Immigrazione: significativi interventi delle sezioni civili della Corte di Cassazione nel 2016

Panozzo Rober 29/08/17
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A) GIURISDIZIONE E PROFILI PROCESSUALI

 

1. Cass. luglio 2016

E’ competente il tribunale, in composizione monocratica, ai sensi dell’art. 21, c. 2, del d. lgs. 25/2008 e non il giudice di pace, a provvedere sulla proroga del trattenimento dello straniero in un centro di identificazione ed espulsione ove sia ancora pendente il termine per l’impugnazione del diniego di protezione internazionale reso dalla Commissione territoriale, dovendosi riconoscere anche a quest’ultimo la qualifica di richiedente asilo giusta le previsioni dell’art. 2, lett. c) e d), della direttiva 2005/85 CE sulle procedure per il riconoscimento e la revoca dello “status” di rifugiato

 

 

B)ASILO, PROTEZIONE ET SIMILIA

 

1. Cass. gennaio 2016

La normativa in materia di protezione internazionale prevede, a carico dell’autorità decidente, un vero e proprio obbligo di informarsi in modo adeguato e pertinente alla richiesta in tutti quei casi in cui si reputi il quadro probatorio offerto dal richiedente deficitario

 

2.Cass.  febbraio 2016

In tema di immigrazione, la nullità del provvedimento amministrativo di diniego della protezione internazionale, reso dalla Commissione territoriale, non ha autonoma rilevanza nel giudizio introdotto dal ricorso al tribunale avverso il predetto provvedimento poiché tale procedimento ha ad oggetto il diritto soggettivo del ricorrente alla protezione invocata, sicché deve pervenire alla decisione sulla spettanza, o meno, del diritto stesso e non può limitarsi al mero annullamento del diniego amministrativo

 

3.Cass.  marzo 2016

La decisione di rigetto dell’istanza di riconoscimento della protezione internazionale resa dalla Commissione territoriale competente l’invalidità del provvedimento, derivante dall’inosservanza delle norme che disciplinano il procedimento amministrativo per la concessione del predetto beneficio, non assume un’autonoma rilevanza, non essendo il giudice chiamato a pronunciarsi specificamente sulla stessa, ma in ordine al merito dell’istanza

 

4.Cass.  giugno 2016

Il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste dai tre istituti dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e del diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al d. lgs. 251/2007 e all’art. 5, c. 6 del T.U. Immigrazione; con la conseguenza che non vi è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10, c. 3, Cost. La nullità del provvedimento amministrativo di diniego della protezione internazionale non ha autonoma rilevanza nel giudizio introdotto con il ricorso al tribunale avverso il predetto provvedimento. Tale giudizio, infatti, non ha per oggetto il provvedimento stesso, bensì il diritto soggettivo del ricorrente alla protezione invocata; dunque non può concludersi con il mero annullamento del diniego amministrativo della protezione, ma deve pervenire comunque alla decisione sulla spettanza o meno del diritto alla protezione

 

5.Cass.  luglio 2016

E’ competente il tribunale, in composizione monocratica, ai sensi dell’art. 21, c. 2, del d. lgs. 25/2008 e non il giudice di pace, a provvedere sulla proroga del trattenimento dello straniero in un centro di identificazione ed espulsione ove sia ancora pendente il termine per l’impugnazione del diniego di protezione internazionale reso dalla Commissione territoriale, dovendosi riconoscere anche a quest’ultimo la qualifica di richiedente asilo giusta le previsioni dell’art. 2, lett. c) e d), della direttiva 2005/85 CE sulle procedure per il riconoscimento e la revoca dello “status” di rifugiato

 

6.Cass. agosto 2016

Il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste dai tre istituti dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e del diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al d. lgs. 251/2007 e all’art. 5, c. 6 del T.U. Immigrazione; con la conseguenza che non vi è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10, c. 3, Cost.

 

7.Cass.  novembre 2016

Secondo l’insegnamento del S.C., se è vero che “in materia di immigrazione, la proposizione del ricorso del richiedente asilo avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale sospende l’efficacia esecutiva di tale provvedimento, con la conseguenza che, secondo l’interpretazione data dalla Corte di Giustizia all’art. 2, par. 1, della Direttiva CEE n. 115 del 2008, non scatta l’obbligo per il richiedente di lasciare il territorio nazionale. permanendo la situazione di inespellibilità fino all’esito della decisione sul ricorso -, è anche vero che “in tema di protezione internazionale dello straniero, dal momento della pubblicazione e prima ancora della notificazione, la sentenza del tribunale di rigetto del ricorso contro il provvedimento negativo della Commissione territoriale, proposto ai sensi dell’art. 35 del d. lgs. 25/2008, fa venire meno l’effetto sospensivo dell’esecutività del diniego stesso e, di conseguenza, fa divenire attuale l’obbligo per il richiedente di lasciare il territorio nazionale. Tale obbligo si traduce nel dovere. per il Prefetto, di provvedere ai sensi dell’art. 13 del T.U. Immigrazione, salvo che venga proposto reclamo alla Corte d’Appello e venga accolta l’istanza di sospensione”

 

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C) INGRESSO E/O PERMANENZA IN ITALIA PER ASSISTENZA AL MINORE (art. 31, c. 3, TU Immigrazione)

 

