Il vincolo delle sezioni unite nel d.lvo 40/2006: ombre e luci

Viola Luigi 01/06/06
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-Premessa
Di recente, il legislatore delegato è intervenuto con il d.lvo 40/2006, in attuazione della delega prevista dalla legge per la competitività, al fine di ridefinire l’assetto giuridico[1] relativo al rapporto tra Sezioni Unite e Sezioni Semplici della Cassazione .
Con la novella in esame, in particolare, tra le tante novità, è stato stabilito che “se la sezione semplice ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, rimette a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso[2]”, imponendo all’interprete di tener presente l’esistenza di un nuovo principio giuridico, in base al quale la decisione della Suprema Corte, presa a Sezioni Unite, è vincolante (seppur non in modo assoluto) per le Sezioni Semplici, nel senso che, queste ultime, non potranno discostarsene e decidere la quaestio iuris in modo difforme; diversamente[3], nella disciplina previgente, le Sezioni Semplici potevano pronunziarsi in modo difforme da quello espresso dalle Sezioni Unite, in un’ottica generale di pieno rispetto dell’art. 101 Cost. e dell’imparzialità dei magistrati.
Invero, la novella in questione sembra “farsi carico” dell’esigenza di assicurare una certa uniformità di interpretazioni giurisprudenziali, al fine di assicurare la c.d. certezza del diritto, che, indubbiamente, rappresenta la base per realizzare le libertà e i diritti costituzionali; infatti, l’incertezza, talvolta eccessiva, che aleggia su una determinata norma può facilmente disincentivare il cittadino a richiederne l’applicazione, svuotando concretamente di significato lo stesso art. 24 Cost.: è difficile credere che un quisque de populo voglia, ad esempio, intraprendere un’azione risarcitoria, laddove la sua posizione giuridica formale, seppur giusta o giustificabile sul piano concreto, risulti oggetto di significativi contrasti giurisprudenziali. Ne consegue che, purtroppo, nell’esempio fatto, il cittadino è maggiormente predisposto a subire e sottacere ingiustizie, piuttosto che intraprendere un’azione giuridica con esito assai dubbio[4].
In questo contesto di contrasti giurisprudenziali, anche piuttosto significativi ed evidenti, allora, il legislatore delegato ha optato per una soluzione che sembra proprio incanalarsi verso l’ottemperanza delle esigenze di certezza del diritto, prevenendo, per alcuni aspetti, eventuali dubbi interpretativi idonei a frustrare il diritto di difesa, ex art. 24 Cost.: se, infatti, si dice, si limita la “libertà interpretativa” delle Sezioni Semplici rispetto alle pronunce delle Sezioni Unite, allora, forse, si limita (o si argina) anche il problema dell’incertezza del diritto. Da un maggior rigore interpretativo, in questa prospettiva, può derivare una maggiore certezza del diritto.
E’ veramente così? Ipotizzare una sorta di vincolo delle Sezioni Unite per le Sezioni Semplici può davvero essere una soluzione?
-Le ombre della riforma
La novella del d.lvo 40/2006 sembra presentare alcune ombre di compatibilità costituzionale e di efficienza.
Relativamente al problema della compatibilità con l’art. 101 Cost.[5], ci si chiede come possa ritenersi legittima una norma che impone al giudice (delle Sezioni Semplici) di sottostare ad un precedente (delle Sezioni Unite), frustrandone notevolmente l’imparzialità ed indipendenza.
In particolare, l’art. 101 Cost. spiega (nel secondo periodo) che “i giudici sono soggetti soltanto alla legge”, per cui la previsione del legislatore delegato che impone al giudice delle Sezioni Semplici di essere soggetto al precedente delle Sezioni Unite sembra creare un’ulteriore fonte di diritto: il giudice non sarebbe più soggetto “soltanto” alla legge, ma soggetto alla legge ed al precedente delle Sezioni Unite; con il corollario applicativo che l’art. 374 c.p.c., come novellato dal d.lvo. 40/2006, dovrebbe ritenersi parzialmente incostituzionale, in quanto idoneo ad individuare un vulnus all’art. 101 Cost., tanto più che, evidentemente, sarebbe anche “minata” l’imparzialità della magistratura[6].
Inoltre, si dice, il vincolo delle Sezioni Semplici al precedente delle Sezioni Unite ben potrebbe avere ricadute, anche significative, sulla giurisprudenza di merito, perché questa ultima, nella consapevolezza del vincolo delle Sezioni Semplici alle Sezioni Unite, difficilmente si discosterà dal precedente al fine di evitare, a monte, che una sua eventuale decisione possa essere cassata in sede di legittimità; id est il giudice di merito, al fine di evitare una probabile censura da parte della Suprema Corte, è facile che segua pedissequamente e senza alcun spirito critico i precedenti delle Sezioni Unite, limitando notevolmente l’evoluzione giuridica (e giurisprudenziale, in particolare).
D’altronde, è vero che teoricamente il giudice delle Sezioni Semplici può discostarsi dal precedente delle Sezioni Unite rimettendo la questione giuridica con ordinanza motivata, ma è pur vero che difficilmente le Sezioni Unite smentiranno se stesse in seguito ad una “semplice” ordinanza di rimessione.
In altri termini, da questo angolo prospettico, il vincolo delle Sezioni Unite riguardando direttamente le Sezioni Semplici e, indirettamente, la giurisprudenza di merito, implica, de plano, un problema di costituzionalità estensibile anche al rapporto con i giudici di merito, nonché anche all’evoluzione giuridica ad opera della stessa giurisprudenza di merito.
Ulteriore aspetto problematico sembra emergere sul piano dell’efficienza, in quanto potrebbe ben accadere che l’ossequioso rispetto al vincolo delle Sezioni Unite possa assumere un rilievo esclusivamente formale, vulnerando in concreto le esigenze di certezza del diritto che il legislatore ha voluto aumentare.
Così, il giudice delle Sezioni Semplici, al fine di evitare di soggiacere al vincolo del precedente, ben potrebbe esaltare gli aspetti di difformità del caso concreto a lui sottoposto rispetto a quelli del precedente, arrivando ad eludere il vincolo sul piano sostanziale; cioè, il giudice delle Sezioni Semplici, sollecitato dalla sua imparzialità ed indipendenza, ben potrebbe motivare talune decisioni in un certo modo al solo fine di farle “sfuggire” al vincolo del precedente, vulnerandolo in concreto.
Ne seguirebbe una decisione delle Sezioni Semplici che formalmente riguarda una quaestio iuris diversa da quella precedente delle Sezioni Unite, ma che concretamente presenta il medesimo petitum sostanziale, portando la giurisprudenza ad intraprendere una strada diametralmente opposta a quella della certezza del diritto perché il vincolo delle Sezioni Unite si porrebbe come ulteriore “catena da spezzare con acrobazie argomentative”. Così, la motivazione non riguarderebbe più la questione giuridica prospettata dalle parti, ma il “grado di distanza” da quanto già detto dalle Sezioni Unite[7], imponendo all’interprete di verificare non solo il vincolo formale della legge, ma anche il vincolo sostanziale dell’eventuale precedente delle Sezioni Unite (quasi si trattasse di un regime giuridico di common law misto a civil law).
Accogliendo tale ultimo rilievo critico, pertanto, il d.lvo. 40/2006 individuerebbe un vulnus, difficilmente giustificabile, all’esigenza di certezza del diritto che la stessa ratio legis vorrebbe assicurare.
Ulteriore aspetto di dubbia efficienza è stato individuato nel rapporto tra rapidità del processo[8] e novella all’art. 374 c.p.c.
In particolare, non è del tutto chiaro come si possa non aggravare il processo civile, individuando un ulteriore passaggio prima di ottenere giustizia; più da vicino, la legge sulla ragionevole durata del processo (l. 89/2001) ha evidenziato come i giudici devono non solo giudicare “bene”, ma anche giudicare “velocemente”[9], lasciando ipotizzare che il legislatore deve muoversi nel senso di leggi idonee ad accelerare il processo e non a rallentarlo, diversamente dalla novella all’art. 374 c.p.c.
L’art. 374 c.p.c., come novellato, individua un passaggio ulteriore rispetto a quello previgente nel lungo iter per arrivare al giudicato, perché impone al giudice delle Sezioni Semplici di rimettere la questione con ordinanza motivata, ove lo ritenga necessario, al giudice delle Sezioni Unite; cioè, per arrivare al giudicato, il ricorrente deve attendere, oltre all’iter classico, anche che vi sia un’ordinanza motivata al giudice delle Sezioni Unite (passaggio che prima non era richiesto perché il giudice delle Sezioni Semplici poteva decidere senza il vincolo delle Sezioni Unite).
Pertanto, la novella, introducendo “un passaggio in più”, rischia di appesantire il processo in contrasto con la ratio legis sulla ragionevole durata dello stesso (l. 89/2001), nonchè in contrasto con le spinte comunitarie.
-Le luci della riforma
La novella all’art. 374 c.p.c. presenta anche aspetti indubbiamente positivi[10], ben idonei a fare luce sulle ombre segnalate.
Relativamente alla presunta parziale incostituzionalità della novella con l’art. 101 Cost., il problema non sembrerebbe ragionevolmente poter sussistere.
Il rilievo in base al quale il d.lvo 40/2006, individuando una sorta di vincolo delle Sezioni Semplici rispetto alle Sezioni Unite, in realtà, individuerebbe un’ulteriore fonte di diritto accanto a quella legislativa, in contrasto con l’art. 101 Cost., è insussistente perché l’unica fonte di diritto per il giudice sarebbe pur sempre “soltanto” la legge[11]; sarebbe il d.lvo 40/2006, che è legge in senso sostanziale, ad imporre al giudice delle Sezioni Semplici di non disattendere l’orientamento delle Sezioni Unite, salvo ordinanza motivata di rimessione, e non la stessa decisione delle Sezioni Unite.
Il giudice delle Sezioni Semplici dovrebbe attenersi a quanto interpretato dalle Sezioni Unite in base al d.lvo suddetto, proprio in ossequio al fatto che “i giudici sono soggetti soltanto alla legge”, ex art. 101 Cost.; id est poiché la fonte del vincolo delle Sezioni Semplici alle Sezioni Unite è pur sempre la legge e non una pronuncia giurisprudenziale, allora, non si può porre un problema di violazione dell’art. 101 Cost, perché, appunto, sarebbe proprio la legge la fonte del vincolo.
Anzi, da questa prospettiva, la novella sembra entrare proprio in linea con la norma costituzionale, che ne consacra la piena legittimità.
Neanche il discorso sull’ossequio formale e non sostanziale del precedente delle Sezioni Unite, poi, sembrerebbe condivisibile.
In particolare, non è ben chiara la motivazione per cui il giudice delle Sezioni Semplici debba a tutti i costi discostarsi con sentenza dalla precedente interpretazione del giudice delle Sezioni Unite, sperimentando “acrobazie argomentative” o interpretative, quando può pacificamente rimettere con ordinanza motivata, contenente tutte le argomentazioni che crede, la medesima questione giuridica prospettata alle Sezioni Unite; cioè, non vi è alcun motivo legislativamente ipotizzabile[12] per cui il giudice delle Sezioni Semplici possa ritenersi stimolato a “sfuggire” al precedente delle Sezioni Unite, ma, al contrario, laddove così fosse sarebbe quel medesimo giudice a sembrare parziale o “eccessivamente legato” ad un certo processo.
E’ vero che con la novella si attribuisce un maggiore potere alle Sezioni Unite, ma è pur vero che tale collegio, astrattamente, è il migliore che l’ordinamento giuridico possa offrire, per cui un aumento del suo “potere”, in questo senso, può anche apparire giustificabile e, comunque, il vincolo reale della motivazione (anche con riguardo all’eventuale discostamento dall’ordinanza di rimessione del giudice delle Sezioni Semplici) sarebbe un’adeguata garanzia.
Neanche, poi, sembrerebbe condivisibile il rilievo che la novella all’art. 374 c.p.c., invero, appesantirebbe il processo civile, portandolo agevolmente ad un’eccessiva durata in contrasto con la l. 89/2001, perché non vi sarebbe necessariamente un “passaggio in più”; in primis non è detto che il giudice delle Sezioni Semplici debba sempre discostarsi dal precedente delle Sezioni Unite, per cui ben potrebbero continuare a sussistere ipotesi in cui non vi è un “passaggio in più”.
In secundis, la ragionevole durata del processo non è l’unico principio da tener presente, perché anche quello della certezza del diritto ha una sua dignità particolarmente intensa, così che se un processo dura troppo, ma realizza, comunque, una certa sicurezza e certezza non è necessariamente una visione interpretativa errata; poi, laddove il giudice delle Sezioni Unite, che riceve l’ordinanza di rimessione motivata da parte del giudice delle Sezioni Semplici, ritenga di condividere le argomentazioni ivi contenute, il “passaggio in più” sarà particolarmente celere, concretizzandosi in una copiatura, più o meno estesa, di quanto già adeguatamente approfondito e sviscerato in altra sede.
In base a tali ricostruzioni interpretative, pertanto, la novella all’art. 374 c.p.c. non solo non viola l’art. 101 Cost., ma altresì sembra essere dotata di una particolare efficienza processuale, soprattutto al fine di agevolare la certezza del diritto ed evitare discrasie interpretative che, il più delle volte, danneggiano i cittadini.
-Riflessioni brevissime e conclusive, tra ombre e luci
La novella in questione, invero, ha introdotto rilievi particolarmente significativi nel procedimento in Cassazione, che sembrano muoversi proprio in un’ottica di certezza del diritto; aver ancorato (salvo ordinanza di rimessione motivata) le decisioni delle Sezioni Semplici a quelle delle Sezioni Unite è stata una decisione “forte”, ma giustificabile proprio alla luce delle eccessive incertezze interpretative che, spesso, hanno caratterizzato significativi revirement.
D’altronde è pur vero che, almeno in una certa misura[13], con la novella il nostro sistema di civil law si avvicina sempre più ai modelli anglosassoni di common law, ma non è detto che una pluralità delle fonti di diritto sia una scelta, a monte, errata, soprattutto laddove vi è un equo contemperamento tra le stesse e non un pregiudiziale dominio dell’una sulle altre.
Si tratta, ancora una volta, di cogliere a pieno il recente percorso normativo che il legislatore ha individuato, cercando di muoversi tra ombre e luci ermeneutiche, che da sempre caratterizzano la vita dell’interprete.


[1] Precisamente si tratta di “Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 14 maggio 2005, n. 80”.
[2] Si riporta l’art. 374 c.p.c. come novellato: «Art. 374 (Pronuncia a sezioni unite). – La Corte pronuncia a sezioni unite nei casi previsti nel n. 1) dell’articolo 360 e nell’articolo 362. Tuttavia, tranne che nei casi di impugnazione delle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, il ricorso puo’ essere assegnato alle sezioni semplici, se sulla questione di giurisdizione proposta si sono gia’ pronunciate le sezioni unite.
Inoltre il primo presidente puo’ disporre che la Corte pronunci a sezioni unite sui ricorsi che presentano una questione di diritto gia’ decisa in senso difforme dalle sezioni semplici, e su quelli che presentano una questione di massima di particolare importanza.
Se la sezione semplice ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, rimette a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso.
In tutti gli altri casi la Corte pronuncia a sezione semplice.».
[3] Vi è stata qualche pronuncia, in passato (nell’ambito della disciplina processuale ante novella in questione), in cui la giurisprudenza ha evidenziato, obiter, che le Sezioni Semplici non possono discostarsi dalle decisioni delle Sezioni Unite; V. Cass. Pen., Sez. III, 23 febbraio 1994, Di Chiara, in Giust. Pen., 1995, II, 159.
Sul punto, inoltre, si veda Proto Pisani, Su alcuni problemi organizzativi della Corte di Cassazione: contrasti di giurisprudenza e tecniche di redazione della motivazione, in Foro it., 1998, V, 28-29, in cui si legge che, relativamente ai contrasti tra Sezioni Unite e Sezioni Semplici : “Sono contrasti assolutamente inammissibili, specie quando sorgono su questioni di cui le sezioni unite erano già state investite a causa di un precedente contrasto o di una questione di massima di particolare importanza. Anche in un sistema come l’italiano, che sembra non conoscere il vincolo formale del precedente giurisprudenziale, la decisione delle sezioni unite vincola le sezioni semplici: se così non fosse salterebbe del tutto la funzione di nomofilachia attribuita dall’art. 65 dell’ordinamento giudiziario alla Corte di cassazione e la funzione delle sezioni unite nell’ambito della corte”.
[4] Oltre, naturalmente, al problema dell’eccessiva durata del processo, in parte risolto con la legge 89/2001.
[5] Si legge in Chiarloni, Prime riflessioni su recenti proposte di riforma del procedimento in cassazione, Judicium.it, 2005, che (relativamente al problema della compatibilità con il principio costituzionale in base al quale il giudice è soggetto soltanto alla legge): “la risposta non è facile. Bisogna riconoscere che non siamo in presenza di un vero e proprio vincolo al precedente, perché non siamo in tema di rapporti tra organi giurisdizionali diversi. Qui siamo in tema d’organizzazione del lavoro all’interno di un medesimo ufficio. Tuttavia, mi sembra che la questione dell’indipendenza rimanga in piedi in tutta la sua serietà”.
[6] Nel senso che vi sarebbe una parzialità di giudizio determinata dal precedente delle Sezioni Unite.
[7] Il fenomeno segnalato (distinguishing) è diffuso soprattutto tra i giudici anglosassoni.
[8] Aspetto che è sempre più rilevante, soprattutto se si osservano le numerosissime pronunce della Suprema Corte nell’anno 2005 relativamente all’applicazione della c.d. legge Pinto (l. 89/2001).
[9] La Corte di Giustizia ha spesso “bacchettato” l’Italia per la durata irragionevole dei processi, soprattutto se si sottolinea che dovrebbero (quelli civili) durare circa 3-4 anni.
[10] Si veda anche Luiso, su Judicium.it, 2005.
[11] L’iter argomentativo seguito è, mutatis mutandis, similare a quello che generalmente viene formulato in tema di delegificazione, nell’ambito della materia del diritto amministrativo.
[12] Nel senso che la legge permette di ipotizzare.
[13]Fermo restando, come chiarito, che il vincolo delle sezioni Unite non è una fonte diretta di diritto.
 

Viola Luigi

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