Il Tribunale procede all’accertamento incidentale dell’illegittimità dell’aggiudicazione, al fine di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria per equivalente

Lazzini Sonia 17/03/11
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Il Tribunale procede all’accertamento incidentale dell’illegittimità dell’aggiudicazione, al fine di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria per equivalente

la colpa sussiste in quanto la commissione di gara ha apportato modifiche al criterio di valutazione delle offerte previsto dal bando, senza assicurarsi se tale decisione fosse in qualche modo contrastante con le regole che la stazione appaltante si era autoimposta

in disparte la circostanza che la giurisprudenza maggioritaria è ancora attestata sull’orientamento che, laddove all’esito dell’azione impugnatoria si accerti la spettanza dell’aggiudicazione e non sia più possibile il subentro nell’appalto, il risarcimento spettante al concorrente illegittimamente pretermesso va quantificato nel 10% dell’importo a base di gara depurato del ribasso praticato

è del tutto evidente che, in presenza di un ricorso in materia di appalti contenente sia la domanda impugnatoria sia quella risarcitoria nonché dell’avvenuta integrale esecuzione del contratto nelle more del processo (quindi proprio la situazione che si verifica nel caso che occupa il Tribunale), il giudice, laddove ritenesse fondato del ricorso, doveva necessariamente pronunciare l’annullamento dell’aggiudicazione, anche al solo fine di delibare la domanda risarcitoria per equivalente

Questo perché le norme processuali previgenti non prevedevano la possibilità di non pronunciare l’annullamento del provvedimento impugnato nel caso il ricorso fosse fondato (e né, in presenza della domanda risarcitoria, poteva dichiararsi venuto meno l’interesse alla pronuncia favorevole). Tuttavia, considerata la scarsa incidenza pratica nella sfera giuridica del ricorrente dell’annullamento dell’aggiudicazione (e, per converso, la rilevanza che tale pronuncia poteva rivestire per la stazione appaltante e per il controinteressato aggiudicatario), l’annullamento poteva apparire quasi una fictio iuris

Proprio per risolvere tali problemi, il legislatore del Codice ha introdotto l’innovativa disposizione di cui al citato art. 34, comma 3.

Per completare il discorso, si evidenzia altresì che la disposizione, letta unitamente a quella di cui al precedente comma 1, let. c) dello stesso art. 34, rischia di far perdere al processo amministrativo la sua storica identità; peraltro, a parte il fatto che si tratta di una mera possibilità (stante anche il rilievo che molto spesso l’annullamento del provvedimento costituisce ancora l’obiettivo principale del ricorrente e che la concessione della misura cautelare consente di pronunciare la sentenza di merito re adhuc integra), sono da salutare con favore tutte quelle misure che consentono al processo amministrativo di assicurare pienezza ed effettività di tutela al cittadino che adisce la giurisdizione amministrativa.

Ciò premesso, nel caso di specie il Collegio ritiene di dover fare applicazione dell’art. 34, comma 3, proprio perché, come detto in precedenza, nelle more del giudizio (anzi, già all’epoca della discussione della domanda cautelare) l’appalto è stato completamente eseguito.

Pertanto, il Tribunale procede all’accertamento incidentale dell’illegittimità dell’aggiudicazione, al fine di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria per equivalente; conseguentemente, la presente sentenza non prende in esame la questione della sorte del contratto stipulato fra il Comune e la controinteressata, visto che pure questo aspetto non interessa più la ditta ricorrente.

A tale proposito, il Tribunale ritiene di dover subito chiarire l’irrilevanza del principio di diritto sancito dalla Corte di Giustizia CE nella recente sentenza 30/9/2010, in causa C-314/09 (la quale ha già trovato riscontro nella giurisprudenza nazionale – vedasi TAR Brescia, II, n. 4552/2010), e questo perché ritiene sussistere in ogni caso la colpa della stazione appaltante.

Va subito chiarito che il Collegio non può condividere le argomentazioni espresse dalla difesa del civico ente, sia negli scritti difensivi che nel corso della discussione orale, che fanno riferimento alla ridotta dimensione dell’ente ed alla necessità di aggiudicare tempestivamente i lavori in argomento. Si deve rilevare in senso contrario che la normativa in materia di appalti pubblici non distingue in alcun modo le amministrazioni aggiudicatrici in base alle loro dimensioni, né esonera alcune di esse dall’applicazione delle norme di più complessa interpretazione. Tra l’altro, un argomento del genere suona anche ingeneroso per i funzionari comunali che hanno gestito la gara, ai quali, fino a prova contraria, va riconosciuta la competenza tecnico-giuridica sufficiente per assolvere ai loro compiti istituzionali.

Nella specie, però, la colpa sussiste in quanto la commissione di gara ha apportato modifiche al criterio di valutazione delle offerte previsto dal bando, senza assicurarsi se tale decisione fosse in qualche modo contrastante con le regole che la stazione appaltante si era autoimposta (metodo aggregativo – compensatore di cui all’allegato B del DPR n. 554/1999). In particolare, è decisivo il discorso relativo al fatto che l’offerta economica della ditta Controinteressata avrebbe ottenuto in ogni caso (ossia anche con ribasso dello 0%) un punteggio minimo di 66,42, il che contraddice palesemente la volontà della stazione appaltante di applicare il metodo aggregativo – compensatore di cui al DPR n. 554/1999

Per ciò che riguarda invece il c.d. danno curriculare, il Collegio non ritiene che nella specie questo sia risarcibile, in quanto:

– la ricorrente sostiene come la mancata aggiudicazione del presente appalto le abbia impedito di attingere l’unico requisito che le mancava per ottenere l’attestazione SOA (ossia l’esecuzione di un singolo appalto di valore pari al minimo previsto per l’iscrizione nella classifica I di cui all’art. 3 del DPR n. 34/2000);

– la stessa ricorrente (che ha allegato un certificato di iscrizione all’****** risalente al 1995) non ha però provato né il possesso degli altri requisiti previsti dal DPR n. 34/2000, né di essere seriamente intenzionata a richiedere l’attestazione SOA. A questo proposito, dagli atti di causa e dalla discussione orale è emerso che la ditta ricorrente non ha quasi mai partecipato nel recente passato a gare ad evidenza pubblica e quindi si deve presumere uno scarso interesse a lavorare con le pubbliche amministrazioni. Fra l’altro, non si comprende per quale ragione una ditta iscritta al soppresso A.N.C. almeno dal 1995 in tutto questo tempo non si sia attivata per conseguire l’attestazione SOA;

– per il resto, come detto in precedenza, l’eventuale esecuzione del presente appalto non avrebbe aggiunto ulteriori elementi di qualificazione per la ricorrente, sia in ragione della natura delle opere, sia dell’importo a base di gara (la ditta Vita ha infatti dimostrato di aver conseguito nell’ultimo triennio un fatturato che le consente già di eseguire lavori afferenti la classifica I).

Né possono essere risarcite le spese di partecipazione alla gara (ivi incluse quelle relative alla progettazione), in quanto si tratta di spese che l’impresa inserisce fra quelle generali e che vengono remunerate con l’utile atteso. Oltretutto, si tratta di un onere che tutti i concorrenti debbono sopportare se vogliono concorrere all’aggiudicazione.

Le spese in questione possono essere rimborsate solo in caso di illegittimo annullamento d’ufficio o di revoca ingiustificata degli atti della procedura, intervenuti dopo che i concorrenti hanno già sopportato gli oneri derivanti dalla predisposizione delle offerte (progettazione, polizza fideiussoria, spese postali, etc.).

In conclusione, va accolta la domanda risarcitoria per equivalente, con conseguente condanna del Comune di Loro Piceno a risarcire alla ditta ricorrente la somma di cui al precedente punto 7.2., rivalutata a far tempo dalla data di stipula del contratto fra l’amministrazione e la ditta Controinteressata. Sulla somma così determinata decorrono gli interessi legali dalla data di pubblicazione della presente sentenza e fino all’effettivo soddisfo.

Riportiamo qui di seguito la sentenza numero 2 del 10 gennaio 2011 pronunciata dal Tar Marche, Ancona

 

N. 00002/2011 REG.PROV.COLL.

N. 00027/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale 27 del 2010, proposto da:***

contro***

nei confronti di***

per l’annullamento, previa sospensione,

– del provvedimento n. 72 del 19.11.2009, con il quale il Comune di Loro Piceno, in merito all’affidamento dei lavori di rifacimento del Ponte lungo la strada Varco danneggiato da eventi calamitosi, ha disposto l’aggiudicazione nei confronti della ditta Controinteressata Fernando;

– del verbale di gara del 18.11.2009, con cui l’Ente ha espletato le operazioni di gara e conseguentemente aggiudicato provvisoriamente l’appalto a favore della ditta Controinteressata Fernando; in via prioritaria nella parte in cui prevede una formula di assegnazione del punteggio al fattore prezzo differente rispetto a quanto stabilito nella lettera di invito, ovvero, in via subordinata e strumentale al rinnovo della procedura, nella parte in cui provvede all’indicazione dell’espressione matematica per l’assegnazione dei punteggi all’offerta economica e alla valutazione degli elaborati progettuali dopo l’apertura della busta “C”, contenente l’offerta economica e l’offerta del tempo di realizzazione;

– per quanto possa occorrere, di tutti gli atti e/o provvedimenti prodromici, preparatori, conseguenti, connessi e/o comunque correlati a quelli espressamente impugnati;

e/o per la declaratoria

di nullità e/o inefficacia e/o caducazione del contratto eventualmente stipulato con l’attuale aggiudicataria ovvero, in subordine, per l’annullamento dello stesso,

e per la condanna

del Comune di Loro Piceno al risarcimento dei danni.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Loro Piceno e della ditta Controinteressata Fernando;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 1 dicembre 2010 il dott. ***************** e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Visto il dispositivo di sentenza n. 32 del 2/12/2010;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

1. La ditta ricorrente ha preso parte alla licitazione indetta dal Comune di Loro Piceno per l’affidamento urgente dei lavori di rifacimento di un ponte danneggiato da eventi atmosferici calamitosi. L’appalto, del valore presunto complessivo al netto di IVA di € 108.470,28 (di cui € 2.660,11 per oneri di sicurezza non soggetti a ribasso), era da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa e, a tal riguardo, il bando, prevedeva:

– che il punteggio complessivo fosse ripartito in 70 punti per l’offerta economica, 10 punti per il tempo di esecuzione dei lavori (minimo 35 giorni, massimo 45 giorni dalla consegna dei lavori) e 20 per il progetto tecnico;

– che il punteggio per il fattore tempo fosse assegnato attribuendo il coefficiente “1” al concorrente che avesse previsto di realizzare i lavori nel termine minimo di 35 giorni (con conseguente attribuzione di 10 punti) e il coefficiente “0” al concorrente che avesse previsto un tempo di esecuzione pari a quello massimo di 45 giorni (con conseguente assegnazione di 0 punti);

– che il punteggio per l’offerta economica fosse attribuito con il metodo aggregativo – compensatore di cui all’allegato B al DPR n. 554/1999.

All’esito della valutazione delle uniche due offerte pervenute, la ditta Vita ha ottenuto 76,80 (di cui 70 per l’offerta economica e 6,80 per l’offerta tecnica), la ditta Controinteressata 83,88 (di cui 67,08 per l’offerta economica, 10 per il fattore tempo e 6,80 per l’offerta tecnica).

2. Peraltro, espone la ricorrente, in sede di gara è accaduto che la commissione ha utilizzato, per l’attribuzione del punteggio relativo all’offerta economica, una formula aritmetica diversa da quella prevista dal bando e che, oltre tutto, tale formula è stata per la prima volta menzionata dopo l’apertura delle offerte.

La formula utilizzata dalla commissione è la seguente: P = 70 x Omax/Op (dove **** è l’offerta più conveniente per l’amministrazione e Op è l’offerta da valutare).

Essa, secondo la ricorrente, produce quell’effetto di “schiacciamento” dei punteggi in molte occasioni stigmatizzato dalla giurisprudenza (al riguardo, viene richiamata, ad esempio, la decisione n. 5194/2005 della Sez. V del Consiglio di Stato) e dalla dottrina, e che in pratica riduce di molto l’incidenza dell’offerta economica. Nel caso di specie, a fronte di un ribasso pari allo 0,779% sul prezzo a base d’asta, la ditta Controinteressata ha ottenuto 67,08 punti, mentre la ricorrente, con un ribasso del 4,892%, ha ottenuto il punteggio massimo di 70. Tale divario, a giudizio della ditta Vita, non riflette il reale differenziale fra le due offerte e dunque la formula utilizzata dalla commissione è illegittima. Fra l’altro, nel caso in esame, l’offerta economica era, nella prospettiva del bando di gara, il fattore preponderante di valutazione, visto che ad essa erano riservati ben 70 punti su 100.

Oltre all’annullamento dell’aggiudicazione, la ricorrente chiede la declaratoria di nullità/inefficacia del contratto e il risarcimento dei danni (in primo luogo in forma specifica e solo in via subordinata per equivalente).

3. Costituendosi in giudizio, sia il Comune che la controinteressata hanno preliminarmente evidenziato che, nelle more della notifica del ricorso, l’appalto è stato interamente eseguito (stante anche l’urgenza dei lavori); nel merito, hanno chiesto il rigetto del ricorso.

Ciò ha determinato la rinuncia da parte della ricorrente alla domanda cautelare, con conseguente rinvio della trattazione all’udienza di merito, che è stata fissata per il 1° dicembre 2010.

In vista dell’udienza le parti hanno ulteriormente argomentato le rispettive tesi, soprattutto in relazione alla domanda risarcitoria per equivalente avanzata dalla ditta ricorrente per l’ipotesi in cui non fosse più possibile il subentro nell’appalto.

 

DIRITTO

1. Il ricorso va accolto, limitatamente alla domanda risarcitoria per equivalente, per le ragioni e nei limiti che si vanno ad esporre.

2. Preliminarmente il Tribunale ritiene di dover evidenziare che il contenuto dispositivo della presente sentenza – nella parte in cui, per l’appunto, accoglie solo la domanda risarcitoria – è la conseguenza della disposizione di cui all’art. 34, comma 3, cod. proc. amm., laddove dispone che “Quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori”. Questa disposizione, che in giurisprudenza aveva trovato qualche sporadico precedente (vedasi ad esempio TAR Lecce, II, n. 4024/2007), per un verso viene a risolvere un problema che si poneva al giudice amministrativo soprattutto nelle controversie in materia di appalti pubblici, per altro verso potrebbe mettere in discussione l’essenza stessa del processo amministrativo tradizionale, fondato, come è noto, sull’azione impugnatoria.

Per quanto riguarda il primo aspetto, è del tutto evidente che, in presenza di un ricorso in materia di appalti contenente sia la domanda impugnatoria sia quella risarcitoria nonché dell’avvenuta integrale esecuzione del contratto nelle more del processo (quindi proprio la situazione che si verifica nel caso che occupa il Tribunale), il giudice, laddove ritenesse fondato del ricorso, doveva necessariamente pronunciare l’annullamento dell’aggiudicazione, anche al solo fine di delibare la domanda risarcitoria per equivalente. Questo perché le norme processuali previgenti non prevedevano la possibilità di non pronunciare l’annullamento del provvedimento impugnato nel caso il ricorso fosse fondato (e né, in presenza della domanda risarcitoria, poteva dichiararsi venuto meno l’interesse alla pronuncia favorevole). Tuttavia, considerata la scarsa incidenza pratica nella sfera giuridica del ricorrente dell’annullamento dell’aggiudicazione (e, per converso, la rilevanza che tale pronuncia poteva rivestire per la stazione appaltante e per il controinteressato aggiudicatario), l’annullamento poteva apparire quasi una fictio iuris.

Proprio per risolvere tali problemi, il legislatore del Codice ha introdotto l’innovativa disposizione di cui al citato art. 34, comma 3.

Per completare il discorso, si evidenzia altresì che la disposizione, letta unitamente a quella di cui al precedente comma 1, let. c) dello stesso art. 34, rischia di far perdere al processo amministrativo la sua storica identità; peraltro, a parte il fatto che si tratta di una mera possibilità (stante anche il rilievo che molto spesso l’annullamento del provvedimento costituisce ancora l’obiettivo principale del ricorrente e che la concessione della misura cautelare consente di pronunciare la sentenza di merito re adhuc integra), sono da salutare con favore tutte quelle misure che consentono al processo amministrativo di assicurare pienezza ed effettività di tutela al cittadino che adisce la giurisdizione amministrativa.

3. Ciò premesso, nel caso di specie il Collegio ritiene di dover fare applicazione dell’art. 34, comma 3, proprio perché, come detto in precedenza, nelle more del giudizio (anzi, già all’epoca della discussione della domanda cautelare) l’appalto è stato completamente eseguito.

Pertanto, il Tribunale procede all’accertamento incidentale dell’illegittimità dell’aggiudicazione, al fine di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria per equivalente; conseguentemente, la presente sentenza non prende in esame la questione della sorte del contratto stipulato fra il Comune e la controinteressata, visto che pure questo aspetto non interessa più la ditta ricorrente.

4. Le doglianze articolate in ricorso avverso l’aggiudicazione sono fondate, per i seguenti motivi.

Il Tribunale ben conosce lo stato dell’arte in subiecta materia ed è quindi consapevole dell’esistenza di pronunce (non importa se numericamente prevalenti o minoritarie, trattandosi di questioni che non sono suscettibili di soluzioni manichee e immodificabili) che ritengono possibile per la commissione di gara apportare – evidentemente ad offerte economiche già conosciute – correttivi alle formule previste dal bando per l’attribuzione dei punteggi, nel caso in cui la pedissequa applicazione di tali formule dia luogo a risultati che non riflettono il reale divario fra le offerte.

Peraltro, a giudizio del Collegio vi sono dei punti fermi dai quali non si può prescindere:

– in primo luogo, i punteggi previsti dal bando per l’offerta tecnica e per quella economica debbono essere interamente attribuibili;

– in secondo luogo, se un’offerta economica è pari al prezzo a base d’asta, ad essa deve essere attribuito il punteggio zero (in quanto non migliorativa in alcun modo rispetto alle condizioni economiche previste dalla stazione appaltante);

– in terzo luogo, la rilevanza dei vari criteri di attribuzione dei punteggi deve essere attentamente calibrata dalla stazione appaltante in sede di redazione del bando e non essere oggetto di “aggiustamenti” successivi;

– in quarto luogo, vi deve essere coerenza interna fra le varie clausole del bando e fra l’operato della commissione di gara e le clausole del bando (tenendo anche conto dell’incidenza di alcuni principi fondamentali in materia, quali la par condicio e il divieto di disapplicazione, da parte della commissione, di clausole della lex specialis).

4.1. Iniziando dal primo e dal secondo dei profili appena evidenziati, da una semplice verifica, eseguibile da chiunque sia in possesso di rudimenti di aritmetica, emerge che, applicando la formula utilizzata dalla commissione, la ditta Controinteressata avrebbe ottenuto per l’offerta economica un punteggio di 66,42 anche se avesse offerto un ribasso dello 0%. Questo va contro sia la ratio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (e al riguardo il Collegio ritiene sufficiente richiamare le sentenze citate dalla ricorrente – TAR Lecce, II, n. 3723/2004 e Cons. Stato, V, n. 5194/2005), sia la stessa lettera del bando. In effetti, poiché la lex specialis richiamava espressamente l’allegato B al DPR n. 554/1999 e poiché il regolamento esecutivo della L. n. 109/1994, nell’indicare le modalità applicative del metodo-aggregativo compensatore, stabilisce chiaramente che “…I coefficienti V(a) i sono determinati: […] per quanto riguarda gli elementi di valutazione di natura quantitativa quale il prezzo, il tempo di esecuzione dei lavori, il rendimento, la durata della concessione, il livello delle tariffe, attraverso interpolazione lineare tra il coefficiente pari ad uno, attribuito ai valori degli elementi offerti più convenienti per la stazione appaltante, e coefficiente pari a zero, attribuito a quelli posti a base di gara…”, ne consegue l’illegittimità di una formula aritmetica che consenta al concorrente che non ha praticato alcun ribasso sul prezzo a base d’asta di conseguire un punteggio quasi uguale ai concorrenti che hanno invece offerto dei ribassi. Ma del resto, il criterio previsto dall’allegato B al DPR n. 554/1999 è stato correttamente applicato dal Comune per quanto concerne l’offerta tempo, visto che al riguardo alla ditta Controinteressata è stato attribuito il punteggio massimo (avendo essa previsto di eseguire l’appalto nel tempo minimo previsto), mentre alla ditta Vita Ricorrente sono stati attribuiti zero punti (essendosi l’impresa impegnata ad eseguire i lavori nel tempo massimo previsto dal bando).

4.2. In relazione al terzo dei profili suesposti va invece osservato che le giustificazioni fornite dal Comune circa l’incidenza che nel caso di specie rivestiva il fattore tempo non appaiono convincenti. Anche sul punto appare utile richiamare le considerazioni espresse dalla sentenza del TAR Lecce n. 3723/2004 (riprese anche da questo Tribunale nella recente sentenza n. 9/2010), laddove si evidenzia che “…Ed in effetti, anche nella presente controversia sia il Comune che la controinteressata hanno eccepito che la formula in esame si giustifica alla luce della rilevanza che l’Amministrazione annette al servizio da aggiudicare ed alla conseguente necessità di far prevalere gli aspetti tecnici piuttosto che il fattore economico.

Questa affermazione, però, non è condivisibile, per due motivi diversi:

– in primo luogo, perché essa confligge logicamente con la lettera del bando, il quale prevedeva che i 100 punti a disposizione della commissione fossero ripartiti in 40 punti (merito tecnico) e 60 punti (offerta economica). Se davvero il Comune avesse voluto privilegiare l’aspetto tecnico avrebbe ben potuto ripartire diversamente il punteggio complessivo (ad esempio 60 per il merito tecnico e 40 per l’offerta economica, o altra diversa ripartizione comunque riflettente il maggior peso attribuito al merito tecnico);

– ma in ogni caso, una volta fissato il punteggio da attribuire, rispettivamente, al merito tecnico ed all’offerta economica, questo punteggio deve essere interamente attribuibile, pena la frustrazione del criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa…”.

Nella specie, se davvero il fattore tempo rivestiva importanza decisiva, il Comune non doveva fare altro che attribuire a tale sub-criterio un peso più rilevante nell’economia della gara (al riguardo si osserva che 10 punti su 100 sono davvero pochi, tanto più se si pensa al fatto che nella specie il progetto tecnico non ha avuto la minima rilevanza ai fini dell’aggiudicazione).

Non si può poi seguire la difesa del Comune laddove afferma che la formula a cui richiama la ricorrente produrrebbe a sua volta risultati aberranti, consentendo ad un’impresa che offra il ribasso dello 0,001%, tempi di esecuzione più lunghi ed un progetto tecnico scadente di aggiudicarsi l’appalto: si tratta di un’argomentazione un po’ singolare, in quanto un’impresa che presenti una siffatta offerta otterrebbe punteggi più bassi, sia per l’offerta tempo, sia per l’offerta tecnica e sia per quella economica (sempre che, beninteso, gli altri ribassi siano più significativi), per cui non si vede come potrebbe aggiudicarsi la gara.

4.3. Infine, in relazione all’ultimo aspetto menzionato al punto 4., il Collegio ritiene che:

– la commissione di gara non può disapplicare le regole stabilite nel bando, salvo che esse risultino di fatto inapplicabili (e nella vicenda decisa dal Consiglio di Stato con la decisione n. 2004/2010, richiamata dalla difesa comunale nella memoria conclusionale del 20/10/2010, l’inapplicabilità derivava dal fatto che, avendo un concorrente presentato un’offerta pari a zero, questo impediva di utilizzare la formula aritmetica prevista dal bando, perché introducendo nel calcolo il valore 0, il punteggio da assegnare agli altri concorrenti risultava appunto pari a 0);

– l’inapplicabilità non può però dipendere dal fatto che le offerte non hanno rispecchiato le previsioni della stazione appaltante (come sostiene invece la difesa del Comune), non essendo corretto “aggiustare” i criteri di aggiudicazione in base all’esito della gara;

– nel caso di specie la commissione doveva quindi applicare il criterio previsto dal bando, lasciando che fosse la ditta Controinteressata, se del caso, a lamentare la sproporzione fra i punteggi risultanti dall’applicazione della formula.

In generale, al fine di elidere le possibili conseguenze negative che si possono produrre applicando meccanicamente formule aritmetiche pensate per la generalità dei casi, si possono introdurre già nel bando correttivi che operano solo laddove le offerte presentate risultino molto ravvicinate fra loro (come è accaduto nella specie).

5. Per tutte queste ragioni, il Tribunale ritiene che l’operato della commissione di gara (e quindi del Comune che l’ha recepito) sia stato nella specie illegittimo, dal che consegue l’accertamento della spettanza dell’aggiudicazione della gara in favore della ditta Vita Ricorrente.

6. Va pertanto esaminata la domanda risarcitoria per equivalente.

A tale proposito, il Tribunale ritiene di dover subito chiarire l’irrilevanza del principio di diritto sancito dalla Corte di Giustizia CE nella recente sentenza 30/9/2010, in causa C-314/09 (la quale ha già trovato riscontro nella giurisprudenza nazionale – vedasi TAR Brescia, II, n. 4552/2010), e questo perché ritiene sussistere in ogni caso la colpa della stazione appaltante.

Va subito chiarito che il Collegio non può condividere le argomentazioni espresse dalla difesa del civico ente, sia negli scritti difensivi che nel corso della discussione orale, che fanno riferimento alla ridotta dimensione dell’ente ed alla necessità di aggiudicare tempestivamente i lavori in argomento. Si deve rilevare in senso contrario che la normativa in materia di appalti pubblici non distingue in alcun modo le amministrazioni aggiudicatrici in base alle loro dimensioni, né esonera alcune di esse dall’applicazione delle norme di più complessa interpretazione. Tra l’altro, un argomento del genere suona anche ingeneroso per i funzionari comunali che hanno gestito la gara, ai quali, fino a prova contraria, va riconosciuta la competenza tecnico-giuridica sufficiente per assolvere ai loro compiti istituzionali.

Nella specie, però, la colpa sussiste in quanto la commissione di gara ha apportato modifiche al criterio di valutazione delle offerte previsto dal bando, senza assicurarsi se tale decisione fosse in qualche modo contrastante con le regole che la stazione appaltante si era autoimposta (metodo aggregativo – compensatore di cui all’allegato B del DPR n. 554/1999). In particolare, è decisivo il discorso relativo al fatto che l’offerta economica della ditta Controinteressata avrebbe ottenuto in ogni caso (ossia anche con ribasso dello 0%) un punteggio minimo di 66,42, il che contraddice palesemente la volontà della stazione appaltante di applicare il metodo aggregativo – compensatore di cui al DPR n. 554/1999.

7. In ragione delle articolate argomentazioni difensive del Comune, gli aspetti relativi al nesso di causalità ed alla quantificazione del danno possono essere trattate congiuntamente.

L’amministrazione, in sintesi, richiamando alcune recenti decisioni del giudice amministrativo (ad esempio, Cons. Stato, VI, n. 3144/2009), sostiene che:

– l’impresa che sia stata illegittimamente pretermessa in una gara ad evidenza pubblica deve provare il danno dovuto alla mancata aggiudicazione, tenendo conto del fatto che, normalmente, un’impresa privata di una commessa si attiva per conseguire altre opportunità di lavoro (aliunde perceptum);

– la ditta Vita non ha provato di essere rimasta in una situazione di inoperatività a seguito della mancata aggiudicazione;

– in ogni caso, il risarcimento non può essere automaticamente ragguagliato al 10% dell’importo dell’appalto;

– non possono essere risarciti né il c.d. danno curriculare (per mancata dimostrazione del possesso dei requisiti per l’ottenimento dell’attestazione SOA), né le spese di partecipazione alla gara (le quali sono comprese nell’utile di impresa).

7.1. Ora, in disparte la circostanza che la giurisprudenza maggioritaria è ancora attestata sull’orientamento che, laddove all’esito dell’azione impugnatoria si accerti la spettanza dell’aggiudicazione e non sia più possibile il subentro nell’appalto, il risarcimento spettante al concorrente illegittimamente pretermesso va quantificato nel 10% dell’importo a base di gara depurato del ribasso praticato, nel caso di specie le eccezioni del Comune non possono comunque trovare completa condivisione, visto che:

– non rileva il fatto che la ditta Vita non abbia eventualmente in passato eseguito lavori per conto di pubbliche amministrazioni (dovendo il Tribunale pronunciarsi sull’odierna vicenda);

– i lavori di cui al presente appalto dovevano essere eseguiti in un arco temporale molto ristretto (vedasi il certificato di collaudo depositato in atti dal Comune), il che non consente di addossare alla ditta ricorrente l’onere di provare di non aver impiegato altrove le risorse umane e i mezzi tecnici a sua disposizione;

– in ogni caso, non è nemmeno corretto escludere a priori che un’impresa possa svolgere in contemporanea più appalti, soprattutto quando non si tratti di lavori che, per la loro difficoltà tecnica e/o per l’importo economico, impegnano per intero la capacità della ditta. Nella specie, è lo stesso Comune ad evidenziare, sia pure pro domo sua, che l’appalto in questione non presentava peculiarità tecniche degne di nota ed aveva un importo quasi irrisorio (poco più di 100.000 Euro).

7.2. Peraltro, anche a voler seguire l’orientamento più rigoroso del Consiglio di Stato, non può certo dirsi che nella specie la ditta Vita non abbia assolto in maniera adeguata all’onus probandi. Si deve anzitutto evidenziare l’atteggiamento difensivo del Comune, il quale, nella memoria di costituzione, aveva eccepito l’assenza di qualsivoglia elemento comprovante il danno patito dalla ricorrente, salvo poi, una volta che la ditta Vita ha depositato in giudizio una serie di documenti attestanti, ad esempio, l’andamento del fatturato dell’ultimo triennio, disconoscere la valenza di tali atti.

Il Collegio non ritiene di dover seguire le argomentazioni del Comune, visto che:

– è indubbio che la ricorrente sarebbe rimasta aggiudicataria laddove la commissione di gara avesse correttamente applicato le regole del bando e dell’allegato B al DPR n. 554/1999;

– è altrettanto certo che, per questo, la ditta Vita ha subito un danno patrimoniale ingiusto;

– negli appalti di lavori pubblici il legislatore ha già da tempo fissato una percentuale forfettaria che quantifica il danno che discende dalla mancata esecuzione integrale dell’appalto per fatto della p.a.;

– è evidente che tale percentuale è stata stabilita in base all’id quod plerumque accidit;

– seppure è vero che la congiuntura economica generale può indurre le imprese ad accettare di lavorare con profitti ridotti (sul punto vedasi le considerazioni espresse da TAR Lecce, II, n. 1945/2007), è altrettanto vero che questo risulta in primo luogo dall’offerta presentata. Nel caso in esame l’offerta della ricorrente è nota, per cui risulta assolto uno dei presupposti indicati dalla citata decisione n. 3144/2009 della sez. VI;

– oltre che in applicazione del criterio dell’aliunde perceptum, l’ammontare del danno può essere ridotto quando le concrete modalità di esecuzione dell’appalto possono intaccare il margine di utile. Nella specie, a parte le considerazioni espresse in precedenza circa il ristretto arco temporale in cui i lavori dovevano essere (e sono stati in effetti) eseguiti, l’entità e la tipologia delle opere consentiva ai concorrenti di formulare un’offerta sufficientemente avvertita e quindi di calcolare con buona approssimazione il margine di utile atteso;

– la ditta ricorrente ha depositato in atti un prospetto riportante il margine di utile atteso (14,46%). Peraltro, trattandosi di documentazione formata ex post, il Tribunale non la condivide nella sua globalità, ritenendo di fissare l’ammontare del danno risarcibile nel 10% del prezzo a base d’asta, depurato del ribasso praticato dalla ditta ricorrente.

8. Questo per quanto riguarda il danno relativo al mancato utile d’impresa.

Per ciò che riguarda invece il c.d. danno curriculare, il Collegio non ritiene che nella specie questo sia risarcibile, in quanto:

– la ricorrente sostiene come la mancata aggiudicazione del presente appalto le abbia impedito di attingere l’unico requisito che le mancava per ottenere l’attestazione SOA (ossia l’esecuzione di un singolo appalto di valore pari al minimo previsto per l’iscrizione nella classifica I di cui all’art. 3 del DPR n. 34/2000);

– la stessa ricorrente (che ha allegato un certificato di iscrizione all’****** risalente al 1995) non ha però provato né il possesso degli altri requisiti previsti dal DPR n. 34/2000, né di essere seriamente intenzionata a richiedere l’attestazione SOA. A questo proposito, dagli atti di causa e dalla discussione orale è emerso che la ditta ricorrente non ha quasi mai partecipato nel recente passato a gare ad evidenza pubblica e quindi si deve presumere uno scarso interesse a lavorare con le pubbliche amministrazioni. Fra l’altro, non si comprende per quale ragione una ditta iscritta al soppresso A.N.C. almeno dal 1995 in tutto questo tempo non si sia attivata per conseguire l’attestazione SOA;

– per il resto, come detto in precedenza, l’eventuale esecuzione del presente appalto non avrebbe aggiunto ulteriori elementi di qualificazione per la ricorrente, sia in ragione della natura delle opere, sia dell’importo a base di gara (la ditta Vita ha infatti dimostrato di aver conseguito nell’ultimo triennio un fatturato che le consente già di eseguire lavori afferenti la classifica I).

Né possono essere risarcite le spese di partecipazione alla gara (ivi incluse quelle relative alla progettazione), in quanto si tratta di spese che l’impresa inserisce fra quelle generali e che vengono remunerate con l’utile atteso. Oltretutto, si tratta di un onere che tutti i concorrenti debbono sopportare se vogliono concorrere all’aggiudicazione.

Le spese in questione possono essere rimborsate solo in caso di illegittimo annullamento d’ufficio o di revoca ingiustificata degli atti della procedura, intervenuti dopo che i concorrenti hanno già sopportato gli oneri derivanti dalla predisposizione delle offerte (progettazione, polizza fideiussoria, spese postali, etc.).

9. In conclusione, va accolta la domanda risarcitoria per equivalente, con conseguente condanna del Comune di Loro Piceno a risarcire alla ditta ricorrente la somma di cui al precedente punto 7.2., rivalutata a far tempo dalla data di stipula del contratto fra l’amministrazione e la ditta Controinteressata. Sulla somma così determinata decorrono gli interessi legali dalla data di pubblicazione della presente sentenza e fino all’effettivo soddisfo.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, accoglie la domanda risarcitoria nei termini di cui in motivazione.

Condanna il Comune di Loro Piceno al pagamento in favore della ricorrente delle spese di giudizio, che ritiene di liquidare in € 3.000,00 oltre ad accessori di legge, ed al rimborso del contributo unificato, come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Ancona nella camera di consiglio del giorno 1 dicembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

**************, Presidente FF

*****************, Primo Referendario, Estensore

*************, Primo Referendario

L’ESTENSORE        IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 10/01/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Lazzini Sonia

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