1.Cass.  gennaio 2016

Se è vero che la Suprema Corte (cfr. Cass., sez. un., n. 21799 del 2010, citata anche dai ricorrenti) ha precisato che l’art. 31, comma 3, T.U. Immigrazione non richiede necessariamente l’eccezionalità della situazione o l’imminenza di un grave pericolo alla salute del minore, è altrettanto vero che il Giudice della nomofilachia peraltro nella medesima pronuncia poc’anzi menzionata) ha ribadito come la norma non possa parimenti essere intesa in senso tanto estensivo da ricomprendere, nel concetto di “grave danno”, la mera possibilità che i minori crescano (in Italia) separati dai genitori, questi ultimi venendo espulsi dal Paese – tanto varrebbe, altrimenti, vietare l’espulsione degli stranieri che abbiano figli minorenni. Per contro, questa Corte ha precisato che il pregiudizio alla salute psico-fisica del minore (che, in potenza, può ben derivare dall’espulsione dei genitori dall’Italia, in ragione della conseguente separazione dai figli che ivi rimanessero) deve essere di volta in volta dimostrato esistente, ciò che non è avvenuto nel caso che ne occupa, di cui l’infondatezza del motivo di ricorso. Nel procedimento ex art. 31, c. 3, T.U. Immigrazione, il giudice deve effettuare un giudizio prognostico che tenga conto in concreto delle caratteristiche dei minori (età, nascita, luogo di allontanamento dei genitori, concreta possibilità di contatti etc.) e dell’irrilevanza ai fini del giudizio da svolgere della possibilità che i minori possano espatriare con i genitori. Quest’ultima, infatti, non può essere ritenuta un’opzione valutabile dal giudice, in virtù del divieto di espulsione dei minori vigente nel nostro ordinamento e del conseguente diritto costituzionalmente e convenzionalmente garantito dei minori di soggiornare in Italia unitamente ai genitori ove ricorrano le condizioni di legge. A tale ultimo riguardo deve essere evidenziato che il la norma de qua costituisce uno strumento a favore del minore ed in funzione del suo “best interest” oltre che della realizzazione del diritto all’unità familiare. Poichè come rilevato ripetutamente dalla giurisprudenza della CEDU il diritto all’unità familiare non è assoluto ma deve essere verificato mediante un corretto bilanciamento, anche in funzione del principio di proporzionalità, con gli interessi pubblici statuali che ad essi, nella specie si contrappongono, il legislatore ha stabilito condizioni di temporaneità dell’autorizzazione al soggiorno dei genitori e requisiti oggettivi da accertarsi caso per caso. Tali ultimi requisiti non devono essere rinvenuti solo nelle ipotesi in cui si verifichino situazioni di emergenza o circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla salute ma anche quando si riscontri un danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave anche correlato all’età (Cass. S.U. n. 21799 del 2010). La valutazione del danno, conseguente all’allontanamento dei genitori o dallo sradicamento del minore deve essere fondata su un giudizio prognostico che non trascuri in primo luogo l’età del minore o dei minori, il grado di radicamento del nostro paese, in relazione alla durata della vita del minore e del soggiorno e le prospettive, riferiti agli anni immediatamente successivi (trattandosi di misura temporanea, revocabile o rinnovabile), di concrete possibilità rapporto con i genitori medesimi nell’ipotesi del rimpatrio dei medesimi. Tra questi indici quello dell’età, se prescolare, (Cass. 15191 del 2015) costituisce un elemento significativo che non deve essere trascurato così come quello del radicamento (costituente uno dei criteri Boultif per valutare la legittimità dell’ingerenza statuale nell’incidere il diritto alla vita familiare ex art. 8 CEDU). Pertanto la valutazione di non specificità e gravità del disagio che non tenga conto di questi due fattori, anche affidandosi ad un’indagine tecnica ove necessario, non è compiuta alla stregua del canone normativo così come interpretato dalle S.U. Un minore nato da pochi anni in Italia da cittadini stranieri di nazionalità cinese, verosimilmente condivide con il proprio nucleo familiare la quasi totalità della propria esistenza, non avendo a causa dell’età e della nazionalità straniera dei genitori molti altri poli affettivi di riferimento. Nello stesso tempo il paese in cui è nato costituisce l’unico habitat ambientale che conosce e nel quale ha iniziato la propria esistenza e sviluppato la propria personalità sotto il profilo cognitivo e relazionale. Il grado di elaborazione dei cambiamenti traumatici è verosimilmente proporzionale alla crescita. Tutti questi fattori sono stati omessi dal giudizio prognostico effettuato dalla Corte territoriale, con riferimento ai minori, essendo sufficiente che la gravita del disagio psico-fisico possa riscontrarsi in uno di essi.

 

2.Cass.  febbraio 2016

I “gravi motivi” contemplati dall’art. 31 del T.U. Immigrazione, ai fini del rilascio della temporanea autorizzazione al soggiorno vanno riferiti, secondo giurisprudenza di questa Corte, a situazioni non di lunga o indeterminabile durata e non caratterizzate da tendenziale stabilità che, pur non prestandosi ad essere catalogate o standardizzate, si concretino in eventi traumatici e non prevedibili che trascendano il normale disagio dovuto al proprio rimpatrio o a quello di un familiare (S.U. sentenza n. 21799/2010).

 

3.Cass. marzo 2016

Per i minori vige il divieto di espulsione e, conseguentemente, l’applicazione dell’art. 31, c. 3, T.U. Immigrazione, non può essere elusa in virtù della possibilità di far allontanare anch’essi dall’Italia; al contrario, la norma in esame, posta a presidio dell’interesse dei minori, stabilisce il loro diritto a godere, oltre che dello statuto protettivo costituito dal divieto di espulsione, anche del diritto a non vedere allontanati i genitori conviventi ove ricorrano le condizioni in essa previste. L’età prescolare del minore costituisce di per sé un criterio prognostico specifico in ordine al disagio psicofisico connesso con la perdita del rapporto con i genitori, trattandosi di una fase di vita caratterizzata da peculiari esigenze di attaccamento realizzabili soltanto con il rapporto quotidiano

 

4.Cass. giugno 2016

Le Sezioni Unite con la pronuncia n. 21799 del 2010 hanno fornito un’interpretazione del parametro normativo dell’art. 31, c. 3, T.U. Immigrazione, dalla quale non ci si deve discostare. In particolare le S.U. hanno sottolineato che non sono necessarie situazioni di emergenza o circostanze contingenti ed eccezionali, essendo sufficiente valutare se può configurarsi con giudizio prognostico un danno effettivo concreto percepibile ed obiettivamente grave che possa derivare dall’allontanamento di uno dei genitori, tenuto conto del quadro complessivo delle condizioni del minori, che nella specie è tutt’altro che riconducibile ad una generico e standardizzata condizione di disagio essendo caratterizzato da patologie serie che richiedono cure e particolare attenzione proprio nella fase della crescita, essendo legate allo sviluppo psico-fisico del minore

 

5.Cass. giugno 2016

La temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del familiare del minore, prevista dall’art. 31, c. 3, T.U. Immigrazione, non richiede necessariamente l’esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla salute del minore stesso, potendo comprendere qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave che, in considerazione dell’età o delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psicofisico, deriva o deriverà certamente al minore dall’allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall’ambiente in cui è cresciuto, e tuttavia – ha aggiunto – tale autorizzazione richiede la sussistenza di situazioni non di lunga o indeterminabile durata e non caratterizzate da tendenziale stabilità che, pur non prestandosi ad essere catalogate o standardizzate, si concretino in eventi traumatici e non prevedibili che trascendano il normale disagio dovuto al proprio rimpatrio o a quello di un familiare [rileva il S.C. che “A tali principi si è attenuta la Corte d’appello, la quale ha compiutamente motivato osservando, senza smentita – se non puramente formale – del ricorrente, che quest’ultimo non aveva, in sostanza, dedotto altro che le conseguenze normalmente inerenti al distacco di un figlio dal genitore”]

 

6.Cass. settembre 2016

Secondo il paradigma stabilito dall’art. 31, c. 3, T.U. Immigrazione, così come interpretato dalla sentenza delle S.U. n. 21799 del 2010 la temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del familiare del minore in presenza di gravi motivi connessi al suo sviluppo psico-fisico, non richiede necessariamente l’esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla sua salute, ma può comprendere qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave che, in considerazione dell’età o delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psico-fisico, deriva o deriverà certamente al minore dall’allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall’ambiente in cui è cresciuto. Nel caso di specie possono essere enucleati due fattori, come evidenziato nel ricorso, che trascendono il normale disagio connesso all’allontanamento dal luogo di radicamento e sono idonei ad integrare i gravi motivi connessi allo sviluppo psico fisico del minore. Tali fattori consistono nell’età prescolare dei minori e nella condizione di albino del minore [ad avviso del S.C., “la Corte territoriale, nonostante l’espressa indicazione contenuta nell’art. 31 terzo comma, rivolta alla considerazione, nella valutazione del pregiudizio per il minore, dell’età e della salute dei minori, ne ha escluso il rilievo. In contrasto con il più recente orientamento di questa Corte (ex multis Cass. 15191 e 25419 del 2015) non ha valutato adeguatamente l’incidenza dell’età prescolare di tutti e tre i minori al momento della richiesta di autorizzazione, ritenendo genericamente tale fattore un indice di scarso legame con il territorio, senza svolgere alcuno specifico accertamento ed, inoltre, omettendo di esaminare fatti decisivi quali l’inserimento e la frequenza stabile delle scuole materne, debitamente documentata (cfr. pag. 9 ricorso) e la peculiare patologia del piccolo D. Quanto alla peculiare condizione di D., la Corte territoriale ha commesso un duplice ordine di errori. In primo luogo ha omesso di fornire una giustificazione della conclusione cui è pervenuta, secondo la quale una situazione così complessa come l’albinismo non abbia bisogno di essere costantemente o periodicamente seguita da un presidio medico sanitario adeguato. In secondo luogo ha illegittimamente omesso di considerare l’incidenza potenziale della discriminazione nei confronti degli albini sul minore colpito dalla patologia e sugli altri fratelli, mal interpretando il parametro normativo. Qualsiasi fattore che possa determinare il grave disagio in ordine allo sviluppo psico fisico del minore deve essere preso in considerazione, pur se idoneo astrattamente ad integrare un’altra condizione di riconoscimento di un valido titolo di soggiorno. La Corte non poteva sottrarsi all’indagine sull’esistenza della discriminazione, sulle forme e le conseguenze della stessa nonchè infine non svolgere il giudizio prognostico indicato dalle S.U. nella pronuncia n. 21799 del 2010 al fine di verificarne l’incidenza effettiva e molto grave sullo sviluppo psico-fisico del minore”]

