Impugnazioni penali: cosa cambia

Redazione 15/03/18
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Il ricorso per cassazione avverso le sentenze del giudice di pace

L’art. 36, comma 2, d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, prevede la legittimazione del pubblico ministero a proporre il ricorso per cassazione avverso tutte le sentenze pronunciate dal giudice di pace.
La portata di tale disposizione, tuttavia, è stata notevolmente ridimensionata dal d.lgs. n. 11 del 6 febbraio 2018, che ha introdotto un nuovo art. 39-bis nel d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, il quale prevede: “Art. 39-bis. Ricorso per cassazione. – 1. Contro le sentenze pronunciate in grado d’appello il ricorso per cassazione può essere proposto soltanto per i motivi di cui all’articolo 606, comma 1, lettere a), b) e c), del codice di procedura penale”.
Tale limitazione, riferita esclusivamente alle sentenze pronunciate in grado di appello e non estesa alle sentenze inappellabili, è volta ad escludere la possibilità di un sindacato di legittimità su motivi di impugnazione che riguardino, sostanzialmente, il procedimento di ammissione, assunzione e valutazione delle prove nella fase istruttoria del processo di merito; ciò al fine di semplificare e velocizzare l’iter processuale, quantomeno con riferimento a reati che presentano un ridotto disvalore sociale.
L’art. 37, comma 2, d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, prevede, con riferimento all’imputato, la sua legittimazione a ricorrere per cassazione avverso le sentenze di condanna alla sola pena pecuniaria e avverso le sentenze di proscioglimento.
Nonostante la norma faccia riferimento esclusivamente a tali categorie di sentenze, i principi generali espressi dagli artt. 111, comma 7, Cost. e 568, comma 2, c.p.p. consentono di ritenere che il potere di impugnazione dell’imputato sia da considerarsi esteso a tutte le sentenze, ivi comprese quelle di condanna a pena diversa da quella pecuniaria.

Il ricorso straordinario per errore materiale o di fatto all’indomani delle novità legislative

Prima dell’intervento del legislatore del 2001 (cfr. legge n. 128 del 2001 con la quale è stato introdotto l’art. 625-bis c.p.p.) il principio secondo cui le sentenze della Corte di Cassazione non potevano formare oggetto di un’impugnazione era assoluto e conosceva una sola eccezione, costituita dal rimedio straordinario della revisione (art. 629 c.p.p.).
Con l’introduzione dell’art. 625-bis c.p.p., invece, è stato previsto il rimedio del ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, il quale consente di richiedere ed ottenere la modifica di una sentenza della Corte di Cassazione, ancorché limitatamente ai punti in cui la stessa risulti errata per errore materiale o di fatto.
Tale rimedio deve ritenersi esperibile anche in caso di condanna ai soli effetti civili (cfr. Cass. pen., sez. VI, n. 26485/2010).
La richiesta è proposta dal procuratore generale o dal condannato, con ricorso presentato alla Corte di Cassazione entro centottanta giorni dal deposito del provvedimento. Detto termine, relativo ai soli casi di errore di fatto, è da ritenersi perentorio e decorre dalla data di deposito del provvedimento stesso, a nulla rilevando il successivo momento in cui la parte interessata ne abbia avuto effettiva conoscenza, attesa la necessità di evitare che una decisione irrevocabile di condanna resti esposta per un tempo potenzialmente indeterminato ad una situazione di instabilità, derivante dalla possibilità di esperire un ulteriore ricorso.

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