Il Trust e la tematica dell’assegno di mantenimento in sede di separazione personale dei coniugi

Genchi Simona 11/11/10
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Obiettivo di questa trattazione è quello di meglio definire quale possa essere l’utilità del Trust tra gli strumenti di composizione della crisi familiare attraverso la disamina di alcuni punti fondamentali nella tematica dell’assegno di mantenimento in sede di separazione personale dei coniugi .

Nel tralasciare la sua definizione, il Trust, secondo opinione dottrinale assai diffusa, rappresenta un valido strumento di composizione, a volte insostituibile, per definire l’assetto della crisi del vincolo matrimoniale. Infatti, in funzione strumentale o definitoria degli interessi insorgenti per effetto della crisi coniugale, gli sposi possono optare per l’utilizzo di un trust per regolamentare gli aspetti personali e patrimoniali .

Il Trust, inoltre, si dimostra efficace e duttile quando, preventivamente istituito dal disponente, con i beni che si vogliono far uscire dal proprio patrimonio personale, viene utilizzato per prevenire, o limitare, le richieste economiche dell’altro coniuge in sede di separazione .

Il suo effetto segretativo, infatti, fa sì che si escludano dalla valutazione economica complessiva del coniuge obbligato tutti i beni che lo stesso ha voluto far uscire dal suo patrimonio personale. È ovvio che un atto di questo tipo è estremamente delicato e la sua validità sarà subordinata al rispetto di alcuni principi al fine di evitare immediate e legittime azioni revocatorie destinate a tutelare i diritti dell’altro coniuge.

Ciò in quanto, ai sensi dell’art. 156 cc, il coniuge, nei cui confronti non sia stato pronunciato addebito, ha diritto ad un assegno di mantenimento qualora non abbia redditi propri adeguati. Ai fini della determinazione dell’assegno vanno tenuti in considerazione le circostanze e i redditi del coniuge obbligato, costituiti dai proventi dell’attività lavorativa, dai cespiti nonché da ogni altra utilità suscettibile di valutazione economica.

La tematica dell’assegno di mantenimento è oggetto di copiosa giurisprudenza in quanto è quasi sempre al centro delle attenzioni dei coniugi protagonisti delle varie vicende. L’assegno di mantenimento consiste in una prestazione pecuniaria periodica e le condizioni, per il sorgere del diritto al mantenimento in favore del coniuge, cui non sia addebitabile la separazione, sono la non titolarità di adeguati redditi propri, ossia di redditi che gli permettano di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, e la sussistenza di una disparità economica tra le parti.

Secondo la giurisprudenza maggioritaria l’assegno di mantenimento è finalizzato a garantire al coniuge più debole il mantenimento di un tenore di vita corrispondente a quello goduto in costanza di matrimonio, o addirittura, al tenore di vita che fosse nelle aspettative del coniuge. Ci si chiede, quindi, a quale tenore di vita occorra rifarsi.

L’orientamento prevalente della giurisprudenza si riferisce al tenore di vita c.d. potenziale. Orbene, al fine della valutazione dell’adeguatezza dei redditi del coniuge che chiede l’assegno, occorre, quindi, rifarsi al parametro di riferimento costituito dalle potenzialità economiche complessive della famiglia durante il matrimonio, quale elemento condizionante la qualità delle esigenze e l’entità delle aspettative del medesimo richiedente, non assumendo rilievo il più modesto tenore di vita subito o tollerato o cui concretamente i coniugi avevano improntato il loro ménage familiare. (Corte di Cass. Civ. 6864/2009, 6699/2009, 20256/2006, 21047/2004, 17537/2003, 23378/2004, 16912/2003 ).

Secondo la giurisprudenza, infatti, il tenore di vita, cui rapportare il giudizio di adeguatezza dei redditi o dei mezzi a disposizione del coniuge richiedente l’assegno, non è quello, magari, modesto condotto durante il matrimonio all’insegna del risparmio, ma è quello che i due avrebbero potuto avere in relazione alle loro sostanze e ai loro introiti, cioè quello “offerto dalle potenzialità economiche dei coniugi e non già quello tollerato, o subito, o anche concordato con l’adozione di particolari criteri di suddivisione delle spese familiari e di disposizione dei redditi personali residui“. 

Non viene dunque preso in considerazione dalla giurisprudenza un regime di vita improntato al risparmio, ma nemmeno il tenore di vita più elevato di quanto effettivamente i coniugi percepiscono (Corte di Cassazione civ. 7614/2009, 6699/2009, 6698/2009, 10210/2005, Trib. di Firenze 3 ottobre 2007)

Si sostiene, inoltre, che l’inadeguatezza dei mezzi o dei redditi del coniuge richiedente l’assegno è da intendersi, in ogni caso, come insufficienza degli stessi a conservare un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio. Affinchè sorga il diritto all’assegno non è, infatti, necessario uno stato di bisogno dell’avente diritto, che può anche essere economicamente autosufficiente, ma rileva, invece, l’apprezzabile deterioramento delle precedenti condizioni economiche, le quali devono essere tendenzialmente ripristinate per ristabilire un certo equilibrio.

Si ribadisce, quindi, che il termine “adeguati, relativo sia ai mezzi che ai redditi, può portare ad un’approssimativa considerazione che il diritto all’assegno sorga quando il coniuge non abbia redditi o mezzi sufficienti a garantirgli un livello di vita dignitoso o, addirittura, quando si trova in uno stato di bisogno. Invece, l’adeguatezza dell’assegno è finalizzata, perlomeno, ad assicurare al coniuge che lo riceve lo stesso tenore di vita goduto durante la convivenza e va, comunque, valutata con riferimento al contesto nel quale i coniugi hanno vissuto durante il matrimonio, in rapporto cioè alla loro pregressa posizione economica e sociale.

Molti sono i casi in cui la giurisprudenza di legittimità è intervenuta fissando, tra gli altri, alcuni criteri cui il giudice deve attenersi:

l’adeguatezza dei mezzi a disposizione va valutata con riferimento al contesto nel quale i coniugi hanno vissuto durante il matrimonio, in rapporto cioè alla fascia socio-economica di appartenenza della coppia e del relativo stile di vita adottato;

– vanno valutate in concreto anche le capacità e possibilità lavorative del coniuge;

– il Giudice può tenere in considerazione anche il reddito proveniente da attività lavorativa non dichiarata.

Una precisazione è doverosa. Al fine della quantificazione dell’assegno di mantenimento, la valutazione delle condizioni economiche delle parti non richiede la determinazione dell’esatto importo dei redditi posseduti attraverso rigorose analisi contabili e finanziarie, essendo sufficiente un’attendibile ricostruzione della complessa situazione patrimoniale e reddituale dei coniugi.

L’esercizio di tale potere rientra nella discrezionalità del Giudice di merito, che non è tenuto a disporre indagini tributarie sui redditi e sui patrimoni dei coniugi e sul loro effettivo tenore di vita.

In ogni caso, ove ritenga provata la situazione economica delle parti e non si avvalga di tutto quanto è nelle sue possibilità accertative, non può rigettare la domanda per la mancata dimostrazione della situazione economica delle parti in caso di contestazione. Infatti, il Tribunale deve disporre le indagini sui redditi e sui patrimoni dei coniugi e sul loro effettivo tenore di vita (Corte di Cass. Civ. 14081/2009 )

Tutto ciò premesso ed evidenziato, il Giudice, nell’accertare le disponibilità economiche del coniuge, è tenuto a fornire un’adeguata motivazione del proprio apprezzamento. E’ quanto si legge nella sentenza della Corte di Cassazione Civ. del 28 gennaio 2009 n. 2191.

Il Giudice, infatti, una volta accertato il diritto all’assegno di mantenimento ed il contributo per la prole minorenne, deve prendere in considerazione, quale indispensabile elemento di riferimento, ai fini della valutazione della congruità dello stesso, il concreto contesto sociale nel quale coniugi e prole avevano vissuto durante la convivenza, quale situazione condizionante le qualità e la quantità dei bisogni emergenti a cui le contribuzioni devono far fronte, nonché accertare le disponibilità economiche del coniuge a cui carico l’assegno va posto, dando adeguata motivazione del proprio apprezzamento.

Orbene non è ammissibile, con argomentazioni sintetiche e generiche, non aderenti alle regole normative ed ai relativi principi giurisprudenziali, sin qui richiamati, una quantificazione dell’assegno di mantenimento che risulti illegittimamente avulso da specifici riferimenti al tenore della pregressa vita coniugale e meramente correlata ad una, non consentita, astratta valutazione di sufficienza degli elementi che, al contrario, se ben valutati, garantirebbero una determinazione economica superiore.

In tale quadro si inserisce il Trust, quale miglior strumento per meglio definire una situazione di crisi familiare, tutelando gli interessi e i diritti dei figli, specie se minori, nonché per evitare, in sede di separazione personale dei coniugi, il procrastinarsi di ostili procedimenti giudiziali, volti a soddisfare pretese economiche, spesso esorbitanti, al fine della determinazione, da parte del Giudicante, di un cospicuo assegno di mantenimento in virtù di un’ampia e complessa valutazione della situazione patrimoniale del coniuge obbligato, come sin qui illustrato.

Tuttavia, è doveroso ribadire che detto strumento, seppur si presta magnificamente a costituire una fonte di garanzia patrimoniale di ottimo livello e un valido ed efficace mezzo di tutela preventiva per il coniuge obbligato all’assegno di mantenimento, va utilizzato con precauzione e rispetto di alcuni principi, che non si dovranno mai dimenticare, per non subire immediate e legittime azione destinate a tutelare i diritti dell’atro coniuge.

 

 

Dott.ssa Simona Genchi

Genchi Simona

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