In tema di diniego di autorizzazione al subappalto sulla base dell’informativa antimafia di una prefettura da cui risulta che, pur non essendo presenti cause di divieto, di decadenza o di sospensione dei procedimenti di cui all’art. 10 della L. n. 575/65,

Lazzini Sonia 10/07/08
Scarica PDF Stampa
L’art. 4 del D.Lgs. n. 490/94, al primo comma, richiede che le pubbliche amministrazioni degli enti pubblici e gli altri soggetti di cui all’art. 1 (società o imprese comunque controllate dallo stato o da altro ente pubblico) acquisiscano informazioni concernenti la sussistenza o meno, a carico dei soggetti responsabili dell’impresa, di cause di divieto o di sospensione dei procedimenti, nonchè informazioni relative ad eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate; ciò al fine di agevolare l’azione di contrasto della criminalità organizzata attraverso un più adeguato rimedio amministrativo che si aggiunge agli strumenti di prevenzione già affidati alla giurisdizione penale._Conseguentemente, l’informazione prefettizia antimafia si atteggia come tipica misura cautelare e preventiva che si affianca alle misure di prevenzione di natura giurisdizionale e prescinde dall’accertamento, in sede penale, di reati connessi alla criminalità organizzata._La speciale natura “ a tutela avanzata” della normativa vigente, emanata per contrastare il fenomeno della criminalità organizzata, comporta che non occorre nè la prova dei fatti di reato, né dell’effettiva infiltrazione nell’impresa, né dell’effettivo condizionamento, essendo sufficiente il tentativo di infiltrazione diretto a condizionare le scelte dell’impresa, anche se tale scopo non si è realizzato in concreto
 
Merita di essere segnalato il seguente passaggio tratto dalla decisione numero del 2512 del 27 maggio 2008
 
<le valutazioni, da parte dell’autorità prefettizia, degli elementi assunti dalle fonti di informazione rientrano in un ambito di alta discrezionalità e non sono, in quanto tali, assoggettabili a sindacato giurisdizionale, se non quando appaiono viziate da manifesta illogicità ed irragionevolezza.
 
In particolare, il tentativo di infiltrazione, che è da solo sufficiente a giustificare la misura interdittiva, non può essere escluso limitandosi alla verifica dell’attendibilità di un singolo elemento di fatto pervenuto dalle fonti di informazione, ma deve, al contrario, desumersi dal quadro complessivo degli elementi segnalati e va valutato in una visione globale della situazione in esame.
 
Su questo sfondo normativo e giurisprudenziale si colloca la situazione della società ALFA che, in base alle risultanze delle attività investigative, rappresenta un possibile obiettivo di penetrazione e di controllo da parte di associazioni criminali di stampo mafioso.
 
Alla luce di tali considerazioni, le doglianze della società appellante devono ritenersi infondate in quanto le risultanze promosse dagli uffici investigativi hanno confermato, nei confronti della società ricorrente, la sussistenza degli elementi di cui all’art. 10, co. 2 e 7, lett c) del DPR n. 252/98 rilevati in conto della società ALFA di Madonna Michelangelo.
 
Come correttamente ritenuto dalla sentenza impugnata, non merita censura l’operato delle Forze dell’ordine che hanno ravvisato, nel passaggio delle quote a favore della signora Marianna Cangiano, moglie dell’attuale socio accomandatario, un mero espediente per aggirare la vigente normativa antimafia e che, pertanto, dovesse ritenersi confermata la decisione anche nei confronti della ALFA di Giusti D..
 
Del resto, come si evince dalla nota del 3 settembre 2002 del servizio Ispezione del lavoro, “la società ha continuato l’attività in essere al momento della cessione della quota di partecipazione da parte di Michelangelo Madonna”, modificando la sola ragione sociale.>
 
In conclusione quindi
 
<è da ritenere pienamente legittimo l’operato dell’amministrazione, che è pervenuta alle conclusioni espresse nel provvedimento impugnato sulla base di criteri di logicità e coerenza e di un’ampia e dettagliata attività istruttoria espletata dalle forze dell’ordine.>
 
A cura di Sonia Lazzini
REPUBBLICA ITALIANA    
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO  
N.2512/08 REG. DEC
N. 6985 REG. RIC.
ANNO: 2004
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione         
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
Sul ricorso in appello n. 6985/2004 del 21/07/2004, proposto dalla ALFA S.A.S. DI D. GIUSTI rappresentata e difesa dagli avvocati DONATELLA RESTA e PAOLO VAIANO con domicilio eletto in Roma, LUNGOTEVERE MARZIO 3 presso l’avv. PAOLO VAIANO
contro
il MINISTERO DELL’INTERNO rappresentato e difeso dall’Avv. SERGIO SABELLI con domicilio in Roma, VIA DEI PORTOGHESI 12 presso l’AVVOCATURA GEN. STATO
il COMUNE DI POZZUOLI non costituitosi;
il COMANDO NUCLEO PROV. POLIZIA TRIBUTARIA DI CASERTA non costituitosi;
e nei confronti
dell’ IMPRESA PEZZELLA RAFFAELE non costituitasi;
    per la riforma
della sentenza del TAR CAMPANIA – NAPOLI :Sezione I n. 8790/2004, resa tra le parti, concernente GARA PER LAVORI DI MANUTENZIONE DELLA SEDE STRADALE E MARCIAPIEDI;
Visto l’atto di appello con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del MINISTERO DELL’INTERNO;
Viste le memorie difensive;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 21 Aprile 2006, relatore il Consigliere Adolfo Metro;
Uditi, altresì, gli avvocati Diego Vaiano per delega di Paolo Vaiano, e G. Novello per delega di Sabelli;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
L’impresa del geom. Pezzella, aggiudicataria della gara di appalto indetta dal Comune di Pozzuoli per lavori di manutenzione della sede stradale, affidò in subappalto tali lavori alla soc. ALFA, di Giusti D., previa autorizzazione del Comune.
Successivamente il Comune revocò l’autorizzazione sulla base dell’informativa antimafia della prefettura di Caserta, pervenuta successivamente, da cui risultava che, pur non essendo presenti cause di divieto, di decadenza o di sospensione dei procedimenti di cui all’art. 10 della L. n. 575/65, sussistevano, tuttavia, tentativi di infiltrazione mafiosa della criminalità organizzata, tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi di tale società, ossia cause interdittive ai sensi dell’art. 4 del D.Lgs n. 490/94.
Con l’appello in esame la ALFA ha impugnato la sentenza, che ha respinto il ricorso proposto avverso tale provvedimento, sostenendo che le affermazioni contenute nell’atto impugnato si basano su presupposti inesistenti e su illazioni prive di riscontri fattuali.
In particolare, l’appellante insiste nella tesi della non identificabilità della soc ALFA di Giusti D. con quella precedente, appartenente al sig. Michelangelo M., già indagato per rapporti di amicizia con clan malavitosi e che aveva ceduto la sua quota alla moglie del sig. D..
L’amministrazione, costituitasi in giudizio, con ampia memoria ha controdedotto ai suindicati motivi di appello.
DIRITTO
L’appello è infondato.
L’art. 4 del D.Lgs. n. 490/94, al primo comma, richiede che le pubbliche amministrazioni degli enti pubblici e gli altri soggetti di cui all’art. 1 (società o imprese comunque controllate dallo stato o da altro ente pubblico) acquisiscano informazioni concernenti la sussistenza o meno, a carico dei soggetti responsabili dell’impresa, di cause di divieto o di sospensione dei procedimenti, nonchè informazioni relative ad eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate; ciò al fine di agevolare l’azione di contrasto della criminalità organizzata attraverso un più adeguato rimedio amministrativo che si aggiunge agli strumenti di prevenzione già affidati alla giurisdizione penale.
Conseguentemente, l’informazione prefettizia antimafia si atteggia come tipica misura cautelare e preventiva che si affianca alle misure di prevenzione di natura giurisdizionale e prescinde dall’accertamento, in sede penale, di reati connessi alla criminalità organizzata.
La speciale natura “ a tutela avanzata” della normativa vigente, emanata per contrastare il fenomeno della criminalità organizzata, comporta che non occorre nè la prova dei fatti di reato, né dell’effettiva infiltrazione nell’impresa, né dell’effettivo condizionamento, essendo sufficiente il tentativo di infiltrazione diretto a condizionare le scelte dell’impresa, anche se tale scopo non si è realizzato in concreto (C.S. n. 1507/04).
Inoltre, le valutazioni, da parte dell’autorità prefettizia, degli elementi assunti dalle fonti di informazione rientrano in un ambito di alta discrezionalità e non sono, in quanto tali, assoggettabili a sindacato giurisdizionale, se non quando appaiono viziate da manifesta illogicità ed irragionevolezza.
In particolare, il tentativo di infiltrazione, che è da solo sufficiente a giustificare la misura interdittiva, non può essere escluso limitandosi alla verifica dell’attendibilità di un singolo elemento di fatto pervenuto dalle fonti di informazione, ma deve, al contrario, desumersi dal quadro complessivo degli elementi segnalati e va valutato in una visione globale della situazione in esame.
Su questo sfondo normativo e giurisprudenziale si colloca la situazione della società ALFA che, in base alle risultanze delle attività investigative, rappresenta un possibile obiettivo di penetrazione e di controllo da parte di associazioni criminali di stampo mafioso.
Alla luce di tali considerazioni, le doglianze della società appellante devono ritenersi infondate in quanto le risultanze promosse dagli uffici investigativi hanno confermato, nei confronti della società ricorrente, la sussistenza degli elementi di cui all’art. 10, co. 2 e 7, lett c) del DPR n. 252/98 rilevati in conto della società ALFA di M. Michelangelo.
Come correttamente ritenuto dalla sentenza impugnata, non merita censura l’operato delle Forze dell’ordine che hanno ravvisato, nel passaggio delle quote a favore della signora Marianna Cangiano, moglie dell’attuale socio accomandatario, un mero espediente per aggirare la vigente normativa antimafia e che, pertanto, dovesse ritenersi confermata la decisione anche nei confronti della ALFA di Giusti D..
Del resto, come si evince dalla nota del 3 settembre 2002 del servizio Ispezione del lavoro, “la società ha continuato l’attività in essere al momento della cessione della quota di partecipazione da parte di Michelangelo M., modificando la sola ragione sociale.
Inoltre, dalle relazioni in atti, risulta confermato l’intreccio parentale da cui deriva il pericolo di infiltrazioni mafiose anche a carico della società ricorrente.
Pertanto è da ritenere pienamente legittimo l’operato dell’amministrazione, che è pervenuta alle conclusioni espresse nel provvedimento impugnato sulla base di criteri di logicità e coerenza e di un’ampia e dettagliata attività istruttoria espletata dalle forze dell’ordine.
L’appello va, di conseguenza respinto perché infondato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come un dispositivo.
PQM
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione V, definitivamente pronunciando sull’appello n. 6985/04, meglio specificato in epigrafe, lo respinge; pone le spese del giudizio, per complesivi € 3.000,00 (tremila/00), a carico della parte soccombente, a favore del Ministero costituito in giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso, in Roma, nella Camera di Consiglio del 21 aprile 2006, alla presenza dei seguenti magistrati: 
Pres. Raffaele Iannotta
Cons. Raffaele Carboni
Cons. Giuseppe Farina
Cons. Paolo Buonvino
Cons. Adolfo Metro Est.  
L’ESTENSORE    IL PRESIDENTE
f.to Adolfo Metro          f.to Raffaele Iannotta 

IL SEGRETARIO
f.to Cinzia Giglio 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/05/08
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
P. IL DIRIGENTE
f.to Livia Patroni Griffi
SB

Lazzini Sonia

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento