Immigrazione: la Corte di giustizia dell’Unione europea boccia il reato di clandestinità

Redazione 29/04/11
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La Corte di giustizia dell’Unione europea ha bocciato la norma italiana che prevede il reato di clandestinità, introdotto nel nostro ordinamento nel 2009 con il cosiddetto pacchetto sicurezza (L. 94/2009, che ha modificato, tra gli altri, anche gli articoli 13 e 14 del D.Lgs. 286/1998, Testo unico in materia di immigrazione). Secondo la Corte di Lussemburgo, infatti, tale disposizione, che prevede la pena della reclusione per gli immigrati irregolari, è in contrasto con la direttiva europea sui rimpatri dei clandestini (direttiva 2008/115/CE del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare).La direttiva sul rimpatrio dei migranti irregolari – si legge nella sentenza 28 aprile 2011, El Dridi, C-61/11 PPU – osta a una normativa nazionale che punisce con la reclusione il cittadino di un Paese terzo in soggiorno irregolare che non si sia conformato a un ordine di lasciare il territorio nazionale. Una sanzione penale quale quella prevista dalla legislazione italiana può compromettere la realizzazione dell’obiettivo di instaurare una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio nel rispetto dei diritti fondamentali.La Corte di giustizia, inoltre, ha sottolineato che l’Italia, in tema di rimpatri, non si è ancora adeguata alle norme europee, mantenendo una procedura di allontanamento che differisce notevolmente da quella europea. Mentre, infatti, la legge italiana prevede l’accompagnamento coattivo alla frontiera come modalità ordinaria di espulsione, la direttiva europea prevede un rimpatrio volontario entro un termine compreso tra 7 e 30 giorni. Sebbene la legislazione penale sia di competenza degli Stati membri, le norme interne devono comunque rispettare il diritto dell’Unione e non possono comprometterne la realizzazione degli obiettivi. E la direttiva sul rimpatrio dei migranti irregolari ben definisce l’iter da applicare per il rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi: si procede con l’adozione di una decisione di rimpatrio dando sempre priorità ad una possibile partenza volontaria. Nel caso in cui questa non avvenga si procede all’allontanamento coattivo, prendendo le misure meno coercitive possibili. Solo qualora l’allontanamento rischi di essere compromesso dal comportamento dell’interessato, lo Stato membro può procedere al suo trattenimento.In altre parole i giudici europei hanno affermato che gli Stati membri, al fine di ovviare all’insuccesso di misure coercitive adottate per procedere all’allontanamento coattivo, non possono introdurre una pena detentiva, solo perché, dopo la scadenza del termine fissato dall’ordine di lasciare il territorio nazionale, un cittadino di un Paese terzo continui a permanere in maniera irregolare su detto territorio.Conseguentemente, il giudice italiano dovrà disapplicare ogni disposizione nazionale contraria al risultato della direttiva (segnatamente, la disposizione che prevede la pena della reclusione da 1 a 4 anni) e tenere conto del principio dell’applicazione retroattiva della pena più mite, principio che fa parte delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri. (Biancamaria Consales)

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