Sentenza pilota quella che arriva dal Tribunale di Ivrea, che per la prima volta riconosce l’esistenza del nesso causale tra l’(ab)uso del telefono cellulare e l’insorgenza di tumori al cervello. Eppure, stando a quanto affermato nuovamente dall’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms), nonostante il ventennio di ricerca scientifica sull’argomento, sono ancora assenti prove che confermino tale assunto.
L’Oms ha precisato anche che gli studi finora hanno indagato gli effetti dei campi a radiofrequenza su attività elettrica del cervello, funzione cognitiva, sonno, battito cardiaco, pressione e tumori, sottolineando che il gruppo di esperti dell’International Agency for Research on Cancer (Iarc) dell’Organizzazione mondiale della sanità ha classificato nel 2011 i campi elettromagnetici a radiofrequenza quali “possibili cancerogeni” per l’uomo (gruppo 2B), soprattutto per i c.d. super-utenti che stanno per ore e ore al giorno al telefonino.
Sentenza Ivrea, il caso
Il caso che ha dato adito alla corte di condannare l’Inail al risarcimento del danno, nonché ad erogare una rendita vitalizia da malattia professionale, è quello del signor Roberto Romeo. Quest’ultimo, impiegato della Telecom per oltre 15 anni, ha utilizzato il telefono cellulare per circa 3-4 ore al giorno, ogni giorno.
I suoi legali, nonché avvocati difensori, hanno sostenuto che il neurinoma dell’acustico, diagnosticatogli nel 2010, fosse riconducibile al ricorso costante all’apparecchio tecnologico come strumento imprescindibile con cui svolgere l’attività lavorativa. Ed evidentemente, lo hanno ritenuto anche i giudici di primo grado.
“Nel 2010, ho cominciato ad avvertire una persistente sensazione di orecchie tappate e mi è stato diagnosticato un neurinoma al cervello. Ho subito l’asportazione del nervo acustico e oggi non sento più dall’orecchio destro”, ha riportato Romeo.
La prova scientifica: il nesso di causalità
Siamo di fronte indubbiamente ad un processo in cui ha ricoperto un ruolo decisivo la prova scientifica, e quindi l’apporto del consulente tecnico d’ufficio nominato dal giudice del lavoro di Ivrea: questi ha infatti riconosciuto a Romeo un danno biologico permanente del 23%, che sarà risarcito con un’indennità di circa 500 euro al mese per tutta la vita della vittima.
Da un punto di vista processuale, in particolare, gli avvocati Ambrosio e Commodo, esperti in risarcimento del danno, hanno tentato di ribaltare la giurisprudenza esistente, secondo la quale non era possibile riconoscere il nesso di causalità tra l’uso prolungato di telefoni cellulari e patologie oncologiche, sostenendo esattamente il contrario. È vero che non c’è la prova dell’effettiva incidenza dello strumento tecnologico sulla salute umana, ma non è stato nemmeno dimostrato il contrario.
La rivoluzione del domani: la class action
Nell’essere così ardimentosi, quindi, si sono aggiudicati una sentenza che farà nuova giurisprudenza, e che apre definitivamente le porte ad un dovere di controllo e sorveglianza sull’uso che viene fatto dei cellulari da parte dei cittadini. La posizione che gli avvocati si aspettano che il Parlamento assuma è paragonabile alla campagna di informazione condotta rispetto al fumo da sigaretta.
È proprio per questo che hanno anche creato un sito, www.neurinoma.info.it, che raccolga tutte le informazioni e le cautele necessarie a ridimensionare notevolmente il rischio di tumore al cervello.
Dello stesso avviso è poi il Codacons, che si dice quasi pronto ad intraprendere una class action volta a far sì che l’Inail inserisca tra le malattie professionali quelle derivanti dall’uso dei cellulari.
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