In materia di responsabilità amministrativa degli enti ex d.lgs. 231/01, ai fini dell’interruzione del termine di prescrizione, ciò che rileva è la data di emissione dell’atto contenente la contestazione dell’illecito amministrativo e non la data della sua notifica alla persona giuridica

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 Ai fini della regolamentazione degli atti interruttivi della prescrizione quinquennale di cui all’art. 22 del d.lgs. 231/01, nonostante il richiamo che la Legge Delega 300 del 2000 opera alle norme del codice civile, ciò che rileva è la data di emissione dell’atto contenente la contestazione dell’illecito amministrativo (richiesta di rinvio a giudizio o decreto di citazione diretta a giudizio) e non la data della notifica di detto atto alla persona giuridica (Cass. Pen. Sez. IV, sentenza n. 30364, Ud. 9 aprile 2019).

Il caso oggetto della pronuncia

La vicenda trae origine da una sentenza del tribunale di Rimini con cui era stato dichiarato di non doversi procedere nei confronti dell’ente per intervenuta prescrizione dell’illecito, atteso che il decreto di rinvio a giudizio era stato notificato oltre il termine quinquennale previsto dall’art. 22, d.lgs. 231/01.

In particolare, il Pubblico Ministero aveva notificato il decreto di rinvio a giudizio per la prima volta alla società in data 14 febbraio 2013. Successivamente alla dichiarazione di nullità dello stesso, in data 27 maggio 2013 era stata rinnovata la notifica dell’atto alla società presso il domicilio eletto, senza che però lo stesso fosse notificato anche al difensore d’ufficio.
Una volta rilevata l’omessa notifica al difensore, il Pubblico Ministero aveva quindi provveduto all’emissione di un nuovo decreto di rinvio a giudizio, stavolta notificato in data 19 novembre 2015.

Ad avviso del Tribunale di Rimini, tuttavia, il decreto di rinvio a giudizio era stato notificato oltre il termine prescrizionale quinquennale previsto ex lege, dal momento che l’effetto interruttivo sarebbe prodotto all’atto che la richiesta di rinvio a giudizio, oltre che omessa, venga anche notificata entro cinque anni dalla consumazione del reato presupposto. Di conseguenza l’illecito amministrativo veniva dichiarato estinto per intervenuta prescrizione.

A fronte di tale decisione, il Pubblico Ministero aveva adito la Suprema Corte, osservando che la notifica del decreto di citazione in giudizio alla società (avvenuta in data 27 maggio 2013) debba considerarsi, pur in assenza della notificazione al difensore d’ufficio, atto idoneo a determinare l’interruzione della prescrizione.

La Cassazione ha quindi ritenuto fondato il ricorso del P.M. ed ha così annullato la sentenza assolutoria e rinviato alla Corte d’Appello di Bologna per l’ulteriore corso.

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La questione giuridica sottoposta alla Suprema Corte

Con la pronuncia in commento la Suprema Corte è tornata ad affrontare il tema delle modalità interruttive della prescrizione relativa all’illecito amministrativo dell’ente di cui all’art. 22, comma 2, del d.lgs. 231/01.

Ai sensi di detto articolo[i], diversamente da quanto previsto dagli artt. 157 e ss c.p., le sanzioni amministrative per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato si prescrivono nel termine di cinque anni dalla data di consumazione del reato presupposto e sono interruttive della prescrizione “la richiesta di applicazione di misure cautelari interdittive e la contestazione dell’illecito amministrativo a norma dell’art. 59[ii]”.

Nello specifico, la quaestio juris oggetto della sentenza attiene alla natura istantanea o recettizia dell’atto che contiene la contestazione dell’illecito amministrativo.

La corretta qualificazione dell’atto de quo è di fondamentale importanza nella misura in cui comporta concreti risvolti pratici ai fini dell’individuazione del preciso momento interruttivo della prescrizione. Infatti se l’atto con cui si contesta l’illecito amministrativo ex d.lgs. 231/01 (ossia la richiesta di rinvio a giudizio o il decreto di citazione diretta) venisse qualificato come atto istantaneo, ciò che rileverà ai fini dell’interruzione della prescrizione sarà la data di emissione dello stesso; se diversamente venisse qualificato come recettizio, l’effetto interruttivo verrà prodotto non dall’emissione bensì dalla notifica dell’atto alla persona giuridica.

