Il Tribunale di Salerno si pronuncia sul contratto di mutuo fondiario e l’ammortamento alla francese

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Con la sentenza n. 4442 depositata il 5 ottobre 2016 il Tribunale di Salerno, in persona del dott. Guerino Iannicelli, si è pronunciato in un giudizio di rendiconto in relazione ad un contratto di mutuo fondiario, nel quale era stata contestata inoltre la legittimità del piano di ammortamento alla francese.

La sentenza ha posto in primis l’attenzione sulla particolarità del mutuo fondiario sottolineando che il credito fondiario è definito dall’art. 38 commi 1 e 2 del D.L.vo 1 settembre 1993, n. 385   come il credito che “ha per oggetto la concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili .. il cui ammontare è individuato in rapporto al valore dei beni ipotecati o al costo delle opere da eseguire sugli stessi”.

In epoca antecedente al 1993 la disciplina del mutuo fondiario era dettata dal R.D. 16 luglio 1905 n. 646 e dalla legge 6 giugno 1991 n. 175, entrambi abrogati dall’art. 161, comma 1, del TUB.

Rispetto al mutuo ipotecario ordinario, quello fondiario ha una disciplina speciale che trova applicazione quando è volontà comune delle parti che il finanziamento erogato segua la speciale disciplina, desumibile da un espresso richiamo nel contratto, e purché ricorrano alcuni elementi caratterizzanti riguardanti l’ipoteca (di primo grado), la percentuale di concessione e la durata (medio e lungo termine, ossia non inferiore ai 18 mesi).

Tutte queste caratteristiche il giudice le riscontra nel caso de quo; infatti, il contratto non solo fa espresso riferimento all’applicazione della disciplina in materia di mutuo fondiario, ma prevede  anche l’iscrizione di ipoteca di primo grado e un rimborso a lungo termine.

Il contratto di mutuo, inoltre, è stato stipulato in data anteriore rispetto a quella dell’entrata in vigore della L. 17.2.1992 n. 154 (artt. 4 e 5), poi sostituita dal D.L.vo 1.9.1993 n. 385, che ha introdotto una disciplina specifica per gli interessi sui contratti bancari.

La normativa cui far riferimento per la soluzione del caso in esame  è, secondo il Tribunale di Salerno, quella contenuta nel R.D. 16.7.1905 n. 646 (Testo Unico delle legge sul credito fondiario) e nel D.P.R. 21.1.1976 n. 7.

Fatta questa premessa sulla natura del muto fondiario, il Tribunale di Salerno esamina poi le questioni proposte dagli attori che attengono all’effetto anatocistico del calcolo delle rate secondo il metodo di ammortamento “alla francese”, alla natura usuraria degli interessi, alla debenza di interessi moratori calcolati anche sulla quota interessi delle rate scadute e non pagate e alla legittimità della revoca immediata delle linee di credito.

Secondo la tesi attorea, la tecnica di ammortamento “alla francese” si risolve nel calcolo di un interesse composto e non di un interesse semplice e, per tale via, occulta interessi anatocistici illegittimi.

Il Tribunale mostra di non condividere tale tesi non ritenendo che il piano di ammortamento alla francese calcoli interessi composti nelle rate in scadenza, anziché l’interesse semplice sul capitale erogato (per la prima rata) e sul solo capitale residuo (per le rate successive). In altri termini, non è specificato in che modo, e non risulta, che il capitale via via decrescente sul quale vengono  calcolati gli interessi alle singole scadenze sia formato, nella tecnica di ammortamento alla francese, non solo dal capitale residuo (la somma mutuata ridotta della quota rimborsata con le rate precedenti), ma anche da interessi. Con riferimento agli interessi usurari, l’art. 1 comma 1 del D.L. 29.12.2000 n. 394, convertito con modificazioni nella L. 28.2.2001 n. 24, con una disposizione definita di interpretazione autentica della legge sull’usura, applicabile a tutti i contratti, anche quelli già stipulati, precisa che gli interessi si intendono usurari se superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui sono convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento.

In questo modo, la suddetta disposizione,  esclude la sopravvenuta usurarietà sia dei contratti stipulati prima del 2.4.1997 (data di efficacia della prima rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai fini della legge sull’usura), non essendovi ancora una soglia-usura al momento della stipulazione del contratto, sia dei contratti stipulati dopo il 2.4.1997 che prevedono un tasso di interesse non superiore alla soglia-usura vigente al momento della stipulazione.

Il Tribunale osserva che l’art. 1 comma 1, su menzionato, ha superato il vaglio di costituzionalità, poiché il Giudice delle leggi ha ritenuto che l’interpretazione autentica del secondo comma dell’art. 1815 c.c., e dell’art. 644 c.p., come modificato dalla L. n. 108, è pienamente compatibile con il tenore e la ratio della legge ed è coerente con il principio di ragionevolezza (cfr. Coste costituzionale, sentenza 25.2.2002 n. 29).

Quindi, essendo stato il contratto di mutuo fondiario stipulato nel 1990, vale la regola di esclusione della sopravvenuta usurarietà dei tassi.

Per ciò che attiene gli interessi moratori, le parti hanno convenuto, nel capitolato allegato al contratto, anche gli interessi di mora su ogni somma dovuta dal giorno di scadenza, senza specificare il tasso.

Il Tribunale osserva poi come l’art. 14 del D.P.R. n. 7 del 1976 prevede che le somme dovute per il pagamento delle rate di ammortamento producono, di pieno diritto, interesse dal giorno della scadenza e la misura degli interessi di mora da corrispondersi dai mutuatari agli enti sulle somme dovute e non pagate, stabilita dal primo comma dell’art. 2 della legge 17 agosto 1974 n. 397, può essere modificata con decreto del Ministro per il tesoro, sentito il Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio. Ne consegue che la capitalizzazione degli interessi inglobati nelle rate di ammortamento insolute e la loro produzione di ulteriori interessi moratori è il risultato dell’applicazione di una clausola contrattuale conforme a quanto previsto dall’art. 14 in deroga al divieto di anatocismo dettato dalla norma generale di cui all’art. 1283 c.c..

Il Tribunale di Salerno fa riferimento alla consolidata giurisprudenza della  Corte di Cassazione, a mente della quale in tema di credito fondiario il mancato pagamento di una rata di mutuo comporta, ai sensi dell’art. 38 del R.D.L. 16 luglio 1905 n. 646, l’obbligo di corrispondere gli interessi di mora sull’intera rata, inclusa la parte che rappresenta gli interessi di ammortamento (cfr. Cass., 3.5.2011 n. 9695; Cass., 31.1.2006 n. 2140) ed essendo esclusi soltanto gli interessi sulle rate ancora a scadere (cfr. Cass., sezioni unite, 19.5.2008 n. 12639).

Da tanto discende che la validità anche della clausola contrattuale che prevede gli interessi di mora, determinabili ai sensi dell’art. 14 su menzionato senza alcuna discrezionalità da parte della banca, ed applicabili sull’intera rata scaduta e non pagata, compresa la quota interessi, in deroga alle previsioni dell’art. 1283 c.c..

Parte attrice  chiede, inoltre,  anche l’accertamento dell’esatto dare/avere tra le parti e la condanna della banca mutuante  alla restituzione delle somme indebitamente versate in eccedenza rispetto al dovuto, ovvero la compensazione di dette somme con il residuo debito.

Il Tribunale ha ritenuto che l’azione di accertamento di credito-debito vada esaminata, avendone le parti interesse, anche se ritiene confermata la legittimità degli interessi corrispettivi e moratori convenuti e, secondo gli accertamenti del consulente tecnico, anche quelli in concreto applicati dalla banca, in base alla ricostruzione operata dal consulente  stesso dei pagamenti effettuati.

Il giudice ha tenuto conto della prima ipotesi ricostruttiva effettuata dal consulente, atteso che il tasso pari a quello degli interessi corrispettivi (inferiore dal tasso ex D.P.R. n. 7/76) corrisponde ai conteggi della banca, non potendosi liquidare un credito in base a condizioni più onerose di quelle in concreto  applicate dalla banca creditrice.

Infine, il Tribunale prende in esame la domanda risarcitoria per i danni conseguenti alla revoca delle linee di credito accordate a parte attrice riferendo che, l’art. 1845 comma 3 c.c. prevede che ciascuna delle parti può recedere dal contratto di apertura di credito a tempo indeterminato mediante preavviso nel termine stabilito dal contratto, dagli usi o, in mancanza, in quello di quindici giorni e che “diversamente dal recesso dal contratto a tempo determinato, per il quale il recesso prima della scadenza del termine è consentito solo per giusta causa (comma1), nell’ipotesi in esame la norma non richiede la sussistenza di una giusta causa. Il termine di giorni quindici concreta un termine dilatorio che la legge prevede a favore del debitore accreditato, onde metterlo in condizione di reperire la somma necessaria per ripianare la propria esposizione verso l’istituto di credito. (Cass., 22.5.1963 n 1034) ed implica che il credito della banca deve ritenersi inesigibile fino allo spirare del termine minimo di quindici giorni, nell’ipotesi in cui l’estinzione dell’obbligazione verso la banca avvenga a mezzo di pagamento in denaro”.

Anche il recesso immotivato della banca, però, deve essere conformato al principio di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, che impone a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge, e dalla cui violazione può discendere “ex se”, ove provato, un danno risarcibile (cfr. Cass., 27.10.2006 n. 23273; Cass., 28.9.2005 n. 18947).

Il recesso della banca deve considerarsi illegittimo se in concreto assume connotati del tutto imprevisti ed arbitrari, ossia contrasta con la ragionevole aspettativa di chi, in base ai rapporti usualmente tenuti dalla banca ed all’assoluta normalità commerciale dei rapporti in atto, abbia fatto conto di poter disporre della provvista redditizia per il tempo previsto e che non può pretendersi essere pronto in qualsiasi momento alla restituzione delle somme utilizzate, se non a patto di svuotare le ragioni stesse per le quali un’apertura di credito viene normalmente convenuta (cfr. Cass., 21.5.1997 n. 4538).

E’ poi la parte che assume l’illegittimità del recesso, per violazione del principio di buona fede, che ha l’onere di enunciare le ragioni della sua tesi, e fornirne la prova nel caso concreto (cfr. Cass., 7.3.2008 n. 6186; Cass., 11.1.2006 n. 394).

Nel caso in esame la revoca delle linee di credito concesse a tempo indeterminato, operata dalla banca, è giustificata dalla persistenza dell’inadempimento dell’attore e da ciò nasce la legittimità del recesso ed il rigetto della domanda risarcitoria.

Per i motivi su esposti il Tribunale di Salerno ha accolto la domanda di accertamento di credito e rigettato le altre domande attrici.

Sentenza collegata

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Avv. De Luca Maria Teresa

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