In House Providing: impossibilità di derogare alla regola dello svolgimento delle procedure ad evidenza pubblica per la scelta del soggetto concessionario o affidatario dell’appalto del servizio pubblico in ossequio ai principi di diritto comunitario qual

Lazzini Sonia 28/09/06
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Secondo l’insegnamento consolidato della Corte costituzionale (sentenze n. 113 del 1985 e 389 del 1989; ordinanze n. 274 del 1986 e 132 del 1990) le pronunce della Corte di giustizia delle comunità europee hanno efficacia diretta nell’ordinamento interno degli stati membri, al pari dei regolamenti e delle direttive e delle decisioni della Commissione, vincolando il giudice nazionale alla disapplicazione delle norme interne con esse configgenti
 
 
Il Consiglio di Stato con la decisione numero 4440 del 13 luglio 2006, nell’occuparsi di una fattispecie relativa alle problematiche del “in house providing”, ci insegna che:
 
< In primo luogo, il possesso dell’intero capitale sociale da parte dell’ente pubblico, pur astrattamente idoneo a garantire il controllo analogo a quello esercitato sui servizi interni, perde tale qualità se lo statuto della società consente che una quota di esso, anche minoritaria, possa essere alienata a terzi.
 
In secondo luogo, è stata presa in considerazione l’ampiezza dei poteri propri del consiglio d’amministrazione secondo la disciplina risultante dallo statuto.
 
A tale riguardo si è affermato che, se il consiglio d’amministrazione “dispone della facoltà di adottare tutti gli atti ritenuti necessari per il conseguimento dell’oggetto sociale”, i poteri attribuiti alla maggioranza dei soci dal diritto societario non sono sufficienti a consentire all’ente di esercitare un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi.>
 