Sul punto si sono venuti a creare due diversi e contrapposti filoni interpretativi

L’orientamento contrario all’applicazione dei principi civilistici in materia di atti interruttivi

Secondo un primo orientamento[iii] figlio di una concezione penalistica della responsabilità ex d.lgs.231/01, la contestazione dell’illecito amministrativo non può avere natura recettizia, in quanto “il richiamo che la legge delega effettua alle norme del codice civile non consente di trasformare la richiesta di rinvio a giudizio in un atto recettizio, in assenza di ogni indicazione normativa a riguardo”[iv].

Tale filone, in buona sostanza, ritiene che il richiamo che l’art. 11 lett r) della legge delega 300 del 2000 opera alle norme del codice civile riguardi esclusivamente il concetto “sostanziale” di interruzione della prescrizione (id est il profilo relativo alla circostanza che, a differenza di quanto avviene per le persone fisiche, la prescrizione rimane sospesa fino a che il giudizio di primo grado non sia terminato[v]) e non anche il diverso profilo degli atti interruttivi, per i quali, diversamente, dovrebbero seguirsi le regole di cui all’art. 160 c.p.
Quest’orientamento ha sostenuto che l’effetto interruttivo debba ricollegarsi all’emissione dell’atto di contestazione  dell’illecito amministrativo (quindi prima ancora della notifica alla persona giuridica), atteso che è in quel momento che si manifesta la pretesa punitiva dello Stato.

L’atto di contestazione dell’illecito amministrativo, dunque, dovrebbe essere qualificato come istantaneo e l’effetto interruttivo della prescrizione quinquennale sarebbe generato esclusivamente dall’emissione della richiesta di rinvio a giudizio o del decreto di citazione diretta, al pari di quanto avviene per le persone fisiche.

L’orientamento favorevole alla natura recettizia dell’atto di contestazione

Un secondo orientamento[vi], invece, sposando una concezione più amministrativa della responsabilità ex d.lgs. 231/01, ha sostenuto che in materia di prescrizione ex art. 22 d.lgs.231/01, la disciplina civilistica degli atti interruttivi debba intendersi richiamata in toto, atteso che all’art. 11 lett. r) della legge delega n. 300/2000 si afferma che “l’interruzione della prescrizione è regolata dalle norme del codice civile”. Tale filone interpretativo, valorizzando il dictum dell’art. 11[vii], ha quindi sostenuto che l’atto di contestazione deve intendersi come recettizio, atteso che in questa materia devono trovare applicazione tutte le regole previste dall’art. 2943 c.c., tra cui quella relativa agli atti interruttivi, secondo la quale la prescrizione viene interrotta dalla portata a conoscenza dell’atto nei confronti del debitore e dunque attraverso la notifica degli atti processuali[viii].

Per tali ragioni l’esatto momento interruttivo della prescrizione non dovrebbe essere collocato all’emissione della richiesta di rinvio a giudizio o del decreto di citazione diretta, bensì al momento della notifica dell’atto stesso alla società[ix].

Le conclusioni della Corte di Cassazione

Con la pronuncia in commento, gli Ermellini hanno condiviso le argomentazioni del primo orientamento, ritenendo che in materia di atti interruttivi debba trovare applicazione la disciplina penalistica di cui all’art. 160 c.p. Ad avviso della Corte la richiesta di rinvio a giudizio e del decreto di citazione diretta conservano la loro ontologia di atti istantanei, stante l’assenza nel testo della legge delega di qualsiasi previsione normativa che disponga diversamente. Ciò che rileverà ai fini dell’effetto interruttivo della prescrizione è dunque il momento di emissione dell’atto e non il momento della sua notifica alla persona giuridica.

Sul punto il Supremo Consesso ha infatti precisato che “il rinvio alla lettera r) dell’art. 11 della legge delega n. 300/2000 alle norme del codice civile (…)” va inteso “facendo riferimento al regime previsto dall’art. 2945, comma 2, cod. civ.[x], nel senso che una volta interrotta la prescrizione, con l’emissione della richiesta di rinvio a giudizio, essa ‘non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio’. Il che nulla a che con il contenuto di quegli effetti, rispetto ai quali, diversamente da quanto previsto per la prescrizione del reato con l’art. 160 cod. pen., l’interruzione impedisce la decorrenza del termine prescrizionale fino a che il giudizio non sia terminato”[xi].

