Il risarcimento del danno biologico nel sistema sanitario

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Come noto la riforma attuata con il Decreto Legge 13 settembre 2012, n. 158, coordinato con la Legge di Conversione 8 novembre  2012, n. 189 (cd. decreto Balduzzi), ha innovato, in più parti, il sistema sanitario nazionale.

Il presente elaborato analizza in particolare l’articolo 3, comma 3, del predetto decreto, in cui si stabilisce che “Il danno biologico conseguente all’attività dell’esercente della professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 e 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209”.

La norma rappresenta la giusta occasione per ripercorrere, sia pur brevemente, l’evoluzione giuridica dell’istituto del danno biologico, avendo cura di riportare i più recenti arresti giurisprudenziali soprattutto in merito al sistema di liquidazione del danno alla persona, soffermando chiaramente l’attenzione sulla quantificazione monetaria del danno prodotto dal sanitario nell’esercizio delle proprie funzioni.

 

Sommario

1. La riforma Balduzzi

2. Il danno biologico: excursus storico

3. La liquidazione del danno biologico in generale

4. La liquidazione del danno biologico nel sistema sanitario

 

1. La riforma Balduzzi

Il decreto Balduzzi ha esteso l’applicazione delle tabelle previste dagli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private[1], utilizzate nella liquidazione del danno biologico consequenziale al sinistro derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, per il ristoro del danno all’integrità psico-fisica conseguente all’attività dell’esercente la professione sanitaria.

La ratio ispiratrice della riforma farebbe pensare alla necessità di fornire all’operatore giuridico (segnatamente, al giudice) criteri di liquidazione del danno obiettivi, evitando sperequazioni basate su valutazioni soggettive formulate attraverso il ricorso al criterio di equità integrativa cui al comb. disp. degli artt. 2056 e 1226 c.c.; tuttavia, il contesto storico in cui la menzionata riforma è maturata induce a riflettere su un altro (ed apparentemente meno nobile) fine: il contenimento della spesa pubblica.

Il nomen juris del testo legislativo “Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute” evidenzia l’indifferibilità di un provvedimento nato in un momento storico caratterizzato da una profonda crisi economica, che ha imposto l’adozione di una politica di spending review. Del resto esigenze affini avevano indotto il legislatore ad adottare il cd. sistema tabellare per contenere gli aumenti delle spese per l’assicurazione R.C.A. degli automobilisti, sulle quali incidevano significativamente i costi per le imprese di assicurazione dovute al ristoro dei danni derivanti dalla circolazione dei veicoli.

Ecco, dunque, che il legislatore pensa bene di applicare le tabelle della R.C.A. anche al danno biologico maturato per fatto imputabile alla responsabilità del sanitario, sia per le cd. micropermanenti (lesioni con postumi invalidanti compresi tra l’1% ed il 9%), sia per le lesioni all’integrità fisica di valore superiore.

Il testo normativo emanato in base al disegno di legge del Ministro della Salute in esame si caratterizza anche per essere l’ultimo di una lunghissima serie di elementi giuridici innestati in un filone particolarmente complesso ed articolato, che ha portato alla qualificazione giuridica del danno biologico.

 

2. Il danno biologico: excursus storico

Il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno biologico, inteso quale lesione dell’integrità psico-fisica della persona, si deve alla complessa elaborazione dottrinale e giurisprudenziale; come spesso accade, infatti, il legislatore è intervenuto in materia con notevole ritardo, recependo un orientamento ormai consolidato[2].

Nel riproporre sinteticamente l’excursus storico che ha portato al riconoscimento legislativo del danno biologico, si devono prendere le mosse dal dato normativo sintetizzato nell’art. 2059 c.c., inizialmente considerato dalla giurisprudenza quale fonte di riconoscimento giuridico del danno biologico, con cui si ammette la risarcibilità del danno non patrimoniale nei casi determinati dalla legge, ricorrendo quest’ipotesi (al tempo dell’emanazione del codice civile) nel solo caso in cui il fatto illecito sia qualificabile alla stregua di reato penalmente perseguibile, come previsto dall’art. 185 c.p.[3]

Con il passare degli anni la giurisprudenza inizia a manifestare una certa insofferenza verso l’impianto restrittivo di tutela offerto dal legislatore, poiché lo stesso non tiene debitamente conto del rilievo costituzionale della persona umana. Così verso la metà degli anni settanta si giunge a riconoscere il risarcimento del danno biologico anche laddove il medesimo non abbia una conseguenza diretta sul patrimonio del danneggiato e non si configuri come fatto penalmente rilevante.

Il primo passo in tale direzione è mosso dal Tribunale di Genova[4], che per ogni lesione del diritto alla salute della persona, vale a dire all’integrità fisica in sé e per sé considerata, indipendentemente dalle conseguenze sulla capacità lavorativa e di guadagno del soggetto leso, riconosce l’obbligo del responsabile al pagamento di una somma di danaro come risarcimento del danno c.d. biologico, di natura non patrimoniale, qualificato come danno extrapatrimoniale, per distinguerlo dal danno morale comunemente denominato con l’espressione danno non patrimoniale.

Lo stesso Tribunale precisa che a fondamento della risarcibilità del danno alla salute deve porsi il generale principio del neminem laedere impresso nell’art. 2043 c.c., vera e propria norma generale, in virtù della quale sono risarcibili tutti i danni ingiusti abbiano o meno il carattere della patrimonialità.

Viene, dunque, a configurarsi la nuova categoria del danno biologico, quale tertium genus all’interno delle tre voci di danno: danno patrimoniale (risarcibile ex art. 2043 c.c.), danno non patrimoniale (ovvero, danno morale inteso quale sofferenza dell’animo transeunte, risarcibile nei limiti di cui all’art. 2059 c.c.); danno extrapatrimoniale (comprendente il danno biologico, risarcibile ex art. 2043 c.c.).

Un notevole contributo alla nascita ed all’evoluzione del danno biologico è apportata dal Tribunale di Pisa, che sempre verso la fine degli anni settanta, accoglie (in parte) le conclusioni propugnate dalla previgente giurisprudenza di merito.

I giudici pisani, infatti, nel ribadire l’ammissibilità del risarcimento del danno biologico quale pregiudizio all’integrità fisica o psichica del soggetto in sé e per sé considerata, esprimono il proprio disaccordo in ordine alla qualificazione di un tertium genus di danno, in aggiunta alle due tradizionali species riconosciute dal legislatore (danno patrimoniale e danno non patrimoniale).

A giudizio della Corte pisana, dunque, esclusa la sussistenza di una categoria di danni extrapatrimoniali, il danno biologico deve essere ricondotto alla tutela prevista ai sensi dell’art. 2043 c.c.[5]

L’intento, anche in questo caso, è quello di riconoscere la risarcibilità del danno biologico senza incorrere nelle limitazioni derivanti dall’art. 2059 c.c.

Un’importante conferma all’impostazione giuridica diretta al riconoscimento del danno biologico arriva da una pronuncia del giudice delle leggi, che afferma l’esistenza di un diritto alla salute, tutelato dall’articolo 32 della Costituzione, non solo come interesse della collettività, ma anche come diritto primario ed assoluto dell’individuo, che deve essere risarcito in ogni caso di violazione, indipendentemente dal riflesso di questo sul piano patrimoniale, ma con riguardo alla menomazione dell’integrità fisica in sé considerata[6].

Quanto alla collocazione di detto danno la Corte costituzionale opta, in un primo momento, per la tutela ai sensi dell’art. 2059 c.c., con le limitazioni alla risarcibilità all’epoca esistenti.

Tuttavia, tornando sul tema qualche anno dopo, la Corte costituzionale muta opinione e considera tutelabile il danno biologico ai sensi dell’art. 2043 c.c.[7]

Si teorizza una distinzione tra le due categorie del danno biologico, da un lato, e del danno morale soggettivo/danno patrimoniale, dall’altro lato, basata sul discernimento tra danno-evento (danno biologico) e danno-conseguenza (danno morale soggettivo e danno patrimoniale in senso stretto).

Il danno biologico come danno-evento, ossia lesione del diritto alla salute costituzionalmente tutelato, oggetto di prova e riconoscibile in capo a ciascun individuo a prescindere dalla capacità di produrre reddito, è assunto come componente della fattispecie costitutiva dell’illecito al pari del fatto e del nesso causale, divenendo l’elemento centrale nel sistema del risarcimento del danno alla persona.

L’orientamento giurisprudenziale da ultimo riportato, pur prevalendo rispetto alle diverse teorie, non sopisce affatto il fervente dibattito che continua ad oscillare tra il riferimento all’art. 2043 c.c., in presenza di una lesione ad un interesse di natura patrimoniale, e quello all’art. 2059 c.c., in presenza di una lesione relativa ad una situazione di natura non patrimoniale.

Un’importante svolta nella qualificazione dommatica del danno biologico giunge con le famose sentenze gemelle della Cassazione a Sezioni Unite del 2008[8].

Attraverso una rilettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., la corte, riportando il sistema della responsabilità aquiliana nell’ambito della bipolarità che vede l’art. 2043 c.c. demandato al risarcimento dei danni patrimoniali e l’art. 2059 c.c. ai danni non patrimoniali, statuisce il fondamentale principio di unitarietà del danno non patrimoniale, conseguentemente le singole voci di danno elaborate dalla giurisprudenza (esistenziale, morale, estetico, ecc.) e, quindi, anche il danno biologico, assumono una valenza meramente descrittiva, senza alcuna pretesa di autonoma risarcibilità.

In effetti, partendo dal dato scontato secondo cui nel vigente assetto dell’ordinamento giuridico assume posizione preminente la Costituzione ed i principi normativi in essa impressi, la cassazione richiama il contenuto cui all’art. 2 cost., dove si riconoscono e garantiscono i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali dove svolge la sua personalità.

Sulla scorta del predetto dato normativo, il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale (e, quindi, del danno biologico) sorge solo nel caso in cui esso sia conseguente alla lesione di diritti costituzionalmente garantiti ovvero dei diritti inviolabili dell’uomo.

Quindi, il danno non patrimoniale di cui parla, nella rubrica e nel testo, l’art. 2059 c.c., si identifica con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica, sul presupposto della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della struttura dell’illecito civile, che si ricavano dall’art. 2043 c.c., elementi che consistono nella condotta, nel nesso causale tra condotta ed evento di danno, connotato quest’ultimo dall’ingiustizia, determinata dalla lesione, non giustificata, di interessi meritevoli di tutela, e nel danno che ne consegue.

Pertanto, il risarcimento del danno non patrimoniale non soggiace ai limiti di cui agli artt. 2059 c.c., allorquando vengono lesi valori della persona costituzionalmente garantiti.

In sintesi, citando un recente arresto giurisprudenziale, si può dire che “il danno biologico ha natura non patrimoniale, ed il danno non patrimoniale ha natura unitaria[9].

 

3. La liquidazione del danno biologico in generale

Nel sistema vigente il giudice ricorre solitamente al criterio equitativo per la quantificazione economica del danno biologico, modalità quest’ultima che determina un evidente problema di disparità di trattamento nella liquidazione del danno alla persona.

Per ovviare a siffatto problema la Corte Costituzionale[10] suggerì di introdurre criteri liquidatori che da un lato garantissero un’uniformità pecuniaria di base, in modo da assicurare il principio di eguaglianza in casi simili, e dall’altro soddisfacessero la parimenti avvertita esigenza di personalizzare la liquidazione in ragione delle peculiarità del caso concreto.

Su questa scia la Cassazione abbandonava i criteri di liquidazione del danno alla persona che assumevano a parametro il reddito del danneggiato[11], aprendo di fatto al sistema delle tabelle che nel frattempo erano state adottate, sul modello francese, da vari tribunali ed aventi come base di calcolo il valore del punto di invalidità (a sua volta individuato sulla base dei precedenti giudiziari), corretto in funzione di una serie di fattori (l’età del soggetto leso, l’entità della lesione subita, ecc.).

La crescente importanza assunta nella prassi giudiziaria dalle tabelle elaborate dai maggiori Fori italiani, ed in particolare dal Tribunale di Milano, ha evidentemente indotto il Supremo Consesso ad elevare le tabelle elaborate dal Foro meneghino a criterio base, sull’intero ambito nazionale, per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante dalla lesione dell’integrità psico-fisica e dalla perdita o grave lesione del rapporto parentale[12].

 

4. La liquidazione del danno biologico nel sistema sanitario

Come anticipato, per la liquidazione del danno biologico prodotto dall’attività dell’esercente la professione sanitaria il legislatore del 2012 ha adottato il sistema già sperimentato per il settore statisticamente più rilevante della responsabilità civile, quello della responsabilità civile automobilistica.

In pratica, per le lesioni di lieve entità, fino al 9% di invalidità (c.d. micropermanenti), l’art. 139 del codice delle assicurazioni private stabilisce che il risarcimento viene liquidato per un importo crescente in misura più che proporzionale in relazione ad ogni punto percentuale di invalidità. L’importo, calcolato in base ad un predeterminato coefficiente, si riduce con il crescere dell’età del soggetto in ragione dello 0,5% per ogni anno di età a partire dall’undicesimo anno di età. Il valore del punto, originariamente fissato in €. 674,78, viene aggiornato periodicamente con decreto del Ministero delle attività produttive[13].

Per le lesioni di non lieve entità (dal 10% al 100% di invalidità), l’art. 138 del codice rinvia all’adozione di una futura tabella ministeriale la determinazione dei criteri di liquidazione.

In verità, ad oggi, il regolamento integrativo non è ancora stato emanato; un significativo stimolo all’introduzione della necessaria disciplina normativa è stata sicuramente data dai succitati arresti della Cassazione, che dopo avere adeguatamente stigmatizzato il perdurante ritardo legislativo, giunge ad affermare la necessità di riferirsi anche per la liquidazione di queste tipologie di lesioni alle tabelle milanesi.

Ed infatti poco tempo dopo la pubblicazione delle innovative sentenze della corte milanese il Consiglio dei ministri del 3 agosto 2011, approvava lo schema di decreto sulla tabella unica nazionale prefigurata dal citato art. 138.

Con riguardo al provvedimento in esame interveniva il parere preventivo del Consiglio di Stato, depositato il 17 novembre 2011, che manifestava forti perplessità, sia sulla sospetta tempistica dell’intervento normativo, che sul merito del provvedimento.

Quanto al merito delle critiche, il Consiglio di Stato metteva in luce come le modalità di redazione della tabella divergono da quanto prescritto dall’art. 138 del codice delle assicurazioni private, atteso che, non soltanto, non crescono in misura più che proporzionale con l’aumentare della percentuale di invalidità, ma addirittura aumentano in modo meno che proporzionale.

Conseguentemente, per le lesioni di non lieve entità prodotte dall’esercente la professione sanitaria il giudice continuerà a far ricorso alla valutazione equitativa, utilizzando il cd. sistema tabellare, ed, in particolare, la tabella elaborata dalla corte milanese.

 


[1] Decreto Legislativo 7 settembre 2005, n. 209.

[2] Quest’evidente lacuna legislativa è stata colmata con il Decreto Legislativo 23 febbraio 2000, n. 38 (Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, a norma dell’articolo 55, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144) che all’art. 13 stabilisce: “In attesa della definizione di carattere generale di danno biologico e dei criteri per la determinazione del relativo risarcimento, il presente articolo definisce, in via sperimentale, ai fini della tutela dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali il danno biologico come la lesione all’integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico legale, della persona. Le prestazioni per il ristoro del danno biologico sono determinate in misura indipendente dalla capacità di produzione del reddito del danneggiato”. Identica è la definizione contenuta nell’art. 5, co. 3, della Legge 5 marzo 2001, n. 57 (Disposizioni in materia di apertura e regolazione dei mercati): “Agli effetti di cui al comma 2, per danno biologico si intende la lesione all’integrità psicofisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale. Il danno biologico è risarcibile indipendentemente dalla sua incidenza sulla capacità di produzione di reddito del danneggiato”.

[3] In verità, nel corso degli anni il legislatore ha riconosciuto con norme specifiche il risarcimento del danno non patrimoniale in una moltitudine di casi: danni derivanti dalla privazione della libertà personale cagionati dall’esercizio delle funzioni giudiziarie (art. 2, Legge 13 aprile 1988, n. 117); adozione di atti discriminatori per motivi razziali, etnici o religiosi (art. 44, co. 7, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286); mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo (art. 2, Legge 24 marzo 2001, n. 89); impiego di modalità illecite nella raccolta dei dati personali (art. 15, D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, che riproduce quanto già previsto dalla Legge 31 dicembre 1996, n. 675).

[4] Trib. Genova, 25 maggio 1974, in Giur. it., 1975, I, 2, 54; seguita da Trib. Genova, 20 ottobre 1975, ivi, 1976, I, 2, 443.

[5] Trib. Pisa, 10 marzo 1979, in Giur. it., 1980, I, 2, 20.

[6] Cort. Cost., 26 luglio 1979, n. 88, in Giur. it., 1980, I, 1, 9. Nello stesso senso: Cass., 6 aprile 1983, n. 2396, in Giust. civ., Mass., 1983, fasc. 4, affermò che il bene della salute costituisce oggetto di un autonomo diritto primario ed assoluto, sì che il risarcimento dovuto per effetto della sua lesione non può essere limitato alle conseguenze che incidono sull’attitudine a produrre reddito, ma deve autonomamente comprendere anche il cosiddetto danno biologico da intendersi come la menomazione dell’integrità psico-fisica della persona in sé e per sé considerata.

[7] Cort. Cost., 14 luglio 1986, n. 184, in Foro it., 1986, I, 2053.

[8] Cass., 11 novembre 2008, nn. 26972, 26973, 26974, 26975, in Il civilista, 2009, 1, 29.

[9] Cass., 16 maggio 2013, n. 11950, in Giust. civ., Mass., 2013.

[10] Cort. Cost., 14 luglio 1986, n. 184, cit.

[11] Celebre in proposito è il cd. “caso Gennarino”: il figlio minorenne di un manovale aveva subito un notevole (ingiusto) danno fisico, ma la somma liquidata in suo favore era stata parametrata al lavoro del padre, in ragione del fatto che la vittima (così si presumeva) avrebbe svolto, in futuro, la medesima attività (Trib. Milano, 18 gennaio 1971, in Giur. mer., 1971, I, 209).

[12] Cass., 7 giugno 2011, n. 12408, in Dir. & Gius., 2011, 11; Cass., 30 giugno 2011, n. 14402, in Riv. it. dir. lav., 2011, 4, II, 1041.

[13] Il D.M. 6 giugno 2013 ha fissato in €. 791,95 il valore del primo punto di invalidità.

Giovanni Gargiulo

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