Il tempo giuridico tra esperienza soggettiva e conoscenza storica

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Vi sono tempi soggettivi e tempi storici, i primi legati ad aspetti emotivi quale risultato del sovrapporsi di stimoli esterni che possono essere numerosi, nuovi e complessi oppure radi e di bassa intensità, i secondi che superano il contingente del singolo proiettandosi nel succedersi delle generazioni.
Il tempo soggettivo si estende in rapporto inverso alla ricchezza e intensità delle emozioni, ossia intervengono i fattori dell’attenzione e della memoria che interloquiscono fra loro e più gli eventi sono intensi e ravvicinati più vi è una fusione tra gli stessi, la percezione del tempo diventa unica senza intervalli (Wallish).
Sebbene vi possano essere degli orologi biologici vi è una distorsione della percezione del tempo in funzione dei nostri interessi, degli accadimenti che ci circondano e su cui fissiamo la nostra attenzione, questo vale per tutte le funzioni proprie dell’uomo da quelle creative, a quelle economiche fino a giungere alle ludiche.
Il tempo è un’entropia dell’ordine verso il disordine, della probabile disorganizzazione di un sistema, ma questo principio valido nei sistemi chiusi si inverte nell’interagire con altri sistemi per l’aumento della capacità di calcolo a seguito dell’assorbimento di energie dai sistemi vicini. La storia non è altro quindi che una sistemazione ordinata di eventi passati a seguito di una bassa entropia, al contrario un’alta entropia crea fluttuazioni causali tra eventi slegati fra loro (Carroll).
I due concetti appaiono solo superficialmente differenti, quello che emerge è la riorganizzazione a posteriori degli eventi e l’energia necessaria per mantenere l’equilibrio del sistema, il lento scorrere del tempo quale lenta disorganizzazione di un sistema   per scarsità di stimoli o all’opposto l’accelerazione del tempo per la rapida disorganizzazione a seguito della pressione determinata dal veloce succedersi degli eventi o stimoli esterni.
Il sistema giuridico si disorganizza ma l’equilibrio viene ristabilito anche mediante auto-organizzazione con una migliore gestione delle risorse esistenti, regolarità, simmetrie emergono anche in condizioni lontane dall’equilibrio, in quanto se l’equilibrio si degrada è pur vero che il sistema non è fermo ma in un costante flusso, pertanto fuori equilibrio, ne deriva che è la scala temporale adottata per osservare i processi che fa variare la prospettiva (Rubì).
Che cosa è il diritto se non regole che creano lo spazio virtuale degli atti umani, una realtà della mente che sconfina in esigenze biologiche?
Il diritto è pertanto una delle ipotetiche configurazioni che assume l’azione umana sulla materia, come fusione in un unico oggetto nella pretesa dell’intero essere umano, nella cui memoria vi è il tempo dell’azione.
Il diritto è quindi secondo l’idea di Boltzmann  dell’entropia una probabilità di uno stato fisico, il tempo giuridico quale direzione della disorganizzazione del diritto mediante una successione di eventi causa di una continua riconfigurazione giuridica che si risolve nelle aule giudiziarie nella riconfigurazione, ossia una riorganizzazione.
Le cose non esistono per come sono ma per come il cervello le interpreta e l’elemento chiave è il confronto fra strutture (Boltzmann), solo il cambiamento della configurazione dà coscienza del tempo, si ha pertanto una serie di registrazioni costituenti gli stati giuridici dell’entropia.
Vi è un divenire per un succedersi di fatti, ma ogni fatto è elemento di una struttura giuridica in sé completa la loro successione crea il moto del diritto, in realtà noi non possiamo mai definire l’evoluzione dell’intero diritto ma solo successioni parziali di singoli posizionamenti giuridici per quel momento.
Possiamo pertanto dire che il diritto formulato dal legislatore non è lo stesso diritto applicato dall’interprete, vi è solo la speranza che raggiunga un effetto per probabilità.
Il diritto esiste quale riflesso dell’azione, è questa che determina l’esistenza dello stesso e la sua configurazione storica ossia l’insieme del sistema crea lo spazio in cui agirà.
Se il diritto non è che l’espressione della cultura e dei valori del suo tempo vi è una impossibilità di ricostruirlo una volta privato della emozionalità del momento, esistono pertanto solo una serie di configurazioni giuridiche il cui succedersi daranno l’idea dell’evoluzione ma di cui sarà difficile darne una lettura a posteriori se non in termini frammentari, quale insieme di singole registrazioni.
Abbiamo quindi solo una proiezione sfocata di ciò che è stato, si cerca quindi di ricreare le leggi in determinate strutture di riferimento senza sapere se esistono delle leggi che hanno determinato le strutture stesse (Barbour).
Il tempo si riduce, secondo una immagine di S. Agostino, in un unico dilatato succedersi di presenti per cui vi è solo il presente del passato, il presente del presente e il presente del futuro (Confessioni, XI, 20, 1), un fluire di coscienza che si risolve in termini di possibilità e di progettazione (Heidegger).
 
 
Sergio Sabetta
 
 
 
Bibliografia
 
 
· S. M. Carroll, Le origini cosmiche della freccia del tempo, in Le Scienze, 42-51, 480, luglio 2008;
· J. Barbour, La fine del tempo, Einaudi 2005;
· J. M. Rubì, La lunga mano della seconda legge, in Le Scienze, 68-73, 485, gennaio 2009;
· P. Wallish, Quello strano senso del tempo, in Mente & Cervello, 68-73, 41, VI, maggio 2008.

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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