In buona sostanza, sottolinea la Cassazione, bisogna distinguere il tema generale dell’interruzione della prescrizione (regolato dalle regole sostanziali del diritto civile così come previsto expressis verbis dalla legge delega n. 300 del 2000, per cui l’effetto interruttivo comporta la sospensione della prescrizione fino a che il giudizio non sia terminato, a differenza di quanto avviene per le persone fisiche), dall’aspetto ulteriore degli atti interruttivi, per i quali, invece, nel silenzio di un esplicito richiamo normativo, devono trovare applicazione le regole riguardanti la prescrizione del reato per le persone fisiche di cui all’art. 160 c.p. Anche in materia di prescrizione ex art. 22 d.lgs. 231/01, quindi, ciò che rileva è il momento in cui lo Stato manifesta la voluntas puniendi, non dovendo trovare applicazione la regola civilistica della portata a conoscenza dell’atto al destinatario.

La conclusione cui è pervenuta la Suprema Corte, quindi, è che ai fini del calcolo della prescrizione quinquennale di cui all’art. 22 d.lgs. 231/01, ciò che rileva sotto il profilo interruttivo è il momento di emissione dell’atto contenente la contestazione dell’illecito amministrativo e non la data della sua notifica alla persona giuridica.

Perché l’illecito amministrativo non si estingua per intervenuta prescrizione, dunque, ad avviso della Cassazione non devono decorrere più di cinque anni tra la data di consumazione del reato presupposto e la data di emissione della richiesta di rinvio a giudizio o del decreto di citazione diretta.

Considerazioni conclusive

La sentenza in commento si inserisce nella querelle mai sopita relativa alla natura della responsabilità amministrativa dell’ente ex d.lgs. 231/01. La tensione dottrinale e giurisprudenziale tra chi ha sostenuto che la responsabilità dell’illecito amministrativo abbia natura penale e chi ha propugnato una concezione più squisitamente amministrativa non ha certo trovato la sua conclusione nella sentenza de qua.

Tuttavia la particolarità della pronuncia risiede nel fatto che se da un lato si è affermata l’impossibilità di ricondurre sic et sempliciter questo tipo di responsabilità ad una responsabilità penale, dall’altro è stato ribadito che in materia di atti interruttivi deve trovare applicazione la disciplina penalistica di cui all’art. 160 c.p. e non quella civilistica ex art. 2943 c.c.

Ad avviso dello scrivente, però, il percorso logico seguito dagli Ermellini non può andare esente da critiche nella misura in cui ha delineato de facto una disciplina sui generis dell’istituto della prescrizione ex art. 22 d.lgs. 231/01 di assai difficile classificazione dommatica. Nell’identikit fornito dalla Corte, infatti, vengono contemplati sia profili civilistici (su tutti la sospensione della prescrizione fino al passaggio in giudicato della sentenza a seguito dell’emissione dell’atto di contestazione in ossequio all’art. 2945 c.c.) che profili penalistici (relativi agli effetti interruttivi che dovrebbero seguire le regole di cui all’art. 160 c.p., ribadendo una presunta identità delle discipline tra persone fisiche e persone giuridiche).

La pronuncia de qua sembra quindi presentare una prescrizione di natura assai ibrida[xii], la quale prevede l’applicazione di regole penalistiche all’interno di un paradigma civilistico.

Tale natura ibrida della prescrizione ex art. 22 d.lgs. 231/01, così come delineata in sentenza, non consente all’interprete di inquadrare tale istituto nell’ambito di uno schema giuridico univoco: ne consegue un vero e proprio tertium genus, che sembra tradire il de profundis di un paradigma esclusivamente civilistico delineato dalla legge n. 300 del 2000.

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Note

[i] L’art. 22 d.lgs. 231/01, così recita: “Le sanzioni amministrative si prescrivono nel termine di cinque anni dalla data di consumazione del reato.
Interrompono la prescrizione la richiesta di applicazione di misure cautelari interdittive e la contestazione dell’illecito amministrativo a norma dell’articolo 59.
Per effetto della interruzione inizia un nuovo periodo di prescrizione.
Se l’interruzione è avvenuta mediante la contestazione dell’illecito amministrativo dipendente da reato, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio”.

[ii] L’attuale formulazione dell’art. 59 d.lgs. 231/01 prevede: “Quando non dispone l’archiviazione, il pubblico ministero contesta all’ente l’illecito amministrativo dipendente dal reato. La contestazione dell’illecito è contenuta in uno degli atti indicati dall’articolo 405, comma 1, del codice di procedura penale.
La contestazione contiene gli elementi identificativi dell’ente, l’enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto che può comportare l’applicazione delle sanzioni amministrative, con l’indicazione del reato da cui l’illecito dipende e dei relativi articoli di legge e delle fonti di prova”
.