 

7.Cass. settembre 2016

A partire dalla pronuncia delle Sezioni Unite del 2010 (n. 21799/2010), il S.C.  ha ribadito, con riferimento all’età prescolare del minore, che la temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del familiare del minore, prevista dall’art. 31 T.U. Immigrazione,  in presenza di gravi motivi connessi allo sviluppo psico-fisico, non richiede necessariamente l’esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla sua salute, potendo comprendere qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave che, in considerazione dell’età e delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psicofisico, deriva o deriverà certamente al minore dall’allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall’ambiente in cui è cresciuto. Deve trattarsi tuttavia di situazioni non di lunga o indeterminabile durata e non caratterizzate da tendenziale stabilità che, pur non prestandosi ad essere catalogate o standardizzate, si concretino in eventi traumatici e non prevedibili, che trascendano il normale disagio dovuto al proprio rimpatrio o a quello di un familiare

 

8.Cass. dicembre 2016

Questa Corte infatti ha già chiarito che la temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del familiare del minore, prevista dall’art. 31 T.U. Immigrazione, in presenza di gravi motivi connessi al suo sviluppo psico-fisico, non richiede necessariamente l’esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla sua salute, potendo comprendere qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave che in considerazione dell’età o delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psicofisico, deriva o deriverà certamente al minore dall’allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall’ambiente in cui è cresciuto. Deve trattarsi tuttavia di situazioni non di lunga o indeterminabile durata e non caratterizzate da tendenziale stabilità che, pur non prestandosi ad essere catalogate o standardizzate, si concretino in eventi traumatici e non prevedibili che trascendano il normale disagio dovuto al proprio rimpatrio o a quello di un familiare (Cass. Sez Un 21799/10; 15191/15; 17739/15; 25419/15) [alla luce del principio, nel caso deciso il S.C. ha respinto il ricorso dello straniero, osservando che “nel caso di specie il figlio minore ha compiuto ormai 10 anni e la situazione di disagio prospettata dall’attuale ricorrente comporterebbe una durata indeterminata non collegata ad alcuna situazione di malattia o di specifica necessità di assistenza per il minore”]

 

9.Cass. dicembre 2016

La pendenza del procedimento diretto ad ottenere l’autorizzazione a permanere sul territorio nazionale ai sensi dell’art. 31, c. 3, T.U. Immigrazione non incide per ciò solo sulla validità del decreto di espulsione, né è idoneo a sospenderne l’efficacia

 

 

D) RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE

 

1.Cass.  maggio 2016

In tema di immigrazione, l’attribuzione della tutela su di un minore per via negoziale è inidonea all’accoglimento della domanda di ricongiungimento familiare, ex art.29, c. 2, del T.U. Immigrazione, non essendo tale tutela equiparabile a quella disciplinata dal diritto italiano, giudizialmente disposta in favore dei minori privi di genitori in grado di esercitare nei loro confronti la responsabilità genitoriale e, dunque, di rappresentarli legalmente. (Nella specie, il  S.C. ha confermato il decreto impugnato, reiettivo del reclamo proposto dalla odierna ricorrente avverso il diniego di nulla osta al ricongiungimento con la stessa di sua nipote, minorenne, dal cui padre le era stata concessione la tutela in virtù di mero atto negoziale).

 

2.Cass. luglio 2016

L’impugnazione avverso l’ordinanza reiettiva del permesso di soggiorno per motivi familiari di cui all’art. 30, c. 1, lett. a), del T.U. Immigrazione, va proposta con atto di citazione anziché con ricorso e, nel caso di erronea introduzione del giudizio, la tempestività del gravame va verificata con riferimento non solo alla data di deposito dell’atto introduttivo, ma anche a quella di notifica dello stesso alla controparte, che deve avvenire nel rispetto del termine di trenta giorni previsto dall’art. 702 quater c.p.c. a pena di inammissibilità, senza che possa essere effettuata alcuna conversione del rito in appello, riguardando l’art. 4 del d. lgs. 150/2011 solo il primo grado.

 

 

E)INESPELLIBILITA’

 

1.Cass.  giugno 2016

La garanzia del diritto fondamentale alla salute impedisce l’espulsione dello straniero (nella specie, cittadina peruviana che avrebbe dovuto osservare un rigido protocollo postoperatorio conseguente ad un intervento chirurgico per tumore) che comunque si trovi nel territorio nazionale ove questi, dall’immediata esecuzione del provvedimento, potrebbe subirne un irreparabile pregiudizio, dovendo tale garanzia comprendere non solo le prestazioni di pronto soccorso e di medicina d’urgenza, ma anche tutte le altre prestazioni essenziali per la vita

 

2.Cass. luglio 2016

Il divieto di espulsione dello straniero convivente con parente entro il secondo grado o con il coniuge di nazionalità italiana, stabilito dall’art. 19, c. 2, lett. c), T.U. Immigrazione è escluso soltanto “nei casi previsti dall’art. 13, comma 1″, vale a dire per le espulsioni disposte per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato” non anche nel caso di espulsione prefettizia ai sensi del medesimo art. 13, comma 2

 

3.Cass. ottobre 2016

L’art. 19, c. 1, T.U. Immigrazione prevede come causa di inespellibilità dello straniero il solo rischio che il medesimo sia soggetto a persecuzione per motivi di razza, sesso, lingua, cittadinanza, religione, opinioni politiche, condizioni personali o sociali Può anche ritenersi che l’espulsione sia vietata, altresì, nel caso di esposizione dell’espulso al rischio di sottoposizione alla pena di morte, a tortura o a trattamenti inumani o degradanti – rischi integranti le ipotesi di protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. a) e b), d. lgs. 251/2007 – ai sensi  dell’art. 3 CEDU, del 6^ Protocollo aggiuntivo alla stessa, nonchè degli artt. 2, 4 e 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, come interpretati dalla giurisprudenza delle corti di Strasburgo e di Lussemburgo, cui l’ordinamento italiano è tenuto a uniformarsi

 

4.Cass. ottobre 2016

La garanzia del diritto fondamentale alla salute del cittadino straniero, che si trovi comunque nel territorio nazionale, impedisce l’espulsione di colui che dall’immediata esecuzione del provvedimento potrebbe subire un irreparabile pregiudizio, dovendo tale garanzia comprendere non solo le prestazioni di pronto soccorso e di medicina d’urgenza, ma anche tutte le altre prestazioni essenziali per la vita

 

5.Cass. novembre 2016

Secondo l’insegnamento del S.C., se è vero che “in materia di immigrazione, la proposizione del ricorso del richiedente asilo avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale sospende l’efficacia esecutiva di tale provvedimento, con la conseguenza che, secondo l’interpretazione data dalla Corte di Giustizia all’art. 2, par. 1, della Direttiva CEE n. 115 del 2008, non scatta l’obbligo per il richiedente di lasciare il territorio nazionale. permanendo la situazione di inespellibilità fino all’esito della decisione sul ricorso -, è anche vero che “in tema di protezione internazionale dello straniero, dal momento della pubblicazione e prima ancora della notificazione, la sentenza del tribunale di rigetto del ricorso contro il provvedimento negativo della Commissione territoriale, proposto ai sensi dell’art. 35 del d. lgs. 25/2008, fa venire meno l’effetto sospensivo dell’esecutività del diniego stesso e, di conseguenza, fa divenire attuale l’obbligo per il richiedente di lasciare il territorio nazionale. Tale obbligo si traduce nel dovere. per il Prefetto, di provvedere ai sensi dell’art. 13 del T.U. Immigrazione, salvo che venga proposto reclamo alla Corte d’Appello e venga accolta l’istanza di sospensione”

 

6.Cass. dicembre 2016

Il divieto di espulsione di cui all’art. 19, c. 1, lett. c), T.U. Immigrazione, costituisce condizione necessaria per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di coesione familiare, sicché non opera qualora, per ragioni di pericolosità sociale, sia stato revocato il titolo di soggiorno dello straniero, anche se fondato sulla medesima condizione soggettiva produttiva dell’inespellibilità (nella specie, matrimonio con cittadina italiana)

  

7.Cass. dicembre 2016

In caso di diniego di riconoscimento della protezione internazionale da parte della competente commissione in sede amministrativa, non impugnato dal richiedente, l’opposizione alla conseguente espulsione, basata sulla causa d’inespellibilità di cui all’art. 19, c. 1, T.U. Immigrazione, deve fondarsi su ragioni umanitarie nuove o diverse, quanto meno dal punto di vista soggettivo (per essere state, cioè, ignorate), da quelle che già sono state oggetto del procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale

 

 

F) ESPULSIONE

 

1.Cass. gennaio 2016

Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, in caso di ricorso avverso il provvedimento di espulsione disposto ai sensi dell’art. 13, c. 2, lett. c), T.U. Immigrazione, il controllo giurisdizionale deve avere ad oggetto il riscontro dell’esistenza dei presupposti di appartenenza dello straniero ad una delle categorie di pericolosità sociale, indicate nell’art. 1 della l. 1423/1956, e tale riscontro va compiuto sulla base degli stessi criteri applicati per le misure di prevenzione, ovvero tenendo presente: a) il carattere oggettivo degli elementi, che giustificano sospetti e presunzioni; b) fattualità della pericolosità;) la necessità di un esame globale della personalità del soggetto, attraverso una verifica “ab estrinseco” effettuata in base alla completezza, logicità e non contraddittorietà delle valutazioni operate dall’amministrazione (Cass. n. 18482 del 2011).

 

2.Cass. febbraio 2016

In tema di immigrazione, il decreto di espulsione emesso nei confronti dello straniero che abbia omesso di chiedere, nei termini di legge, al Tribunale per i minorenni, il rinnovo dell’autorizzazione al soggiorno per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute dei figli minori che si trovano nel territorio italiano, è illegittimo per violazione della clausola di salvaguardia della coesione familiare di cui agli artt. 5, c. 5, e 31, c. 3, T.U. Immigrazione, ove non contenga alcun riferimento alle ragioni per cui non è stata presa in considerazione la sua situazione familiare

 

3.Cass. marzo 2016

E’ nullo il decreto di espulsione che non tradotto in lingua conosciuta dall’intimato, pur quando sia stata addotta l’irreperibilità immediata di un traduttore nella lingua dello straniero, salvo che l’amministrazione non alleghi ed il giudice ritenga plausibile l’impossibilità di predisporre un testo in tale lingua, per la rarità di questa, ovvero l’inidoneità di un tale testo alla comunicazione della decisione in concreto assunta

 

4.Cass. marzo 2016

E’ nullo il decreto di espulsione che sia stato tradotto in lingua veicolare, pur quando sia stata addotta l’irreperibilità immediata di traduttore nella lingua conosciuta dallo straniero, salvo che l’amministrazione non affermi ed il giudice ritenga plausibile l’impossibilità di predisporre un testo nella lingua conosciuta dallo straniero per la sua rarità ovvero l’inidoneità di tal testo alla comunicazione della decisione in concreto assunta (Cass. 3676/2012, 3678/2012 e successive conformi) [Va aggiunto, a confutazione dell’argomento addotto dal Giudice di pace, che, ai sensi dell’art. 3, comma 3, del regolamento approvato con D.P.R. 31 agosto 1999, n. 304, la scelta di una delle lingue “veicolari” è prevista solo per il caso in cui sia appurata l’impossibilità di reperire un traduttore in lingua conosciuta dallo straniero. Il Giudice di pace ha dunque errato nel ritenere superabile la necessità della traduzione del decreto prefettizio in lingua albanese, certamente non qualificabile come lingua rara nel nostro paese, senza che fosse neppure dedotta l’inidoneità del contenuto del decreto di espulsione ad essere comunicato mediante un formulario già predisposto”]

 

5.Cass. marzo 2016

In tema d’immigrazione, il giudice investito dell’impugnazione del provvedimento di espulsione ha piena cognizione dei fatti di causa, che deve accertare anche in base ai documenti prodotti solo in sede processuale, secondo le regole generali valevoli per i giudizi davanti a lui, finalizzati a correggere, grazie alla pienezza del contraddittorio e del diritto di difesa, eventuali lacune o errori del procedimento amministrativo. (In applicazione del suddetto principio, il  S.C. ha cassato la decisione impugnata, che aveva ritenuto legittima l’espulsione considerando irrilevante l’esistenza, sul passaporto del ricorrente, di un visto d’ingresso rilasciato dall’autorità diplomatica francese, in quanto non esibito al momento dell’espulsione).