A cura di *************
 
REPUBBLICA ITALIANA   IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIURISDIZIONALE     .
Sezione Quinta           Anno 2003
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 6265 del 2003, proposto dalla **** Italia s.p.a., rappresentata e difesa dagli avv.ti *********** e *****************, elettivamente domiciliata presso il primo in Roma, via P.A. ******* 78 
contro
il Comune di Bolzano, rappresentato e difeso dagli avv.ti *************** e ************** ed elettivamente domiciliato presso il primo in Roma, Via Panisperna n. 104, e
la **** s.p.a., rappresentata e difesa dagli avv.ti ***************** e ************ò, elettivamente domiciliata presso il secondo in Roma, Via Antonio Gramsci, 36; 
per la riforma
della sentenza del Tribunale Regionale   di Giustizia Amministrativa per il Trentino – Alto Adige, Sezione Autonoma per la Provincia di Bolzano, 20 maggio 2003 n. 211, resa tra le parti.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli   atti di costituzione in giudizio del Comune di Bolzano e della **** s.p.a.;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 28 febbraio 2006 il consigliere *************, e uditi gli avvocati *****************,*************** e ************ò.
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
Con la sentenza in epigrafe è stato respinto il ricorso proposto dalla **** Italia s.p.a. per l’annullamento di tutti i provvedimenti con i quali il Comune di Bolzano ha esercitato il recesso dalla convenzione stipulata con la **** Italia s.p.a. per la gestione dei parcheggi a pagamento, e, con deliberazione del Consiglio comunale 17 dicembre 2002, n. 124, ha affidato il medesimo servizio alla **** s.p.a., con decorrenza 1 gennaio 2003. Con la stessa sentenza è stato respinta anche la domanda relativa al risarcimento del danno.
In particolare, la ricorrente aveva dedotto che l’affidamento di servizi pubblici ad una società per azioni, a capitale interamente comunale, come la ****, senza espletamento di procedure ad evidenza pubblica per la scelta del contraente, si poneva in contrasto le norme di cui agli artt. 12, 45, 46, 49 e 86 del Trattato dell’Unione Europea, che tutelano principio di non discriminazione, la libertà nella prestazione dei servizi pubblici e il principio della libera concorrenza.
La Sezione autonoma di Bolzano ha ritenuto che tale vizio non si configurasse, allegando la giurisprudenza della Corte di Giustizia della Comunità che ha escluso l’applicazione delle regole della libera concorrenza per i casi di “in house providing”, riconoscibili dal fatto che l’Amministrazione esercita sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi (sentenza 18 novembre 1999 in causa 197/98 Teckal s.r.l. c. Comune di Aviano; 9 settembre 1999 in causa 108/98 Risan c. Comune di Ischia). Il possesso del 100% del capitale sociale garantirebbe tale forma di controllo.
Avverso la decisione la **** Italia s.p.a. ha proposto appello, chiedendone la riforma.
Il Comune di Bolzano e la s.p.a. **** si sono costituite in giudizio per resistere al gravame
Fissata la trattazione della causa alla pubblica udienza del 27 gennaio 2004 la Sezione, con ordinanza 22 aprile 2004 n. 2316, ha sospeso il giudizio ed ha rimesso agli atti alla Corte di Giustizia della Comunità Europea, ai fini della pronuncia pregiudiziale, ai sensi dell’art. 234 del Trattato istitutivo, sul seguente quesito: se sia compatibile col diritto comunitario, in particolare con la libertà della prestazione di servizi, il divieto di discriminazione e l’obbligo di parità di trattamento, trasparenza e libera concorrenza, di cui agli artt. 12, 45, 46, 49 e 86 del Trattato, l’affidamento diretto, ossia in deroga ai sistemi di scelta del contraente di cui alla Direttiva 92/50 CEE, della gestione di parcheggi pubblici a pagamento, ad una società per azioni, a capitale interamente pubblico, ai sensi dell’art. 44, comma 6, lett. b) della legge della Regione Trentino-Alto Adige 4.1.1993, n. 1, modificato dall’art. 10 della legge regionale del 23.1.1998, n. 10.
La Corte di Giustizia delle Comunità Europee, con nota del 18 ottobre 2005, ha inviato copia della sentenza della medesima Corte in causa C-458/03 (Parking Brixen GmnH), chiedendo di precisare se, alla luce di tale sentenza, la Sezione intendesse mantenere in essere il suo quesito pregiudiziale.
Ai fini di tale valutazione è stata fissata la udienza pubblica del 28 febbraio 2006 e, in pari data, è stato depositato il dispositivo della presente sentenza.
DIRITTO
1. Ha rilevo preliminare la doglianza con la quale la ricorrente in primo grado, e odierna appellante, ha lamentato che l’affidamento di servizi pubblici ad una società per azioni, a capitale interamente comunale, come l’attuale controinteressata, senza espletamento di procedure ad evidenza pubblica per la scelta del contraente, da parte di una amministrazione aggiudicatrice, secondo le disposizioni di cui alla Direttiva 90/52/CEE, recepita dallo Stato italiano con il d.lgs. 17 marzo 1995, n. 157, si porrebbe in contrasto le norme di cui agli artt. 12, 45, 46, 49 e 86 del Trattato dell’Unione Europea, che stabiliscono il divieto di discriminazione, la libertà nella prestazione dei servizi pubblici e la libera concorrenza.
L’appellante non ignora che le norme dell’ordinamento della Regione Trentino – Alto Adige (art. 44 della legge regionale 4 gennaio 1993 n. 1, nel testo sostituito dall’art. 10, comma 1, della legge regionale 23 ottobre 1998, n.10) consentono l’affidamento diretto del servizio pubblico ad una società per azioni, o a responsabilità limitata, alla condizione che vi sia “influenza dominante pubblica” (art. 44 cit. comma 6, lett. b), e ciò si verifica quando i comuni “detengono un numero di azioni tali da consentire di disporre della maggioranza dei diritti di voto nell’assemblea ordinaria, ovvero quando lo statuto della società preveda il diritto di nominare più della metà dei membri del consiglio di amministrazione, sempre che il comune detenga almeno il venti per cento del capitale” (comma 10).
Si esprime, tuttavia, il dubbio che tali disposizioni non siano compatibili con i principi del Trattato UE con particolare riguardo al divieto di discriminazione, alla libera prestazione dei servizi pubblici ed alla libera concorrenza.
2. La Sezione ha proposto in tal senso quesito pregiudiziale alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, e l’autorevole Organo ha fornito una risposta indiretta, ossia ha segnalato che lo stesso quesito era stato già esaminato e risolto con la recentissima decisione 13 ottobre 2005, nella causa C-458/03 (Parking Brixen GmbH), in esito ad analogo interpello avanzato dal Tribunale di Giustizia Amministrativa per il Trentino-Alto Adige, Sezione Autonoma di Bolzano, con ordinanza 23 luglio – 27 settembre 2003 n. 25, ed ha chiesto di conoscere se questo giudice intendesse insistere nel quesito proposto.
Il Collegio ritiene che l’ampia motivazione posta a fondamento della decisione comunitaria, mentre conferma la fondatezza delle ragioni che hanno indotto a proporre il quesito, consenta ora di affrontare il problema offerto dalla presente vertenza, e, pertanto, non intende insistere nella questione incidentale.
3. La Corte infatti, con la decisione suddetta, ha fornito l’interpretazione, che deve considerarsi autentica, del noto passaggio della sentenza 18 novembre 1999 in causa C-107/98 (Teckal), nel quale, dopo aver affermato l’obbligatorietà della procedura ad evidenza pubblica per la scelta del contraente di una fornitura all’ente pubblico, ha enunciato: ”Può avvenire diversamente solo nel caso in cui, nel contempo, l’ente locale eserciti su tale soggetto un controllo analogo a quello esercitato a quello esercitato sui propri servizi e quest’ultimo realizzi la parte più importante della propria attività, con l’ente o con gli enti locali detentori.”.
Le espressioni usate non chiarivano cosa dovesse intendersi per “controllo analogo”, e tuttavia si offrivano a tal fine alcun indicazioni significative. Si ammetteva che l’affidatario del servizio era, non un ufficio, ma un soggetto giuridico diverso dall’ente; e che era consentito a questo soggetto di svolgere una parte, anche se minoritaria, della propria attività a favore di soggetti diversi dall’ente pubblico, ipotesi inconciliabile con la figura dell’ufficio.
A ciò si aggiunga che il riferimento a “gli enti locali detentori”, con cui si chiude l’ultimo periodo, implicava il coinvolgimento di un soggetto il cui capitale era posseduto dall’ente, o, tratto ancora più significativo, da più enti pubblici diversi.
L’impiego, in fine, del concetto di “controllo” autorizzava a ritenere che la Corte all’epoca si riferisse alle società di capitali, soggetti tipici del diritto commerciale comune, il cui “controllo” è normalmente assicurato dal possesso della maggioranza del capitale.
In epoca più recente (sentenza 11 gennaio 2005, in causa C-26/03) la Corte è tornata sul problema del “controllo analogo”, per affermare (parag. 49): “…la partecipazione, anche minoritaria, di una impresa privata al capitale di una società alla quale partecipi anche l’amministrazione aggiudicatrice in questione, esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare sulla detta società un controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi.”.
Se ne poteva dedurre, con argomentazione a contrariis, che il possesso dell’intero capitale da parte della mano pubblica, consentisse di ravvisare un assetto idoneo all’esercizio del controllo analogo (in tal senso, Sez. V, 22 dicembre 2005 n. 7345). Ciò anche perché la Corte aveva posto a fondamento della anzidetta proposizione, non l’insufficienza del possesso del solo pacchetto di maggioranza da parte dell’ente pubblico ai fini dell’effettivo controllo sulla società, bensì: a) la disomogeneità tra gli interessi perseguiti dal capitale pubblico e quelli tipici del privato investitore; b) la lesione dei principi di libera concorrenza e di parità di trattamento tra le imprese, in favore di quella chiamata, con capitale minoritario, a far parte della società.
4. Con la pronuncia Parking Brixen, citata sopra, la Corte comunitaria ha condotto un ulteriore approfondimento sul tema, pervenendo ad una più puntuale individuazione dei caratteri del controllo che l’ente deve poter esercitare sulla società affidataria del servizio pubblico (parag.67-69).
In primo luogo, il possesso dell’intero capitale sociale da parte dell’ente pubblico, pur astrattamente idoneo a garantire il controllo analogo a quello esercitato sui servizi interni, perde tale qualità se lo statuto della società consente che una quota di esso, anche minoritaria, possa essere alienata a terzi.
In secondo luogo, è stata presa in considerazione l’ampiezza dei poteri propri del consiglio d’amministrazione secondo la disciplina risultante dallo statuto. A tale riguardo si è affermato che, se il consiglio d’amministrazione “dispone della facoltà di adottare tutti gli atti ritenuti necessari per il conseguimento dell’oggetto sociale”, i poteri attribuiti alla maggioranza dei soci dal diritto societario non sono sufficienti a consentire all’ente di esercitare un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi.
