In tema di responsabilità civile extracontrattuale della pa è compito dell ’amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile in caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, di formulazione incert

Lazzini Sonia 01/02/07
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La decisone numero 6680 del 9 novembre 2006 emessa dal Consiglio di Stato merita di essere segnalata innanzitutto per l’interessante distinzione in essa contenuta fra elementi soggetti ed oggettivi dell’illecito extracontrattuale in capo alla pa:
 
Con riguardo alla responsabilità della pubblica amministrazione per i danni causati dall’esercizio illegittimo dell’attività amministrativa, questa Sezione ha già aderito a quell’orientamento favorevole a restare all’interno dei più sicuri confini dello schema e della disciplina della responsabilità aquiliana, che rivelano una maggiore coerenza della struttura e delle regole di accertamento dell’illecito extracontrattuale con i caratteri oggettivi della lesione di interessi legittimi e con le connesse esigenze di tutela
 
     Sotto il profilo dell’elemento oggettivo, è evidente che il danno, consistente nella mancata aggiudicazione dell’appalto, costituisce una diretta conseguenza dell’illegittimità accertata, in quanto in assenza dell’(illegittimo) giudizio negativo sulla congruità delle giustificazioni presentate in sede di verifica dell’anomalia, la ricorrente (prima classificata) si sarebbe aggiudicata l’appalto>
 
 
Mentre per quanto concerne gli elementi soggettivi:
 
< Per quanto concerne, l’elemento soggettivo, sulla base dei richiamati precedenti giurisprudenziali, va ribadito che non è comunque richiesto al privato danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo un particolare sforzo probatorio per dimostrare la colpa della p.a.. Infatti, pur non essendo configurabile, in mancanza di una espressa previsione normativa, una generalizzata presunzione (relativa) di colpa dell’amministrazione per i danni conseguenti ad un atto illegittimo o comunque ad una violazione delle regole, possono invece operare regole di comune esperienza e la presunzione semplice, di cui all’art. 2727 c.c., desunta dalla singola fattispecie.
 
     Il privato danneggiato può, quindi, invocare l’illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa o anche allegare circostanze ulteriori, idonee a dimostrare che si è trattato di un errore non scusabile.
 
     Spetterà a quel punto all’amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile in caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata.
 
     Si deve, peraltro, tenere presente che molte delle questioni rilevanti ai fini della scusabilità dell’errore sono questioni di interpretazione ed applicazione delle norme giuridiche, inerenti la difficoltà interpretativa che ha causato la violazione; in simili casi il profilo probatorio resta in larga parte assorbito dalla questio iuris, che il giudice risolve autonomamente con i propri strumenti di cognizione in base al principio iura novit curia.
 
     Spetta, quindi, al giudice valutare, in relazione ad ogni singola fattispecie, la presunzione relativa di colpa, che spetta poi all’amministrazione vincere; inoltre, in assenza di discrezionalità o in presenza di margini ridotti di essa, le presunzioni semplici di colpevolezza saranno più facilmente configurabili, mentre in presenza di ampi poteri discrezionali ed in assenza di specifici elementi presuntivi, sarà necessario uno sforzo probatorio ulteriore, gravante sul danneggiato, che potrà ad esempio allegare la mancata valutazione degli apporti resi nella fase partecipativa del procedimento o che avrebbe potuto rendere se la partecipazione non è stata consentita.>
 
 
Relativamente inoltre alla quantificazione del danno, i giudici di Palazzo Spada sottolineano che:
 
< la giurisprudenza ha anche precisato che il danno derivante ad una impresa dal mancato affidamento di un appalto è quantificabile nella misura dell’utile non conseguito, solo se e in quanto l’impresa possa documentare di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze, lasciati disponibili, per l’espletamento di altri servizi, mentre quando tale dimostrazione non sia stata offerta (come nel caso di specie) è da ritenere che l’impresa possa avere ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri, analoghi servizi, così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità, con conseguente riduzione in via equitativa del danno risarcibile>
 
a cura di Sonia Lazzini
 
 
 
 
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
 
DECISIONE
 
sul ricorso in appello proposto da Ingg. ** e ** s.p.a. (già denominata Impresa di costruzioni Ingg. ** e ** s.p.a.), in proprio e quale mandataria della costituenda A.T.I. con la ** Impianti s.p.a. e con la ** Società Impiantistica Bolognese s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’ avv.to Fabio Roversi Monaco e Gualtiero Pittalis, ed elettivamente domiciliato presso lo studio di Gian Marco Grez, in Roma, Lungotevere Flaminio, n. 46;
 
contro
 
Università degli studi di Catanzaro “Magna Grecia”, in persona del legale rappresentante pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato presso la stessa in Roma via dei Portoghesi n. 12;
 
e nei confronti
 
** Costruzioni s.p.a., non costituitasi in giudizio;
 
per l’annullamento
 
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Sezione I, n. 535/2002;
 
     Visto il ricorso con i relativi allegati;
 
     Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Università;
 
     Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
 
     Visti gli atti tutti della causa;
 
     Alla pubblica udienza dell’11-7-2006 relatore il Consigliere Roberto Chieppa.
 
     Uditi l’avv. Pittalis e l’avv. dello Stato Vessichelli;
 
     Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
 
F A T T O    E    D I R I T T O
 
     1. Con bando del 1° dicembre 1999, l’Università degli studi di Catanzaro indiceva una licitazione privata per l’appalto dei lavori relativi alla realizzazione della nuova sede della Facoltà di Medicina e Chirurgia, II° lotto, dell’Università medesima.
 
     Sulla base delle offerte economiche presentate dalle dieci imprese partecipanti ed ammesse alla gara, la Commissione formava la graduatoria; al primo posto si classificava la ATI ** e ** s.p.a., ** Impianti s.p.a. e ** Società s.p.a. (con un ribasso del 24,56%) e poi seguivano la ATI Ing. Fortunato ** (con un ribasso del 16,97%), la ATI ** Costruzioni s.p.a. (con un ribasso del 15,75%) ed altre imprese.
 
     La soglia di anomalia era individuata nella misura del 16,97 % e, all’esito della verifica della congruità delle offerte, il Consiglio di Amministrazione dell’Università, sulla scorta delle valutazioni espresse dalla Commissione, concludeva per l’inequivocabile anomalia delle offerte presentate dalle prime due classificate.
 
     Dopo un primo annullamento in sede giurisdizionale di tale giudizio, il Consiglio di Amministrazione dell’Università, sulla base delle verifiche dell’Ufficio tecnico, confermava la valutazione di non congruità delle giustificazione addotte dalle prime due classificate ed aggiudicava la gara all’ATI ** Costruzioni s.p.a..
 
     La Ingg. ** e ** s.p.a., in proprio e quale mandataria della costituenda A.T.I., proponeva ricorso al Tar per la Calabria avverso gli atti conclusivi del procedimento di verifica dell’anomalia e avverso la conseguente aggiudicazione della gara alla controinteressata, chiedendo anche il risarcimento del danno subito per la mancata aggiudicazione dell’appalto.
 
     Con l’impugnata sentenza il Tar respingeva il ricorso, rilevando che:
 
     – fermo restando l’obbligo di motivazione della esclusione delle offerte anomale, la verifica in ordine all’anomalia dell’offerta in una gara d’appalto di opera pubblica costituisce valutazione attinente all’esercizio di una potestà discrezionale dell’Autorità amministrativa, non sindacabile in sede di legittimità se non per aspetti di manifesta irrazionalità e di travisamento del fatto;
 
     – nel giudizio sull’anomalia dell’offerta, la Pubblica amministrazione deve valutare che il ribasso offerto, ancorché congruo sotto astratti profili economico imprenditoriali, non sia, tuttavia, tale da incidere negativamente sul livello della prestazione offerta, che ovviamente non può scendere oltre un limite invalicabile, che solo l’Amministrazione stessa è in condizione di potere tecnicamente valutare;
 
     – in sede di gara pubblica per l’aggiudicazione di un appalto di opera pubblica, l’amministrazione gode di ampia discrezionalità nel determinare i prezzi sui quali fondare il proprio giudizio di congruità dell’offerta;
 
     – nella procedura in esame, vi erano scostamenti particolarmente significativi tra il prezzo offerto e il prezzo di giustifica, indicato dall’amministrazione, con riferimento ad importanti voci di prezzo, senza che la rilevata incongruenza sia stata adeguatamente giustificata dalle ricorrenti;
 
     – in conclusione, il giudizio dell’Amministrazione non è viziato da quella manifesta irrazionalità e da quel palese travisamento del fatto, che soli consentono al giudice amministrativo di esercitare il proprio sindacato.
 
     Avverso tale sentenza la Ingg. ** e ** s.p.a., in proprio e quale mandataria della costituenda A.T.I., ha proposto appello per i motivi esaminati in seguito, riproponendo anche la domanda di risarcimento del danno.
 
     L’Università degli studi di Catanzaro “Magna Grecia” si è costituita in giudizio, chiedendo la reiezione del ricorso, mentre non si è costituita la controinteressata aggiudicataria della gara.
 
     Con ordinanza n. 905/2006 questa Sezione disponeva una Consulenza tecnica di ufficio al fine di accertare sulla base della documentazione presente nel fascicolo o fornita dalle parti:
 
     a) la congruità dei criteri in base a cui è stato determinato il c.d. “prezzo di giustifica”, utilizzato dall’amministrazione ai fini della verifica dell’anomalia dell’offerta con particolare riferimento all’attendibilità di tali prezzi e alla congruità con il prezzo posto a base di gara;
 
     b) la congruità e la adeguatezza delle giustificazioni fornite dall’impresa ricorrente in sede di gara, sia con riferimento alle singole voci valutate sia con riguardo all’offerta nel suo complesso;
 
     c) l’esistenza di elementi giustificativi delle percentuali con cui sono state calcolate le spese generali;
 
     d) la quantificazione dell’utile dell’impresa ricorrente, ricavabile dall’offerta presentata e dalle giustificazioni fornite in sede di verifica dell’anomalia.
 
     Espletata la consulenza, all’odierna udienza la causa veniva trattenuta in decisione.
 
     2. L’oggetto della presente controversia è costituito in primo luogo dal giudizio dell’amministrazione, in base a cui l’offerta presentata dalla ricorrente per un appalto di lavori è stata ritenuta anomala.
 
     Come sopra evidenziato, il giudice di primo grado ha ritenuto che tale giudizio fosse sindacabile dal giudice solo entro limiti molto stretti e sostanzialmente si è limitato a prendere atto dello scostamento tra i prezzi offerti dalla ricorrente e i “prezzi di giustifica” indicati dall’amministrazione, senza procedere ad una effettiva verifica delle contestazioni che erano state mosse alle modalità di verifica dell’anomalia e alle conclusioni, cui l’Università era pervenuta.
 
     Deve, invece, ritenersi che l’effettività della tutela giurisdizionale sia garantita solo attraverso un sindacato, anche sull’esercizio della c.d. discrezionalità tecnica, che non sia meramente estrinseco, limitato ad una verifica dell’assenza di palesi travisamenti o di manifeste illogicità.
 
     Infatti, tramontata l’equazione discrezionalità tecnica – merito insindacabile a partire dalla sentenza n. 601/99 della IV Sezione del Consiglio di Stato, il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici della p.a. può oggi svolgersi in base non al mero controllo formale ed estrinseco dell’iter logico seguito dall’autorità amministrativa, bensì alla verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico ed a procedimento applicativo, potendo il giudice utilizzare per tale controllo sia il tradizionale strumento della verificazione, che la CTU (Cons. Stato, VI, n. 2001/2006).
 
     Proprio al fine di esercitare un sindacato più intenso di quello effettuato dal Tar, la Sezione ha ritenuto di disporre una consulenza tecnica di ufficio, ferma restando l’autonoma valutazione da parte del giudice degli esiti della consulenza.
 
     3. Il Consulente tecnico di ufficio ha ritenuto che l’offerta dell’ATI ricorrente fosse in realtà da ritenere congrua, sia con riferimento alle singole voci che nel suo complesso.
 
     E’ stato, in particolare, evidenziato che il c.d. “prezzo di giustifica”, utilizzato dall’amministrazione ai fini della verifica dell’anomalia dell’offerta, oltre a contrastare con i principi che regolano i meccanismi di gara di appalti pubblici, non è stato in concreto fondato su elementi attendibili, ponendosi anche in contraddizione con dati posti a base di gara.
 
     Il consulente ha anche spiegato le ragioni per le quali le giustificazioni addotte dall’ATI ricorrente dovevano invece essere ritenute congrue ed adeguate, anche con riferimento alla percentuale del 6%, considerata dall’ATI per le spese generali.
 
     E’ stato, infine, indicata nella misura del 4 % la quantificazione dell’utile dell’impresa ricorrente, ricavabile dall’offerta presentata e dalle giustificazioni fornite in sede di verifica dell’anomalia (pari ad un importo di utile d’impresa pari ad euro 936.295,41).
 
     Il Collegio ritiene di condividere le conclusioni della CTU.
 
     Innanzitutto, il giudizio di anomalia effettuato dall’Università è stato influenzato dall’adozione di un metodo non corretto: quello della determinazione, per un appalto a corpo, di “prezzi di giustifica”, che hanno costituito il parametro per valutare gli scostamenti rispetto ai prezzi indicati dalla ricorrente; lo scostamento dal prezzo di giustifica ha poi integrato la principale ragione del giudizio di anomalia dell’offerta.
 
     Procedendo in tal modo l’amministrazione ha sostanzialmente individuato un c.d. “prezzo giusto”, in base al quale ha condotto tutto il sub-procedimento di verifica dell’anomalia.
 
     Da un lato, le determinazione del prezzo di giustifica non è stata fondata su dati attendibili, ed anzi come evidenziato dal Ctu, si è posta in contraddizioni con elementi posti a base della gara.
 
     Dall’altro lato, tale metodo ha finito per rendere estremamente difficile giustificare l’offerta e ha condotto l’amministrazione a dare minimo rilievo alle reali giustificazioni addotte dalla ricorrente.
 
     Dalla consulenza è, invece, emersa la fondatezza di tali giustificazioni sia con riferimento alle singole voci, compresa la percentuale di spese generali, sia con riguardo all’offerta nel suo complesso.
 
     Deve, quindi, ritenersi che il contestato giudizio di anomalia sia illegittimo, in quanto fondato su un metodo non corretto e sulla determinazione di “prezzi di giustifica” non attendibili e contrastanti con altri dati utilizzati nella gara e che, invece, le giustificazioni fornite dalla ricorrente non sono state adeguatamente valutate ed erano idonee a giustificare il ribasso offerto.
 
     4.1. Accertata l’illegittimità del giudizio di anomalia e della conseguente aggiudicazione dell’appalto alla controinteressata, deve a questo punto essere esaminata la domanda risarcitoria.
 
     Infatti, l’appalto è stato ormai interamente eseguito dalla controinteressata e la tutela della ricorrente non può che avvenire nella forma del risarcimento per equivalente.
 
     Si rileva che sussistono tutti i presupposti per il riconoscimento della responsabilità dell’Università.
 
     Con riguardo alla responsabilità della pubblica amministrazione per i danni causati dall’esercizio illegittimo dell’attività amministrativa, questa Sezione ha già aderito a quell’orientamento favorevole a restare all’interno dei più sicuri confini dello schema e della disciplina della responsabilità aquiliana, che rivelano una maggiore coerenza della struttura e delle regole di accertamento dell’illecito extracontrattuale con i caratteri oggettivi della lesione di interessi legittimi e con le connesse esigenze di tutela, (Cons. Stato, VI, 23 giugno 2006 n. 3981; IV, 6 luglio 2004 n. 5012; 10 agosto 2004 n. 5500).
 
     Sotto il profilo dell’elemento oggettivo, è evidente che il danno, consistente nella mancata aggiudicazione dell’appalto, costituisce una diretta conseguenza dell’illegittimità accertata, in quanto in assenza dell’(illegittimo) giudizio negativo sulla congruità delle giustificazioni presentate in sede di verifica dell’anomalia, la ricorrente (prima classificata) si sarebbe aggiudicata l’appalto.
 
     4.2. Per quanto concerne, l’elemento soggettivo, sulla base dei richiamati precedenti giurisprudenziali, va ribadito che non è comunque richiesto al privato danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo un particolare sforzo probatorio per dimostrare la colpa della p.a.. Infatti, pur non essendo configurabile, in mancanza di una espressa previsione normativa, una generalizzata presunzione (relativa) di colpa dell’amministrazione per i danni conseguenti ad un atto illegittimo o comunque ad una violazione delle regole, possono invece operare regole di comune esperienza e la presunzione semplice, di cui all’art. 2727 c.c., desunta dalla singola fattispecie.
 
     Il privato danneggiato può, quindi, invocare l’illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa o anche allegare circostanze ulteriori, idonee a dimostrare che si è trattato di un errore non scusabile.
 
     Spetterà a quel punto all’amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile in caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata.
 
     Si deve, peraltro, tenere presente che molte delle questioni rilevanti ai fini della scusabilità dell’errore sono questioni di interpretazione ed applicazione delle norme giuridiche, inerenti la difficoltà interpretativa che ha causato la violazione; in simili casi il profilo probatorio resta in larga parte assorbito dalla questio iuris, che il giudice risolve autonomamente con i propri strumenti di cognizione in base al principio iura novit curia.
 
     Spetta, quindi, al giudice valutare, in relazione ad ogni singola fattispecie, la presunzione relativa di colpa, che spetta poi all’amministrazione vincere; inoltre, in assenza di discrezionalità o in presenza di margini ridotti di essa, le presunzioni semplici di colpevolezza saranno più facilmente configurabili, mentre in presenza di ampi poteri discrezionali ed in assenza di specifici elementi presuntivi, sarà necessario uno sforzo probatorio ulteriore, gravante sul danneggiato, che potrà ad esempio allegare la mancata valutazione degli apporti resi nella fase partecipativa del procedimento o che avrebbe potuto rendere se la partecipazione non è stata consentita.
 
     Va, infine, precisato che alcun elemento contrario alla effettuata ricostruzione della nozione di colpa della p.a. può trarsi dalla giurisprudenza comunitaria.
 
     Con una recente sentenza la Corte di Giustizia ha sanzionato lo Stato del Portogallo per aver subordinato la condanna al risarcimento dei soggetti lesi in seguito alle violazioni del diritto comunitario che regolano la materia dei pubblici appalti alla allegazione della prova, da parte dei danneggiati, che gli atti illegittimi dello Stato o degli enti di diritto pubblico siano stati commessi colposamente o dolosamente (Corte Giust., 14 ottobre 2004, C-275/03).
 
     Tuttavia, tale decisione appare riferirsi all’onere della prova in relazione all’elemento soggettivo della responsabilità della p.a. e non alla esigenza di accertare la responsabilità, prescindendo dalla colpa dell’amministrazione.
 
     Come illustrato, nell’ordinamento italiano la possibilità per il privato danneggiato di utilizzare presunzioni pone sostanzialmente a carico della p.a. l’onere di dimostrare l’esistenza di un errore scusabile, senza alcuna lesione, quindi, dei principi comunitari.
 
     Inoltre, va considerato che la stessa Corte di Giustizia, pur non facendo riferimento alla nozione di colpa della p.a., utilizza, a fini risarcitori, il criterio della manifesta e grave violazione del diritto comunitario, sulla base degli stessi elementi, descritti in precedenza e utilizzati nel nostro ordinamento per la configurabilità dell’errore scusabile (Corte Giust. CE, 5 marzo 1996, C- 46 e 48/93, Brasserie du Pecheur, in cui, al punto 78, viene riconosciuto che alcuni degli elementi indicati per valutare se vi sia violazione manifesta e grave sono riconducibili alla nozione di colpa nell’ambito degli ordinamenti giuridici nazionali).
 
     4.3. Precisata la nozione di colpa della p.a., si tratta ora di applicare i suesposti principi alla fattispecie in esame.
 
     Nel caso di specie, dalla disposta CTU è emerso che l’amministrazione ha utilizzato un metodo di verifica dell’anomalia “manifestamente irrazionale”, individuando i “prezzi di giustifica” in maniera contraddittoria rispetto agli stessi dati posti a base della gara e valutando in modo non corretto le giustificazioni fornite dalla ricorrente.
 
     Si tratta di evidenti errori, che in alcun modo possono essere ritenuti scusabili e ciò conduce a ritenere sussistente l’elemento della colpa dell’Università appellata.
 
     4.4. Sotto il profilo della quantificazione del danno, la ricorrente ha indicato il criterio del 10 % dell’offerta presentata, quale utile presunto che l’impresa avrebbe tratto dall’aggiudicazione dell’appalto.
 
     Tale criterio, che è meramente presuntivo, non può essere utilizzato nel caso di specie, in cui proprio in sede di verifica dell’anomalia dell’offerta, è stato pos**ile accertare quale era l’utile che l’impresa ricorrente avrebbe conseguito in caso di esecuzione dei lavori.
 
     Tale utile è stato indicato dal Ctu nella misura del 4%, pari ad un importo di euro 936.295,41.
 
     Tuttavia, la giurisprudenza ha anche precisato che il danno derivante ad una impresa dal mancato affidamento di un appalto è quantificabile nella misura dell’utile non conseguito, solo se e in quanto l’impresa possa documentare di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze, lasciati disponibili, per l’espletamento di altri servizi, mentre quando tale dimostrazione non sia stata offerta (come nel caso di specie) è da ritenere che l’impresa possa avere ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri, analoghi servizi, così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità, con conseguente riduzione in via equitativa del danno risarcibile, (Cons. Stato, V, 24 ottobre 2002 n. 5860).
 
     In applicazione di detto principio, il danno risarcibile deve essere equitativamente ridotto di un terzo e risulta così corrispondere a Euro 624.196,94, attualizzato ad oggi ed aumentato sempre in via equitativa, ad Euro 635.000,00 in considerazione dell’ulteriore danno, consistente nell’incidenza del mancato svolgimento del rapporto con la p.a. sui requisiti di qualificazione e di valutazione, invocabili in successive gare.
 
     Non devono invece essere riconosciute come voce risarcitoria autonoma le spese sostenute per la partecipazione alla gara, in quanto assorbite dalla percentuale di utile riconosciuta in precedenza.
 
     L’Università appellata deve quindi essere condannata al risarcimento della somma di Euro 635.000,00 a titolo di risarcimento del danno.
 
     5. In conclusione, l’appello deve essere accolto con conseguente riforma della sentenza di primo grado ed accoglimento del ricorso di primo grado nei termini indicati in precedenza.
 
     Alla soccombenza dell’Università seguono le spese di giudizio e della CTU, nella misura indicata in dispositivo.
 
P. Q. M.
 
     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie il ricorso in appello e, per l’effetto in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado.
 
     Condanna l’Università degli Studi di Catanzaro al risarcimento del danno nella misura indicata in parte motiva.
 
     Liquida al CTU la somma di EURO 9.000,00, oltre IVA e CP., ponendo l’intera somma a carico dell’Università.
 
     Condanna l’Università alla rifusione delle spese di giudizio nella misura di EURO 5.000,00, oltre a IVA e CP..
 
     Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
 
     Così deciso in Roma, in data 11-7-2006 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l’intervento dei Signori:
 
Giorgio **     Presidente
 
Sabino Luce      Consigliere
 
Lanfranco Balucani     Consigliere
 
Domenico Cafini     Consigliere
 
Roberto Chieppa     Consigliere Est.
 
 
Presidente
 
GIORGIO **
 
Consigliere       Segretario
 
ROBERTO CHIEPPA     VITTORIO ZOFFOLI
 
 
 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
 
 
il…09/11/2006
 
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
 
Il Direttore della Sezione
 
MARIA RITA OLIVA
 
 
 
CONSIGLIO DI STATO
 
In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta)
 
 
Addì……………………………..copia conforme alla presente è stata trasmessa 
 
 
al Ministero………………………………………………………………………………….
 
 
a norma dell’art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642
                                    Il Direttore della Segreteria
N.R.G. 3326/2002
FF
 

Lazzini Sonia

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