 

6.Cass.  marzo 2016

In tema di immigrazione, il giudice di pace, investito dell’impugnazione del decreto di espulsione emesso dal Prefetto per essersi lo straniero trattenuto nel territorio dello Stato senza aver presentato la dichiarazione di presenza di cui all’art. 5, c. 2, del T.U. Immigrazione  o richiesto il permesso nei termini stabiliti, non può, in via interpretativa, modificare quella contestazione, nella specie facendovi rientrare la diversa fattispecie dell’irregolare presenza per mancato rinnovo del permesso di soggiorno, rispondente alla condizione effettiva dell’istante ma non contemplata nel decreto stesso, essendo quest’ultimo un provvedimento con carattere vincolato e risolvendosi una siffatta operazione in una illegittima sanatoria dell’atto amministrativo

 

7.Cass.  marzo 2016

In materia di immigrazione, le espulsioni amministrative adottate antecedentemente alla apertura del procedimento di emersione, non sono soggette alla sospensione “ex lege” prevista dall’art. 1 ter, c. 8, del d.l. 78/2009, come aggiunto, in sede di conversione, dalla l. 102/2009, poiché, alla stregua della chiara lettera di questa, e della evidente ratio dell’istituto, la sospensione del potere espulsivo correlata alla procedura di emersione rende invalida l’espulsione in sua pendenza adottata, e non è quindi idonea a determinare l’invalidazione “ex ante” di una espulsione emessa prima ancora che il datore di lavoro presenti la richiesta di emersione

 

8.Cass.  marzo 2016

In tema di disciplina dell’immigrazione, l’art. 13, c. 2 bis, T.U. Immigrazione, nel disporre che qualora debba adottarsi un provvedimento di espulsione, ai sensi del comma 2, lett. a) e lett b) medesima disposizione, nei confronti dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, si deve tenere anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale, nonchè dell’esistenza dei legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese di origine, tende a salvaguardare il diritto alla vita familiare dello straniero in ogni caso in cui esso non contrasti con gli interessi pubblici

 

9. Cass. aprile 2016

Ai fini della tempestività della proroga del trattenimento in un centro di espulsione ed identificazione, è sufficiente che essa sia disposta nel termine originario di scadenza del trattenimento, mentre il decorso, tra la corrispondente richiesta e la sua convalida da parte del giudice di pace, di un tempo superiore alle quarantotto ore, non ne inficia la validità, non ponendosi alcuna esigenza di rispetto dell’art. 13, c. 3, Cost., posto che il giudice non interviene per convalidare un provvedimento restrittivo già emesso dal questore – come nel caso di convalida dell’originario trattenimento – ma emette egli stesso il provvedimento restrittivo [rileva il S.C. “E’ vero che questa Corte ha tratto dall’analogia tra convalida del trattenimento e proroga dello stesso, entrambe incidenti sulla libertà personale, la conclusione che anche il provvedimento di proroga deve essere adottato con il rispetto delle garanzie del contraddittorio e del diritto di difesa assicurate per il decreto di convalida, sulla scorta di un’interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina legislativa della proroga, che non prevede siffatte garanzie; ma ciò non significa che debba essere estesa alla proroga tutta la disciplina prevista per la convalida, anche laddove l’estensione non troverebbe giustificazione nell’analogia tra i due tipi di provvedimento”]

 

10.Cass. aprile 2016

L’art. 14, c. 4, de T.U. Immigrazione impone che il decreto di convalida del trattenimento dello straniero intervenga, a pena di inefficacia, entro le quarantotto ore successive alla comunicazione del trattenimento stesso, sicché, essendo il termine fissato in ore, è indispensabile, al fine della verifica della sua osservanza, l’indicazione, nel verbale della corrispondente udienza, se ivi reso, del giorno e dell’ora della sua emissione, ovvero dell’ora del suo deposito in cancelleria se emesso con distinto provvedimento, altrimenti determinandosene la nullità insanabile per mancanza di un requisito essenziale per il raggiungimento dello scopo ex art. 156, c. 2, c.p.c.

 

11.Cass. maggio 2016

In tema di immigrazione e condizione giuridica dello straniero, la ricorrenza dell’ipotesi di trattenimento illegale nel territorio dello Stato, di cui all’art. 13, c. 2, lett. b), del T.U. Immigrazione, comporta l’emissione del decreto di espulsione con carattere di automaticità, – salvo il solo caso di tardiva presentazione della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno – con esclusione di qualsivoglia potere discrezionale del Prefetto al riguardo e senza che assumano alcun rilievo né la circostanza che lo straniero sia entrato regolarmente in Italia, né che vi svolga attività lavorativa, in assenza dell’attivazione della specifica procedura di sanatoria al riguardo

 

12.Cass. giugno 2016

E’ nullo il decreto di espulsione tradotto in lingua veicolare per l’affermata irreperibilità immediata di un traduttore nella lingua conosciuta dallo straniero, salvo che l’amministrazione non affermi ed il giudice ritenga plausibile l’impossibilità di predisporre un testo nella lingua conosciuta dallo straniero per la sua rarità ovvero l’inidoneità di tal testo alla comunicazione della decisione in concreto assunta [aggiunge il S.C. che “Il giudice di merito ha dunque errato nel ritenere insindacabile l’attestazione d’indisponibilità di un interprete da parte dell’amministrazione”]

 

13.Cass. giugno 2016

Al procedimento giurisdizionale di decisione sulla proroga del trattenimento dello straniero nel centro di identificazione ed espulsione ai sensi degli artt. 21, c. 2, e 28, c. 2, del d. lgs. 25/2008 si applicano le stesse garanzie del contraddittorio, consistenti nella partecipazione necessaria del difensore e nell’audizione dell’interessato, previste dall’art. 14 del T.U. Immigrazione, cui rinvia l’art. 21 cit. per il procedimento di convalida della prima frazione temporale del trattenimento, senza che sia necessaria una richiesta dell’interessato di essere sentito. (Nel caso deciso, il  S.C. ha cassato il provvedimento di proroga adottato dal tribunale in assenza della persona trattenuta e per il mancato avviso al difensore della fissazione dell’udienza)

 

14.Cass. giugno 2016

La spontanea presentazione della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno oltre il termine di sessanta giorni dalla sua scadenza osta all’espulsione automatica dello straniero, la quale può essere disposta solo se la domanda sia stata respinta per la mancanza, originaria o sopravvenuta, dei requisiti richiesti dalla legge per il soggiorno dello straniero sul territorio nazionale mentre il ritardo nella presentazione può costituirne solo indice rivelatore nel quadro di una valutazione complessiva della situazione in cui versa l’interessato. Il rifiuto, esplicito o per factta concludentia, di ricevere l’istanza di rinnovo, ancorché tardivamente proposta, del permesso di soggiorno scaduto, può integrare una situazione di addebitabilità all’Amministrazione della permanenza illegale ed essere idonea ad inibire l’esercizio del potere espulsivo fino alla definizione della richiesta, purchè di tale comportamento dilatorio od ostruzionistico sia fornita la prova

 

15.Cass. giugno 2016

Il controllo giurisdizionale sul ricorso avverso il provvedimento di espulsione disposto ai sensi dell’art. 13, c. 2, lett. c), T.U. Immigrazione deve avere ad oggetto il riscontro dell’esistenza dei presupposti di appartenenza dello straniero ad una delle categorie di persone pericolose indicate negli artt. 1, 4 e 16 del d. lgs. 159/2011 (già art. 1 l. 123/1956 e s. m.), riscontro che va condotto sulla base dei seguenti criteri: a) necessità di un accertamento oggettivo e non meramente soggettivo degli elementi che giustificano sospetti e presunzioni; b) attualità della pericolosità; c) necessità di esaminare globalmente l’intera personalità del soggetto quale risulta da tutte le manifestazioni sociali della sua vita (Cass. 12721/2002, 5661/2003, 11321/2004, 17585/2010, 18482/2011) [nel caso deciso, il Giudice di pace non si è attenuto ai predetti principi, essendosi limitato soltanto a dare atto delle pendenza, a carico del ricorrente, di otto denunce per violazione del codice della strada e di due procedimenti penali, senza altro aggiungere]

 

16.Cass. giugno 2016

In tema di immigrazione, il provvedimento di espulsione dello straniero è obbligatorio a carattere vincolato, sicché il giudice ordinario è tenuto unicamente a controllare, al momento dell’espulsione, l’assenza del permesso di soggiorno perché non richiesto (in assenza di cause di giustificazione), revocato, annullato ovvero negato per mancata tempestiva richiesta di rinnovo, mentre è preclusa ogni valutazione, anche ai fini dell’eventuale disapplicazione, sulla legittimità del relativo provvedimento del questore trattandosi di sindacato che spetta unicamente al giudice amministrativo, il giudizio innanzi al quale non giustifica la sospensione di quello innanzi al giudice ordinario attesa la carenza, tra i due, di un nesso di pregiudizialità giuridica necessaria, né la relativa decisione costituisce in alcun modo un antecedente logico rispetto a quella sul decreto di espulsione

 

17.Cass. giugno 2016

E’ nullo il decreto di espulsione tradotto in lingua veicolare per l’affermata irreperibilità immediata di un traduttore nella lingua conosciuta dallo straniero, salvo che l’amministrazione non affermi ed il giudice ritenga plausibile l’impossibilità di predisporre un testo nella lingua conosciuta dallo straniero per la sua rarità ovvero l’inidoneità di tal testo alla comunicazione della decisione in concreto assunta [nel caso deciso, il Giudice di pace ha errato nel ritenere superabile la necessità della traduzione del decreto prefettizio in lingua araba, certamente non qualificabile come lingua rara nel nostro paese, senza che fosse neppure dedotta l’inidoneità del contenuto del decreto di espulsione ad essere comunicato mediante un formulano già predisposto]

 

18.Cass.  luglio 2016

A fronte della accertata irregolarità del soggiorno nel territorio nazionale, il carattere vincolato del provvedimento di espulsione  circoscrive il controllo del giudice in sede di opposizione al riscontro dell’esistenza dei requisiti fattuali necessari per la sua emissione, restando invece escluso ogni sindacato in ordine alla legittimità degli atti amministrativi che ne costituiscono il presupposto, e segnatamente dei provvedimenti del questore che abbiano rifiutato, revocato o annullato il permesso di soggiorno o ne abbiano negato il rinnovo, la cui valutazione spetta al Giudice amministrativo, trattandosi di provvedimenti a carattere discrezionale

 

19.Cass. luglio 2016

Il provvedimento di espulsione tradotto in lingua veicolare è nullo, anche quando sia stata addotta l’irreperibilità immediata di un traduttore nella lingua conosciuta dallo straniero, salvo che l’Amministrazione non affermi ed il giudice ritenga plausibile l’impossibilità di predisporre un testo nella lingua conosciuta dallo straniero per la sua rarità ovvero per l’inidoneità di tale testo alla comunicazione della decisione in concreto assunta (cfr. Cass., Sez. 6, 23 settembre 2015, n. 18749; 14 luglio 2015, n. 14733; 8 marzo 2012, n. 3676). E’ stato tuttavia precisato che l’obbligo della predetta attestazione viene meno quando il giudice di merito abbia accertato, con motivazione immune dà vizi logici e giuridici, la comprovata conoscenza della lingua italiana da parte dell’interessato (cfr. Cass., Sez. 6, 29 novembre 2010, n. 24170; Cass., Sez. 1, 4 luglio 2006, n. 15236; 11 gennaio 2006, n. 275). Nella specie, la prova di tale conoscenza è stata ragionevolmente ritenuta acquisita, in via presuntiva, sulla base della permanenza in Italia del ricorrente, protrattasi per ben diciotto anni in virtù di un permesso di soggiorno rilasciato nel 1997 e più volte rinnovato, fino al 2 marzo 2008, nonché dell’avvenuta prestazione di attività lavorativa subordinata, al cui svolgimento era preordinato il soggiorno autorizzato

 

20.Cass. luglio 2016

Nel giudizio di opposizione al decreto di espulsione dello straniero la legittimazione passiva spetta in via esclusiva, personale e permanente al prefetto, quale autorità che ha emesso il provvedimento, con la conseguente inammissibilità del ricorso per cassazione notificato al Ministero dell’Interno presso l’Avvocatura generale dello Stato, anzichè al prefetto in proprio, non assumendo alcun rilievo, a tal l’eventuale impugnazione contestuale del provvedimento di allontanamento dello straniero dal territorio dello Stato, emesso dal questore, in quanto tale provvedimento non è soggetto al sindacato del giudice dell’opposizione, ma valutabile solo dal giudice penale allorchè conosca dell’imputazione ascriva all’espulso trattenutosi senza giustificato motivo nel territorio dello Stato

 

21.Cass. luglio 2016

In tema di espulsione del cittadino straniero, l’art. 13, c. 2 bis, T.U. Immigrazione, secondo il quale è necessario tener conto, nei confronti dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare, della natura e dell’effettività dei vincoli familiari, della durata del soggiorno, nonché dell’esistenza di legami con il paese d’origine, si applica – con valutazione caso per caso, in coerenza con la direttiva comunitaria 2008/115/CE – anche al cittadino straniero che abbia legami familiari nel nostro Paese, ancorché non nella posizione di richiedente formalmente il ricongiungimento familiare, in linea con la nozione di diritto all’unità familiare delineata dalla giurisprudenza della Corte E.D.U. con riferimento all’art. 8 C.E.D.U. e fatta propria dalla sentenza n. 202 del 2013 della Corte cost., diritto che limita l’ingerenza dell’autorità pubblica nella vita privata e familiare, ai sensi dell’art. 2 della C.E.D.U., solo se prevista dalla legge e quale misura necessaria ai fini della sicurezza nazionale, del benessere economico del Paese, della difesa dell’ordine e della prevenzione dei reati, della protezione della salute e della morale e della protezione dei diritti e delle libertà altrui

 

22.Cass. agosto 2016

E’ illegittimo, per violazione dell’art. 13, c. 7, T.U. Immigrazione, il decreto di espulsione non tradotto in una lingua conosciuta dal destinatario [sottolinea il S.C. che secondo la più recente giurisprudenza di legittimità in materia di traduzione del decreto di espulsione “è nullo il provvedimento di espulsione… tradotto in lingua veicolare per l’affermata irreperibilità immediata del traduttore nella lingua conosciuta dallo straniero, salvo che l’amministrazione non affermi e il giudice ritenga plausibile, l’impossibilità di predisporre un testo nella lingua conosciuta dallo straniero per la sua rarità ovvero l’inidoneità di tal testo alla comunicazione della decisione in concreto assunta” (Cass. n. 3676 del 2012). Orbene, nel caso di specie, l’utilizzo di una lingua veicolare non appare giustificato da alcuna delle predette ragioni, essendo il destinatario del provvedimento originario del Bangladesh]

 

23.Cass. settembre 2016

Il provvedimento prefettizio di espulsione dello straniero dal territorio dello Stato, è nullo qualora all’espellendo ne venga consegnata una mera copia priva della necessaria attestazione di conformità all’originale. La mancata traduzione del decreto di espulsione nella lingua propria del destinatario determina la violazione dell’art. 13, c. 7, T.U. Immigrazione, con conseguente nullità non sanabile del provvedimento, anche in presenza dell’attestazione di indisponibilità del traduttore, qualora la stessa non sia sufficientemente motivata come nel caso in esame trattandosi di traduzione da effettuare nella lingua parlata da un numero consistente di cittadini del Bangladesh immigrati e residenti in Italia

 

24.Cass. settembre 2016

Il decreto di espulsione emesso a seguito di reingresso irregolare dello straniero nel territorio dello Stato ha carattere di automaticità, con esclusione di qualsivoglia potere discrezionale del prefetto al riguardo, è sindacabile unicamente ove gli accertamenti di fatto su cui è fondato siano erronei o mancanti, o il cittadino straniero non abbia potuto esercitare la propria opzione in ordine alla richiesta di rimpatrio, e non può essere dichiarato illegittimo perché non contenga un termine per la partenza volontaria, così come previsto dalla direttiva 115/2008/CE, in quanto tale omissione non incide sulla validità del provvedimento espulsivo, ma solo sulla misura coercitiva adottata per eseguire l’espulsione.

 

25.Cass. ottobre 2016

La convalida o la proroga del trattenimento di un cittadino straniero presso un centro d’identificazione ed espulsione non può essere disposta dal giudice di pace, quando l’efficacia del provvedimento espulsivo che ne costituisce il presupposto sia stata, ancorché indebitamente, sospesa, atteso che il sindacato giurisdizionale in sede di convalida o proroga del trattenimento, pur non potendo avere ad oggetto la validità dell’espulsione amministrativa, deve comunque rivolgersi alla verifica dell’esistenza ed efficacia della predetta misura coercitiva

 

26.Cass. novembre 2016

E’ manifestamente errato in diritto sostenere l’esistenza di un potere del giudice di “sindacare” l’art. 13, c. 7, T.U. Immigrazione, che impone la traduzione del decreto espulsivo in lingua nota alla persona espulsa; né la necessità della traduzione in tale lingua può essere superata dall’avvenuta traduzione in altra lingua (nella specie quella francese) nota alla maggioranza degli abitanti del paese di origine dell’interessato, senza neppure affermare – e tantomeno motivare -che essa sarebbe nota anche a quest’ultimo.

 

27.Cass. novembre 2016

Le misure espulsive degli stranieri, alla luce del nuovo sistema normativo contenuto negli artt. 13 e 14 del T.U. Immigrazione, non possono essere la conseguenza automatica dell’inottemperanza ad un pregresso ordine di allontanamento disposto sotto il previgente regime giuridico dell’art. 14, commi 5 bis e ter, trattandosi di disposizione dichiarata in contrasto con i principi contenuti nella Direttiva 115/2008/CE, dovendosi qualsiasi provvedimento di allontanamento essere valutato caso per caso.

 

28.Cass.  novembre 2016

In tema di espulsione dello straniero, il divieto di adottare ordini di allontanamento. in via automatica e immediata, correlati alla sola presenza di una misura espulsiva, contenuto nella Direttiva 2008/115/CE (c.d. Direttiva rimpatri), così come interpretata dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 28 aprile 2011, caso El Dridi (C-61/11), determina l’illegittimità, e la conseguente disapplicazione da parte del giudice nazionale, del meccanismo d’intimazione immediata con brevissimo termine per l’esecuzione spontanea, la cui effettività è affidata alla sola sanzione penale detentiva, previsto dall’art. 14, c. 5 bis, T.U. Immigrazione, come modificato dalla l. 94/2009. Ne consegue che, in applicazione delle previsioni immediate e puntuali della citata Direttiva e coerentemente con le modifiche introdotte dal d.l. 89/2011,  l’espulsione, disposta ai sensi dell’art. 14, c. 5 ter, t.u. citato, che tragga la sua esclusiva ragione legittimante dall’inottemperanza ad un ordine di allontanamento impartito ai sensi del citato art. 14, comma 5 bis deve essere dichiarata illegittima, anche se l’intimazione sia stata emanata anteriormente all’entrata in vigore della Direttiva medesima

 

29.Cass.  novembre 2016

Secondo i – costanti –  principi enunciati dal S.C.: 1) “E’ nullo il provvedimento di espulsione tradotto in lingua veicolare per l’affermata irreperibilità immediata di traduttore nella lingua conosciuta dallo straniero, salvo che l’amministrazione non affermi, ed il giudice ritenga plausibile, l’impossibilità di predisporre un testo nella lingua conosciuta dallo straniero per la sua rarità ovvero l’inidoneità di tale testo alla comunicazione della decisione in concreto assunta – (Sez. 6-1, Ordinanza n. 14733 del 14/07/2015 (Rv. 635877); 2) “In tema di opposizione a decreto di espulsione, l’obbligo dell’autorità procedente di tradurre la copia del decreto di espulsione nella lingua nazionale dello straniero o in altra lingua a lui nota può essere derogato nella sola ipotesi in cui detta autorità attesti e specifichi le ragioni tecnico-organizzative che abbiano impedito tale operazione e abbiano imposto, pertanto, la traduzione nelle lingue cosiddette veicolari (inglese, francese e spagnolo); siffatto obbligo viene meno quando il giudice di merito abbia accertato, con motivazione immune da vizi logici e giuridici, la comprovata conoscenza della lingua italiana da parte dell’interessato”(Principio affermato ai sensi della’rt. 360, c. 1, c.p.c. (Sez. 6-1, Ordinanza n. 24170 del 29/11/2010 (Rv. 614930).

 

30.Cass. dicembre 2016

Solo la “ritardata domanda” di permesso giustifica la irrazionalità della automatica reazione dell’ordinamento ma non anche la sua “mancata presentazione”, specie dopo un lungo termine (sia pure trascorso in gran parte in stato di detenzione), apparendo la decisione di mancata proposizione della richiesta una palese inadempienza del dovere di premunirsi in occasione della cessazione della misura, ben oltre il termine di 90 giorni consentito a colui che si trovi sul territorio nazionale senza titolo di soggiorno, sia pure per scontare una sanzione di tipo detentivo. A tale proposito deve darsi continuità al principio di diritto già enunciato da questa Corte (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 19105 del 2015)e secondo cui “In caso di opposizione avverso il decreto prefettizio di espulsione per mancanza di valido permesso di soggiorno, grava sullo straniero l’onere di provare le circostanze che hanno impedito la presentazione della istanza volta al relativo rilascio o rinnovo. (Nella specie, la S.C. ha confermato il decreto con cui il giudice di pace evidenziava che lo straniero detenuto e destinatario del provvedimento di espulsione non aveva ingiustificatamente richiesto, successivamente alla sua scarcerazione, un nuovo permesso di soggiorno).”

 

31.Cass. dicembre 2016

Non può essere disposta dal giudice di pace la proroga del trattenimento di un cittadino straniero presso un centro d’identificazione ed espulsione, quando il provvedimento espulsivo che ne costituisce il presupposto sia stato, ancorché indebitamente, sospeso, dal momento che il sindacato giurisdizionale, pur non potendo avere ad oggetto la validità dell’espulsione amministrativa, deve rivolgersi alla verifica dell’esistenza ed efficacia della predetta misura coercitiva

 

32.Cass. dicembre 2016

Spetta al giudice di pace la decisione sull’opposizione al decreto di espulsione, anche nel caso in cui lo straniero abbia instaurato dinanzi al Tribunale per i minorenni l’autonomo procedimento diretto ad ottenere l’autorizzazione a permanere sul territorio nazionale ai sensi dell’art. 31, c. 3, T.U. Immigrazione

 

33.Cass. dicembre 2016

Al procedimento giurisdizionale di decisione sulla proroga del trattenimento dello straniero nel centro di identificazione ed espulsione devono essere applicate le stesse garanzie del contraddittorio, consistenti nella partecipazione necessaria del difensore e nell’audizione dell’interessato

 

34.Cass.  dicembre 2016

E’ illegittimo il decreto di espulsione, fondato sul provvedimento di revoca del permesso di soggiorno per motivi familiari, la cui efficacia esecutiva sia stata sospesa dal giudice ordinario

 

 

G)MISCELLANEA

 

1.Cass.  gennaio 2016

Nell’ipotesi prevista dall’art. 5, c. 11, del d. lgs. 109/2012, che stabilisce un divieto assoluto di espulsione nei confronti degli stranieri che abbiano intrapreso una procedura di emersione del lavoro irregolare, nelle more della sua definizione,  il giudice di pace, chiamato a decidere della legittimità dell’atto espulsivo, deve accertare la data e la certezza dell’inoltro della dichiarazione di emersione, non residuano ulteriori spazi di valutazione [nel caso deciso, il S.C. ha reputato incensurabile in sede di legittimità, in quanto attinente al merito, la valutazione del giudice di pace “della certezza dell’inoltro della dichiarazione di emersione, alla luce della … divergenza tra il numero di passaporto utilizzato per la domanda e il numero di passaporto prodotto dalla difesa del ricorrente nel giudizio di impugnazione dell’atto espulsivo”, concludendo “per l’impossibilità di stabilire se la persona che ha presentato l’istanza di regolarizzazione sia la stessa che ha impugnato il provvedimento di espulsione”]

 

2.Cass. gennaio 2016

Il cittadino straniero, titolare del solo permesso di soggiorno, ha il diritto di vedersi attribuire l’indennità di accompagnamento ove ne ricorrano le condizioni previste dalla legge per effetto delle pronunce nn. 306/2008, 11/2009, 187/2010 e 40/2013 della Corte costituzionale, che hanno espunto l’ulteriore condizione della necessità della carta di soggiorno, in quanto, se è consentito al legislatore nazionale subordinare l’erogazione di prestazioni assistenziali alla circostanza che il titolo di legittimazione dello straniero al soggiorno nello Stato ne dimostri il carattere non episodico e di non breve durata, quando tali requisiti non siano in discussione, sono costituzionalmente illegittime, perché ingiustificatamente discriminatorie, le norme che impongono nei soli confronti dei cittadini extraeuropei particolari limitazioni al godimento di diritti fondamentali della persona, riconosciuti ai cittadini italiani.

 

3.Cass. marzo 2016

L’obbligo di presentarsi alle autorità di frontiera all’ingresso in Italia  non può essere sostituito con la successiva identificazione dovuta all’accertamento di soggiorno irregolare nè è sufficiente l’ingresso cd. “regolare” ovvero senza elusione dei controlli di frontiera, essendo necessario provvedere alla dichiarazione di cui all’art. 1 della l. 68/2007 [nel caso deciso, non eseguita spontaneamente dallo straniero  né all’ingresso né  in un momento successivo]

 

4.Cass. maggio 2016

In materia di immigrazione dei cittadini appartenenti a Paesi in regime di esonero dal visto di ingresso, ex art. 1 reg. 539/2001/CE, trova applicazione l’art. 1, n. 2, del d.l. 89/2011, convertito, con modificazioni, dalla l. 129/2011, che, nel completare il recepimento della direttiva 2004/38/CE, attuata con d.lgs. 30/2007, ha soppresso l’espressione “nonché del visto di ingresso quando richiesto”, contenuta all’art. 9, comma 5, lett. A) ed all’art. 10, comma 3, lett. A), con la conseguenza che lo straniero può accedere sul territorio nazionale con il passaporto, previa apposizione alla frontiera del timbro uniforme di Schengen ai sensi della l. 6872007, ed ivi trattenersi per tre mesi

 

5.Cass. luglio 2016

Ai fini del riconoscimento di prestazioni sociali volte a rispondere ai bisogni primari della persona, nel nostro ordinamento non è consentita, ex artt. 2 e 3 Cost., alcuna differenziazione tra cittadini italiani e stranieri. Tanto non solo sulla base della cittadinanza, ma neppure in relazione alla durata della residenza (sia essa riferita al territorio nazionale o alla regione che eroga la prestazione); dovendosi invece avere riguardo esclusivamente alla soddisfazione del bisogno.

 

6.Cass. agosto 2016

Ai fini del riconoscimento dell’assegno sociale, l’equiparazione tra cittadini italiani residenti in Italia e stranieri titolari di carta o di permesso di soggiorno, prevista dall’art. 39, c. 1, della l. 40/1988, non richiede per questi ultimi il requisito della stabile dimora, sicché è irrilevante l’allontanamento temporaneo dello straniero in possesso dei predetti requisiti, in quanto, ove si versi in tema di provvidenza destinata a fare fronte al sostentamento della persona, qualsiasi discrimine fondato su requisiti diversi dalle condizioni soggettive violerebbe il principio di non discriminazione posto dall’art. 14 della Convenzione dei diritti dell’uomo

 

7.Cass. ottobre 2016

Per l’adozione delle misure alternative al trattenimento, contemplate dall’art. 14, c. 1 bis, T.U. Immigrazione non può essere ritenuto equipollente al passaporto il permesso di soggiorno per richiesta di asilo, perché non contiene un accertamento dell’identità e della nazionalità del titolare

 

8.Cass. novembre 2016

Soltanto per il caso di ingresso da un paese aderente all’accordo di Shengen il D.M. 26 luglio 2007, recante “Modalità di presentazione della dichiarazione di presenza resa dagli stranieri per soggiorni di breve durata per visite, affari, turismo e studio di cui alla L. 28 maggio 2007, n. 68 “,  prevede il termine di otto giorni invocato dal ricorrente, mentre per il caso di ingresso diretto in Italia lo straniero ha il dovere di rendere la dichiarazione di presenza all’atto del suo ingresso nel territorio dello stato presentandosi ai valichi di frontiera (art. 1 D.M. cit.).

 

9.Cass. novembre 2016

Il S.C. ricorda il principio di diritto affermato dalle SS.UU. nella sentenza 14500/2013: “per cure essenziali debbono intendersi anche le semplici somministrazioni di farmaci quando si tratti di terapie necessarie a eliminare rischi per la vita o il verificarsi di maggiori danni alla salute, in relazione all’indisponibilità dei farmaci nel Paese verso il quale lo straniero dovrebbe essere espulso”

 

10.Cass. dicembre 2016

Il minore straniero non accompagnato che sbarca illegalmente in Italia riceve le misure di prima accoglienza secondo quanto stabilito dal d. lgs. 142/2015 e, per esercitare i suoi diritti nel nostro paese, ha bisogno nel più breve tempo possibile di una rappresentanza legale da realizzarsi mediante l’apertura della tutela e la nomina di un tutore da parte del giudice tutelare del luogo ove si colloca la struttura di accoglienza, a ciò istituzionalmente demandato in presenza di minori che si trovino nella medesima od analoga condizione, del tutto diversa da quella qualificabile come “abbandono”, ex artt. 9 e 10 della l. 184/1983

Panozzo Rober

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