In tema di responsabilità per danno erariale a seguito di furto di denaro e di computer e stampante e sulla differenza fra la responsabilità amministrativa e la responsabilità contabile e sull’obbligo di evidenziare eventuali insicurezze dei locali ove ve

Lazzini Sonia 08/05/08
Scarica PDF Stampa
Tutti i dipendenti di uffici ed amministrazioni pubbliche sono patrimonialmente responsabili per i danni cagionati all’ente a causa di un loro comportamento doloso o gravemente colposo (art. 1 L. 14.1.1994, n. 20 e succ. mod.), occorre poi chiarire che, nella presente fattispecie, la tipologia di responsabilità è qualificata come contabile, poichè derivante dal maneggio di denaro e beni di pertinenza erariale (art. 74 e segg. del R.D. 18.11.1923, n. 2440 – legge di contabilità generale dello Stato; art. 178 e segg. del R.D. 23.5.1924, n. 827 – regolamento di contabilità generale dello Stato)._ La su detta forma di responsabilità, come noto, costituisce una species rispetto al più ampio genus della responsabilità amministrativa patrimoniale, con la quale ha peraltro in comune tutti gli elementi costitutivi (condotta antigiuridica; evento dannoso; nesso eziologico; elemento soggettivo). Coloro che vi sono soggetti vengono appunto denominati agenti contabili (per distinguerli dai c.d. agenti amministrativi, i quali hanno un potere dispositivo, ma non materiale su quei beni o valori pubblici_l’obbligo del contabile di dar conto della sua gestione è motivato non già da una sua presunzione di responsabilità, bensì da uno specifico obbligo di status del soggetto, che maneggia denaro e valori pubblici; in altri termini, l’eventuale responsabilità deriva dall’esservi una differenza tra il valore di cui il contabile dovrebbe rendere conto e quello di cui effettivamente è in grado di disporre, secondo i principi generali che in campo civilistico regolano le obbligazioni c.d. di restituzione (es. il deposito)._ appare esistente il diretto nesso di causalità tra la disinvolta gestione e la successiva consumazione dei furti in questione da parte di ignoti, facilitati oltre ogni loro aspettativa dallo scriteriato assetto logistico dell’ufficio.
 
La stessa giurisprudenza di questa Corte dei conti, in casi analoghi, ha costantemente ritenuto la piena responsabilità dei soggetti convenuti per la loro negligenza organizzativa o gestionale
 
 
 
merita di essere segnalato il seguente passaggio tratto dalla sentenza numero 143 del 18 marzo 2008 emessa dalla Corte dei conti – Sezione giurisdizionale centrale prima di appello
 
<Orbene, la configurazione di una particolare forma di responsabilità a carico di una specifica categoria di dipendenti pubblici è giustificata non già in base ad un diverso rapporto che detti dipendenti (gli agenti contabili) hanno con la propria amministrazione, ma al contenuto dell’attività da essi svolta, che determina una peculiare situazione giuridica tra i due soggetti (p.a. e agente), per cui il primo detiene un bene di pertinenza del secondo.
 
In altri termini, l’attività degli agenti contabili comporta il compimento di atti reali su beni pubblici, dei quali il soggetto ha piena disponibilità materiale.
 
Si ricorda, a tale proposito, che la su detta attività, proprio perchè reale (movimento di beni), va adeguatamente documentata: le norme richiedono infatti una rigida formalizzazione di tali movimentazioni, mediante particolari documenti ritenuti idonei a fornire prova della legittimità degli atti compiuti; sulla regolarità della documentazione (e, pertanto, dell’attività sottostante) è poi prevista la pronunzia del Giudice contabile, con il giudizio necessario di conto.
 
L’azione di responsabilità contabile ha allora il suo presupposto nell’inosservanza delle norme (contabili) che impongono al consegnatario di valori o materiali appartenenti alla p.a. di comprovarne, con adeguata documentazione giustificativa, il legittimo esito>
 
Nella particolare fattispecie inoltre:
 
<Ma in ogni caso, anche a non voler considerare le su dette, severe disposizioni in materia di gestione contabile – norme, si ripete, del tutto assimilabili a quelle operanti nel campo privato – non può non concordarsi con quanto fatto presente dal PM nell’atto conclusionale, laddove si rimproverano all’appellante diverse irregolarità e gravi negligenze, che hanno favorito in misura decisiva la commissione degli illeciti che hanno determinato il danno per il quale è causa:
 
il trattenimento di un importo di svariati milioni di lire presso l’ufficio (anziché depositato sul conto corrente postale o in banca),
 
e per di più conservato in una semplice cassetta metallica anziché in una cassaforte;
 
 la stessa contabilità analitica contenuta in un unico PC (quello rubato il giorno prima della verifica di cassa!), senza copie cartacee o informatiche;
 
il computer e la stampante, a loro volta, tenuti in locali privi di qualsivoglia dispositivo di sicurezza (lo stesso appellante ha parlato di porte mal funzionanti, infissi che si forzavano facilmente, etc.):
 
tutte queste circostanze, lungi dal diminuire la responsabilità del gestore, valgono anzi ad aggravare la sua colpa, sotto il profilo della massima negligenza, tenuto anche conto del fatto che tali condizioni di insicurezza dei locali non risultano essere mai state da lui denunziate.>
 
 
a cura di Sonia LAzzini
 
Sentenza n. 143/2008/A
 
 
 
REPUBBLICA ITALIANA
 
=   °   =
 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE PRIMA GIURISDIZIONALE CENTRALE
 
composta dai seguenti magistrati:
 
Dott. Vito                   MINERVA                             Presidente
 
Dott. Davide              MORGANTE                         Consigliere
 
Dott.ssa Maria          FRATOCCHI                        Consigliere
 
Dott.ssa Rita             LORETO                               Consigliere
 
Dott. Piergiorgio       DELLA VENTURA              Consigliere relatore
 
ha pronunziato la seguente
 
S E N T E N Z A
 
sull’appello, iscritto al n. 23817 del registro di segreteria, proposto dal sig. Luciano S., elettivamente domiciliato in Roma, Via Marcello Prestinari, n. 15, presso lo studio dell’Avvocato Antonio Fusillo, che lo rappresenta e difende nel giudizio d’appello, unitamente all’avv. Marcello Lugano del Foro di Voghera,
 
per l’annullamento e riforma
 
della sentenza della Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la regione Lombardia, n. 251/05 dell’11.04.2005, notificata in data 08.06.2005.
 
VISTI gli atti e documenti di causa;
 
UDITI, nella Camera di consiglio del giorno 20 novembre 2007, il consigliere relatore dr. Piergiorgio Della Ventura, il Vice Procuratore generale dr. Mario Condemi, l’avv. Ferdinando Paparatti, su delega dell’avv. Antonio Fusillo;
 
Ritenuto in
F A T T O
Con la sentenza in epigrafe, la Sezione giurisdizionale per la Lombardia ha condannato a titolo di responsabilità contabile l’Assistente Capo Luciano S., quale gestore dello spaccio interno della Casa circondariale di Pavia, al pagamento a favore dell’Amministrazione Penitenziaria della somma di € 63.698,53 oltre a rivalutazione monetaria, interessi legali, e spese di giudizio. Con la medesima sentenza veniva condannata, a titolo di responsabilità amministrativa, al pagamento della somma di € 741,83, a favore dell’Amministrazione Penitenziaria, con aggravio di rivalutazione monetaria, interessi legali e spese di giudizio, anche la Dott.ssa Iolanda V., Presidente del Comitato di vigilanza, con compiti specifici di verifica sugli spacci.
 
Più in particolare, con atto di citazione depositato il 18 giugno 2004, a seguito di denuncia dell’Ente di Assistenza per il personale dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero di Grazia e Giustizia, che aveva segnalato l’esito di complesse verifiche ispettive, il S. veniva chiamato a rispondere di un danno complessivo di € 81.004.41, dei quali € 56.280,15, corrispondenti all’ammanco di cassa riscontrato dagli ispettori in sede di verifica, € 23.240,56 corrispondenti a denaro oggetto di furto, a cui si aggiunge l’importo pari a € 1.487,40 derivante da furto di computer e stampante. In relazione al solo ammanco di € 56.280,15 veniva individuata la responsabilità concorrente della Dott.ssa V..
 
=   °   =
 
Seguiva la sentenza in epigrafe, avverso la quale s’è gravato il solo Signor S., con appello nel quale, in sintesi, deduce:
 
1.   insufficienza dell’impianto accusatorio fondato sull’inversione dell’onere della prova;
 
2.   mancanza di esperienze pregresse e assenza di professionalità nell’attività gestoria;
 
3.   i locali non erano dotati di sistemi di sicurezza, mancava una cassaforte, le porte erano facilmente apribili;
 
4.   in sede disciplinare non gli è stata irrogata alcuna sanzione;
 
5.   imprevedibilità del furto, in quanto avvenuto all’interno di una struttura fortificata, con accesso interdetto a terzi;
 
6.   mancanza di prova del quantum debeatur, ricostruito presuntivamente sulla base di accertamenti contabili svolti in mancanza di contraddittorio ed in mancanza di perizia che garantisse la partecipazione delle parti.
 
Chiede, in subordine, una riduzione dell’addebito “nei limiti di quanto provato e dimostrato in giudizio”.
 
=   °   =
 
Con le proprie conclusioni, recentemente depositate, la Procura generale controdeduce in ordine a tutto quanto dedotto dall’appellante.
 
Circa la pretesa insufficienza dell’impianto accusatorio, fondato sull’inversione dell’onere della prova, ricorda anzi tutto il PM che gli elementi costitutivi della responsabilità contabile sono l’esistenza del rapporto gestorio (dal quale deriva l’obbligo di restituzione), la deficienza di materia o valori loro affidati e l’esistenza di una condotta gravemente colpevole (cita Corte costituzionale, n. 371/1998). Gli agenti contabili sono allora responsabili, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 194 e 615 reg. cont. St. (R.D. 827/1924), delle mancanze, deteriorazioni o diminuzioni, se non provano che ad essi non sia imputabile il danno.
 
Sul contabile incombe, pertanto, l’onere di dimostrare che la perdita dei beni affidati alla sua custodia è dipesa da forza maggiore o da caso fortuito, in assenza dei quali egli è responsabile della perdita del bene di pertinenza pubblica, anche se sottratto in occasione di furti (Corte Conti , sez. II, 17 aprile 1996, n. 17/A).
 
Nel caso di specie, il S. non avrebbe fornito alcun elemento a propria discolpa, che valesse a dimostrare che – nonostante le gravi irregolarità e mancanza di diligenza nella gestione – nessun danno si è verificato per l’Erario.
 
Invero, in relazione alla prima voce di danno individuata dalla Procura attrice e quantificata in £. 45.000.000, pari a € 23.240,56, oggetto di furto, non comprende il PM perché mai un importo così ingente sia stato accumulato e custodito in una cassetta metallica, invece di essere depositato sul conto corrente postale, conservato in cassaforte o utilizzato per pagare le fatture giacenti, di importo complessivo di circa £ 80.000.000m, del secondo semestre 1999.
 
Quanto alla seconda posta di danno, le gravi carenze documentali riscontrate dagli ispettori in verifica, avrebbe poi reso indispensabile una ricostruzione contabile della gestione dal 1° gennaio 1997, data di inizio della gestione, al dicembre 2000, dalla quale è risultato un ammanco di £ 108.973.572, pari ad € 56.280,15. In proposito, il Procuratore regionale ha ricordato che la contabilità meccanizzata, imposta con Circolare ministeriale n. 7335773/ B.I. del 20 febbraio 1998, era contenuta nel computer, “… curiosamente sottratto al gestore proprio nel giorno fissato per la verifica di cassa”; a prescindere da tale anomalia, resta secondo la Procura generale il fatto che il S. non aveva provveduto in modo adeguato alla conservazione di tale contabilità, attraverso la regolare tenuta di documenti cartacei ed il salvataggio dei preziosi dati della gestione su supporti informatici (floppy o CD con registrazioni di “back-up”). In assenza di ogni contabilità che il gestore aveva l’obbligo di presentare, l’importo di £. 55.472.476, relativo agli utili da versare, è stato elaborato in via presuntiva sulla base della media degli utili accertati nei periodi precedenti.
 
Anche per la terza posta di danno, quella conseguente al furto del computer e della stampante, ad avviso del Requirente non può che essere rimarcata la grave negligenza nella custodia di beni dell’amministrazione, tenuto conto dell’assoluta mancanza di sicurezza dei locali, peraltro, mai denunciata dal dipendente.
 
In merito alla mancanza di esperienze pregresse e assenza di professionalità ed esclusività nell’attività gestoria (l’appellante lamenta la propria inesperienza e che l’incarico di gestione dello spaccio si cumulasse con i normali compiti di polizia penitenziaria), tale doglianza è ritenuta inconferente, dal momento che l’attività in questione non avrebbe dovuto presentare difficoltà anche in mancanza di esperienze pregresse, per le ridotte dimensioni dello spaccio, frequentato esclusivamente da dipendenti e privo della licenza di rivendita di tabacchi. Il fatto, poi, che dovesse avvalersi di colleghi non apparirebbe di alcuna problematicità, atteso che non se ne sono denunciati inconvenienti ed era suo preciso compito dirigere e sorvegliare il personale addetto allo spaccio, la cui opera era prestata sotto la sua diretta responsabilità.
 
Sul fatto che i locali non erano dotati di sistemi di sicurezza, mancava una cassaforte, le porte erano facilmente apribili, rileva il PM che non risulta che il dipendente abbia mai denunciato la situazione alle autorità superiori o agli organi di vigilanza, né che si sia attivato altrimenti per l’adozione di particolari cautele.
 
Ancora, la circostanza che in sede disciplinare non sia stata irrogata alcuna sanzione, non appare conferente, per il PM, ai fini della valutazione della condotta tenuta dall’appellante; in proposito ricorda le disposizioni contenute nell’articolo 12, comma 2, dello Statuto dell’Ente di Assistenza per il Personale dell’Amministrazione penitenziaria, emanato con D.P.C.M. 30.4.1997, sugli obblighi di servizio del gestore; è indubitabile, per il Requirente, che senza la perdurante violazione di gran parte degli obblighi di servizio, il danno non si sarebbe verificato.
 
Sulla pretesa imprevedibilità del furto, in quanto avvenuto all’interno di una struttura fortificata, il PM si riporta a quanto riferito nella relazione ispettiva inviata il 16 febbraio 2001: “Si deve far osservare, perché non risultante dagli atti di denuncia, che i locali dello spaccio sono situati al piano rialzato dell’edificio caserma con accesso dal cortile principale dell’istituto. L’accesso al cortile è limitato da una sbarra automatica che viene aperta dal personale in servizio al block house o, quando mancante, dal personale in servizio alla portineria centrale. Nei due giorni di presenza nell’istituto si è potuto notare che l’accesso, in particolare per il personale, è pressoché libero e non prevede alcuna forma di controllo sui relativi automezzi. Dai locali dello spaccio e dall’edificio caserma si può uscire da diverse porte antincendio realizzate in vari punti. Gli automezzi del personale sono parcheggiati nel cortile principale ed in quello posteriore alla caserma. In alcuni punti non esiste alcuna forma di vigilanza o osservazione da parte dei personale in servizio”.
 
Circa la mancanza di prova del quantum debeatur (in quanto ricostruito presuntivamente sulla base di accertamenti contabili svolti in mancanza di contraddittorio), la censura non appare alla Procura degna di considerazione, sia in relazione alla quantificazione dell’importo del denaro oggetto di furto o di quello corrispondente al valore del materiale informatico (computer e stampante) rubato, sia per l’importo di €. 56.280,15476, relativo agli utili da versare, che è stato elaborato dagli ispettori in verifica in via presuntiva, sulla base della media degli utili accertati nei periodi precedenti, operazione sulla cui correttezza non è dato di dubitare, per la sua validità in assoluto, ed in particolare per l’assenza di ogni contabilità che il gestore aveva l’obbligo di presentare.
 
Appare poi al PM paradossale insinuare dubbi sulla validità degli accertamenti contabili, solo perché “svolti in mancanza di contraddittorio”, quando l’appellante, che non era intervenuto alla verifica amministrativa, non è stato in grado, nella fase preprocessuale e, dopo, nel contraddittorio processuale, di versare idonei elementi di prova scriminanti.
 
Infine, quanto alla richiesta di “riduzione dell’addebito nei limiti di quanto provato e dimostrato in giudizio”, ritiene il PM che gli importi di danno accertati con la sentenza di primo grado debbano essere confermati. Nè sarebbe possibile una riduzione dell’addebito nell’esercizio del potere riduttivo previsto dall’art. 52 del r.d. 12 luglio 1934 n. 1214, potere incompatibile con la natura restitutoria dell’obbligazio-ne azionata nel presente giudizio.
 
Conclusivamente, il Procuratore Generale chiede che questa Sezione centrale d’appello voglia respingere l’appello in epigrafe, condannando l’appellante alle spese del doppio grado di giudizio.
 
=   °   =
 
All’udienza dibattimentale odierna, l’avv. Paparatti ha insistito per l’accoglimento dell’appello, riportandosi a quanto già esposto negli scritti depositati. Il PM ha chiesto invece il rigetto e la conferma dell’impugnata decisione di primo grado.
 
D I R I T T O
1.         L’odierno giudizio d’appello riguarda la sentenza con la quale la Sezione giurisdizionale per la Lombardia ha condannato, a titolo di responsabilità contabile, il gestore dello spaccio interno della Casa circondariale di Pavia, in relazione ad un ammanco di cassa (oltre che al furto di un PC) riscontrato dagli ispettori in occasione di una verifica amministrativa.
 
L’appellante ritiene che la decisione di prime cure sia viziata per insufficienza dell’impianto accusatorio (sostanzialmente, a suo dire, fondato sull’inversione dell’onere della prova); ha poi dedotto l’imprevedibilità del furto, avvenuto all’interno di una struttura fortificata con accesso interdetto a terzi; la mancanza presso i locali di idonei sistemi di sicurezza e di una cassaforte; ha infine lamentato la mancanza di prova del quantum debeatur, ricostruito presuntivamente sulla base di accertamenti svolti in mancanza di contraddittorio.
 
2.         Ciò posto, premesso che tutti i dipendenti di uffici ed amministrazioni pubbliche sono patrimonialmente responsabili per i danni cagionati all’ente a causa di un loro comportamento doloso o gravemente colposo (art. 1 L. 14.1.1994, n. 20 e succ. mod.), occorre poi chiarire che, nella presente fattispecie, la tipologia di responsabilità è qualificata come contabile, poichè derivante dal maneggio di denaro e beni di pertinenza erariale (art. 74 e segg. del R.D. 18.11.1923, n. 2440 – legge di contabilità generale dello Stato; art. 178 e segg. del R.D. 23.5.1924, n. 827 – regolamento di contabilità generale dello Stato).
 
La su detta forma di responsabilità, come noto, costituisce una species rispetto al più ampio genus della responsabilità amministrativa patrimoniale, con la quale ha peraltro in comune tutti gli elementi costitutivi (condotta antigiuridica; evento dannoso; nesso eziologico; elemento soggettivo). Coloro che vi sono soggetti vengono appunto denominati agenti contabili (per distinguerli dai c.d. agenti amministrativi, i quali hanno un potere dispositivo, ma non materiale su quei beni o valori pubblici).
 
Orbene, la configurazione di una particolare forma di responsabilità a carico di una specifica categoria di dipendenti pubblici è giustificata non già in base ad un diverso rapporto che detti dipendenti (gli agenti contabili) hanno con la propria amministrazione, ma al contenuto dell’attività da essi svolta, che determina una peculiare situazione giuridica tra i due soggetti (p.a. e agente), per cui il primo detiene un bene di pertinenza del secondo. In altri termini, l’attività degli agenti contabili comporta il compimento di atti reali su beni pubblici, dei quali il soggetto ha piena disponibilità materiale. Si ricorda, a tale proposito, che la su detta attività, proprio perchè reale (movimento di beni), va adeguatamente documentata: le norme richiedono infatti una rigida formalizzazione di tali movimentazioni, mediante particolari documenti ritenuti idonei a fornire prova della legittimità degli atti compiuti; sulla regolarità della documentazione (e, pertanto, dell’attività sottostante) è poi prevista la pronunzia del Giudice contabile, con il giudizio necessario di conto.
 
L’azione di responsabilità contabile ha allora il suo presupposto nell’inosservanza delle norme (contabili) che impongono al consegnatario di valori o materiali appartenenti alla p.a. di comprovarne, con adeguata documentazione giustificativa, il legittimo esito.
 
3.         Ciò premesso in linea generale, per quel che riguarda più nello specifico la presente vicenda, va ricordato che la norma fondamentale, in tema di responsabilità contabile, è l’art. 194 del R.D. n. 827/1924, cit., secondo il quale "Le mancanze, deteriorazioni o diminuzioni di denaro o di cose mobili avvenute per causa di furto, di forza maggiore o di naturale deperimento, non sono ammesse a discarico degli agenti contabili, se essi non esibiscono le giustificazioni … e non comprovano che ad essi non sia imputabile il danno".
 
Tale disposizione, secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza contabile ormai da tempo, secondo un indirizzo interpretativo che risale alla sentenza n. 54/1957 delle SS.RR., non ha inteso porre un principio di inversione dell’onere probatorio nel giudizio di responsabilità contabile, come anche l’appellante odierno lamenta. Ed infatti, l’obbligo del contabile di dar conto della sua gestione è motivato non già da una sua presunzione di responsabilità, bensì da uno specifico obbligo di status del soggetto, che maneggia denaro e valori pubblici; in altri termini, l’eventuale responsabilità deriva dall’esservi una differenza tra il valore di cui il contabile dovrebbe rendere conto e quello di cui effettivamente è in grado di disporre, secondo i principi generali che in campo civilistico regolano le obbligazioni c.d. di restituzione (es. il deposito).
 
Non esiste quindi, nella fattispecie, alcuna deviazione alla regola generale processualcivilistica sull’onere probatorio in giudizio, spettando sempre al P.M. l’onere di provare i fatti costitutivi la domanda attrice (rapporto contabile e mancata restituzione dei valori); la stessa prova del caso fortuito o della forza maggiore, da parte del convenuto, non costituirebbe prova liberatoria, bensì prova di fatti impeditivi che si oppongono alla pretesa dell’amministrazione: cfr. Corte dei conti, SS.RR., sentenze nn. 610/1989 e 650/1990.
 
4.         Ma in ogni caso, anche a non voler considerare le su dette, severe disposizioni in materia di gestione contabile – norme, si ripete, del tutto assimilabili a quelle operanti nel campo privato – non può non concordarsi con quanto fatto presente dal PM nell’atto conclusionale, laddove si rimproverano all’appellante diverse irregolarità e gravi negligenze, che hanno favorito in misura decisiva la commissione degli illeciti che hanno determinato il danno per il quale è causa: il trattenimento di un importo di svariati milioni di lire presso l’ufficio (anziché depositato sul conto corrente postale o in banca), e per di più conservato in una semplice cassetta metallica anziché in una cassaforte; la stessa contabilità analitica contenuta in un unico PC (quello rubato il giorno prima della verifica di cassa!), senza copie cartacee o informatiche; il computer e la stampante, a loro volta, tenuti in locali privi di qualsivoglia dispositivo di sicurezza (lo stesso appellante ha parlato di porte mal funzionanti, infissi che si forzavano facilmente, etc.): tutte queste circostanze, lungi dal diminuire la responsabilità del gestore, valgono anzi ad aggravare la sua colpa, sotto il profilo della massima negligenza, tenuto anche conto del fatto che tali condizioni di insicurezza dei locali non risultano essere mai state da lui denunziate.
 
5.         Le su dette considerazioni portano anche ad escludere nettamente che possa attribuirsi un qualche rilievo alla presunta imprevedibilità del furto avvenuto, pure dedotta da parte appellante.
 
Ed infatti, secondo quanto appena esposto, appare evidente il diretto nesso di causalità tra la disinvolta gestione sopra sinteticamente descritta e la successiva consumazione dei furti in questione da parte di ignoti, facilitati oltre ogni loro aspettativa dallo scriteriato assetto logistico dell’ufficio. La stessa giurisprudenza di questa Corte dei conti, in casi analoghi, ha costantemente ritenuto la piena responsabilità dei soggetti convenuti per la loro negligenza organizzativa o gestionale: cfr., tra le altre, Sezione II^ cont., sentenza 6.12.1993, n. 303; Sezione II^ app., 7.11.2002, n. 337; Sezione giurisdizionale Emilia-Romagna, 12.11.1998, n. 954; Sezione giurisdizionale Lombardia, 7.5.2002, n. 916; Sezione giurisdizionale Umbria, 26.4.2003, n. 147; Sezione giurisdizionale Veneto, 14.3.2007, n. 217.
 
A tale riguardo, occorre ribadire che in materia di responsabilità contabile, per giustificare la pretesa restitutoria della p.a., è sufficiente il difetto di corrispondenza tra carico e scarico, unito alla mancanza di esimente per il contabile (Sezione II, n. 165/1986; id., n. 71/1992; Sezione Piemonte, n. 324/1998); in tali evenienze – ha precisato sempre la giurisprudenza contabile – la responsabilità del consegnatario può essere esclusa solamente qualora sia dimostrato che il danno erariale sia derivato da forza maggiore o, comunque, da evento non riconducibile al convenuto (Sezione I, n. 82/1989): evenienze che nel caso di specie, per quanto appena chiarito, certamente non ricorrono, risultando anzi del tutto evidente la leggerezza e la grave inosservanza dei doveri d’ufficio che hanno caratterizzato il comportamento del tesoriere – consegnatario, e la conseguente responsabilità che su di lui deve ricadere per la scomparsa dei valori in questione.
 
6.         Vanno infine respinte le residue deduzioni dell’appellante, relative alla mancanza di esperienza gestionale da parte sua (inesperienza chiaramente irrilevante, alla luce delle su descritte, macroscopiche negligenze, per evitare le quali non era necessaria alcuna particolare professionalità, ma semplicemente un briciolo di buon senso), ovvero alla mancata irrogazione di sanzioni disciplinari (circostanza anch’essa del tutto ininfluente, data la diversità dei parametri che presiedono alle due diverse forme di responsabilità).
 
Un cenno, da ultimo, alla dedotta mancanza di prova certa del quantum debeatur, in quanto calcolato in via presuntiva e senza contraddittorio.
 
Al riguardo, vale appena il caso di chiarire che ciò interessa, nella presente sede contabile, è l’esattezza della quantificazione operata nella sentenza impugnata. E, a tale riguardo, nessun dubbio sussiste in merito alla piena correttezza del ricorso, per una determinazione giusta e ragionevole sul punto, alla valutazione equitativa di cui all’art. 1226 del c.c., norma alla quale come noto si fa riferimento nelle ipotesi in cui sia stata raggiunta la prova dell’esistenza di un danno ma, nel contempo, la precisa determinazione di esso risulti impossibile o particolarmente difficile. Tale fondamentale istituto, di carattere generale, è pacificamente applicabile nei giudizi di responsabilità innanzi a questa Corte dei conti, ed è spesso utilizzato, ad esempio, in fattispecie di danno consistente in minori entrate o (come nel caso di specie) nella perdita di valori di incerto ammontare: Corte dei conti, Sezioni Riunite, 20.9.1988, n. 591; id., 14.1.1992, n. 742; Sezione I app., 30.5.1996, n. 39; Sezione giurisdizionale Lazio, 13.1.2004, n. 52.
 
Nel caso di specie, come ricordato dal Procuratore generale, l’importo di €. 56.280,15476 (relativo agli utili da versare), è stato elaborato dagli ispettori in via presuntiva, sulla base della media degli utili accertati nei periodi precedenti; tale operazione – tenuto conto dell’assenza di ogni contabilità ufficiale, proprio a causa delle negligenze del gestore – appare del tutto ragionevole, né il convenuto, nel corso dell’istruttoria o del giudizio di primo grado, è stato in condizione di smentirla o di proporre parametri maggiormente attendibili.
 
7.         In conclusione, l’appello deve essere rigettato, con piena conferma delle statuizioni di cui all’impugnata sentenza di primo grado.
 
Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza.
 
P.   Q.   M.
 
La Corte dei conti – Sezione giurisdizionale centrale prima di appello, definitivamente pronunziando, ogni contraria istanza ed eccezione reiette,
 
RESPINGE
 
l’appello di cui in epigrafe, con conseguente conferma dell’impugnata sentenza n. 251/05 dell’11.04.2005 della Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la regione Lombardia.
 
Le spese del doppio grado di giudizio, quantificate nell’importo di euro 305,74 (euroTrecentocinque/74) seguono la soccombenza.
 
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del giorno 20 novembre 2007.
 
L’ESTENSORE
 
F.to Piergiorgio Della Ventura
 
IL PRESIDENTE
 
F.to Vito Minerva
 
 
 
 
 
Depositata in Segreteria
 
il …18/3/2008………………………….
 
Il Dirigente
 
 
                         F.to Maria FIORAMONTI

Lazzini Sonia

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento