Il supremo giudice amministrativo stabilisce i criteri per l’accertamento del requisito dell’elemento soggettivo, nella fattispecie di responsabilità dell’amministrazione, per attività provvedimentale illegittima: dolo e colpa grave!

Lazzini Sonia 19/10/06
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Esistono due modelli di tutela risarcitoria: reintegrazione in forma specifica e risarcimento per equivalente (forma “surrogatoria”) ; quest’ultima soluzione varia a seconda che il criterio di aggiudicazione sia stato quello del prezzo più basso oppure dell’offerta economicamente più vantaggiosa
 
 
Anche la IV sezione del Consiglio di Stato (decisione numero 478 del 15.02.2005) conferma un orientamento, recentemente sviluppato (decisione numero 32 del Consiglio di Stato, Sezione V, pubblicata in data 10 gennaio 2005), secondo il quale, alla pubblica amministrazione intesa come apparato, è applicabile la norma di cui all’articolo 2236 in tema di responsabilità dei professionisti intellettuali .
 
Il Consiglio di Stato, IV sezione, con la decisione numero 478 del 15 febbraio 2005 ci conferma l’attuale orientamento del supremo giudice amministrativo in tema di criteri per l’imputabilità delle stazioni appaltanti a fronte di richieste di risarcimento del danno; vengono quindi sanciti i parametri per la valutazione dell’errore scusabile e la possibilità di limitare la responsabilità all’elemento psicologico della colpa grave e del dolo (criteri che sono già così stabiliti per i dipendenti (e amministratori) pubblici a norma del testo unico dei dipendenti civili, d.p.r n. 3 del 1957).
 
Già con la decisione numero 32 del 10 gennaio 2005 era stato ribadito il principio di applicabilità dell’articolo 2236 anche alla pa (*** cfr precedente commento) .
 
Nella fattispecie qui analizzata, si tratta di un appalto di lavori da aggiudicarsi secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
 
 
Nell’emarginata sentenza vengono tuttavia sottolineati ulteriori aspetti che meritano di essere così riassunti in quanto corrispondono a criteri di imputabilità della pa, non essendo applicabili i canoni per l’identificazione dell’errore scusabile:
 
Ö        comportamento diametralmente opposto da parte dell’amministrazione aggiudicatrice  rispetto ad altra analoga procedura di gara, da essa espletata appena alcuni mesi prima
 
 
<E’ appena il caso di sottolineare che se, nel presente caso dell’appalto di Bressanone, l’amministrazione si fosse comportata come aveva fatto nella precedente ipotesi dell’appalto di Bolzano (e, cioè, se avesse applicato i criteri di valutazione da essa stessa dettati anziché disattenderli completamente) la procedura concorsuale avrebbe avuto un esito diverso, dal momento che il Consorzio ***sarebbe stato l’aggiudicatario della gara, essendosi avvalso della facoltà di realizzare il lavoro con i “prodotti esemplari” del capitolato speciale e, cioè, di realizzare lo stesso progetto esecutivo dell’amministrazione>
 
Ö        predisposizione di regole illogiche nel bando di gara, si rivela lesiva di una delle norme di condotta che deve osservare l’amministrazione nella gestione di una procedura competitiva: predisporre regole logiche e congrue rispetto al fine pubblico della gara
 
A fronte della violazione di tale dovere, sottolineano i giudici di Palazzo Spada,  non risulta, di contro, apprezzabile alcun elemento, peraltro neanche allegato dall’amministrazione (oneratavi), riconducibile ad una delle situazioni, sopra descritte, che autorizzano la configurabilità dell’errore scusabile
 
Riassumendo:
 
Ö        nella precendente decisione (n. 32/2005) i giudici condannano l’amministrazione a seguito di mancata aggiudicazione dell’appalto per violazione alla par condicio :
 
<Così definiti i caratteri costitutivi della colpa della pubblica amministrazione, risulta agevole rilevare, in ordine alla fattispecie in esame, che sussiste la responsabilità dell’Azienda Ospedaliera appellante, in quanto l’evento dannoso in capo alla **** s.p.a., e cioè la mancata aggiudicazione dell’appalto, può dirsi imputabile al comportamento “negligente”, e, pertanto, “colposo” della stessa Amministrazione appaltante, poiché quest’ultima ha agito in violazione delle regole di imparzialità e correttezza che essa stessa si era data in sede di gara nella lex specialis a pena di esclusione.
A fronte della violazione del dovere di garantire la par condicio, non risulta, di contro, apprezzabile alcun elemento, allegato dall’amministrazione, riconducibile ad una delle situazioni sopra descritte che autorizzano la configurabilità dell’errore scusabile>
 
Ö        nella fattispecie odierna invece (n. 478/2005) i giudici sanciscono la responsabilità della pa in quanto il bando non brillava per la sua chiarezza espositiva:
 
<Così definiti i caratteri costitutivi della colpa della pubblica amministrazione, risulta agevole rilevare, in ordine alla fattispecie in esame, che la predisposizione di regole illogiche nel bando di gara, si rivela lesiva di una delle norme di condotta che deve osservare l’amministrazione nella gestione di una procedura competitiva: predisporre regole logiche e congrue rispetto al fine pubblico della gara.
 
A fronte della violazione di tale dovere, non risulta, di contro, apprezzabile alcun elemento, peraltro neanche allegato dall’amministrazione (oneratavi), riconducibile ad una delle situazioni, sopra descritte, che autorizzano la configurabilità dell’errore scusabile.>
 
Ma c’è di più.
 
Il supremo giudice amministrativo nel sottolineare i parametri di liquidazione del danno, ci insegna che:
 
<la tutela risarcitoria serve ad assicurare al danneggiato la restitutio in integrum del suo patrimonio e, quindi, a garantire l’eliminazione delle conseguenze pregiudizievoli dell’attività illecita ascritta al soggetto responsabile.
 
La riparazione delle conseguenze dannose viene garantita dall’ordinamento mediante due modelli di tutela, tra loro alternativi:
 
Ö        quello del risarcimento per equivalente, che riconosce al danneggiato il diritto ad una somma di denaro equivalente al valore della lesione patrimoniale patita;
Ö         quello della reintegrazione in forma specifica, che attribuisce al soggetto passivo la medesima utilità, giuridica od economica, sacrificata o danneggiata dalla condotta illecita>
 
Qualora non sia possibile ricorrere al risarcimento in forma specifica in quanto il contratto si è già concluso o comunque ne risulterebbe anti economico il cambiamento di contraenza, risulta indispensabile il ricorso alla forma per equivalenza che:
 
<si risolve, a ben vedere, in una forma di tutela per così dire surrogatoria, nel senso che garantisce, non l’utilità perduta o compromessa, ma, in sua sostituzione, una somma di denaro corrispondente al valore del bene della vita pregiudicato>
 
Ora, la prima distinzione attuata dal Consiglio di Stato, consiste nel suddividere il risarcimento del danno a seconda che derivi da attività materiale della pa o da attività provvedimentale:
 
<Se tale opera di quantificazione (liquidazione del danno per equivalente)  risulta agevole nei casi, configurabili per lo più nelle attività illecite materiali, in cui il valore del bene leso è facilmente individuabile (si pensi ai danni subiti da un autoveicolo in un incidente stradale), non altrettanto può dirsi per le ipotesi, quali quelle interessate dall’attività provvedimentale lesiva, in cui la situazione soggettiva pregiudicata è connessa ad aspettative o interessi difficilmente apprezzabili nella loro consistenza economica.>
 
quali sono dunque gli oneri a carico del danneggiato?
 
<La comune ascrizione dell’illecito commesso dall’amministrazione nell’esercizio dell’attività provvedimentale allo schema della responsabilità extracontrattuale implica, innanzitutto, che incombe al ricorrente (presunto danneggiato) l’onere di dimostrare l’esistenza:
 
di un pregiudizio patrimoniale,
la sua riconducibilità eziologia all’adozione del provvedimento illegittimo
e la sua misura,
 
come riconosciuto dall’indirizzo prevalente formatosi in seno alla giurisprudenza amministrativa   (cfr. ex multis Cons. St., sez. V, 25 gennaio 2002, n.416, in cui si ribadisce che incombe al danneggiato la prova di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito).
 
Ne consegue che il ricorrente non potrà limitarsi ad addurre l’illegittimità dell’atto, valendosi, ai fini della sua quantificazione, del principio dispositivo con metodo acquisitivo e, quindi, della sufficienza dell’allegazione di un principio di prova, ma
dovrà compiere l’ulteriore sforzo probatorio di documentare il pregiudizio patrimoniale del quale chiede il ristoro nel suo esatto ammontare >
 
anche se – ammettono i giudici – a fronte  del diniego di un’autorizzazione, della mancata aggiudicazione di un appalto o dell’omessa partecipazione al procedimento, risulta estremamente arduo definire l’esatto ammontare della perdita economica patita dall’interessato.
 
 
E allora?
 
Occorre prima di tutto fare una distinzione:
 
<Appare utile, a tal riguardo, rammentare che il pregiudizio risarcibile si compone, secondo la definizione offerta dall’art.1223 c.c.,
 
Ö        del danno emergente ovvero la diminuzione reale del patrimonio del privato dovuti ad esborsi connessi alla (inutile) partecipazione al procedimento
 
la sfera giuridica del danneggiato ha subito una diminuzione per effetto dell’atto illegittimo
 
Ö        del lucro cessante: cioè della perdita di un’occasione di guadagno o, comunque, di un’utilità economica connessa all’adozione o all’esecuzione del provvedimento illegittimo.
 
la sfera giuridica del danneggiato non si è accresciuta nella misura che avrebbe raggiunto se il provvedimento viziato non fosse stato adottato o eseguito.
 
 
Se per la prima voce di danno (quello emergente) non si pongono particolari problemi nell’assolvimento dell’onere della prova (è sufficiente documentare le spese sostenute), per la seconda (lucro cessante) si configurano, viceversa, rilevanti difficoltà.
 
Se applichiamo l’articolo 2043 del codice civile entrambe le voci debbono essere considerate.
 
Da qui l’esigenza di < provvedere alla determinazione di criteri valutativi astratti e presuntivi della misura del pregiudizio risarcibile>
 
Il primo punto fermo è il seguente:
 
< Può, in definitiva, registrarsi il consolidamento di un indirizzo giurisprudenziale, ormai univoco e dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, che, sulla base delle predette indicazioni normative, riconosce nella misura del 10% dell’importo a base d’asta, per come eventualmente ribassato dall’offerta dell’impresa interessata, l’entità del guadagno presuntivamente ritratto dall’esecuzione dell’appalto.>
 
Attenzione pero’ perché al giudice di Palazzo Spada non sfugge che esistono diverse difficoltà a seconda che l’appalto venga giudicato con il criterio del massimo ribasso o dell’offerta economicamente più vantaggiosa:
< La dimostrazione della spettanza dell’appalto all’impresa danneggiata risulta ovviamente configurabile nei soli casi in cui il criterio di aggiudicazione si fonda su parametri vincolati e matematici (come, ad esempio, nel caso del massimo ribasso in un pubblico incanto in cui l’impresa vincitrice avrebbe dovuto essere esclusa), mentre si rivela impossibile là dove la selezione del contraente viene operata sulla base di un apprezzamento tecnico-discrezionale dell’offerta (come nel caso dell’offerta economicamente più vantaggiosa).>
 
criterio del massimo ribasso = certezza dell’aggiudicazione:
 
spetta all’impresa danneggiata un risarcimento pari al 10% del valore dell’appalto (come eventualmente ribassato dalla sua offerta), ferma restando la possibilità di conseguire una somma superiore, in presenza della dimostrazione che il margine di utile sarebbe stato maggiore di quello presunto
 
criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa = perdita di chance difficile da provare:
 
Viceversa, quando il ricorrente allega solo la perdita di una chance a sostegno della pretesa risarcitoria (e cioè quando non riesce a provare che l’aggiudicazione dell’appalto spettava proprio a lui, secondo le regole di gara), la somma commisurata all’utile d’impresa deve essere proporzionalmente ridotta in ragione delle concrete possibilità di vittoria risultanti dagli atti della procedura.
 
Al fine di operare tale decurtazione vanno valorizzati tutti gli indici significativi delle potenzialità di successo del ricorrente, quali, ad esempio, il numero di concorrenti, la configurazione della graduatoria eventualmente stilata ed il contenuto dell’offerta presentata dall’impresa danneggiata
 
 
A cura di *************
 
*** commento a Consiglio di Stato, sezione V, decisione numero 32 del 10 gennaio 2005( a cura di S. Lazzini)
 
Il consiglio di Stato (n. 32/2005) sancisce una svolta nel criterio della colpa (solo grave) della pa come apparato ( e quindi non solo del singolo dipendente a norma del dpr n. 3/1957 a seguito di attività materiale) nella responsabilità civile terzi per perdite patrimoniali (lesione di interessi legittimi a seguito di attività provvedimentale illegittima)
 
Responsabilità civile extracontrattuale della pa per attività provvedimentale: inevitabile giudizio di colpevolezza nella violazione di un canone di condotta agevolmente percepibile nella sua portata vincolante ovvero esclusione per colpa lieve!
 
Accertamento della colpa della pa  per attività provvedimentale illegittima: non è imputabile al singolo ma solo all’apparato, non è oggettiva e puo’ essere paragonata a quella dei liberi professionisti a cui va applicato l’art. 2236 cc, quindi imputabilità solo per colpa grave e dolo, nel caso in cui l’accertamento dei presupposti di fatto dell’azione amministrativa implichi valutazioni scientifiche complesse o verifiche difficoltose della realtà fattuale!
 
 
 
 
I ruolo del giudice amministrativo è quello di definire gli indici identificativi della colpa, indicati nell’ascrizione all’amministrazione, intesa come apparato, e non al funzionario agente, della “violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l’esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi e che…si pongono come limiti esterni alla discrezionalità”.
 
 
 
 
La decisione numero 32 del Consiglio di Stato, Sezione V, pubblicata in data 10 gennaio 2005 merita di essere segnalata per tutta una serie di importanti insegnamenti in tema di risarcimento del danno imputabile alla pa a seguito di attività provvedimentale e quindi suscettibile di lesione di interessi legittimi
 
a)       la colpa deve essere ascrivibile alla pa come apparato e non al singolo funzionario agente (come da Cass. Sez. Unite n. 500/99)
b)       si puo’ restare all’interno dei più sicuri (rispetto alla teoria della responsabilità contrattuale della pa) confini dello schema e della disciplina della responsabilità aquiliana
c)        le connesse esigenze di tutela, possono venir garantite dall’ utilizzo, per la verifica dell’elemento soggettivo, delle presunzioni semplici di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c
d)       il privato danneggiato, ancorchè onerato della dimostrazione della “colpa” dell’amministrazione (contrariamente se la responsabilità fosse di natura contrattuale), risulta agevolato dalla possibilità di offrire al giudice elementi indiziari quali:
1.      la gravità della violazione, qui valorizzata quale presunzione semplice di colpa e non come criterio di valutazione assoluto,
2.      il carattere vincolato dell’azione amministrativa giudicata,
3.      l’univocità della normativa di riferimento
4.      il proprio apporto partecipativo al procedimento
e)        all’amministrazione quindi, acquisiti gli indici rivelatori della colpa, spetta poi l’allegazione degli elementi, pure indiziari, ascrivibili allo schema dell’errore scusabile
f)        compito del giudice, così come, in sostanza, voluto dalla Cassazione con la sentenza n. 500/99, sarà quello di apprezzare e valutare liberamente tali indici circa la loro idoneità ad attestare o ad escludere la colpevolezza dell’amministrazione.
g)        perché la situazione allegata integri gli estremi dell’errore scusabile e consenta, perciò, di escludere la “colpa” dell’apparato amministrativo.
h)       gli estremi dell’errore scusabile li troviamo nella giurisprudenza europea (Corte Giustizia C.E., 5 marzo 1996, cause riunite nn.46 e 48 del 1993; 23 maggio 1996, causa C5 del 1994) che, pur assegnando valenza pressoché decisiva alla gravità della violazione, indica, quali parametri valutativi di quel carattere,
1.      il grado di chiarezza e precisione della norma violata;
2.      la presenza di una giurisprudenza consolidata sulla questione esaminata e definita dall’amministrazione,
3.      la novità di quest’ultima,(riconoscendo così portata esimente all’errore di diritto, in analogia all’elaborazione della giurisprudenza penale in tema di buona fede nelle contravvenzioni).
 
i)        Inoltre risulta accettabile:
1.       il criterio della comprensibilità della portata precettiva della disposizione inosservata e della univocità e chiarezza della sua interpretazione,
2.      potendosi ammettere l’esenzione da colpa solo in presenza di un quadro normativo confuso e privo di chiarezza;
 
giova pero’ riportare questo passo dell’emarginata decisione per la portata estremamente rivoluzionaria in ambito di rischio della pa per risarcimento del danno a seguito di perdita patrimoniale :
 
< Così come appaiono condivisibili i riferimenti, da più parti suggeriti, al criterio di imputazione soggettiva della responsabilità del professionista di cui all’art. 2236 c.c. che, riconnettendo il grado di colpevolezza richiesto per la costituzione dell’obbligazione risarcitoria alla difficoltà dei problemi tecnici affrontati nell’esecuzione dell’opera, introduce un parametro di ascrizione del danno che tiene conto del grado di complessità delle questioni implicate dall’esecuzione della prestazione e che attenua la responsabilità del prestatore d’opera quando il livello di difficoltà risulti rilevante.
 
La medesima ratio sottesa alla richiamata disposizione civilistica può, infatti, ravvisarsi nelle fattispecie nelle quali la situazione di fatto esaminata dal funzionario comporta la risoluzione di problemi tecnici particolarmente rilevanti ed in cui, in definitiva, l’accertamento dei presupposti di fatto dell’azione amministrativa implica valutazioni scientifiche complesse o verifiche difficoltose della realtà fattuale.>
 
 
Ovvero:
 
<A fronte, infatti, di una situazione connotata da apprezzabili profili di complessità, può, in particolare, ritenersi giustificata, in analogia con la disciplina della responsabilità del prestatore d’opera intellettuale, un’attenuazione di quella dell’amministrazione che la circoscriva alle sole ipotesi di colpa grave>
 
Va da sé che stante questa interpretazione giurisprudenziale data dal Supremo Collegio Amministrativo, diminuisce il rischio delle polizze di responsabilità civile terzi a garanzia delle perdite patrimoniale subite dai cittadini (o dalle imprese in caso di appalti pubblici) e quindi, forse, convincerà anche le primarie Compagnie di Assicurazione, ad accettarne la sottoscrizione, facendo, finalmente, finire la (in mancanza di altro) sottoscrizione da parte dei singoli, di polizze il cui rischio è limitato agli unici casi di lesione di diritto soggettivo (quindi, dopo la sottoscrizione di un eventuale contratto) portati davanti al giudice ordinario.
 
Ancora un’osservazione.
 
Qualora un tecnico faccia parte di un Ente pubblico economico oppure di un S.p.a.   a capitale pubblico, si sa che non ricevere dalle Leggi l’esenzione di responsabilità per l’elemento soggettivo della colpa lieve , ma, tenuto conto dell’emarginata sentenza, anche queste persone potranno invocare quanto disposto dall’art 2236 cc (come peraltro già applicato per i medici dipendenti di un ente ospedaliero )
 
 
 
R E P U B B L I C A     I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
      Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
D E C I S I O N E
sul ricorso in appello iscritto al N.R.G. 437/2003, proposto dal ***** (*****) rappresentato e difeso dall’avv. ***************, *************** e dall’avv. ************** ed elettivamente domiciliato in Roma presso lo studio di quest’ultimo, via Ugo Bassi, n. 3;
contro
la Provincia Autonoma di Bolzano rappresentata e difesa dall’avv. *************, dall’avv. ********************* e dall’avv. ************* ed elettivamente domiciliata in Roma presso lo studio del primo, via Eleonora Pimentel, n. 2;
e nei confronti di
Impresa *****, rappresentata e difesa dall’avv. ************, dall’avv. **************** e dall’avv. *************** ed elettivamente domiciliata in Roma presso lo studio del primo, viale Parioli,. n. 180;
per l’annullamento
della sentenza del T.R.G.A. – Sez. Autonoma Provincia di Bolzano – n. 525/2002;
     Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
     Visto l’atto di costituzione in giudizio delle parti;
     Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
     Vista la decisione n. 8144/03 del 10 dicembre 2003;
     Visto il dispositivo di sentenza n. 367/04;
     Visti gli atti tutti della causa;
     Data per letta alla pubblica udienza del 22 giugno 2004 la relazione del Consigliere ************;
     uditi l’avv.***********o, *************, ******** ed *********;
     Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
F A T T O
 
Con bando di gara 9 ottobre 2001 la Provincia autonoma di Bolzano indiceva una procedura aperta per l’affidamento dei lavori per la costruzione della facciata, carpenteria metallica e lavori da vetraio, per la nuova sede di Bressanone della Libera Università di Bolzano.
 
Quale criterio di aggiudicazione era previsto quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa da determinarsi in base al prezzo (51 %) e alla qualità (49 %) in dichiarata conformità agli artt. 36, comma 1, lettera b), e 39 L.P. 17 giugno 1998, n. 6.
 
Per quanto riguarda il prezzo, l’offerta economica consisteva nell’indicazione del prezzo unitario e del prezzo totale a fianco di ciascuna delle prestazioni riportate nell’apposito elenco predisposto dall’Amministrazione.
 
Per quanto riguarda la qualità, il capitolato condizioni prevedeva ( capo I, n. 5) la compilazione e sottoscrizione del documento “valutazione della qualità”; prevedeva inoltre (capo I, n.6) la produzione della documentazione tecnica dei prodotti e, inoltre, la presentazione di un modello della facciata dell’anello in scala 1:1 corrispondente nelle misure e nel materiale, realizzato sulla base delle specifiche dell’elenco delle prestazioni e dei disegni costruttivi allegati al capitolato.
 
In particolare, il documento “valutazione della qualità” era costituito:
 
a) dall’elenco delle prestazioni, in cui in diverse voci specifiche sono, in aggiunta, riportati degli esempi di prodotti, per mettere in grado l’offerente di conoscere in dettaglio la qualità di materiale richiesta, nonché la forma e l’estetica del prodotto da offrire. Viene stabilito che i prodotti offerti saranno confrontati, all’atto della valutazione comparativa delle offerte, con i prodotti esemplari e giudicati in base a un criterio di “equivalenza” (1.2.1);
 
b) dall’elenco degli elementi costruttivi e dei prodotti contenente una lista di tutti gli elementi costruttivi e dei prodotti di fornitura da prendere in considerazione per la valutazione della qualità con indicazione dei punteggi massimi assegnabili in caso di equivalenza ottimale (1.2.2);
 
c) dalla documentazione tecnica dei prodotti esemplari contenenti i disegni di dettaglio, specifiche ed eventuali estratti di prospetti e costituenti la base per i prodotti offerti, nonché per il giudizio di equivalenza (1.2.3).
 
Viene stabilito (punto 1.2.4) che l’offerente deve riportare nell’elenco degli elementi costruttivi tutti i prodotti da essa proposti e che, qualora singoli prodotti non fossero ivi riportati, nella valutazione comparativa si considererà offerto il prodotto esemplare al prezzo di offerta.
 
Inoltre (punto 1.2.5) che i prodotti offerti devono essere documentati, analogamente a quanto previsto per la “documentazione tecnica dei prodotti esemplari”, con una apposita “documentazione tecnica dei prodotti dell’impresa”, contenente specifiche, disegni costruttivi, dati relativi a superficie, colore ed eventuali foto, confrontabili con la documentazione di base.
 
Si stabilisce infine (1.3) che -ai fini del giudizio di equivalenza- i dati contenuti in questa documentazione saranno confrontati con il documento base, ossia, con la “documentazione tecnica dei prodotti esemplari” e che, se un offerente non raggiunge nel giudizio di qualità, sia a livello di singole posizioni che nel totale, almeno il 50 % del punteggio per la qualità possibile, viene automaticamente escluso.
 
Quanto ai punteggi, i criteri di valutazione prevedevano fino a punti 1280 ai fini della valutazione di equivalenza del campione di facciata, e fino a 3320 punti per la valutazione tecnica vera e propria, in totale 4600 punti.
 
Ad una prima riunione in data 11 dicembre 2001 l’autorità di gara ammetteva 4 ditte, tra cui la ricorrente ed odierna appellante ***** (*****) e la controinteressata Impresa *****.
 
Alla seconda riunione, avvenuta in data 18 dicembre 2001, l’autorità di gara, preso atto dei risultati cui era pervenuta la commissione tecnica incaricata della valutazione della qualità delle offerte, escludeva le ditte Metalsigma e il Consorzio ricorrente ed odierno appellante, in quanto non avevano conseguito almeno il 50 % del punteggio possibile per la qualità.
 
L’appalto veniva quindi aggiudicato all’odierna controinteressata Impresa Frener & ******.
 
Di qui il ricorso del ***** al Tribunale di Giustizia Amministrativa di Bolzano, con il quale risultano impugnati la detta aggiudicazione, nonché tutti gli atti del procedimento, compreso il bando di gara del 9 ottobre 2001.
 
A sostegno del ricorso originario venivano dedotti i seguenti motivi:
 
1) Violazione del punto 1.2.4 dei criteri di valutazione del bando di gara. Eccesso di potere per illogicità manifesta.
 
2) Altro eccesso di potere per illogicità e ingiustizia manifesta e travisamento di fatto.
 
3) Eccesso di potere per difetto di motivazione. Violazione del bando di gara.
 
4) Illegittimità del bando di gara per illogicità manifesta.
 
Proponeva ricorso incidentale l’Impresa ***** eccependo, in via pregiudiziale, l’inammissibilità del impugnazione del bando per tardività, per acquiescenza e per mancanza di interesse, e deducendo il seguente motivo:
 
“Violazione dell’Art. 31.5 a del Capitolato speciale di appalto e dell’art. 1.3 del documento “valutazione della qualità.”
 
Con sentenza n. 525/02 il Tribunale di Bolzano respingeva il ricorso principale prescindendo dall’esame delle eccezioni di inammissibilità.
 
Avverso tale decisione il *****, con atto notificato in data 8-13 gennaio 2003 e depositato il 17 successivo, ha proposto appello a questo Consiglio di Stato, chiedendone l’annullamento previa sospensione. L’appello ripropone sostanzialmente i motivi originari e censura la decisione gravata sotto vari profili. L’appellante insiste, in particolare, sulla tesi che, essendosi avvalsa della facoltà di offrire i prodotti esemplari, avrebbe dovuto essere valutata con il punteggio massimo e non in base alla valutazione del campione di facciata, nonché sulla circostanza che i prodotti indicati quali esempi per le prestazioni più importanti per la presentazione del modello di facciata, quale richiesta dal bando che ne occupa, non sarebbero stati reperibili.
 
Avverso la medesima sentenza n. 525/02, l’impresa *****, con atto notificato in data 7-10 febbraio 2003, ha proposto appello incidentale, concludendo in via principale per il rigetto dell’appello, ed in via subordinata per l’accoglimento dell’appello incidentale.
 
Si è costituita in giudizio la Provincia Autonoma di Bolzano, che conclude per il rigetto dell’appello.
 
Con decisione n. 8144/03 del 10 dicembre 2003, questa Sezione riteneva opportuno acquisire agli atti del giudizio una relazione documentata sulle modalità di presentazione del modello di facciata richiesta dal bando in questione, dalla quale risultassero in particolare:
 
le prestazioni per le quali erano riportatati esempi di prodotti con indicazione dei tipi di prodotto indicati per ogni voce di prestazione nonché delle ditte fornitrici eventualmente consigliate;
le prestazioni per le quali non erano riportati esempi di prodotti;
le prestazioni per le quali gli esempi di prodotti indicati non erano reperibili sul mercato;
le prestazioni per le quali, in casi di irreperibilità degli esempi riportati, non erano reperibili prodotti equivalenti;
la possibile incidenza della eventuale irreperibilità dei detti prodotti sulla qualità e sulle modalità di esecuzione del modello di facciata;
tanto premesso, il Collegio, interlocutoriamente pronunciando, e riservata ogni ulteriore pronuncia di rito, nel merito e sulle spese, invitava l’Amministrazione a depositare nella Segreteria della Sezione la documentazione di cui in motivazione entro 40 giorni dalla comunicazione della decisione a cura della Segreteria medesima ovvero, ove anteriore, dalla sua notificazione a cura di parte e fissava per il prosieguo l’udienza pubblica del 10 febbraio 2004.
 
Alla decisione interlocutoria la Provincia di Bolzano ha dato esecuzione con relazione depositata il 21 gennaio 2004.
 
Alla pubblica udienza del 22 giugno 2004 la causa è stata spedita in decisione. Prima di tale data le parti hanno depositato memorie, con cui hanno ulteriormente illustrato le proprie tesi difensive e replicato a quelle avversarie, insistendo per l’accoglimento delle conclusioni già rassegnate.
 
D I R I T T O
 
1 – È controversa la legittimità degli atti, ivi compreso il bando di gara, con cui si è prevenuti all’aggiudicazione all’impresa controinteressata, *****, dell’appalto per la realizzazione della facciata della nuova sede di Bressanone della Libera Università di Bolzano.
 
Il T.R.G.A. di Bolzano, come si è visto nella parte narrativa del fatto, ha ritenuto il ricorso proposto dal Consorzio *****, odierno appellante, infondato nel merito e, quindi, lo ha rigettato, prescindendo dall’esame delle eccezioni di inammissibilità sollevate dalla controinteressata aggiudicataria.
 
Con decisione interlocutoria 10 dicembre 2003 n. 437 questo Consiglio ha chiesto notizie circa le prestazioni per le quali, nel bando di gara, sono riportate le ditte fornitrici, circa la reperibilità o meno dei prodotti sul mercato, nonché, nell’ipotesi di irreperibilità, circa la possibile incidenza sulla qualità e sulle modalità di esecuzione del modello di facciata.
 
Alla decisione interlocutoria la Provincia di Bolzano ha dato esecuzione con la relazione depositata il 21 gennaio 2004.
 
Nella relazione, la Provincia di Bolzano dichiara che il modello di facciata prescritto “è un elemento della facciata anello lato interno”.
 
Si precisa pure che, per la struttura in alluminio della facciata anello lato interno, non è stato proposto alcun prodotto specifico e ciò in quanto, trattandosi di un’invenzione dell’architetto per questo particolare progetto, i relativi prodotti non erano reperibili sul mercato “come prodotto realizzato e offerto in serie”, ma dovevano essere costruiti appositamente per la presentazione del modello.
 
Più in generale, la Provincia dichiara che il capitolato speciale si compone di 114 posizioni e che soltanto per 36 posizioni erano riportati esempi di prodotti con l’indicazione della ditta fornitrice.
 
Rileva al riguardo il Collegio che il modello di facciata, che l’impresa doveva realizzare, non è relativo all’anello interno – come dichiarato dalla Provincia – bensì quello relativo all’anello esterno.
 
Questo risulta in modo esplicito dal punto 1.2.5 dei criteri di valutazione, nel quale si dispone che il modello di facciata da realizzare è quello del lato locali (e cioè della parte esterna) con rinvio all’elenco delle prestazioni e ai disegni costruttivi relativi a questo lato.
 
Si tratta, peraltro, di un fatto pacifico.
 
Di ciò si dà esplicitamente e ripetutamente atto nei verbali della commissione giudicatrice.
 
Tale circostanza è, invero, fondamentale.
 
Il lato interno della facciata non presenta soverchie peculiarità per quel che concerne i prodotti richiesti per la sua realizzazione.
 
Si tratta infatti di prodotti di serie.
 
Per il lato esterno, invece, il discorso è completamente diverso.
 
I prodotti per i quali l’amministrazione indica la casa produttrice sono quelli necessari per la realizzazione del lato esterno e non per il lato interno.
 
La circostanza sulla quale la Provincia di Bolzano poggia tutta la sua relazione (e cioè che il campione di facciata riguarderebbe l’anello interno e non quello esterno) parte, dunque, da una premessa sbagliata e, cioè, che il campione di facciata da realizzare riguarderebbe il lato interno anziché quello esterno.
 
C’è, però, di più.
 
E’ vero quel che dice la relazione della Provincia di Bolzano e, cioè, che su 114 posizioni riportate nel capitolato speciale soltanto per 36 erano menzionati esempi di prodotti con l’indicazione della ditta.
 
Occorre, però, non dimenticare due circostanze fondamentali.
 
La prima è che le 36 posizioni per le quali sono riportati esempi di prodotti corrispondono all’80% del valore dell’intero lavoro.
 
La seconda (che appare all’evidenza decisiva) è che le 36 posizioni delle quali il capitolato riporta esempi di prodotti corrispondono al 90% del campione di facciata esterno.
 
In particolare, il campione del lato esterno della facciata del quale occorreva predisporre il modello è formato da tre componenti essenziali e, cioè, il vetro, l’impianto di motorizzazione e la struttura in alluminio.
 
Tutte e tre le componenti non erano reperibili sul mercato, per cui, per la predisposizione del campione di facciata esterna, occorreva costruirle “ex novo”.
 
Per quel che concerne il sistema di motorizzazione, la relazione della Provincia riconosce esplicitamente che il relativo meccanismo è irreperibile sul mercato.
 
Il Consorzio appellante, per poter fornire un modello funzionante ha utilizzato la stessa apparecchiatura indicata dalla stazione appaltante adattandovi un braccio in acciaio di carbonio in luogo di quello in acciaio inox irreperibile.
 
Ogni altra soluzione avrebbe comportato l’impossibilità di predisporre un campione funzionante.
 
Lo stesso può pure dirsi per la struttura in vetro.
 
Qui la casa produttrice indicata dall’amministrazione è la ditta Bischoff & Glastechnich.
 
Questa ditta tuttavia (come risulta dalla documentazione prodotta dall’appellante: cfr. doc. n. 7) ha dichiarato di non essere in grado di fornire la componente in vetro necessaria per la realizzazione del modello e ciò in quanto tale componente, a causa della sua rarità, non esisteva in magazzino e non poteva essere realizzata in un pezzo unico, ma in grandi quantità.
 
La componente poteva essere realizzata soltanto nell’ambito di una commessa che non si limitasse alla fornitura di un unico pezzo al momento non esistente e la cui produzione, peraltro, richiedeva tempi incompatibili con lo svolgimento della gara.
 
Lo stesso discorso vale per i profilati in alluminio per i quali la casa produttrice indicata dall’amministrazione è la ditta Hueck e cioè la stessa ditta che ha collaborato alla realizzazione del progetto.
 
Anche in questo caso, una lettera della ditta Hueck dichiara di non essere in grado di fornire il profilato richiesto.
 
Il prodotto, essendo stato disegnato per questo particolare progetto, non esisteva sul mercato, ma poteva essere realizzato in tempi incompatibili con la procedura di gara e sempre nell’ambito di una commessa che non si limitasse ad un unico pezzo.
 
Da notare che nessuna delle ditte produttrici indicate nel capitolato speciale dichiara che il prodotto è irrealizzabile.
 
Si dichiara solo che il prodotto non esiste sul mercato e che la ditta è disponibile a produrlo non in un pezzo unico, ma in grande quantità e, cioè, a fornirlo all’impresa che si sia aggiudicata l’appalto.
 
2 – Volendo riassumere le risultanze della relazione, emerge, dunque, quanto segue.
 
Non è affatto vero l’assunto sul quale si fonda l’intera relazione della Provincia di Bolzano e cioè che il campione da predisporre riguardasse l’anello della facciata interna.
 
Il campione da eseguire riguardava l’anello della facciata esterna.
 
La differenza è decisiva.
 
Per la facciata interna è prevista l’utilizzazione di prodotti di serie.
 
Per la facciata esterna è prevista l’utilizzazione di prodotti non di serie e non esistenti sul mercato (neppure presso le ditte espressamente indicate), ma che occorreva realizzare, essendo stati disegnati dal progettista per quella particolare struttura.
 
E’ evidente l’errore nel quale incorre la relazione della Provincia di Bolzano.
 
Ciò tra l’altro risulta dal verbale della commissione nel quale (v. doc. n. 7) si parla sempre di facciata anello esterno.
 
E’ vero, poi, quel che dice la relazione e, cioè, che soltanto per 36 posizioni su 114 il capitolato indica i prodotti da utilizzare.
 
Ci si dimentica, però, di aggiungere che i 36 prodotti coprono l’80% del valore dell’intero lavoro e il 90% del valore del modello della facciata esterna.
 
Non appare, poi, nemmeno vero che i prodotti non forniti dalle ditte indicate potevano essere sostituiti con prodotti equivalenti.
 
Una volta chiarito che tali prodotti non esistono sul mercato, perché o sono rari o sono stati disegnati per questo particolare progetto, è chiaro che tutte le ditte specializzate si trovavano nella stessa situazione di quelle indicate nel capitolato, dal momento che dovevano realizzare il progetto in tempi incompatibili con la gara d’appalto.
 
La procedura in questione, dunque, come fondatamente rilevato dal Consorzio appellante, sia nel primo che nel presente grado di giudizio, appare inficiata in radice.
 
3 – A quanto finora detto si aggiunga che, come pure rilevato dall’appellante, nella presente procedura la Provincia Autonoma di Bolzano appare essersi comportata in modo diametralmente opposto rispetto ad altra analoga procedura di gara, da essa espletata appena alcuni mesi prima (v. doc. n. 11 di parte appellante).
 
Si tratta di una gara espletata dalla Provincia Autonoma per lavori assai simili relativi all’Università di Bolzano.
 
I criteri di valutazione sono esattamente gli stessi.
 
Anche in questo caso, il punto 1.2.4. del documento “valutazione di qualità” prevede che, ove nell’apposito elenco non siano indicati prodotti alternativi, si considerano offerti i prodotti modello (cfr. doc. n. 11/b).
 
Anche in questo caso, la ditta partecipante si è avvalsa di tale possibilità, dal momento che ha apposto, a fianco di ciascuna voce dell’apposita lista, la dicitura “come prodotto modello” (l’odierna appellante ha, appunto, apposto, a fianco di ciascuna voce dell’elenco, l’analoga dicitura “conforme al capitolato”).
 
Anche in questo caso, la ditta partecipante non ha presentato disegni costruttivi, limitandosi a sottoscrivere la documentazione tecnica dei prodotti modello facenti parte degli atti di gara (cfr. doc. n. 11/c).
 
Senonché, in questa procedura (a differenza di quella in esame), la commissione di gara ha attribuito all’offerta tecnica della ditta partecipante il massimo punteggio previsto per ciascuna voce e ciò per l’ovvia circostanza che, come dedotto dalla ricorrente in primo grado ed odierna appellante, nell’ambito di un giudizio di equivalenza fra il prodotto offerto e il prodotto esemplare, non esiste prodotto che sia più equivalente dello stesso prodotto esemplare.
 
Il precedente della gara dell’Università di Bolzano appare, invero, costituire un elemento decisivo, sul piano probatorio, ai fini del presente giudizio.
 
In entrambi i casi, ci troviamo di fronte ad un bando di gara il quale attribuisce alla ditta partecipante la facoltà di offrire o il prodotto esemplare del progetto dell’amministrazione ovvero un prodotto alternativo.
 
In entrambi i casi, la ditta partecipante si avvale della facoltà di offrire il prodotto esemplare.
 
In entrambi i casi le modalità dell’offerta sono le stesse, dal momento che la volontà di offrire il prodotto esemplare è espressa mediante un richiamo a fianco della corrispondente voce dell’apposita lista.
 
In entrambi i casi, la ditta non presenta i disegni costruttivi del prodotto esemplare offerto in quanto sono gli stessi disegni costruttivi facenti parte dei documenti di gara.
 
In entrambi i casi, le ditte sottoscrivono per accettazione i disegni costruttivi dei prodotti esemplari facenti parte dei documenti di gara.
 
A fronte di due procedure assolutamente identiche, la Provincia Autonoma di Bolzano opera, dunque, in modo diametralmente opposto.
 
Nella gara di Bolzano si applica correttamente il punto 1.2.4 dei criteri di valutazione (e cioè si considera offerto il prodotto esemplare).
 
Nella gara di Bressanone, il punto 1.2.4 dei criteri di valutazione viene violato, in quanto si considerano offerti non già i prodotti esemplari, bensì prodotti completamente diversi, che l’impresa è stata costretta ad utilizzare, per il campione di facciata, per le ragioni ripetutamente chiarite e cioè a causa della dimostrata impossibilità di reperire sul mercato i prodotti esemplari.
 
La documentata impossibilità di realizzare il campione con i prodotti esemplari ha, dunque, determinato l’illegittimità non solo della valutazione relativa a tale campione (per la quale erano previsti 1280 punti), ma pure della diversa valutazione relativa all’intera offerta tecnica (per la quale erano previsti 3320 punti da assegnarsi all’esito di un giudizio di equivalenza del prodotto offerto rispetto al prodotto esemplare).
 
E’ appena il caso di sottolineare che se, nel presente caso dell’appalto di Bressanone, l’amministrazione si fosse comportata come aveva fatto nella precedente ipotesi dell’appalto di Bolzano (e, cioè, se avesse applicato i criteri di valutazione da essa stessa dettati anziché disattenderli completamente) la procedura concorsuale avrebbe avuto un esito diverso, dal momento che il ***** (*****) sarebbe stato l’aggiudicatario della gara, essendosi avvalso della facoltà di realizzare il lavoro con i “prodotti esemplari” del capitolato speciale e, cioè, di realizzare lo stesso progetto esecutivo dell’amministrazione.
 
4 – Tanto premesso sull’appello principale, l’Impresa *****, ripropone, nell’ambito del presente giudizio di appello, le stesse eccezioni già sollevate nel giudizio di primo grado tramite ricorso in via incidentale.
 
Ad avviso dell’Impresa controinteressata, l’offerta ***** avrebbe dovuto essere esclusa per non avere conseguito almeno il 50% del punteggio massimo previsto per la valutazione di qualità.
 
La prescrizione è contenuta nel punto 1.3 del documento “valutazione della qualità”.
 
Alla tesi del ricorso incidentale può rispondersi che l’applicazione della prescrizione relativa all’esclusione delle offerte che non hanno conseguito il 50% del punteggio di qualità, presuppone che si sia fatta preventivamente corretta applicazione dei criteri di valutazione riportati nel medesimo documento di valutazione.
 
Fra i criteri che occorreva correttamente applicare vi è, appunto, quello (punto 1.2.3) secondo cui, ove l’impresa non indichi, nell’offerta tecnica, un prodotto diverso da quello “esemplare” del progetto esecutivo dell’amministrazione, “si considererà offerto il prodotto esemplare”.
 
Fra i medesimi criteri che occorreva preventivamente applicare c’è pure quello (punto 1.2.6) secondo cui il modello di facciata dell’anello-lato locali doveva poter essere realizzato con i “prodotti esemplari” del progetto esecutivo dell’amministrazione.
 
Nel nostro caso, come si è visto, molti dei prodotti esemplari del progetto esecutivo dell’amministrazione non esistevano, sicchè era impossibile avvalersi della facoltà di realizzare il “modello-campione” con tali prodotti esemplari.
 
Quanto all’offerta tecnica, come pure si è detto, la Commissione giudicatrice, comportandosi in modo diametralmente opposto rispetto a quanto la stessa Provincia Autonoma di Bolzano aveva fatto in una precedente identica procedura, ha completamente disatteso la normativa di gara, che imponeva di considerare offerto il prodotto esemplare nell’ipotesi che non ci si fosse avvalsi della possibilità di presentare un prodotto alternativo.
 
In questa situazione, in presenza di una violazione dei criteri dettati dal documento “valutazione della qualità” ai fini dell’assegnazione del relativo punteggio, è evidente che non può invocarsi la regola che impone l’esclusione automatica nell’ipotesi del mancato conseguimento di un punteggio di sufficienza pari ad almeno il 50% del totale.
 
Le censure dell’appello principale (relative alle modalità di applicazione dei criteri di valutazione dell’offerta tecnica) sono logicamente antecedenti rispetto alla censura (di cui all’appello incidentale) relativa all’obbligo di escludere le offerte che non abbiano raggiunto un sufficiente punteggio di qualità.
 
La fondatezza delle censure dell’appello principale, facendo venir meno l’intera procedura a partire dalla fase della valutazione di qualità delle offerte, rende improcedibile per difetto di interesse la censura di cui al ricorso incidentale, riproposta in appello.
 
5 – L’appellata ***** ripropone, poi, con memoria nel presente grado di appello anche l’eccezione, non esaminata in primo grado in quanto assorbita, di inammissibilità del ricorso introduttivo per tardiva impugnazione del bando di gara, contenente clausole immediatamente lesive, quale quella relativa alla “predisposizione del campione di facciata con prodotti esemplari non reperibili sul mercato”.
 
L’eccezione è infondata.
 
Per esaminare funditus tale eccezione, a ben vedere, non si può che prendere le mosse dalla recente decisione dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio n. 1 del 23 gennaio 2003, ove si affrontano compiutamente le questioni concernenti la portata dell’onere di immediata impugnazione delle clausole dei bandi di gara diverse da quelle riguardanti i requisiti di partecipazione alla procedura selettiva (nonché quella riguardante la rilevanza dell’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica oggetto dell’appalto ai fini della procedibilità del ricorso proposto avverso l’esclusione od il diniego di aggiudicazione: nella specie, invero, i lavori sono stati consegnati, e l’opera è quasi terminata).
 
Condividendo l’avviso espresso dalla sezione remittente, l’Adunanza Plenaria ha ritenuto che l’onere di immediata impugnazione del bando di gara debba, normalmente, essere riferito alle clausole riguardanti requisiti soggettivi di partecipazione. Tuttavia, precisa l’Adunanza, non può essere escluso un dovere di immediata impugnazione delle clausole del bando in quei limitati casi in cui gli oneri imposti all’interessato ai fini della partecipazione risultino manifestamente incomprensibili o implicanti oneri del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della gara o della procedura concorsuale.
 
Tutto ciò discende pianamente dai principi generali che richiedono che sia l’interesse sostanziale (a tutela del quale si agisce) sia l’interesse ad agire siano caratterizzati dai requisiti della personalità e della attualità. Tali interessi devono, cioè, essere propri del soggetto ricorrente e devono avere riferimento ad una fattispecie già perfezionatasi; diversamente, infatti, si sarebbe di fronte ad interessi meramente potenziali.
 
A fronte, infatti, della clausola illegittima del bando di gara o del concorso il partecipante alla procedura concorsuale non è ancora titolare di un interesse attuale all’impugnazione, dal momento che egli non sa ancora se l’astratta e potenziale illegittimità della predetta clausola si risolverà in un esito negativo della sua partecipazione alla procedura concorsuale, e quindi in una effettiva lesione della situazione soggettiva, che solo da tale esito può derivare, D’altra parte, prosegue l’Adunanza, ove l’esito negativo della procedura concorsuale dovesse effettivamente verificarsi, l’atto che chiude tale procedura facendo applicazione della clausola o della disposizione del bando di gara o di concorso, non opererà nel senso di rinnovare (con l’atto applicativo) una lesione già effettivamente prodottasi, ma renderà concreta ed attuale (ed in questo senso, la provocherà per la prima volta) una lesione che solo astrattamente e potenzialmente si era manifestata, ma che non aveva ancora attitudine (per mancanza del provvedimento conclusivo del procedimento) a trasformarsi in una lesione concreta ed effettiva.
 
Appare decisivo, ai fini dell’affermazione dell’onere di immediata impugnazione delle clausole che prescrivano requisiti di partecipazione, non soltanto il fatto che esse manifestino immediatamente la loro attitudine lesiva, ma il rilievo che le stesse, essendo legate a situazioni e qualità del soggetto che ha chiesto di partecipare alla gara, risultino esattamente e storicamente identificate, preesistenti alla gara stessa, e non condizionate dal suo svolgimento e, perciò, in condizione di ledere immediatamente e direttamente l’interesse sostanziale del soggetto che ha chiesto di partecipare alla gara od alla procedura concorsuale.
 
Clausole così caratterizzate riguardano, in primo luogo, requisiti soggettivi degli aspiranti partecipanti alla gara o al concorso. Val quanto dire, dunque, che esse afferiscono direttamente ed immediatamente ai soggetti stessi – e non, come nel caso di specie, le loro offerte o le ulteriori attività connesse con la partecipazione alla gara (quale, appunto, la non reperibilità sul mercato dei prodotti esemplari richiesti dal bando per il campione di facciata) – e per tale ragione producono nei loro confronti effetti diretti, identificando immediatamente i soggetti che, in quanto privi dei requisiti richiesti, da tali clausole sono immediatamente e direttamente incisi.
 
Esse fanno pure riferimento ad una situazione (di norma, una situazione di fatto) che è preesistente rispetto al bando, e totalmente indipendente dalle vicende successive della procedura e dei relativi adempimenti, e non richiede valutazioni o verificazioni particolari. Sotto questo profilo, non è la procedura concorsuale ed il suo svolgimento a determinare l’effetto lesivo (come è avvenuto nel caso di specie; o come, generalmente, avviene nel caso della valutazione dell’anomalia dell’offerta), ma direttamente il bando, che prende in considerazione una situazione storicamente ad esso preesistente e totalmente definita.
 
L’Adunanza Plenaria, poi, ha ritenuto ancora opportuno ribadire l’indirizzo tradizionale, che normalmente esclude l’onere dell’immediata impugnazione del bando, nei confronti delle clausole che riguardano la composizione e il funzionamento del seggio di gara, che condizionano, anche indirettamente, la formulazione dell’offerta economica, tra le quali anche quelle riguardanti il metodo di gara e la valutazione dell’anomalia, e, infine, quelle che definiscono gli oneri formali di partecipazione.
 
L’Adunanza, infine, ha puntualizzato come l’esecuzione (integrale o parziale) dell’appalto oggetto di una gara non determini il venir meno dell’interesse a ricorrere in capo al partecipante non aggiudicatario, e ciò non solo per la persistenza di un interesse morale, ma anche in relazione ad un eventuale giudizio risarcitorio volto a ristorare il ricorrente dal pregiudizio patito per effetto dell’illegittimità.
 
Nella specie, come si è detto, l’opera è già strutturalmente completata e sul punto di essere terminata dalla ditta aggiudicataria.
 
E il Consorzio ricorrente, odierno appellante, ha, appunto, avanzato domanda di risarcimento dei danni unicamente in via equivalente e non in forma specifica.
 
6 – Prima di passare ad esaminare il problema della determinazione del danno risarcibile, giova ribadire e meglio puntualizzare le opportune considerazioni sistematiche fatte da questa Sezione (cfr. Cons. St., Sez. IV, 6 luglio 2004, n. 5012) in merito all’accertamento dell’elemento soggettivo nella fattispecie di responsabilità dell’amministrazione per attività provvedimentale illegittima, dando conto, in particolare, del tormentato percorso evolutivo seguìto dalla giurisprudenza nell’individuazione dei caratteri della colpa dell’apparato pubblico.
 
Com’è noto, l’impostazione giurisprudenziale tradizionale (cfr. ex multis Cass. Civ., Sez. III, 9 giugno 1995, n. 6542), formatasi prima della sentenza delle Sezioni Unite n. 500 del 22 luglio 1999, risolveva la questione ritenendo la colpa dell’amministrazione insita nell’esecuzione di un provvedimento amministrativo illegittimo.
 
Secondo tale ricostruzione, quindi, l’illegittimità dell’atto amministrativo portato ad esecuzione integrava, di per sé, gli estremi della colpevolezza postulata dall’art. 2043 c.c. per la costituzione dell’obbligazione risarcitoria.
 
La nozione di culpa in re ipsa si fondava, in particolare, sul rilievo che la semplice adozione ed esecuzione di un provvedimento illegittimo da parte di un soggetto dotato di capacità istituzionale e di competenza funzionale ad operare nel settore di riferimento concretasse quella consapevole violazione di leggi, regolamenti o norme di condotta non scritte nella quale si risolve la colpa, secondo la definizione del suo contenuto essenziale fornita dall’art. 43 c.p. 
 
La categoria concettuale della presunzione assoluta di colpa (chè di questo si tratta), concepita dalla giurisprudenza anche per semplificare l’accertamento dell’illecito e per favorire la tutela risarcitoria del privato danneggiato (altrimenti onerato di una prova complessa e priva di parametri certi), è parsa, comunque, incompatibile con i principi generali della natura personale della responsabilità civile e del carattere eccezionale di quella oggettiva, risolvendosi nell’ingiusta assegnazione all’amministrazione di un trattamento deteriore rispetto a quello degli altri soggetti di diritto.
 
Tali dubbi di coerenza sistematica della presunzione assoluta di colpa sono stati risolti dalla Suprema Corte (con la nota sentenza a Sezioni Unite n. 500/99), mediante il superamento della teoria della culpa in re ipsa e la contestuale definizione di indici identificativi della colpa, indicati nell’ascrizione all’amministrazione, intesa come apparato, e non al funzionario agente, della “violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l’esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi e che…si pongono come limiti esterni alla discrezionalità”.
 
Va, tuttavia, fin da subito rilevato che la scarna descrizione degli elementi essenziali della colpa rinvenibile nel passaggio della motivazione della sentenza n. 500/99 dedicato alla questione si rivela carente ed inidonea a fornire agli operatori paradigmi valutativi certi ed al sistema una catalogazione concettuale definita.
 
La Suprema Corte chiarisce, innanzitutto, che l’indagine riservata al giudice deve riferirsi alla pubblica amministrazione come apparato impersonale e non al funzionario che ha adottato l’atto illegittimo.
 
Tale prima indicazione, se vale a svincolare l’accertamento giudiziale dai canoni d’indagine utilizzati ordinariamente per la verifica della sussistenza della colpevolezza in capo alle persone fisiche, non serve, tuttavia, in positivo, ad orientare l’indagine verso un centro d’imputazione della responsabilità agevolmente individuabile e, soprattutto, non offre sicuri criteri di giudizio nel compimento della disamina contestualmente suggerita.
 
Le ragioni di tali difficoltà si risolvono, a ben vedere, sull’improprio riferimento dello stato psicologico di colpevolezza all’organizzazione dell’ente, anziché alla persona fisica legittimata ad esprimerne la volontà o ad esso legata da un vincolo di subordinazione (come accade per le ipotesi di responsabilità, diretta e indiretta, degli enti privati).
 
La colpa d’apparato sembra, quindi, coincidere con la verifica di una disfunzione della funzione amministrativa, determinata dalla disorganizzazione nella gestione del personale, dei mezzi e delle risorse degli uffici cui è imputabile l’adozione o l’esecuzione dell’atto illegittimo.
 
Sennonchè, se tale è il carattere essenziale della colpa d’apparato, la stessa si rivela impropriamente introdotta nella struttura dell’illecito, sia perché l’eventuale disorganizzazione amministrativa e gestionale non è necessariamente causa dell’illegittimità dell’atto, sia perché la stessa risulta essenzialmente estranea al profilo psicologico dell’azione amministrativa immediatamente produttiva del danno e, quindi, al campo d’indagine riservato al giudice chiamato a pronunciarsi sulla pretesa risarcitoria.
 
Non solo, ma la descrizione (appena riferita) dei requisiti della colpa omette qualsiasi considerazione e valorizzazione di circostanze esimenti, con ciò precludendo, di fatto, proprio quella penetrante indagine della riferibilità soggettiva del danno alla colpevole azione amministrativa che si raccomanda contestualmente al giudice del risarcimento.  
 
Le ricostruzioni più recenti si sono, invece, basate, in antitesi all’indirizzo della Suprema Corte, sul rilievo critico che il criterio della “…violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l’esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi…” (indicato nella sentenza n. 500/99) si risolve, se non attenuato da uno spazio di non colpevolezza (tuttavia non evidenziato dalla Cassazione), nella tautologica affermazione della coincidenza della colpa con l’illegittimità del provvedimento, con surrettizia reintroduzione della tesi che si è dichiarato di voler abbandonare.
 
In una delle prime e più importanti pronunce che si sono occupate della questione (Cons. St., Sez. IV, 14 giugno 2001, n. 3169) è stata condivisa la concezione oggettiva della colpa suggerita dalla Cassazione, che si basa cioè sull’apprezzamento dei vizi che inficiano il provvedimento, ma sono stati mutuati dalla giurisprudenza comunitaria diversi indici valutativi quali “…la gravità della violazione commessa dall’amministrazione, anche alla luce dell’ampiezza delle valutazioni discrezionali rimesse all’organo, dei precedenti della giurisprudenza, delle condizioni concrete e dell’apporto eventualmente dato dai privati nel procedimento”.
 
In applicazione di tali canoni di valutazione, il giudice deve, quindi, formulare il giudizio sulla colpevolezza dell’amministrazione, affermandola quando la violazione risulta grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tale da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento viziato e, viceversa, negandola quando l’indagine presupposta conduce al riconoscimento di un errore scusabile (per la sussistenza di contrasti giurisprudenziali, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto).
 
In una successiva pronuncia (Cons. St., Sez. V, 6 agosto 2001, n. 4239), sono stati ulteriormente chiariti i caratteri della responsabilità della pubblica amministrazione da attività provvedimentale ed, accedendo ad una ricostruzione dogmatica della stessa in termini di responsabilità da “contatto sociale qualificato”, si è precisato che, in analogia alle forme di accertamento giudiziale dell’illecito contrattuale o precontrattuale (e, in particolare, del criterio di imputazione del danno definito dall’art. 1218 c.c.), la responsabilità dell’amministrazione per l’adozione di un atto illegittimo può presumersi, sotto il profilo dell’ascrivibilità del pregiudizio ad una condotta colposa dell’apparato.
 
In esito alla presupposta catalogazione concettuale della natura della responsabilità dell’amministrazione, svincolata dalla struttura e dalla disciplina dell’illecito aquiliano, è stato, quindi, ammesso il privato alla mera allegazione del danno patito e della sua riconducibilità eziologia all’adozione od all’esecuzione di un provvedimento viziato ed imposto all’amministrazione l’onere di dimostrare la propria incolpevolezza per mezzo della deduzione di elementi di fatto e di diritto idonei a documentare la ricorrenza di un errore scusabile e, quindi, a dimostrare l’assenza di colpa nel proprio operato.
 
Tale semplificazione probatoria viene, in particolare, giustificata e legittimata non tanto con il ricorso a presunzioni semplici, pure limitatamente invocabili nell’accertamento dell’elemento soggettivo, ma con una distribuzione dell’onere della prova che, sotto un profilo sostanziale, appare rispondere ad esigenze di garanzia e di favore per la posizione processuale del privato e, sotto un profilo di coerenza logico-sistematica dell’ordinamento processuale, si fonda su una lettura dell’illecito dell’amministrazione in termini analoghi a quelli propri dell’inadempimento di un’obbligazione contrattuale o dei doveri di correttezza ravvisabili nella fase delle trattative (e, quindi, tipici della responsabilità precontrattuale).
 
In tale ottica, viene superata l’equivalenza, precedentemente riconosciuta dalla stessa giurisprudenza amministrativa, colpa-violazione grave, ritenendosi, di contro, che quella enunciazione teorica si risolva in un’inammissibile limitazione della responsabilità dell’amministrazione ai soli casi di colpa grave (ma in difetto di una previsione positiva in tal senso) e che, quindi, anche la sussistenza di un vizio non macroscopico possa implicare responsabilità dell’amministrazione nella colpevole inosservanza dei pertinenti canoni d’azione.
 
Siffatta ricostruzione teorica è stata, poi, confermata sia dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. St., Sez. VI, 20 gennaio 2003, n. 204), sia da quella ordinaria (Cass. Civ., Sez. I, 10 gennaio 2003, n. 157) che, in conformità alla riferita elaborazione concettuale, hanno condiviso l’assimilazione della responsabilità dell’amministrazione per attività provvedimentale (segnatamente per lesione degli interessi c.d. pretensivi) a quella contrattuale per violazione di diritti relativi, con le implicazioni già evidenziate in tema di accertamento della colpa.
 
Questa Sezione, tuttavia, ha (cfr. Cons. St., Sez. IV, dec. n. 5012 del 2004 cit.) giustamente dissentito dalla ricostruzione che ha fatto applicazione dei principi che presiedono alla responsabilità contrattuale per inadempimento al fine di giustificare l’affermazione della presunzione relativa di colpa e l’ascrizione all’amministrazione dell’onere di dimostrare la propria incolpevolezza e ha reputato, di contro, che le condivisibili esigenze di semplificazione probatoria sottese all’impostazione criticata possano essere parimenti soddisfatte restando all’interno dei più sicuri confini dello schema e della disciplina della responsabilità aquiliana, che rivelano una maggiore coerenza della struttura e delle regole di accertamento dell’illecito extracontrattuale con i caratteri oggettivi della lesione di interessi legittimi e con le connesse esigenze di tutela, ma utilizzando, per la verifica dell’elemento soggettivo, le presunzioni semplici di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c.
 
In tale ottica, il privato danneggiato, ancorchè onerato della dimostrazione della colpa dell’amministrazione, risulta agevolato dalla possibilità di offrire al giudice elementi indiziari – acquisibili, sia pure con i connotati normativamente previsti, con maggior facilità delle prove dirette – quali la gravità della violazione (qui valorizzata quale presunzione semplice di colpa e non come criterio di valutazione assoluto), il carattere vincolato dell’azione amministrativa giudicata, l’univocità della normativa di riferimento ed il proprio apporto partecipativo al procedimento.
 
Così che, acquisiti gli indici rivelatori della colpa, spetta poi all’amministrazione l’allegazione degli elementi (pure indiziari) ascrivibili allo schema dell’errore scusabile e, in definitiva, al giudice – così come, in sostanza, voluto dalla Cassazione con la sentenza n. 500/99 – apprezzarne e valutarne liberamente l’idoneità ad attestare o ad escludere la colpevolezza dell’amministrazione.
 
La rilevata semplificazione dell’onere probatorio (a carico e a discarico) appena descritta ha imposto, quindi, di definire i caratteri che devono possedere gli elementi addotti a propria discolpa dalla pubblica amministrazione, a fronte della produzione degli indizi a suo carico, perché la situazione allegata integri gli estremi dell’errore scusabile e consenta, perciò, di escludere la colpa dell’apparato amministrativo.
 
Appare utile, al riguardo, riferirsi alla giurisprudenza comunitaria (Corte Giust., 5 marzo 1996, in cause C-46/93 e C-48/93 << Brasserie du Pecheur >> e << Factortame III >>; id. 23 maggio 1996, causa C-5/94 << ***** >>), che ha contribuito ad edificare, modificando per alcuni aspetti alcune delle conclusioni della sentenza << ********** >> (13 novembre 1991, in cause riunite C-6/90 e C-9/90), un vero e proprio sistema della responsabilità civile da violazione del diritto comunitario. Questa giurisprudenza, pur assegnando valenza pressoché decisiva alla gravità della violazione ed indica quali parametri valutativi di quel carattere, il grado di chiarezza e precisione della norma violata e la presenza di una giurisprudenza consolidata sulla questione esaminata e definita dall’amministrazione, nonché la novità di quest’ultima, riconoscendo così portata esimente all’errore di diritto, in analogia all’elaborazione della giurisprudenza penale in tema di buona fede nelle contravvenzioni.
 
Tuttavia, occorre al riguardo precisare che, ai fini della valutazione della gravità della violazione, la giurisprudenza comunitaria ha successivamente escluso l’introduzione di parametri soggettivi operata dalla sentenza << Brasserie du Pecheur >> (<<il carattere intenzionale o involontario della trasgressione commessa o del danno causato, la scusabilità o l’inescusabilità di un eventuale errore di diritto>>: p.to 56 sent. cit.), riaffermando il carattere rigorosamente oggettivo, sul modello francese, della responsabilità da violazione del diritto comunitario (cfr. sentenza in seduta plenaria 8 ottobre 1996, in cause riunite C-178/94, C-179/94, C-188/94, C-189/94 e C-190/94, <<Dillenkofer>>, p.to 28) ed arrivando ad affermare, nell’ipotesi di esercizio di potestà amministrative da parte dei singoli Stati, che <<in presenza di un margine di discrezionalità considerevolmente ridotto, se non addirittura inesistente, la semplice trasgressione del diritto comunitario può essere sufficiente per accertare l’esistenza di una violazione sufficientemente grave e manifesta (p.to 28 sent. <<*****>>; p.to 25 sent. <<Dillenkofer>>).
 
Tuttavia, se a livello comunitario può, in chiave critica, rilevarsi che l’individuazione degli spazi di discrezionalità riservati all’amministrazione varia da Stato a Stato e da settore a settore all’interno dei singoli Stati, sul piano interno, esclusa la correttezza di ogni riferimento, pure in astratto invocabile, al livello culturale ed alle condizioni psicologiche soggettive del funzionario che ha adottato l’atto, risulta, in proposito, accettabile il criterio della comprensibilità della portata precettiva della disposizione inosservata e della univocità e chiarezza della sua interpretazione, potendosi ammettere l’esenzione da colpa solo in presenza di un quadro normativo confuso e privo di chiarezza; restando, altrimenti, l’amministrazione soggetta all’inevitabile giudizio di colpevolezza nella violazione di un canone di condotta agevolmente percepibile nella sua portata vincolante (cfr. Cons. St., Sez. IV, dec. n. 5012 del 2004 cit.).
 
Così come appaiono condivisibili i riferimenti, da più parti suggeriti, al criterio di imputazione soggettiva della responsabilità del professionista di cui all’art. 2236 c.c. che, riconnettendo il grado di colpevolezza richiesto per la costituzione dell’obbligazione risarcitoria alla difficoltà dei problemi tecnici affrontati nell’esecuzione dell’opera, introduce un parametro di ascrizione del danno che tiene conto del grado di complessità delle questioni implicate dall’esecuzione della prestazione e che attenua la responsabilità del prestatore d’opera quando il livello di difficoltà risulti rilevante.
 
La medesima ratio sottesa alla richiamata disposizione civilistica può, infatti, ravvisarsi nelle fattispecie nelle quali la situazione di fatto esaminata dal funzionario comporta la risoluzione di problemi tecnici particolarmente rilevanti ed in cui, in definitiva, l’accertamento dei presupposti di fatto dell’azione amministrativa implica valutazioni scientifiche complesse o verifiche difficoltose della realtà fattuale.
 
A fronte, infatti, di una situazione connotata da apprezzabili profili di complessità, può, in particolare, ritenersi giustificata, in analogia con la disciplina della responsabilità del prestatore d’opera intellettuale, un’attenuazione di quella dell’amministrazione per attività provvedimentale illegittima che la circoscriva alle sole ipotesi di colpa grave.
 
La ricostruzione appena esposta soddisfa, in particolare, al contempo, le esigenze di superare l’inaccettabile equazione illegittimità dell’atto-colpa dell’apparato pubblico, surrettiziamente reintrodotta con la sentenza n. 500/99, di valorizzare gli aspetti obiettivi della condotta antigiuridica dell’amministrazione, di restituire coerenza sistematica alla regola di riparto dell’onere della prova da applicarsi nello schema di responsabilità in questione e, in definitiva, di agevolare le parti (rispettivamente interessate) nell’adempimento del dovere di dimostrare la colpa, in prima battuta, o la sua mancanza, negli estremi dell’esimente dell’errore scusabile.
 
7 – Così definiti i caratteri costitutivi della colpa della pubblica amministrazione, risulta agevole rilevare, in ordine alla fattispecie in esame, che la predisposizione di regole illogiche nel bando di gara, si rivela lesiva di una delle norme di condotta che deve osservare l’amministrazione nella gestione di una procedura competitiva: predisporre regole logiche e congrue rispetto al fine pubblico della gara.
 
A fronte della violazione di tale dovere, non risulta, di contro, apprezzabile alcun elemento, peraltro neanche allegato dall’amministrazione (oneratavi), riconducibile ad una delle situazioni, sopra descritte, che autorizzano la configurabilità dell’errore scusabile.
 
Risulta, a questo punto, indispensabile, anche qui, una preliminare ricognizione dei parametri di determinazione del danno connesso alla lesione di interessi pretensivi (con particolare riferimento a quelli emergenti nelle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici), come tratteggiati dalla giurisprudenza di questa Sezione (cfr. dec. n. 5012 del 2004 cit.).
 
Si deve premettere, in via generale, che la tutela risarcitoria serve ad assicurare al danneggiato la restitutio in integrum del suo patrimonio e, quindi, a garantire l’eliminazione delle conseguenze pregiudizievoli dell’attività illecita ascritta al soggetto responsabile.
 
La riparazione delle conseguenze dannose viene garantita dall’ordinamento mediante due modelli di tutela, tra loro alternativi: quello del risarcimento per equivalente, che riconosce al danneggiato il diritto ad una somma di denaro equivalente al valore della lesione patrimoniale patita e quello della reintegrazione in forma specifica, che attribuisce al soggetto passivo la medesima utilità, giuridica od economica, sacrificata o danneggiata dalla condotta illecita.
 
L’analisi che segue viene circoscritta alla sola tecnica del risarcimento per equivalente, in quanto unica forma di tutela nella specie invocata dal ricorrente (per come sopra evidenziato).
 
Tale modalità di riparazione si risolve, a ben vedere, in una forma di tutela per così dire surrogatoria, nel senso che garantisce, non l’utilità perduta o compromessa, ma, in sua sostituzione, una somma di denaro corrispondente al valore del bene della vita pregiudicato.
 
Il vero problema di tale forma di tutela coincide, allora, con la liquidazione del danno e cioè con la determinazione della misura dell’obbligazione pecuniaria dovuta in sostituzione del bene della vita ormai irrimediabilmente perduto o danneggiato.
 
Se tale opera di quantificazione risulta agevole nei casi, configurabili per lo più nelle attività illecite materiali, in cui il valore del bene leso è facilmente individuabile (si pensi ai danni subiti da un autoveicolo in un incidente stradale), non altrettanto può dirsi per le ipotesi, quali quelle interessate dall’attività provvedimentale lesiva, in cui la situazione soggettiva pregiudicata è connessa ad aspettative o interessi difficilmente apprezzabili nella loro consistenza economica.
 
Occorre, quindi, avvertire fin da ora che le maggiori difficoltà incontrate dal legislatore e dalla giurisprudenza nel definire i contorni della nuova forma di tutela introdotta nell’ordinamento con il riconoscimento della risarcibilità della lesione degli interessi legittimi sono riconducibili proprio alla catalogazione di criteri e parametri certi, funzionali alla determinazione della misura del pregiudizio risarcibile.
 
E’ vero, infatti, che, nell’impossibilità di dimostrare la misura esatta del danno, soccorre il metodo di liquidazione equitativa dettato dall’art.1226 c.c., certamente utilizzabile anche dal giudice amministrativo, ma, mentre nel sistema delineato dal codice civile l’ipotesi considerata viene contemplata come eccezionale, le pretese risarcitorie svolte contro la pubblica amministrazione (soprattutto per lesione di interessi legittimi) risultano endemicamente connotate da estrema difficoltà nella definizione del valore economico della posizione soggettiva lesa dall’atto illegittimo, sicchè compete per lo più alla giurisprudenza l’individuazione di canoni valutativi sufficientemente certi e satisfattivi delle esigenze di effettività della tutela postulate dalla nuova forma di protezione degli interessi legittimi.
 
Le difficoltà appena registrate risultano, in particolare, maggiormente avvertite nei casi di lesione di interessi pretensivi e procedimentali (nei quali la verifica della spettanza del bene della vita postula un’intermediazione amministrativa favorevole e risultano, quindi, difficilmente apprezzabili le effettive implicazioni economiche della violazione accertata), mentre si rivela più agevole la quantificazione del danno nei casi di lesione di interessi oppositivi (nei quali si tratta di determinare il valore del bene illegittimamente sacrificato).  
 
8 – Così illustrati in astratto i confini problematici del tema della quantificazione del danno, occorre esaminare i riflessi processuali della dimostrazione e determinazione del pregiudizio risarcibile.
 
La comune ascrizione dell’illecito commesso dall’amministrazione nell’esercizio dell’attività provvedimentale allo schema della responsabilità extracontrattuale implica, innanzitutto, che incombe al ricorrente (presunto danneggiato) l’onere di dimostrare l’esistenza di un pregiudizio patrimoniale, la sua riconducibilità eziologia all’adozione del provvedimento illegittimo e la sua misura, come riconosciuto dall’indirizzo prevalente formatosi in seno alla giurisprudenza amministrativa (cfr. ex multis Cons. St., sez. V, 25 gennaio 2002, n.416, in cui si ribadisce che incombe al danneggiato la prova di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito).
 
Ne consegue che il ricorrente non potrà limitarsi ad addurre l’illegittimità dell’atto, valendosi, ai fini della sua quantificazione, del principio dispositivo con metodo acquisitivo e, quindi, della sufficienza dell’allegazione di un principio di prova, ma dovrà compiere l’ulteriore sforzo probatorio di documentare il pregiudizio patrimoniale del quale chiede il ristoro nel suo esatto ammontare (pur con i limiti ontologici dell’assolvimento di tale onere).
 
In merito al contenuto della dimostrazione richiesta, va, peraltro, precisato che, poiché l’annullamento dell’atto illegittimo può determinare, da solo, l’integrale riparazione delle sue conseguenze lesive, compete al ricorrente provare che la rimozione del provvedimento non soddisfa, di per sé, l’interesse azionato e che residua un danno ulteriore nella sua sfera patrimoniale, non interamente reintegrato (in forma specifica) per effetto della caducazione dell’atto.
 
Come già rilevato, tuttavia, quando la lesione lamentata concerne interessi pretensivi o procedimentali la dimostrazione della misura del danno patrimoniale patito dal privato si rivela difficile, se non impossibile.
 
A fronte, infatti, del diniego di un’autorizzazione, della mancata aggiudicazione di un appalto o dell’omessa partecipazione al procedimento, risulta estremamente arduo definire l’esatto ammontare della perdita economica patita dall’interessato.
 
Appare utile, a tal riguardo, rammentare che il pregiudizio risarcibile si compone, secondo la definizione offerta dall’art.1223 c.c., del danno emergente e del lucro cessante: e cioè della diminuzione reale del patrimonio del privato, per effetto di esborsi connessi alla (inutile) partecipazione al procedimento, e della perdita di un’occasione di guadagno o, comunque, di un’utilità economica connessa all’adozione o all’esecuzione del provvedimento illegittimo.
 
Se per la prima voce di danno (quello emergente) non si pongono particolari problemi nell’assolvimento dell’onere della prova (è sufficiente documentare le spese sostenute), per la seconda (lucro cessante) si configurano, viceversa, rilevanti difficoltà.
 
Per avere accesso al risarcimento, infatti, il privato deve dimostrare, non solo che la sua sfera giuridica ha subito una diminuzione per effetto dell’atto illegittimo, ma che non si è accresciuta nella misura che avrebbe raggiunto se il provvedimento viziato non fosse stato adottato o eseguito. 
 
Come si vede, tale ultima dimostrazione presenta implicazioni di notevole complessità, attenendo a profili prognostici difficilmente apprezzabili nella loro effettiva consistenza ed attendibilità.
 
Soccorre, allora, l’applicazione di criteri presuntivi di determinazione del quantum, certamente invocabili dal privato in presenza della lesione di aspettative di ampliamento della sua sfera giuridica e patrimoniale.
 
Si tratta di presunzioni semplici che indicano, secondo la comune esperienza, parametri valutativi sufficientemente puntuali dell’entità della perdita economica patita dal privato per effetto dell’adozione dell’atto illegittimo ovvero della colpevole inerzia dell’amministrazione.
 
Perché sia ritualmente assolto l’onere della prova, è, tuttavia, necessario che il ricorrente danneggiato alleghi gli elementi di fatto e gli indizi sulla cui base possono individuarsi i parametri presuntivi di determinazione del danno.
 
L’esigenza di ricorrere a criteri presuntivi ed astratti di determinazione del danno è stata avvertita sia dalla giurisprudenza, che ha individuato un preciso canone indiziario (di seguito illustrato) per la determinazione del pregiudizio connesso alla perdita di un’occasione di successo in una procedura concorsuale, sia dallo stesso legislatore, laddove ha definito, con l’art.35 d. lgs. n.80/98, un peculiare metodo di liquidazione del danno fondato proprio sulla definizione giudiziale di parametri valutativi indeterminati o quando ha previsto, all’art.17, comma 1, lett. f), legge 15 marzo 1997, n.59, la definizione “di forme di indennizzo automatico e forfettario a favore dei soggetti richiedenti il provvedimento…per i casi di mancato rispetto del termine del procedimento o di mancata o ritardata adozione del provvedimento” stesso.
 
Merita, ancora, avvertire che non può valere ad esonerare dalla prova del danno la parte sulla quale incombe il relativo onere, il ricorso, anche su istanza del ricorrente, alla consulenza tecnica d’ufficio (pure, ormai, utilizzabile dal giudice amministrativo e nella specie richiesta dal Consorzio appellante in sede di memoria), posto che tale accertamento non si configura come un mezzo di prova in senso tecnico e può essere disposto solo al fine di acquisire apprezzamenti tecnici altrimenti non formulabili dal giudice, ma non può servire ad acquisire gli elementi che compongono il danno lamentato e, quindi, la sua dimostrazione (Cons. St., sez. IV, 14 giugno 2001, n.3169).
 
La più importante applicazione del ricorso a criteri presuntivi per la quantificazione del danno è rinvenibile nell’elaborazione giurisprudenziale in materia di valutazione del pregiudizio connesso alla perdita di chance.
 
Si tratta dei casi in cui il ricorrente ha perso l’occasione di aggiudicarsi un appalto o di vincere un concorso per effetto dell’illegittima selezione di un altro concorrente o della propria indebita esclusione dal procedimento.
 
Si deve qui avvertire che, mentre non si pongono particolari problemi per la liquidazione del danno emergente (pari alle spese – documentate – sostenute per la partecipazione al procedimento), risulta più difficile la determinazione del lucro cessante.
 
A proposito di quest’ultima voce, occorre, anzitutto, chiarire che il suo contenuto cambia notevolmente se si accede alla qualificazione come precontrattuale della responsabilità dell’amministrazione per illegittima conduzione di una procedura ad evidenza pubblica.
 
Se si ravvisano, infatti, gli estremi della culpa in contraendo di cui agli artt.1337 e 1338 c.c., si deve, infatti, limitare l’area del pregiudizio risarcibile al solo interesse negativo: composto dalle spese sostenute per partecipare al procedimento ed alla perdita di occasioni di guadagno alternative, con esclusione, quindi, del mancato conseguimento dell’utile ricavato dall’esecuzione dell’appalto.
 
Se, invece, la violazione delle regole che presiedono alla corretta conduzione delle procedure ad evidenza pubblica viene ascritta allo schema astratto dell’illecito aquiliano, da valersi quale conclusione più plausibile della prima e maggiormente coerente con le pregnanti esigenze di tutela postulate dall’ordinamento comunitario in tema di competizioni concorrenziali per l’accesso agli appalti pubblici, si deve conseguentemente ritenere risarcibile anche l’interesse positivo e, cioè, nella voce relativa al lucro cessante, la perdita del guadagno (o della sua occasione) connesso all’esecuzione del contratto (cfr., in materia di danno risarcibile, Cons. St., Sez. IV, 27 ottobre 2003, n. 6666).
 
L’accesso a quest’ultima opzione, condivisa dalla Sezione, implica la necessità di provvedere alla determinazione di criteri valutativi astratti e presuntivi della misura del pregiudizio risarcibile, nella configurazione sopra tratteggiata.
 
La giurisprudenza amministrativa si è fatta carico di quest’onere ed ha individuato nell’art.345 della legge 20 marzo 1865, n.2248, Allegato F, un prezioso riferimento positivo, laddove quantifica nel 10% del valore dell’appalto l’importo da corrispondere all’appaltatore in caso di recesso facoltativo dell’amministrazione, nella determinazione forfettaria ed automatica del margine di guadagno presunto nell’esecuzione di appalti di lavori pubblici (cfr. ex multis Cons. St., sez. V, 8 luglio 2002, n.3796 e Cons. St., sez. IV, dec. n. 6666 del 2003 cit.).
 
Ulteriore conferma positiva della validità di tale criterio presuntivo è stata, poi, rinvenuta nell’art.37 septies, comma 1, lett.c) della legge 11 febbraio 1994, n.109, laddove prevede, in materia di project financing, che, nelle ipotesi in cui la concessione sia risolta per inadempimento del concedente o revocata per motivi di interesse pubblico, al concessionario spetti un indennizzo, a titolo di risarcimento del mancato guadagno, pari al 10% delle opere ancora da eseguire.
 
Può, in definitiva, registrarsi il consolidamento di un indirizzo giurisprudenziale, ormai univoco e dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, che, sulla base delle predette indicazioni normative, riconosce nella misura del 10% dell’importo a base d’asta, per come eventualmente ribassato dall’offerta dell’impresa interessata, l’entità del guadagno presuntivamente ritratto dall’esecuzione dell’appalto.
 
Occorre, tuttavia, ancora distinguere la fattispecie in cui il ricorrente riesce a dimostrare che, in mancanza dell’adozione del provvedimento illegittimo, avrebbe vinto la gara (ad esempio perché, se non fosse stato indebitamente escluso, sarebbe stata selezionata la sua offerta) dai casi in cui non è possibile acquisire alcuna certezza su quale sarebbe stato l’esito della procedura in mancanza della violazione riscontrata.
 
La dimostrazione della spettanza dell’appalto all’impresa danneggiata risulta ovviamente configurabile nei soli casi in cui il criterio di aggiudicazione si fonda su parametri vincolati e matematici (come, ad esempio, nel caso del massimo ribasso in un pubblico incanto in cui l’impresa vincitrice avrebbe dovuto essere esclusa), mentre si rivela impossibile là dove la selezione del contraente viene operata sulla base di un apprezzamento tecnico-discrezionale dell’offerta (come nel caso dell’offerta economicamente più vantaggiosa).
 
Nella prima ipotesi spetta, evidentemente, all’impresa danneggiata un risarcimento pari al 10% del valore dell’appalto (come eventualmente ribassato dalla sua offerta), ferma restando la possibilità di conseguire una somma superiore, in presenza della dimostrazione che il margine di utile sarebbe stato maggiore di quello presunto.
 
Viceversa, quando il ricorrente allega solo la perdita di una chance a sostegno della pretesa risarcitoria (e cioè quando non riesce a provare che l’aggiudicazione dell’appalto spettava proprio a lui, secondo le regole di gara), la somma commisurata all’utile d’impresa deve essere proporzionalmente ridotta in ragione delle concrete possibilità di vittoria risultanti dagli atti della procedura.
 
Al fine di operare tale decurtazione vanno valorizzati tutti gli indici significativi delle potenzialità di successo del ricorrente, quali, ad esempio, il numero di concorrenti, la configurazione della graduatoria eventualmente stilata ed il contenuto dell’offerta presentata dall’impresa danneggiata.
 
9 – La verifica della fondatezza della pretesa risarcitoria in questione e la conseguente determinazione dell’entità del pregiudizio risarcibile devono essere, quindi, condotte in coerenza con i parametri valutativi sopra descritti.
 
Il Consorzio ricorrente pretende un risarcimento pari ad una somma da quantificarsi in corso di causa e, comunque, non inferiore al vantaggio economico che avrebbe conseguito ove la sua offerta non fosse stata esclusa, giungendo ad affermare che, se tale offerta fosse stata regolarmente valutata, il Consorzio medesimo sarebbe stato l’aggiudicatario della gara. 
 
Tuttavia, è sufficiente al riguardo rilevare che l’invocato accertamento, seppur in via incidentale, della spettanza all’appellante del punteggio più elevato, per le caratteristiche tecniche dell’offerta, risulta precluso proprio dal metodo di selezione nella specie previsto: l’offerta economicamente più vantaggiosa.
 
Quest’ultimo criterio di aggiudicazione, infatti, risulta fondato su apprezzamenti tecnico-discrezionali delle caratteristiche qualitative dell’offerta che non tollerano alcuna sostituzione da parte del giudice nel compimento delle pertinenti valutazioni riservate in via esclusiva all’amministrazione. 
 
Come sopra rilevato, infatti, la verifica della spettanza dell’aggiudicazione al ricorrente è ammessa nelle sole ipotesi, diverse dalla presente, nelle quali la selezione del contraente avviene in applicazione di parametri rigidi e matematici, sicchè l’attività dell’amministrazione aggiudicatrice risulta vincolata e priva di ogni discrezionalità nella scelta dell’offerta.
 
Esclusa, così, la praticabilità (anche con lo strumento della c.t.u., pure paventata dall’appellante in sede di memoria) dell’invocata indagine sulla pretesa debenza al ricorrente del punteggio più alto e, quindi, della stessa aggiudicazione, e ribadito che, nelle ipotesi in cui il ricorrente non può dimostrare che avrebbe vinto la gara, la misura presunta del lucro cessante (pari al 10% dell’importo del contratto) va decurtata in ragione degli indici sopra elencati e che la relativa determinazione giurisdizionale dei criteri sfugge a canoni valutativi rigidi, ai fini della liquidazione di tale danno si può, a ben vedere, utilizzare lo strumento previsto dall’art. 35, comma 2, del D. Lgs. n. 80 del 1998, come sostituito dall’art. 7 della L. n. 205 del 2000, che, appunto, consente al giudice amministrativo di stabilire i criteri in base ai quali l’Amministrazione (l’art. 7 cit. ha aggiunto anche il gestore del servizio pubblico) deve proporre a favore dell’avente titolo il pagamento della somma entro un congruo termine, prevedendo che, qualora permanga il disaccordo, le parti possano rivolgersi nuovamente al giudice per la determinazione delle somme dovute nelle forme del giudizio di ottemperanza.
 
10 – Si dispone, pertanto, che l’Amministrazione Provinciale provveda a liquidare una somma a favore del Consorzio appellante a titolo sia di danno emergente (costi di partecipazione alla gara) che di lucro cessante (mancato utile), secondo i criteri appresso indicati, entro il termine massimo di sessanta giorni dalla data di comunicazione, o, se anteriore, da quella di notifica, della presente decisione.
 
In particolare, il risarcimento del danno dovuto al ***** dovrà computarsi come segue:
 
A) quanto al danno emergente:
 
A1) spese o costi sostenuti per la preparazione dell’offerta e per la partecipazione alla procedura di aggiudicazione (cfr. art. 2, comma 7, della direttiva del Consiglio delle Comunità Europee del 25 febbraio 1992, 92/13/CEE).
 
Non sono, invece, nella specie liquidabili, quale voce di danno emergente, per difetto assoluto di qualsiasi prova al riguardo (anche se la giurisprudenza sovente ha reputato che possano venire in rilievo) ex artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c. (applicabili anche al processo amministrativo avente ad oggetto diritti soggettivi, come quello al risarcimento del danno ingiusto), l’inutile immobilizzazione di risorse umane e mezzi tecnici.
 
A2) Quanto al pregiudizio per la perdita di chance legata all’impossibilità di far valere, nelle future contrattazioni, il requisito economico legato all’esecuzione dei lavori, può nella specie procedersi in via equitativa alla liquidazione di tale voce del danno emergente nella misura del 3% del prezzo offerto dal Consorzio in sede di aggiudicazione.
 
Non sono imputabili, invece, le spese legali sostenute a fronte dei giudizi intrapresi, in quanto la relativa liquidazione è oggetto di autonoma statuizione giurisdizionale.
 
B) Quanto al lucro cessante, vale a dire l’utile economico che sarebbe derivato dall’esecuzione dell’appalto in caso di aggiudicazione non avvenuta per illegittimità dell’azione amministrativa – generalmente reputato, come si è detto, pari al 10% del valore dell’appalto, criterio cui fa riferimento la giurisprudenza in applicazione analogica dell’art. 345 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato F, sulle opere pubbliche, ora sostanzialmente riprodotto dall’art. 122 del regolamento emanato con D.P.R. n. 554/99, che quantifica in tale misura il danno risarcibile a favore dell’appaltatore in caso di recesso della P.A. (ciò sia allo scopo di ovviare ad indagini alquanto difficoltose ed aleatorie sia allo scopo di cautelare la P.A. da eventuali richieste di liquidazioni eccessive) – la giurisprudenza riconosce la spettanza nella sua interezza dell’utile di impresa nella misura del 10% qualora l’impresa possa documentare di non aver potuto utilizzare le maestranze ed i mezzi, lasciati disponibili, per l’espletamento di altri servizi, mentre nel caso in cui tale dimostrazione non sia stata offerta – come nella specie è avvenuto – è da ritenere che l’impresa possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri analoghi lavori (o servizi o forniture), così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità; in tale ipotesi il risarcimento può essere ridotto in via equitativa, in misura pari al 5% dell’offerta dell’impresa (cfr. Cons. St., Sez. IV, dec. n. 6666 del 2003 cit.; Cons. St., Sez. V, 24 ottobre 2002, n. 5860; v. pure Cons. St., Sez. V, 18 novembre 2002, n. 6393, che esclude l’utilizzo dell’art. 345 L. n. 2248/1865 all. F ove non sia fornito un principio di prova sulle opportunità alternative alle quali l’interessato ha dovuto rinunciare).
 
C) Sulle somme liquidate ai sensi delle lettere A) e B), che riguardano tutte il risarcimento del danno e che consistono, perciò, in un debito di valore, deve riconoscersi la rivalutazione monetaria, secondo gli indici Istat, da computarsi dalla data della stipula del contratto da parte dell’impresa che è rimasta illegittimamente aggiudicataria e fino alla data di deposito della presente decisione (data quest’ultima che costituisce il momento in cui, per effetto della liquidazione giudiziale, il debito di valore si trasforma in debito di valuta).
 
D) Sulle somme progressivamente e via via rivalutate, sono altresì dovuti gli interessi nella misura legale secondo il tasso vigente all’epoca della stipulazione del contratto, a decorrere dalla data della stipulazione medesima e fino a quella di deposito della presente decisione; ciò in funzione remunerativa e compensativa della mancata tempestiva disponibilità della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno.
 
E) Su tutte le somme dovute ai sensi delle precedenti lettere decorrono, altresì, gli interessi legali dalla data di deposito della presente decisione e fino all’effettivo soddisfo.
 
La condanna al risarcimento deve essere pronunciata esclusivamente nei confronti dell’Amministrazione soccombente, Provincia Autonoma di Bolzano, in considerazione del comportamento che ha dato causa all’illecito.
 
11 – In conclusione, in base alle considerazioni che precedono, l’appello va accolto e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, annulla i provvedimenti impugnati in primo grado e, quanto alla domanda risarcitoria, condanna la Provincia Autonoma di Bolzano al risarcimento dei danni subiti dal ***** a causa della perdita della chance di aggiudicarsi i lavori de quibus, nella misura e secondo i criteri sopra indicati.
 
Quanto alle spese del giudizio, in considerazione dell’esito della lite e delle questioni trattate, appare equo disporre che esse siano interamente compensate nei confronti dell’Impresa *****, mentre per il resto appare giusto che siano poste interamente a carico dell’Amministrazione soccombente, liquidandole come da dispositivo.
 
P.Q.M.
 
   Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunziando sul ricorso in appello n. 437/2003, in epigrafe meglio specificato, così provvede:
 
accoglie il ricorso e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, annulla i provvedimenti impugnati in primo grado;
condanna la Provincia Autonoma di Bolzano al risarcimento dei danni subiti dal ***** a causa della perdita della chance di aggiudicazione dei lavori, nella misura e secondo i criteri di cui in motivazione, provvedendo alla liquidazione ed al pagamento di tali danni entro il termine massimo di sessanta giorni dalla comunicazione, o se anteriore, dalla notifica, della presente decisione;
respinge l’appello incidentale;
dichiara compensate le spese del doppio grado di giudizio nei confronti dell’Impresa *****; pone, invece, le stesse a carico dell’Amministrazione Provinciale soccombente, complessivamente liquidandole in euro 10.000,00 (diecimila/00).
   Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
 
Così deciso in Roma dalla Sezione IV del Consiglio di Stato riunitasi in camera di consiglio il giorno 22.6.2004 con l’intervento dei seguenti magistrati:
 
      **************    Presidente
 
      ***********    Consigliere
 
         ********************** Consigliere
 
      **********             Consigliere
 
         ************                                  Consigliere, est.
 
      L’ESTENSORE   IL PRESIDENTE
 
************    **************
 
IL SEGRETARIO
*********************
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
 
15/2/2005
 
(art. 55, L. 27.4.1982, 186)
 
      per Il Dirigente
 
   ********************

Lazzini Sonia

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