[iii] Cfr. Cas. Pen. Sez. II, n. 41012 del 20 giugno 2018, Rv. 27408304; Cass. Pen. Sez. II, n. 10822 del 15 dicembre 2011 – dep. 20 marzo 2012, Cesarino e altri, Rv. 256705.

[iv] Cass. Pen., Sez. II, sent. n. 41012 del 20.06.2018, rv. 274083-04; come precedenti giurisprudenziali conformi v. anche Cass. Pen. Se. V, sent. n. 50102 del 22.09.205, rv. 265588; Cass. Pen., Sez. II, sent. n. 10822 del 15.12.2011, rv. 256705.

[v] La diversa disciplina prevista per la prescrizione in ambito di responsabilità ex d.lgs. 231/01 ha destato dubbi di costituzionalità, attesa la potenziale disparità di trattamento tra persone fisiche e persone giuridiche. Tuttavia la Corte di Cassazione ne ha sancito la piena costituzionalità dal momento che la diversa natura dell’illecito amministrativo, consente di qualificarlo come tertium genus rispetto agli illeciti penali (cfr Cass. Pen. SS.UU. sent. n. 38343 del 18.09.2014). La diversa disciplina della prescrizione, in questo caso sarebbe giustificata da un bilanciamento compiuto a monte dal legislatore tra le esigenze di ragionevole durata del processo e l’interesse dello Stato ad esercitare la pretesa punitiva nei confronti dell’ente. Sul punto, si veda Beltrani S., “La prescrizione degli illeciti degli enti al vaglio della Cassazione”, in Resp. Amm. Soc. Enti., 2016, fasc. 4, p. 245 ss; Scaroina R., “La societas al cospetto del tempo: il regime della prescrizione dell’illecito amministrativo dipendente da reato nel d.lg. n. 231 del 2001”, in Cass. Pen., 2013, n. 5, p. 2108 ss.

[vi] In questo filone, Cass. Pen. Sez. VI n. 18257 del 12 maggio 2015 – dep. 30 aprile 2015, Rv. 263171; cfr Cass. Pen. Sez. II, n. 27978 del 26 marzo 2014 – dep. 27 giugno 2014; da ultimo Cass. Pen. Sez. II n. 41012 del 20 giugno 2018, rv. 274083 – 04.

[vii] In particolare ciò che veniva valorizzato oltre al richiamo alle norme del codice civile, era il dato letterale della legge, osservando che il verbo “contesta” rimanda obbligatoriamente all’emissione di un atto, il cui contenuto deve essere portato a conoscenza del destinatario. In tal senso si veda la sentenza del Tribunale di Brescia, Sez. II, n. 692 del 20.02.2015; in dottrina v. Santangelo L., “L’interruzione della prescrizione nel processo a csrico dell’ente a norma del d.lgs. 231/2001: rileva la data della notifica – e non del mero deposito – della contestazione dell’illecito amministrativo”, in Diritto penale contemporaneo, 27 aprile 2015.

[viii] Infatti all’art. 2943 c.c. comma 1 si afferma expressis verbis che: “La prescrizione è interrotta dalla notificazione dell’atto con il quale si inizia un giudizio, sia questo di cognizione ovvero conservativo o esecutivo”.

[ix] L’asserito carattere recettizio della contestazione ex art. 59 d.lgs. 231/01 è stato riconosciuto dalla dottrina maggioritaria. Al riguardo si veda Ferrajoli L., “Prescrizione dei reati e illeciti 231”, in “Accertamento e contenzioso”, 2016, n. 22; Garuti G., “Contestazione dell’illecito amministrativo e udienza preliminare”, in Resp. Amm. Soc. Enti., 2006, fasc. 3, pag. 11; Ceresa-Gastaldo M., “Il processo alle società nel d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231”, Torino, 2002, pag. 69.

[x] Il comma 2 dell’art. 2945 c.c. recita: “Se l’interruzione è avvenuta mediante uno degli atti indicati dai primi due commi dell’art. 2943, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio”.

[xi] Cass. Pen. Sez. IV, sentenza n. 30364, Ud. 9 aprile 2019.

[xii] La natura della prescrizione ex art. 22, d.lgs. 231/01, è stata ritenuta in dottrina un importante elemento da cui dedurre la natura anche della responsabilità amministrativa degli enti nel suo complesso; sul punto v. Lecis U., art 22, cit., pag. 424; De Vero G., “La responsabilità penale delle persone giuridiche” in Grosso C.F. – Padovano T. – Pagliaro A., “Trattato di diritto penale”, Milano, 2008, pag. 320.

Avv. Manuel Fabozzo

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