sua originaria estensione anche se il bene sul quale grava è stato frazionato[6].
E’ pur vero che la partecipazione alla causa dei soggetti di cui sopra è consigliata quanto meno per motivi di opportunità (ed in particolare per l’esigenza di evitare che il giudizio sia rimesso in discussione).

3.5. Immobile in comproprietà tra gli eredi ed un terzo.
Poiché il giudizio di divisione ha come finalità ultima la trasformazione di un diritto ad una quota ideale in un diritto di proprietà esclusiva su beni determinati, qualora uno dei beni immobili compresi nell’asse ereditario sia in comproprietà tra gli eredi ed un terzo estraneo, occorre che anche costui partecipi alla divisione. Tale necessità di integrazione del contraddittorio discende dal pari diritto dei diversi interessati alla decisione della controversia relativa ad un rapporto plurisoggettivo, concettualmente unico ed inscindibile, cosicché nell’assenza del terzo la sentenza sarebbe inutiliter data (Cass. 1961 n. 1518).

4. La documentazione necessaria

4.1. Documenti da acquisire prima del progetto.
In tanto si può procedere alla divisione immobiliare in quanto si ha la certezza: a) che si sia aperta una successione ereditaria, e dove e quando; b) che tutti gli eredi, ovvero gli attuali comproprietari, siano stati citati; c) che i soggetti in causa siano non solo chiamati all’eredità ma anche eredi (per aver accettato esplicitamente o implicitamente). Occorre inoltre che si sia in grado di conoscere l’entità del patrimonio ereditario, ivi compresa la libertà dei beni immobili da pesi e iscrizioni. Sotto il profilo probatorio occorre quindi che siano prodotti in giudizio, entro l’udienza di trattazione e comunque non oltre il termine per l’integrazione istruttoria di cui all’art. 184 c.p.c., i seguenti documenti:
1. certificato di morte del de cuius;
2. stato di famiglia integrale del de cuius;
3. titolo di provenienza dei beni in favore del de cuius;
4. iscrizioni e trascrizioni contro il de cuius dalla data di acquisto dei cespiti alla data di apertura della successione (ovvero di alienazione del bene);
5. iscrizioni e trascrizioni contro i successori dalla data di apertura a quella di trascrizione della domanda;
6. copia del testamento e degli atti di donazione.
7. per i fabbricati, documentazione attestante la regolarità urbanistica (concessione edilizia, concessione in sanatoria, ecc.)

4.2. La denuncia di successione.
Va considerato che l’onere della prova della qualità di erede legittimo è soddisfatto non dalla presentazione della denuncia di successione ma dalla produzione degli atti dello stato civile, dai quali si desuma il rapporto di parentela con il de cuius, a norma dell’art. 565 c.c. (cosi, ad es., Cass. 1987, n. 5793 e Cass. 1995, n. 1484).

4.3. Certificato di destinazione urbanistica.
Il certificato richiesto per lo scioglimento di comunioni relative a terreni dall’art. 18 legge 1985 n. 47 non è necessario per le divisioni giudiziarie ereditarie (art. 18/11 legge 47).