5.Tanto premesso, è agevole osservare come la ******à cui il Comune di Bolzano ha affidato la gestione dei parcheggi pubblici presenti un assetto statutario sostanzialmente corrispondente a quello preso in esame dalla sentenza in riferimento.
Quanto al capitale sociale è prescritto (art. 8) che il Comune conservi soltanto il 51% del capitale sociale, prevedendosi la cessione della rimanente quota a soggetti pubblici e privati, ed anche i poteri del consiglio di amministrazione non risultano in alcun modo limitati o correlati a qualche forma di controllo da parte dell’Ente, salvi i poteri spettanti alla maggioranza dei soci secondo il diritto comune.
Di qui l’impossibilità di derogare alla regola dello svolgimento delle procedure ad evidenza pubblica per la scelta del soggetto concessionario o affidatario dell’appalto del servizio pubblico in ossequio ai principi di diritto comunitario invocati dall’appellante.
E’ noto, infatti, che, secondo l’insegnamento consolidato della Corte costituzionale (sentenze n. 113 del 1985 e 389 del 1989; ordinanze n. 274 del 1986 e 132 del 1990) le pronunce della Corte di giustizia delle comunità europee hanno efficacia diretta nell’ordinamento interno degli stati membri, al pari dei regolamenti e delle direttive e delle decisioni della Commissione, vincolando il giudice nazionale alla disapplicazione delle norme interne con esse configgenti.
In conclusione l’appello deve essere accolto con riguardo alla domanda di annullamento della deliberazione del Consiglio comunale di Bolzano 17 dicembre 2002 n. 124, concernente l’affidamento della gestione dei parcheggi comunali alla società **** s.p.a..
6. L’appellante, peraltro, aveva anche impugnato i provvedimenti del 2 giugno 2002 e 5 dicembre 2002 con i quali il Comune ha dato alla appellante formale disdetta del rapporto in scadenza il 31 dicembre 2002.
Il TAR non ha accolto per varie ragioni le relative doglianze, e la **** ha riproposto in appello le stesse censure.
La controversia, in effetti, avrebbe potuto rientrare nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a norma dell’art. 33, comma 1 e 2, lett. e), del D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 80, nel testo novellato con l’art. 7 della L. 21 luglio 2000 n. 205, vertendo in materia di pubblico servizio.
A rideterminare i confini di tale giurisdizione è sopravvenuta, tuttavia, la sentenza n. 204 del 6 luglio 2004 della Corte Costituzionale, con la declaratoria di incostituzionalità, in parte qua, degli artt. 33, commi 1 e 2, e 34, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, come sostituiti dall’art. 7 lettere a) e b) della legge 21 luglio 2000, n. 205, di cui è d’uopo tener conto. Il principio enunciato dall’art. 5 Cod. prov. civ., infatti, a norma del quale la giurisdizione si determina con riguardo alla legge vigente al momento della proposizione della domanda, non opera quando la norma che detta i criteri determinativi della giurisdizione è successivamente dichiarata costituzionalmente illegittima, in quanto l’efficacia retroattiva che assiste tale tipo di pronunce della Corte costituzionale preclude che la norma dichiarata illegittima possa essere assunta a canone di valutazione di situazioni o di rapporti anteriori alla pubblicazione della pronuncia di incostituzionalità, ma non ancora esauriti al momento della pubblicazione della sentenza.
Per quanto qui interessa, la Corte ha statuito che "la materia dei pubblici servizi può essere oggetto di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo se in essa la pubblica amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo", così assumendo, quale criterio di verifica della giurisdizione amministrativa esclusiva in questa materia, il fatto che nella controversia la pubblica amministrazione abbia veste di autorità ovvero, in altre parole, che il giudizio verta sull’esercizio da parte dell’amministrazione del potere di cui è attributaria e, dunque, sullo svolgimento della pubblica funzione.
Il precedente assetto del riparto giurisdizionale in tema di espletamento di pubblici servizi ne risulta in conseguenza mutato, di modo che attualmente la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia non comprende più le controversie, riguardanti diritti soggettivi perfetti, nelle quali la pubblica amministrazione non sia coinvolta come autorità, ancorché scaturenti da rapporti di tipo concessorio.
7. Nel presente giudizio l’azione esperita dalla società ricorrente è, in realtà, volta a dimostrare con l’illegittimità degli atti recesso dalla convenzione, e, in conseguenza, la permanente validità del contratto; essa è, quindi, diretta a tutelare il diritto soggettivo perfetto all’esecuzione del contratto ed alle controprestazioni conseguenti. Il reale oggetto del giudizio, dunque, non è l’esercizio di una pubblica funzione da parte dell’Amministrazione, ma soltanto il rapporto convenzionale intercorrente tra le parti e le relative e reciproche posizioni di diritto soggettivo e di obbligo.
La controversia, pertanto, esula dalla giurisdizione del giudice amministrativo, appartenendo alla cognizione dell’Autorità giudiziaria ordinaria.
8. L’appellante aveva proposto anche domanda di risarcimento del danno, chiedendo la condanna dell’Amministrazione alla differenza tra i ricavi che avrebbe conseguito nel periodo successivo alla chiusura del rapporto e le spese che avrebbe sostenuto per la gestione del servizio.
La domanda non può essere accolta.
Deve, infatti, rammentarsi che, secondo il consolidato orientamento del giudice amministrativo, una volta intervenuto l’annullamento del provvedimento lesivo, ai fini dell’ammissibilità dell’azione di risarcimento del danno deve valutasi la sussistenza dell’elemento psicologico della colpa: è stato, infatti, più volte precisato che la responsabilità patrimoniale della pubblica amministrazione conseguente all’adozione di provvedimenti illegittimi deve essere inserita nel sistema delineato dagli articoli 2043 e seguenti del codice civile in base al quale l’imputazione non può avvenire sulla base del mero dato oggettivo dell’illegittimità del provvedimento, dovendo verificarsi che la predetta adozione (e l’esecuzione dell’atto impugnato) sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità alle quali l’esercizio della funzione deve costantemente ispirarsi (C.d.S., sez. IV, 5 ottobre 2005 n. 5367; 30 settembre 2005 n. 5204; 12 gennaio 2005, n. 45).
È stato, poi, evidenziato, anche con riferimento alla giurisprudenza comunitaria (Corte giustizia C.E. 5 marzo 1996, cause riunite nn. 46 e 48 del 1993; 23 maggio 1996, causa C5 del 1994), che in sede di accertamento della responsabilità della Pubblica amministrazione per danno a privati il giudice (amministrativo) può affermare la responsabilità quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tali da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento viziato e negandola quando l’indagine presupposta conduce al riconoscimento dell’errore scusabile (per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto) (C.d.S., sez. IV, 10 agosto 2004, n. 5500).
Nell’attuale fattispecie, in disparte la circostanza che l’atto di appello è del tutto privo di una qualche argomentazione sul punto, i ricordati presupposti non si rinvengono.
Non va dimenticato, a tale riguardo, che le norme dell’ordinamento della Regione Trentino – Alto Adige (art. 44 della legge regionale 4 gennaio 1993 n. 1, nel testo sostituito dall’art. 10, comma 1, della legge regionale 23 ottobre 1998, n.10;) consentivano l’affidamento diretto del servizio pubblico ad una società per azioni, o a responsabilità limitata, alla condizione che vi sia “influenza dominante pubblica” (art. 44 cit. comma 6, lett. b), e ciò si verifica quando i comuni “detengono un numero di azioni tali da consentire di disporre della maggioranza dei diritti di voto nell’assemblea ordinaria, ovvero quando lo statuto della società preveda il diritto di nominare più della metà dei membri del consiglio di amministrazione, sempre che il comune detenga almeno il venti per cento del capitale” (comma 10).
L’atto impugnato, dunque, alla stregua della specifica normativa provinciale, e salve le conseguenze, esaminate sopra, dell’efficacia diretta diritto comunitario, non poteva ritenersi illegittimo.
10. Inoltre. all’epoca dell’adozione della deliberazione qui annullata, nella materia dell’affidamento di servizi pubblici in house trovavano applicazione i principi di cui alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità Europee 18 novembre 1999 in causa C-107/98 (Teckal), di cui si è già detto. E si è messo in evidenza (n. 3) come le espressioni usate in quell’occasione dal giudice comunitario autorizzassero a ritenere la piena legittimità dell’appalto a un soggetto distinto dall’ente pubblico, del quale quest’ultimo possedesse in misura maggioritaria il capitale sociale.
Ne costituisce prova indiretta l’art. 14 del d.l. 30 settembre 2003 n. 269, convertito nella legge 24 novembre 2003 n. 326 è stato nuovamente modificato l’art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000 ( testo unico delle leggi sugli enti locali) concernente la disciplina dei servizi pubblici, già modificato con l’art. 35 della legge 20 dicembre 2001 n. 448. Il comma 5 è stato interamente sostituito con una disposizione che, alla lettera c), riproducendo alla lettera le espressioni della sentenza Teckal, ammette il conferimento del servizio “a società a capitale interamente pubblico a condizione che l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano.”.
Nessun addebito di negligenza o imperizia, quale fonte di colpa in funzione risarcitoria, può dunque essere mosso all’Amministrazione per aver adottato l’atto di affidamento del servizio alla ****.
11. Sussistono valide ragioni per disporre la compensazione tra le parti delle spese di lite
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, accoglie l’appello, e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, annulla i provvedimenti impugnati;
compensa le spese;
ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28 febbraio 2006 con l’intervento dei magistrati:
*****************                                                          Presidente
***********                                            Consigliere
****************                                                         Consigliere
*************                                                    Consigliere est.
***************                                                          Consigliere
 
L’ESTENSORE                                            IL PRESIDENTE
F.to *************                            **********************
 
IL SEGRETARIO
 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 13 luglio 2006
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
                                               p. IL DIRIGENTE
                                               f.to ********************

Lazzini Sonia

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