Incoerenza e cambiamento

Scarica PDF Stampa

Nella seconda metà del V ° secolo a. C. nelle città-stato della Grecia intervenne un profondo mutamento socio-economico che coinvolse anche il pensiero passando dalla speculazione fisica cosmogonica sulla ricerca dell’essenza delle cose alla pratica esclusiva dei propri uffici e della propria arte, fu il momento dei “sofisti”.

Il loro ideale è l’abilità suprema del persuadere in un virtuosismo eclettico fondato su un agnosticismo umanistico verso la vita, superando qualsiasi speculazione fisica e cosmologica, in cui l’interesse “esclusivo” è la capacità di comunicazione.

Negando i modelli pre-esistenti sociali e culturali a cui conformarsi riducono tutto al successo nella vita sociale civilizzata e quindi principalmente nella possibilità di godersi i benefici dello sviluppo economico avvenuto dopo la fine delle guerre persiane con la battaglia di Platea.

Nel dibattito se religione e morale siano innate e pertanto naturali all’uomo o al contrario frutto di costumi o tradizioni, i grandi sofisti della prima generazione ( Protagora- Gorgia- Prodico- Ippia) si schierano per la seconda alternativa senza per questo negare la morale usuale della propria città-stato.

Il processo iniziato con la scuola Ionica in cui si ripensa la cosmogonia indipendentemente dalle tradizioni, si conclude per l’aspetto sociale con la disintegrazione delle tradizioni e delle consuetudini negli allievi dei grandi maestri sofisti, senza che vengano esplorate ed evidenziate nuove virtù sociali su cui fondare in termini collaborativi e non cinici i rapporti nelle città-stato stesse.

La necessità di un nuovo concetto chiaro e coerente della personalità intellettuale e morale dell’uomo, quale agente responsabile delle proprie azioni nel bene e nel male, viene infine per reazione individuata da Socrate che attraverso la “maieutica” porta a riflettere sulla propria “anima”, ossia sulle verità del proprio io e quindi sulla virtù della conoscenza del Bene che diventa anche una virtù civile a cui dare testimonianza con il proprio agire, che per Socrate si risolve in una testimonianza con la vita.

La trasformazione qui descritta ha più volte attraversato la storia con conseguenze notevoli sulle regole poste alla base del vivere sociale, la trasformazione dell’etica ha modificato i rapporti non solo tra i singoli ma anche tra cittadini e Stato e se da una parte ha creato nuove possibilità, dall’altro il venire meno delle consuetudini ha esposto a potenziali arbitrii.

La necessità del controllo gestionale è anche in rapporto al trasformarsi delle morali private da relativamente omogenee a frammentate in piccole comunità (Viano), fornite di un forte individualismo competitivo, in cui le strutture sociali del welfare diventano l’oggetto del contendere finendo per essere depredate, in questo scenario l’unico elemento oggettivo è un controllo ragioneristico del bilancio che si risolva in un possibile contenimento della spesa, in quanto la mancanza di una visione collettiva ampiamente accettata porta all’esplodere della finanza che acquista la funzione di arbitro dell’agire pubblico.

Questo modificarsi dell’etica privata viene ad avere differenti riflessi nei vari livelli organizzativi della società, infatti il prevalere della concorrenzialità o del cooperativismo ha differenti gradualità non solo a seconda delle aree geografiche e degli strati sociali ma anche se si tratti di rapporti personali, sociali, di piccole o grandi comunità, nazionali o internazionali, fino ad influire sulla stessa interpretazione dei dati matematici del controllo.

D’altronde solo le misurazioni che alterano il comportamento futuro, avendo pertanto effetto sul sistema, si possono dire coerenti con la nostra storia etica, le altre risultano decoerenti e si perderanno nel prosieguo della storia, vi è in questo una complessità informativa data dalla necessità di codificare e descrivere la regolarità registrando al contempo la componente causale ( Lloyd) , il cui conteggio di oscillazioni fornirà la quantificazione dello scostamento etico.

Un sistema etico pubblico ha di per sé stesso i principi su cui interpretare i dati contabili e gestionali, quando l’aspetto finanziario prevale in termini di puri dati ragioneristici si è di fatto perso il senso del Bene collettivo, ossia la contemperanza tra i gruppi sociali dei diritti secondo sostenibilità.

La dialettica conflittuale tra gruppi si è trasformata in sopraffazione perdendo l’esperienza collettiva del “continuo” e la conseguente definizione accettata di uno “stato”, inteso quale forma sociale e quindi “campo” definito, una serie di “finiti temporali” umani nella scala “infinita” della storia umana ( Luminet, Lachiéze-Rey).

Socrate amava gli artigiani in quanto forniti di uno scopo nel loro lavoro e consapevoli del loro agire, circostanza che rischia attualmente di perdersi nella mancanza nell’individuale del carattere comunitario dato da quello che Aristotele definisce, nella sua concezione di base, come “sostanza, forma, materia, atto, potenza”, ossia “cultura, organizzazione, risorse umane, comportamenti, fiducia”.

In ultima analisi l’impossibilità di possedere l’insieme delle virtù necessarie per una cultura comunitaria sostenibile, senza frammentarle e incapsularle secondo rigide suddivisioni aristoteliche, fa perdere la complessità platonica dell’uomo morale e cede la gestione della cosa pubblica ai tecnici, perdendo le caratteristiche politiche, le virtù proprie di quelli che pomposamente Platone definisce “filosofi-reggitori”, questo ancor più attualmente in cui i costi di una sempre crescente tecnologia possono essere compensati economicamente solo da i benefici di una sua reale effettiva applicazione, circostanza che necessita di una stretta connessione con sempre nuove generazioni aventi per referenti leadership “riconosciute”.

D’altronde ogni generazione è figlia della propria cultura e vede il mondo attraverso di essa, una lettura che è venuta a modificarsi profondamente in questi ultimi decenni e che induce le nuove generazioni a visioni e condotte lavorative diverse, favorite dalla destrutturazione operata sulle vecchie organizzazioni senza che siano ancora consolidati nuovi modelli ampiamente accettati, come può riscontrarsi nel modello a cinque dimensioni di Hofstede:

  • Avversione all’incertezza;

  • Distanza di potere;

  • Individualismo e collettivismo;

  • Mascolinità e femminilità;

  • Schemi mentali orientati al lungo o al breve periodo.

 

Bibliografia

  • N. Abbagnano, Storia della filosofia, Vol. I, UTET 1976;

  • O. Franceschielli, Karl Lowith. Le sfide della modernità tra Dio e nulla, Donzelli ed. 1997;

  • G. Hofstede, Culture and Organizations: Software of the Mind, Mc Graw – Hill 1992;

  • S. Lloyd, Il programma dell’universo, Einaudi 2006;

  • K. Lowith, Critica dell’esistenza storica, a cura di A. L. Kungler, Giavotto 1967;

  • J. P. Luminet, M. Lachiéze – Rey, Finito o infinito?, Raffaele Cortina ed. 2006;

  • C. A. Viano, Etica pubblica, Laterza 2002.

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento