In caso di lesione di interessi legittimi, per avere accesso al risarcimento del danno il privato deve dimostrare non solo che la sua sfera giuridica abbia subito una diminuzione per effetto dell’atto illegittimo ma che non si sia accresciuta nella misur

Lazzini Sonia 07/06/07
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In tema di richiesta di risarimento del danno nei confronti della pa, merita di essere segnalata la sentenza numero 1428 del 5 aprile 2007 emessa dal Tar Lombardia, Milano:
 
<La materia del risarcimento del danno riguardando questioni attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo è regolata dal principio dell’onere della prova di cui all’art 2697 del codice civile, in base al quale chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscano il fondamento.
In base alla regola generale racchiusa nell’art. 2697 c.c. (operante, in questa parte, anche nel processo amministrativo), il danneggiato ha l’ onere di provare tutti gli elementi costitutivi della domanda di risarcimento ( danno , nesso di causalità, colpa) per illecito della p.a>
 
Ed inoltre:
 
<Il principio dell’onere della prova, pur essendo un principio processualcivilistico, è destinato a trovare applicazione in un giudizio, quale quello risarcitorio, che esorbita dai confini di quello impugnatorio, sicché la domanda di risarcimento del danno deve essere fondata su una puntuale quantificazione e una congrua dimostrazione del danno conseguente all’illegittimità dell’atto annullato in sede giurisdizionale>
 
come è suddiviso l’eventuale danno?
 
< Come è noto, il pregiudizio risarcibile si compone, secondo la definizione offerta dall’art.1223 c.c., del danno emergente e del lucro cessante: e cioè della diminuzione reale del patrimonio del privato, per effetto di esborsi connessi alla inutile partecipazione al procedimento, e della perdita di un’occasione di guadagno o, comunque, di un’utilità economica connessa all’adozione o all’esecuzione del provvedimento illegittimo.>
 
e come si può provvedere alla sua quantificazione?
 
<Pertanto per la componente di cd danno emergente non vi è alcuna indicazione; per la componente del c.d lucro cessante, di più difficile e complessa determinazione, la giurisprudenza ha individuato alcuni parametri presuntivi di determinazione del quantum, certamente invocabili dal privato in presenza della lesione di aspettative di ampliamento della sua sfera giuridica e patrimoniale.
 
In particolare la giurisprudenza ha individuato per la determinazione del pregiudizio connesso alla perdita di un’occasione di successo in una procedura concorsuale, un criterio presuntivo in base all’applicazione dell’art.345 della legge 20 marzo 1865, n.2248, Allegato F, laddove quantifica nel 10% del valore dell’appalto l’importo da corrispondere all’appaltatore in caso di recesso facoltativo dell’amministrazione, nella determinazione forfettaria ed automatica del margine di guadagno presunto nell’esecuzione di appalti di lavori pubblici>
 
A cura di *************
 
 
Sentenza n. 1428 depositata in Segreteria il 5.4.2007
 
 
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia
Sezione prima
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
sul ricorso n. 17352003 R.G. proposto da Scarl *, in persona del presidente legale rappr.te pro tempore, rappresentata e difesa dagli ************* e **************, presso lo studio del quale è elettivamente domiciliata in Milano, via Olmetto 23;
contro
il Comune di Motta Visconti, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. *******, presso lo studio del quale è elettivamente domiciliato in Milano, c.so Vittorio Emanuele II n. 15;
per il risarcimento del danno
derivante dalla aggiudicazione, atto n. 17499 della giunta comunale, di appalto concorso per la gestione della piscina comunale e servizi annessi, di tutti gli atti connessi;
visto il ricorso con i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune;
viste le memorie difensive;
visti gli atti tutti della causa;
designato relatore per la pubblica udienza del 6 dicembre 2006 il primo referendario *****************;
uditi altresì i procuratori delle parti;
ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
Con bando datato 7799 l’amministrazione comunale di ************** indiceva una gara d’appalto concorso per l’aggiudicazione della gestione della piscina comunale. La società ricorrente presentava la propria domanda di partecipazione, in particolare attraverso il servizio postale. In data 131199, successivamente alla presentazione di apposita istanza, alla medesima istante veniva comunicata l’esclusione dalla gara per mancato invio della domanda per raccomandata.
L’atto è stato impugnato sostenendo la violazione di legge, in quanto il bando stesso di gara consentiva l’invio del plico anche attraverso il corso particolare.
Il Comune di Motta Visconti e la società controinteressata, costituitisi in giudizio, chiedevano la declaratoria di inammissibilità ed il rigetto del gravame.
Con memoria depositata in segreteria si chiedeva altresì la domanda di risarcimento danni.
Con ordinanza cautelare n. 1452000 questo Tribunale amministrativo regionale respingeva la domanda di sospensione dell’efficacia dell’atto impugnato sotto il profilo dell’insussistenza del presupposto del danno grave ed irreparabile.
Con sentenza n° 4714 del 2001 il Tribunale accoglieva il ricorso annullando l’aggiudicazione; veniva dichiarata la inammissibilità della domanda di risarcimento in quanto non proposta nelle forme di rito per una domanda nuova ( motivi aggiunti notificati).
Avverso tale sentenza veniva proposto appello respinto dal Consiglio di Stato con decisione n° 350 del 2003.
 
D I R I T T O
 
In via preliminare deve essere affermata la ammissibilità del presente giudizio.
Infatti, essendo stata dichiarata inammissibile la domanda di risarcimento dei danni da questo Tribunale con la sentenza n° 4714 del 2001, può essere la stessa domanda essere riproposta nel presente giudizio, non avendo quella pronuncia l’idoneità di cosa giudicata.
Ritiene infatti il Collegio di aderire all’orientamento della giurisprudenza che ritiene che la pronuncia di inammissibilità della domanda per vizio della sua introduzione, senza alcun esame della pretesa dedotta in giudizio, non equivalga ad una sentenza di rigetto nel merito, e pertanto non impedisca la riproposizione della stessa domanda con un successivo rituale atto introduttivo di un nuovo giudizio (Cassazione civile , sez. II, 22 luglio 2004 , n. 13785).
Peraltro nel merito il ricorso deve essere respinto.
La società ricorrente non ha dato infatti non solo alcuna prova ma neppure alcuna allegazione degli elementi costitutivi del danno.
In caso di lesione di interessi legittimi, per avere accesso al risarcimento del danno il privato deve dimostrare non solo che la sua sfera giuridica abbia subito una diminuzione per effetto dell’atto illegittimo ma che non si sia accresciuta nella misura che avrebbe raggiunto se il provvedimento viziato non fosse stato adottato od eseguito; e, pertanto, l’ onere della prova , pur basandosi su presunzioni semplici, sarà ritualmente assolto solo se il danneggiato alleghi gli elementi di fatto e gli indizi sulla cui base possono individuarsi i parametri presuntivi di determinazione del danno .
La materia del risarcimento del danno riguardando questioni attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo è regolata dal principio dell’onere della prova di cui all’art 2697 del codice civile, in base al quale chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscano il fondamento.
In base alla regola generale racchiusa nell’art. 2697 c.c. (operante, in questa parte, anche nel processo amministrativo), il danneggiato ha l’ onere di provare tutti gli elementi costitutivi della domanda di risarcimento ( danno , nesso di causalità, colpa) per illecito della p.a. (Consiglio Stato , sez. V, 06 agosto 2001 , n. 4239; Consiglio Stato , sez. V, 25 gennaio 2002 , n. 416 e Consiglio Stato , sez. VI, 16 aprile 2003 , n. 1990, per cui, in base al generale principio dell’ onere della prova , che trova piena applicazione in relazione ai diritti soggettivi, chi deduce di aver subito un danno deve fornire la prova dello stesso, sia in ordine all’"an" sia in ordine al "quantum" dello stesso).
La domanda di risarcimento del danno non sostenuta dalle allegazioni necessarie all’accertamento della responsabilità dell’amministrazione risulta proposta in modo generico e, quindi, va respinta.
Infatti, il giudizio risarcitorio a seguito di lesione di interessi legittimi postula il superamento dei principi processuali classici del processo amministrativo modellati sullo schema del giudizio di impugnazione di un atto amministrativo. Ne deriva che al privato non basta la deduzione, in base al principio dispositivo con metodo acquisitivo, dell’illegittimità dell’atto, essendo necessaria, in base al principio dispositivo, la dimostrazione, ex art. 2697 c.c. e 115 comma 1 c.p.c., degli elementi che consentano di concludere in senso a lui favorevole il giudizio sulla spettanza del risarcimento, e, cioè, occorre la prova del danno, nella sua esistenza e nel suo ammontare (secondo le regole di cui agli art. 1223, 1226 e 1227, richiamati dall’art. 2056 c.c.); infatti, la limitazione dell’onere probatorio che governa il processo amministrativo si fonda sulla naturale ineguaglianza delle parti, privato e pubblica amministrazione mentre rispetto al giudizio risarcitorio privato e pubblica amministrazione si pongono in una situazione paritaria.
Il principio dell’onere della prova, pur essendo un principio processualcivilistico, è destinato a trovare applicazione in un giudizio, quale quello risarcitorio, che esorbita dai confini di quello impugnatorio, sicché la domanda di risarcimento del danno deve essere fondata su una puntuale quantificazione e una congrua dimostrazione del danno conseguente all’illegittimità dell’atto annullato in sede giurisdizionale. (T.A.R. Campania Salerno, sez. I, 05 aprile 2006 , n. 355).
In particolare dunque la società cooperativa ricorrente non poteva limitarsi ad addurre l’illegittimità dell’atto, nel caso di specie già accertata dal giudice amministrativo valendosi, ai fini della sua quantificazione, del principio dispositivo con metodo acquisitivo e, quindi, della sufficienza dell’allegazione di un principio di prova, ma avrebbe dovuto compiere l’ulteriore sforzo probatorio di documentare il pregiudizio patrimoniale del quale chiede il ristoro nel suo esatto ammontare.
Come è noto, il pregiudizio risarcibile si compone, secondo la definizione offerta dall’art.1223 c.c., del danno emergente e del lucro cessante: e cioè della diminuzione reale del patrimonio del privato, per effetto di esborsi connessi alla inutile partecipazione al procedimento, e della perdita di un’occasione di guadagno o, comunque, di un’utilità economica connessa all’adozione o all’esecuzione del provvedimento illegittimo.
In primo luogo nel caso di specie non è stata fornita in alcun modo la prova ma neppure l’allegazione delle spese sostenute, se non delle spese del giudizio di annullamento, peraltro già oggetto di specifica pronuncia giusdizionale essendo state compensate sia in primo grado che in appello e quindi si tratta di una voce di danno coperta dal giudicato. 
Pertanto per la componente di cd danno emergente non vi è alcuna indicazione; per la componente del c.d lucro cessante, di più difficile e complessa determinazione, la giurisprudenza ha individuato alcuni parametri presuntivi di determinazione del quantum, certamente invocabili dal privato in presenza della lesione di aspettative di ampliamento della sua sfera giuridica e patrimoniale.
In particolare la giurisprudenza ha individuato per la determinazione del pregiudizio connesso alla perdita di un’occasione di successo in una procedura concorsuale, un criterio presuntivo in base all’applicazione dell’art.345 della legge 20 marzo 1865, n.2248, Allegato F, laddove quantifica nel 10% del valore dell’appalto l’importo da corrispondere all’appaltatore in caso di recesso facoltativo dell’amministrazione, nella determinazione forfettaria ed automatica del margine di guadagno presunto nell’esecuzione di appalti di lavori pubblici (cfr. ex multis Cons. St., sez. V, 8 luglio 2002, n.3796).
Perché sia ritualmente assolto l’onere della prova, è, tuttavia, necessario che, anche in tale ipotesi di determinazione forfetaria, il ricorrente danneggiato alleghi almeno gli elementi di fatto e gli indizi sulla cui base possono individuarsi i parametri presuntivi di determinazione del lucro cessante.
Inoltre, l’esame della domanda risarcitoria deve ritenersi subordinato al previo esame della richiesta di esecuzione (laddove ancora possibile) della sentenza di annullamento dell’illegittimo diniego, esecuzione il cui accoglimento potrebbe, in alcuni casi, elidere interamente l’area del danno risarcibile “(cfr. T.A.R. Campania Salerno, sez. I, 23 giugno 2003, n. 634).
Infatti, poiché l’annullamento dell’atto illegittimo può determinare, da solo, l’integrale riparazione delle sue conseguenze lesive, compete al ricorrente provare che la rimozione del provvedimento non soddisfi, di per sé, l’interesse azionato e che residui un danno ulteriore nella sua sfera patrimoniale, non interamente reintegrato per effetto della caducazione dell’atto.
Anche su tale punto il ricorso non ha allegato alcunché sulla intervenuta stipulazione del contratto anche in presenza di una giudicato favorevole alla società ricorrente; sulla mancata rinnovazione della procedura di gara.
Ne deriva che la domanda giudiziale di risarcimento del danno è del tutto priva di fondamento probatorio, nel senso della assoluta genericità della domanda concernente i presunti danni per la perdita di chances non qualificate in alcun modo . Né si può altrimenti opinare sulla scorta delle peculiarità del processo amministrativo, come sopra evidenziato, ovvero sopperire alle carenti deduzioni di parte attraverso la liquidazione equitativa la quale, per insegnamento costante, concerne la mera quantificazione, mentre spetta al ricorrente che agisce per il risarcimento del danno provare gli elementi costitutivi della propria pretesa e delle relative voci (cfr. ad es. T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 21 giugno 2005, n. 8328, Cassazione civile, sez. II, 10 aprile 2000, n. 4487 e Cassazione civile, sez. lav., 9 settembre 2003, n. 13185).
Nè può valere ad esonerare dalla prova del danno la parte sulla quale incombe il relativo onere, il ricorso, anche su istanza del ricorrente, alla consulenza tecnica d’ufficio (pure, ormai, utilizzabile dal giudice amministrativo), posto che tale accertamento non si configura come un mezzo di prova in senso tecnico e può essere disposto solo al fine di acquisire apprezzamenti tecnici altrimenti non formulabili dal giudice, ma Ne deriva che il ricorso dovrebbe allegare qualche elemento riguardo alla circostanza che l’annullamento in via giurisdizionale non abbia portato adeguata tutela all’interesse dedotto non può servire ad acquisire gli elementi che compongono il danno lamentato e, quindi, la sua dimostrazione (Cons. St., sez. IV, 14 giugno 2001, n.3169).
Pertanto il ricorso è infondato e deve essere respinto.
Sussistono giusti motivi per compensare interamente tra le parti spese ed onorari del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sez. int. I, definitivamente pronunciando, respinge il ricorso di cui in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Milano, nella Camera di Consiglio del 6 dicembre 2006 e dell’ 7 febbraio 2006, con l’intervento dei signori:
–           ******************** – Presidente
–    ***************** – Primo Referendario est.
–    ********************** – Referendario –
 

Lazzini Sonia

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