5. Come si divide la comunione
5.1. Il principio della omogeneità delle porzioni in natura ed il problema della comoda divisibilità.
Il principio cardine che regola il modo di procedere alla divisione è quello di cui all’art. 727[7].
Secondo tale norma le porzioni si compongono comprendendo una quantità di mobili, immobili e crediti di eguale natura e quantità.
Il modo più sicuro per ottenere porzioni del tutto omogenee è quello di dividere ogni bene in tante porzioni quante sono le quote in ottemperanza all’art. 718.
Così, per esempio, se la comunione è formata da tre quote di 1/3 ciascuna e se nella massa vi sono tre fondi rustici di valore uguale, si può ritenere congruo suddividere ciascun fondo in tre parti ed assegnarne una ciascuna ai condomini.
Analogamente, se devono dividersi fra tre coeredi tre palazzine uguali, composte da tre appartamenti uguali, si potrebbe costituire ciascuna porzione includendovi tre appartamenti, uno per ogni palazzina (anziché una intera palazzina).
La divisione in natura di ciascun cespite (ed a parte il problema dell’indivisibilità di cui appresso) spesso però si presenta irrazionale, sia perché potrebbe derivarne un eccessivo frazionamento di beni sia perché potrebbe rendere necessarie spese non irrilevanti.
Per questo il Tribunale preferisce la tesi di chi, interpretando restrittivamente l’art. 718, sostiene che l’unica esigenza irrinunciabile di ogni divisione è quella di assicurare a ciascun comproprietario una omogenea quantità di beni mobili ed immobili, in ossequio all’art. 727.
Così, per tornare agli esempi di prima, sarà necessario e sufficiente, nel primo caso, assegnare a ciascun condividente un fondo intero e, nel secondo caso, assegnare tutta una palazzina; evitando così in entrambe le ipotesi ulteriori frazionamenti.
Così è orientata la giurisprudenza laddove ha ripetutamente affermato che, in presenza di più beni, il problema della loro divisibilità non si pone.
Dice la Suprema Corte che se della comunione fanno parte più beni immobili che consentano da soli o insieme con altri cespiti di comporre la quota di un condividente in modo che le porzioni dell’altro possano formarsi con i restanti beni, non deve nemmeno accertarsi se ciascun bene sia suscettibile di essere diviso in proporzione alle quote astratte (come si dovrebbe se si desse la prevalenza all’art 718).
In tal modo, infatti, si ottiene soddisfacimento delle quote ereditarie con la ripartizione qualitativa e quantitativa dei vari immobili (così Cass.1988, n. 160).
In quest’ottica il principio di omogeneità delle porzioni prevale sul principio della divisione di ciascun bene in natura.
La regola dell’omogeneità delle porzioni deve fare i conti con la possibilità che il bene sia comodamente divisibile.
Il problema della comoda divisibilità sussiste innanzitutto quando la comunione è formata da un solo bene.
Quando esista un unico bene immobile, indivisibile o non comodamente divisibile, il legislatore, all’art. 720 (abbandonando la preferenza verso la vendita all’asta, ipotesi prevista infatti come normale sotto il vigore del codice del 1865), segue -come criterio per selezionare l’avente diritto alla assegnazione in natura- quello della preferenza verso il maggior quotista: il bene deve preferibil­mente essere compreso per intero, con addebito dell’eccedenza, nella porzione di uno dei coeredi aventi diritto alla quota maggiore, o an­che nelle porzioni di più coeredi, se questi ne richiedano congiuntamente l’attribuzione, mentre, se nessuno dei coeredi è a ciò disposto, si fa luogo alla vendita all’incanto.
Il problema della comoda divisibilità si può porre, tuttavia, pur in presenza di più beni , quando non sia possibile formare le porzioni senza il frazionamento di uno o più cespiti. Si pensi, ad esempio, al caso in cui nella comunione, a fronte di tre quote uguali, vi quattro immobili, tre soli dei quali di valore eguale alle porzioni.
Riassumendo, nel caso di comunione formata da più beni immobili la prima soluzione da verificare – come si è già detto- è quella dell’assegnazione a ciascuna porzione di una omogenea quantità di beni, senza ricorrere al frazionamento di nessun di essi.
Ove, per la sproporzione tra beni e quote, la soluzione di cui sopra non risulti praticabile, va verificato se sia possibile ottenere porzioni omogenee ricorrendo al frazionamento di uno o più immobili.
Nel caso in cui neanche in questo modo si riesca a formare porzioni paritarie, si pone il problema di come sciogliere la comunione, senza ricorre alla vendita, che costituisce l’estrema ratio.
Soccorre, allora, il principio dell’attribuzione a richiesta del maggiore quotista (preferenza per entità di quota): assegnato il primo bene al quotista maggiore, il successivo bene dovrà essere assegnato al coerede che risulti aver diritto alla quota maggiore, dopo aver detratto dalla quota dell’assegnatario già in parte soddisfatto il valore del primo bene già assegnato, e così via, fino ad esaurimento dei beni, e con correzione delle sproporzioni mediante conguagli in denaro (ove neanche questa soluzione risulti praticabile, ad esempio perché nessun comunista manifesti delle preferenze , si ricorre all’incanto)[8].
La regola or ora esaminata (quella dell’assegnazione dei beni via via in base all’entità delle quote, detratta dalla porzione il bene già assegnato) trova il conforto della giurisprudenza e della dottrina[9] che escludono l’esistenza di un diritto del maggiore quotista di chiedere l’assegnazione dell’intera massa (Cass 1992, n. 11769).

5.2. Il concetto giuridico di divisibilità di un immobile.
Come si visto, l’art. 720 prevede che se nell’eredità vi sono immobili non comodamente divisibili, o il cui frazionamento recherebbe pregiudizio alle ragioni della pubblica economia o dell’igiene, e la divisione dell’intera massa non può farsi senza il loro frazionamento, essi devono essere compresi per intero, con addebito dell’eccedenza, nella porzione di uno dei coeredi aventi diritto alla quota maggiore, o anche nella porzione di più coeredi, se questi ne richiedono congiuntamente l’attribuzione. Se nessuno dei coeredi è a ciò disposto, si fa luogo alla vendita all’incanto.
Tralasciando il riferimento al “pregiudizio alle ragioni della pubblica economia o dell’igiene” (di scarsissima rilevanza pratica), veniamo al concetto di comoda divisibilità.
Per “comoda divisibilità” si intende non tanto la mera possibilità di una materiale ripartizione dell’immobile tra gli aventi diritto, quanto la sua concreta attitudine ad una ripartizione da cui derivi a ciascun partecipante, o gruppo di partecipanti, un bene il quale perda il minimo possibile dell’originario valore e non abbia neppure a subire particolari limitazioni funzionali o condizionamenti.
Occorre, infatti, evitare che rimanga in qualche modo pregiudicato l’originario valore del cespite, ovvero che ai partecipanti vengano assegnate porzioni inidonee alla funzione economica dell’intero (Cfr., tra le tante, Cass. 1993 n. 8805; Cass. 1985 n. 2305; Cass.1987 n. 4233).
L’esigenza è di far sì che porzioni ottenute nell’insieme raggiungano il valore originario del bene indiviso, senza dispersione di ricchezza.
Così, ad esempio, si ha comoda divisibilità allorquando i diversi beni risultanti dal frazionamento, anche se di modeste dimensioni, risultino sufficientemente spaziosi, ed allorquando non si costituiscano servitù a carico di nessuna delle porzioni (per esempio nel caso in cui ciascuna porzione di appartamento sia dotata di autonomo ingresso).
Del pari, esclude la comoda divisibilità la necessità di affrontare spese eccessivamente gravose per rendere autonome le porzioni, in rapporto al risultato che si persegue e, quindi, innanzitutto con riferimento al valore del bene.
Per concludere sul punto, va osservato che, ove il maggiore quotista non avanzi richiesta di attribuzione del bene indivisibile, nulla vieta di attribuire il bene al comproprietario di minoranza; atteso che (come ritenuto da Cass. 31.5.1961) il criterio della maggior quota vale solo se si tratta di scegliere tra più richieste.

Nel caso in cui vi siano più richiedenti titolari di quote uguali sembra preferibile il ricorso al sorteggio[10]. La giurisprudenza è invece orientata ad imporre al giudice la scelta (Cass. 1995, n. 2163).

5.3. Conguaglio.
Uno dei modi per ottenere l’eguaglianza delle porzioni è il ricorso al conguaglio in denaro. Ai sensi dell’art. 728 c.c., l’ineguaglianza in natura nelle porzioni si corregge imponendo il pagamento di una somma di denaro nella misura necessaria a correggere la sproporzione.
A ben vedere, il ricorso al conguaglio può giustificarsi in due ipotesi: a) nel caso di bene indivisibile attribuito per intero ad una sola porzione, b) nel caso di porzioni che, ancorché omogenee, non risultino di valore esattamente uguale.
Normalmente si deve escludere il ricorso al conguaglio quando questo costituisca una frazione della quota di entità superiore al 20% del valore della quota stessa. A ritenere diversamente si finirebbe, infatti, per formare una porzione costituita in prevalenza da beni estranei alla massa.
Il conguaglio costituisce un debito di valore che deve essere adeguato anche d’ufficio alla stregua della lievitazione del mercato immobiliare, dopo la stima e fino alla divisione (e alla stregua dell’aumento ISTAT).

5.4. Sorteggio.
Ove esistano quote uguali, e quindi nell’ipotesi in cui il diritto di ciascun condividente sia identico a quello degli altri (tre figli tutti eredi per un terzo), e salvo diverso accordo, si fa luogo all’assegnazione per estrazione a sorte, ex art. 729.
Viceversa, l’estrazione a sorte non è possibile in caso di quote diseguali, (es.Tizio erede per un terzo e Caio per due terzi) e ciò pur se a rigore nulla impedirebbe di dividere la massa, nell’esempio citato, in tre porzioni, sorteggiandone una in favore di Tizio e due in favore di Caio.
Tuttavia la legge precisa che rispetto a “beni” costituenti frazioni uguali di porzioni disuguali si può procedere al sorteggio.
Nel caso suddetto di Caio, erede per 2/3, e di Tizio, erede per 1/3, può accadere che nelle porzioni di entrambi (diseguali) siano compresi beni (o due complessi di beni) di eguale valore (si pensi all’esistenza di un certo numero di botteghe dello stessa grandezza sulla stessa via), in questa ipotesi l’assegnazione del bene uguale avviene ancora a sorteggio[11].
Nel caso in cui la divisione deve avvenire tra un gruppo di coeredi a quote uguali e un gruppo di coeredi a quote disuguali, nell’ambito del primo gruppo si fa luogo al sorteggio.

6. La stima e formazione delle porzioni

6.1. La stima.
La stima per la formazione delle porzioni va operata al momento della divisione, e non già al momento della apertura della successione.
L’art. 726 impone che essa avvenga secondo il valore venale dei singoli oggetti. Il che significa con riferimento al prezzo di mercato, ossia al prezzo che si realizzerebbe vendendo il bene.
Allorché, successivamente alla stima si sia verificato un mutamento del valore di mercato si rende a rigore necessaria una revisione del progetto di divisione, sempre che l’apprezzamento o il deprezzamento non siano stati uniformi per tutti i beni.
Occorre comunque che il mutamento di valore sia pur sempre di una certa rilevanza.

6.2. Formazione delle porzioni.
Secondo l’art. 726, eseguita la stima, si procede alla formazione di tante porzioni quanti sono gli eredi o le stirpi dei condividenti in proporzione delle quote.
La disposizione non pone particolari problemi; va però sottolineato che in caso di partecipazione alla comunione per rappresentazione (art. 469), la divisione si fa per stirpe. In questo caso il gruppo succede unitariamente e la divisione va operata come se al posto della stirpe vi sia il solo capostipite. Resta sempre salva la possibilità della suddivisione all’interno di ciascuna stirpe, e di ciò si occupa l’art. 731, che dispone l’applicabilità delle norme ordinarie.

7. La resa dei conti

7.1. Rendiconto.
In sede di divisione non può prescindersi dall’obbligo di reciproco tra i condividenti, data l’esigenza di determinare quanto spetti a ciascuno sulla massa da dividere ed essendo scopo del giudizio di divisione quello di definire tutti i rapporti pendenti.

7.2. Frutti.
2. Applicabilità delle norme in materia di collazione.
In base all’art. 556, che rinvia all’art. 747 ed all’art. 750, ciò che ha rilevanza ai fini del calcolo della riserva e della disponibile è il valore dei beni al tempo dell’apertura della successione.
Le norme previste in materia di collazione a proposito dei criteri di stima (art. 747 e ss.) si applicano in sede di azione di riduzione non solo per la stima dei beni donati (come potrebbe far pensare il richiamo letterale dell’art. 556), ma anche per la valutazione dei beni relitti.
Ai sensi del 748, anch’esso ritenuto applicabile, si devono dedurre a favore del donatario le spese straordinarie ed i miglioramenti.
Si applicano –così ritiene la dottrina- anche gli art. 741 – 744 che attengono all’oggetto.

3. La donazione con dispensa da collazione e quella con dispensa da imputazione ex se.
Non si sottrae alla riduzione la donazione fatta con dispensa da collazione.
Del pari non giova la dispensa dalla imputazione ex se; questa ha il solo scopo di consentire che il legittimario beneficiario della donazione riceva quel bene in più della legittima, ma senza modificare la base di calcolo per la determinazione della legittima stessa.

4. Onere della prova.
Si è sostenuto che chi agisce in riduzione deve provare anche l’inesistenza di altri beni oltre quelli che formano oggetto dell’azione di riduzione. Trattandosi di un fatto negativo, propenderei per la tesi contraria.

5. Riduzione e divisione, la reintegra in natura.
E’ stato segnalato che, quando si esercita l’azione di riduzione di disposizioni a titolo universale, l’accoglimento della domanda rende il legittimario partecipe della comunione ereditaria, e –come tale- legittimato a chiedere lo scioglimento della comunione.
Viceversa, quando la riduzione riguarda donazioni o legati, il legittimario non diviene comproprietario del bene, ma ne può chiedere la separazione di una parte concreta ai sensi dell’art. 560 (riduzione) ove divisibile; altrimenti –ove il bene sia indivisibile- si applicano i commi 2° e 3° dell’art. 560 (o il legatario trattiene l’immobile ovvero questo rimane tutto nell’eredità).
La restituzione dell’intero immobile, in base all’art. 560, 2 co., può essere imposta al beneficiario della disposizione ridotta, legatario, donatario o erede istituito (sempre che esso non sia anche legittimario ed il valore del bene non superi l’importo della disponibile e della quota che gli spetta come legittimario), alla duplice condizione che non sia possibile separare senza pregiudizio una porzione di detto immobile, e che il medesimo convenuto abbia su di esso un’eccedenza superiore al quarto della disponibile (Cass. 1986, n. 360).
Supponiamo, ad esempio, che il de cuius abbia lasciato un solo figlio ed il coniuge, e che lo stesso in vita abbia donato tutto il patrimonio al figlio.
Teniamo presente che, ex art. 542, al coniuge spetta un terzo del patrimonio e che 1/3 è pure la quota disponibile (1/3 quota riservata al coniuge, 1/3 quota riservata al figlio ed 1/3 disponibile). Ebbene, in questo caso, poiché il figlio ha avuto i 100/100, l’immobile gli viene sottratto e rientra nell’eredità. Infatti la parte ridotta (“l’eccedenza”), cioè 33/100, è superiore del quarto della disponibile che è 8,2/100 (ossia 33:4).
Poniamo, invece, il caso in cui il de cuius sia morto lasciando solo un genitore e poniamo che in vita abbia donato un bene del valore di 75 ad un estraneo ed abbia lasciato per testamento un bene del valore di 25 al padre. In questo caso l’eccedenza, cioè la parte ridotta (art. 538), è 5/100 (essendo 30 il valore della riserva e 25 il valore di quanto conseguito dal genitore), mentre il quarto della disponibile è 66 diviso 4 ossia 16,4. In questa ipotesi il bene rimane al donatario, atteso che la parte ridotta è inferiore al quarto della disponibile.
In base al terzo comma dell’art. 560, il legatario o il donatario, che sia anche legittimario può ritenere tutto l’immobile, purché il valore di esso non superi l’importo della disponibile e della quota che gli spetta come legittimario.
Si tratta tuttavia di una norma superflua. Ed invero, come è stato osservato, nel caso in esame non vi può essere in radice nessuna lesione. Pertanto, in quest’ipotesi (in cui il beneficiario è un legittimario), si ritengono applicabili le regole di cui ai primi due commi.[16]
Se nessuno chiede il bene in natura, non può imporsi l’assegnazione né al beneficiario né all’erede pretermesso, ma occorre procedere alla vendita.
Quando ha ad oggetto beni determinati, dei quali il de cuius aveva disposto a titolo di donazione o legato, la domanda di restituzione può ritenersi implicita in quella di riduzione.
Vanno restituiti al legittimario i frutti percepiti dalla domanda (art. 561). Costituiscono un debito di valore da rivalutare.

6. Rilevanza della situazione concreta.
In tema di divisione ereditaria -ai fini della determinazione della quota di riserva spettante ai discendenti in relazione alle varie ipotesi di concorso con altri legittimari- non deve farsi riferimento alla situazione teorica al momento dell’apertura della successione, ma alla situazione concreta degli eredi legittimi che effettivamente concorrono alla ripartizione dell’asse ereditario. Dunque, per esemplificare, nell’ipotesi in cui il coniuge superstite abbia abdicato alla qualità di erede per aver accettato un legato in sostituzione della legittima (art. 551), detta quota non va desunta dall’art. 542 in tema di concorso tra coniuge e figli, bensì dall’art. 537 relativo alla successione dei soli figli (Cass. 1995, n. 1529).

7. Determinazione della lesione con riferimento alla quota complessiva.
L’azione personale di reintegrazione della quota di riserva non è un’azione spettante collettivamente ai legittimari ma è un’azione individuale che compete in via autonoma al singolo che si ritenga leso nella propria quota individuale di legittima. Ne consegue che l’accertamento della lesione e della sua entità non deve farsi con riferimento alla quota complessiva riservata a favore di tutti i coeredi legittimari, bensì con riferimento alla quota di colui o coloro che si ritengono lesi. Conseguentemente la riduzione delle disposizioni lesive e delle donazioni deve effettuarsi in relazione non all’eccedenza dalla quota disponibile verificatasi con riferimento alla quota complessiva di riserva, ma in relazione all’effettiva entità delle lesioni individuali subite dai legittimari attori in riduzione.
La reintegra deve poi essere effettuata con beni in natura, salvo i casi di cui all’art. 560, 2° e 3° co., c.p.c., senza che si possa procedere a imputazione del valore dei beni che è facoltà prevista per la sola collazione (il principio è stato enunciato dalla Corte di cassazione -Cass. 1999 n. 4698- nel seguente caso: il legittimario aveva agito per la reintegra della quota nei confronti dei fratelli e coeredi che erano stati beneficiati con donazioni; il giudice di merito aveva determinato la lesione con riferimento alla quota di due terzi dell’intero riservata ai figli legittimi e naturali, ridotto le donazioni con riferimento all’eccedenza di tale quota e quindi proceduto a collazione con la forma dell’imputazione indicata dai condividenti; la S.C., enunciando l’esposto principio, ha annullato la decisione) . Sul punto si vedano Cass. 1990 n. 2923 e Cass. 1993 n. 10333.

8. Litisconsorzio.
Stante l’autonomia del diritto del legittimario di esercitare l’azione personale di reintegrazione della quota di riserva, non è configurabile un litisconsorzio necessario fra tutti i legittimari in relazione alla stessa successione ereditaria, ma è richiesta soltanto la presenza in causa del legittimario e della persona che ha beneficiato dell’atto di liberalità o della disposizione testamentaria lesiva della legittima (Cass. 1996, n. 8529).
Si pone però il problema se il cedente debba partecipare , siccome pur sempre erede, al successivo giudizio di scioglimento della comunione ereditaria, ove in uno alla riduzione sia stata chiesta la divisione (vedi sopra).

ALLEGATI
Allegato 1: mandato al c.t.u. per formare un progetto di divisione ove la comunione sia composta da un solo bene;
Allegato 2: mandato per progetto di divisione ove la comunione sia composta da più beni.
Allegato 3: mandato per accertare la lesione della legittima e, quindi, in caso positivo, per procedere alla riduzione.
Allegato 4: delega al notaio per la vendita.

Allegato 1
IL Giudice Istruttore

ritenuto necessario descrivere, stimare ed accertare la regolarità accertare la regolarità urbanistica del bene ai sensi della legge 1985 n. 47;
ritenuto che va predisposto un progetto di divisione in natura in due porzioni concrete , una del valore di 5/8 ed una del valore di 3/8;
ritenuto che va accertata la comoda divisibilità dell’immobile, tenendo conto che a tal fine rileva non tanto la mera possibilità di una materiale ripartizione dell’immobile tra gli aventi diritto, quanto la sua concreta attitudine ad una ripartizione da cui derivi a ciascun partecipante, o gruppo di partecipanti, un bene il quale, perdendo il minimo possibile dell’originario valore indotto dall’essere elemento di una entità unitaria, non abbia neppure a subire particolari limitazioni funzionali o condizionamenti evitando, per contro, che rimanga in qualche modo pregiudicato l’originario valore del cespite, ovvero che ai partecipanti vengano assegnate porzioni inidonee alla funzione economica dell’intero;
P.Q.M.
Nomina consulente tecnico

Allegato 2

ritenuto necessario descrivere e stimare i beni in comunione, nonché predisporre un progetto di divisione in natura tante porzioni concrete (n° ) quante sono le quote;
ritenuto che, ove la massa sia costituita non da un solo bene immobile ma da più cespiti, il c.t.u dovrà individuare lotti omogenei, senza necessariamente frazionare ciascun bene in tante parti quante sono i lotti: ogni lotto deve essere formato da uno o più beni che consentano di comporre la quota del condividente, in modo che le porzioni dell’altro condividente possano formarsi con i restanti beni e salvo conguaglio in danaro (questo di entità comunque non superiore al 20% del valore della quota);
ritenuto, in altri termini, che se nel patrimonio comune vi sono più beni ciascuno va assegnato alla quota di valore corrispondente o, quanto meno, di valore più prossimo;
ritenuto che nel formare le porzioni il c.t.u. dovrà tenere conto del concetto legale di “incomoda divisibilità”, quale limite al frazionamento materiale degli immobili, limite che sussiste quando le parti risultanti dall’apporzionamento verrebbero ad essere scarsamente funzionali rispetto all’intero o quando si dovessero costituire servitù a carico di alcune porzioni e, comunque, tutte le volte che per realizzare la divisione si rendessero necessarie spese eccessive rispetto al risultato perseguito;
ritenuto, quanto alla stima dei beni, che la stessa, ai sensi dell’art. 726 cc., deve essere operata al momento attuale, c.d. al momento della divisione;
ritenuto che il c.t.u. dovrà anche accertare la regolarità urbanistica dei beni ai sensi della legge 1985 n. 47;
P.Q.M.
nomina consulente tecnico il dott.

Allegato 3.

ritenuto che parte attrice lamenta esservi stata lesione della sua quota necessaria che per legge è pari a (art. ) ;
ritenuto che la stessa non ha chiesto soltanto la determinazione in astratto della lesione, ma ha, altresì, chiesto la divisione (e quindi l’attribuzione di beni concreti);
ritenuto che ai fini della determinazione della quota di legittima e della quota disponibile deve aversi riguardo, ai sensi degli art. 556 c.c., esclusivamente al valore del relitto e del donato al tempo dell’apertura della successione, sicché l’esistenza e la percentuale della lesione (es. 10% del tutto) va determinata a quella data ;
ritenuto che ove si tratti di beni donati, ex artt. 747 e 748 c.c. (richiamati dal 556 c.c.) deve aversi riguardo al valore dell’immobile donato al tempo dell’apertura della successione, ma deducendo in favore del donatario il valore delle migliorie apportate, nei limiti del loro valore residuo al tempo dell’apertura della successione, e deducendo le spese straordinarie da lui sostenute;
ritenuto che, determinata la lesione, ai fini della individuazione concreta dei beni da separare per l’attribuzione in natura al legittimario, va fatto riferimento, a norma dell’art. 726 c. c., allo stato e al valore venale dei beni al tempo della divisione; sicché individuata una lesione, per es., del 10%, la disposizione lesiva deve essere ridotta in concreto della stessa percentuale in base ai valori attuali;
ritenuto, infine, che deve tenersi conto dell’ordine in cui si deve procedere alla riduzione: prima si procede alla riduzione delle quote legali ab intestato, poi si passa alla riduzione delle disposizioni testamentarie e, infine, se neanche questa riduzione è sufficiente a reintegrare, si passa alla riduzione delle donazioni;
ritenuto che le disposizioni testamentarie vanno ridotte proporzionalmente, senza distinguere tra eredi e legatari mentre le donazioni si riducono cominciando dall’ultima;
ritenuto che quando oggetto del legato o della donazione da ridurre è un immobile, la riduzione si fa separando dall’immobile medesimo la parte occorrente per reintegrare la quota riservata, se ciò può avvenire comodamente (ai sensi dell’art. 720 c.c.); pertanto, il c.t.u. in questo caso dovrà chiarire se il bene è divisibile ed, in caso positivo, individuerà la porzione concreta da separare;
ritenuto che il c.t.u non dovrà individuare nessuna porzione da staccare ne caso in cui la separazione non possa farsi comodamente, posto che in tale caso il legittimario va reintegrato mediante una somma di denaro di valore corrispondente, lasciando il bene al beneficiario, se lo stesso (sia esso legatario donatario o erede istituito) ha nell’immobile un’eccedenza maggior del quarto della porzione disponibile (intendendosi per “eccedenza” la parte ridotta);
ritenuto, in altri termini che quando l’incidenza della lesione relativa al ben determinato non superi il valore di ¼ del bene, il beneficiario può ritenere lo stesso per intero compensando in denaro il legittimario;
ritenuto che quando il bene immobile è stato trasferito a terzi (e l’azione sia proposta contro i dante causa) , non potendosi operare la reintegrazione in natura, la stessa va operata per equivalente in denaro;
ritenuto che ove occorra procedere alla divisione concreta di uno degli immobili in questione va altresì accertata la regolarità urbanistica dei medesimi ai sensi della legge 47/85;
p.q.m.
al fine di predisporre il progetto di riduzione di cui sopra, nomina c.t.u.
Allegato 4

Il Giudice istruttore,
vista la sentenza emessa tra le parti in data
ritenuto che occorre procedere alla vendita del bene in comunione, delega il notaio perché proceda alle operazioni di vendita all’incanto e alle susseguenti operazioni di ripartizione del ricavato (detratte le spese) tra i comunisti del seguente immobile:

dispone che la vendita all’incanto avvenga per il prezzo base di £
ordina che della vendita sia dato avviso al pubblico nelle forme ordinarie (e mediante inserzione sul quotidiano LA SICILIA, ovvero alternativamente sulla rivista IL MERCATINO, almeno dieci giorni prima della data dell’incanto);

determina nel 10% del prezzo base l’ammontare della cauzione e nel 15% dello stesso prezzo base l’anticipo delle spese che chi intenda partecipare alla gara deve depositare innanzi al notaio procedente almeno il giorno prima della data della vendita;

determina in lire 1.000.000 la misura minima delle offerte in aumento da apportarsi al prezzo base;

dispone che entro trenta giorni dall’aggiudicazione sia depositato il prezzo, dedotta la cauzione, nelle mani del notaio delegato, il quale ne curerà la ripartizione secondo le seguenti quote:
il notaio è altresì delegato a curare l’eventuale gara in caso di offerta in aumento di sesto, ovvero in caso di diserzione dell’incanto, ad indirne di ulteriori, fatta salva la richiesta delle parti di ribasso del presso;
infine, una volta avvenuta l’aggiudicazione e decorso il termine di cui all’art. 584 c.p. c. comma 1°, il notaio è invitato a trasmettere copia degli atti compiuti e lo schema del decreto di trasferimento di cui all’art. 586 c.p.c., provvedendo successivamente alla pronunzia del decreto in oggetto, a curare tutta l’esecuzione delle formalità di registrazione, trascrizione e voltura catastale, nonché tutti gli adempimenti di cui all’art. 591 bis cpc co. 2 n. 5;
in attesa dell’espletamento delle operazioni di divisione si avverte che le spese di aggiudicazione e le spese successive comprese quelle relative alla cancellazione di eventuali trascrizioni e iscrizioni sono a carico dell’acquirente, che l’immobile viene venduto nello stato di fatto e di diritto in cui si trova con tutte le accessioni, le pertinenze e le servitù attive e passive;

assegna al notaio termine di mesi 6 dalla comunicazione della presente ordinanza per il compimento delle operazioni di vendita e di ripartizione.

Rinvia la causa all’udienza del

[1] A. Morla, Il Contratto di Divisione, 1995, p. 202 e ss.
[2] L’esistenza di distinte comunioni fa sì che i compartecipi alla comunione B, non devono essere presenti nel giudizio avente ad oggetto la comunione A. Qualora sussistano più comunioni, derivanti da titoli diversi. In questo senso Cass. 1985, n. 2231, secondo cui non sussiste il litisconsorzio necessario tra i partecipanti alle diverse comunioni, essendo quello previsto dall’art. 784 c.p.c. limitato ai compartecipanti alla comunione derivante da un determinato titolo, senza possibilità di una sua estensione a soggetti che della relativa comunione non fanno parte.
[3] Burdese, La Divisione ereditaria, p.18 e ss..
[4] Busnelli, La comunione ereditaria su E.dD.m, VIII, 279; Rosario Morelli, La Comunione e la divisione ereditaria, p.39.
[5] Satta, Comm. Cod. proc. Civ., p. 97.
[6] (Capozzi, Successioni, p.699; G. De Cesare- T. Gaeta La Comunione e la Divisione Ereditaria in Successioni e donazioni a cura di P. Rescigno, p 16 e ss.).

[7] Assume la prevalenza dell’art. 727 sull’art. 718 Burdese La Divisione Ereditaria, p. 176 e ss., contra Forchielli, Comm. Scialoja e Branca, Della Divisione, p. 143. Vedi anche G.Canale, Questioni in tema di giudizio divisorio: attribuzione di un immobile non divisibile e stima (nota Cass.1992 n. 11769) su Giur. It., 1994, I,1, 123.
[8] Nel senso indicato Forchielli Della Divisione, cit. p. 103; Giannattasio Delle Successioni, in Comm Cod Civ. UTET p. 33 e ss.. G. Verga, nota a Trib Pavia 23.5.1986, su La Nuova Giur. Civ. 1987 p. 214 e ss..
[9] F. Gigliotti, Profili sostanziali della divisione giudiziale di immobili ereditari non comodamente divisibili, in Giust. Civ. 1993, II, 526; Trib. Pavia, 23 maggio 1986, Riviste Giur. di Merito , 1986, 1062; Nuova Giur. Civ. , 1987, I, 215, n. G. Verga; Riv. Notar. , 1987, 778, nota Sebastiani; Giur. It. , 1988, I, 2, 62 (m), nota Garofalo..
[10] Così Forchielli, Della Divisione, cit. p. 100.
[11] Vedi Forchielli, cit. pag.156.
[12] Di quest’ultima ipotesi si è occupata Cass. 1987 n. 2320, con nota di Padovini su la Nuova Giur. Civ. Com. 198, p. 457.
[13] vedi E. Fabiani Sulla distinzione tra sentenze definitive e non definitive, in Foro it. 1997, col. 2147; vedi inoltre A. Giussani, Procedimento – Impugnazioni civili – Riserva formulata in base all’erronea convinzione di non definitività della sentenza, nota a Cass 1989, n. 4777, in Nuova Giur. Civ. , 1990, I, 48.
[14] Legati obbligatori sono quelli che non attribuiscono la proprietà di un bene ma un diritto di credito. Tali sono il l. di cosa generica, di alimenti, di rendita vitalizia, nei quali non ricorre il concetto tecnico di successione in quanto il diritto trasferito non era presente nel patrimonio del de cuius. Vedi Capozzi Successioni e Donazioni, p 622.
[15] Vedi Azzariti Le successioni e le donazioni, p. 285. In giurisprudenza vedi Cass. 14.11.1957 su Giust. Civ. 1958, I, 20.
[16] Santoro Passarelli Comm. D’Amelio.

Redazione

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