Il reclamo nelle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento

Redazione 30/10/19
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di Chiara Cracolici e Alessandro Curletti

Sommario

Abstract

1. I provvedimenti impugnabili

2. I soggetti legittimati al reclamo

3. Forma e contenuto del reclamo

4. I termini del reclamo

5. Il reclamo nel Codice della crisi di impresa. Brevi cenni

6. Considerazioni conclusive

Abstract

Il presente contributo mira a delineare una cornice intorno ad una questione, ancora oggi poco affrontata, afferente le procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento di cui alla L. n. 3/2012: la fase di reclamo. Verranno con attenzione individuati ed esaminati i provvedimenti impugnabili, i soggetti legittimati al reclamo, nonché gli aspetti formali e processuali attinenti a questa delicata fase, non senza uno sguardo prospettico proiettato all’oramai quasi immediato futuro della riforma. Non si mancheranno di evidenziare, nella parte conclusiva, eventuali spunti di riflessione, che si auspica possano eventualmente formare oggetto di una rivisitazione normativa della materia.

La scelta di affrontare una tematica, quale quella del reclamo nelle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento, disciplinate dalla legge, 27 gennaio 2012, n. 3 e succ. mod. e integr., nasce dall’esigenza di delineare una cornice piuttosto marcata intorno ad una tematica, di natura squisitamente processuale, ad oggi, poco conosciuta e, per quanto consta, scarsamente applicata dai professionisti e, più in generale, dagli operatori del diritto. Ora, al fine di poter meglio comprendere e così sviluppare il tema oggetto del presente contributo, appare utile suddividere l’argomento generale in quattro sottocategorie: una prima, dedicata alla specifica individuazione dei provvedimenti che, nell’ambito delle procedure concorsuali in esame, possono essere impugnati mediante lo strumento del reclamo; una seconda, dedicata all’individuazione dei soggetti legittimati alla proposizione di tale mezzo di impugnazione; una terza, dedicata all’esame ed all’indicazione della forma, del contenuto e, finanche, dei limiti contenutistici propri del reclamo; una quarta nonché ultima categoria, dedicata all’individuazione dei termini entro i quali esperire il mezzo di impugnazione in oggetto, senza dimenticare la questione relativa all’applicabilità della sospensione feriale dei termini processuali.

Si segnala sin d’ora che l’analisi della fattispecie verrà comunque condotta, principalmente, sulla base della tutt’ora vigente normativa contenuta nella L. n. 3/2012, ma con uno sguardo attento e prospettico rivolto al recente Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza di cui al d.lgs., 12 gennaio 2019, n. 14. Con riferimento a quest’ultimo aspetto, non si può sottacere come la disciplina contenuta nel codice possa non essere quella definitiva che troverà definitiva applicazione a far data dal 15 agosto 2020, atteso che sono attualmente allo studio, da parte del Governo, in forza della delega conferita con legge, 8 marzo 2019, n. 20, decreti legislativi contenenti disposizioni integrative e correttive del d.lgs. n. 14/2019.

1. I provvedimenti impugnabili

Ad ogni buon conto, procedendo con ordine e venendo ora alla trattazione della prima categoria, appare anzi tutto preliminarmente utile ben osservare come il reclamo rappresenti il mezzo di impugnazione ordinaria dei provvedimenti resi nell’ambito, non soltanto di tutte e tre le principali procedure da sovraindebitamento, nella specie, il piano del consumatore, l’accordo di composizione della crisi e la liquidazione del patrimonio, ma anche nella procedura di esdebitazione (eventualmente) esperita a seguito della chiusura della procedura di liquidazione del patrimonio e disciplinata dall’art. 14 terdecies L. n. 3/2012. Un’ulteriore ultima premessa sia concessa: il reclamo, nell’ambito dell’istituto del sovraindebitamento, rappresenta, come detto, il mezzo di impugnazione di tutti i provvedimenti resi dal giudice monocratico della procedura e, occorre aggiungere, i provvedimenti emessi assumono tutti la forma del decreto. Si ritiene infatti che l’aver inserito nel testo della legge la parola “ordinanza”, riferendosi al provvedimento di diniego dell’istanza di omologa della proposta di piano del consumatore (cfr. art. 12 bis, co. 3), sia frutto di una svista lessicale del legislatore. Tanto premesso, al fine di ben individuare i provvedimenti, rectius, i decreti avverso i quali può essere proposto ed esperito il rimedio del reclamo, occorre, ad avviso degli scriventi, operare una chiara distinzione tra le diverse fasi che caratterizzano le tre procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento e al contempo la procedura di esdebitazione eventualmente esperita dal debitore a seguito della chiusura della procedura di liquidazione. Questo perché in ogni singola fase il giudice della procedura emette varie tipologie di decreto, che, a seconda del contenuto, potranno essere impugnati o meno con il reclamo.

Preliminarmente, va osservato come, comune a tutte e tre le procedure (accordo di composizione della crisi, piano del consumatore e liquidazione del patrimonio, ma non anche la procedura di esdebitazione successiva alla chiusura della liquidazione), vi sia la fase di nomina, da parte del presidente del Tribunale o dal giudice da lui delegato del professionista facente funzioni di organismo di composizione della crisi, ai sensi e per gli effetti dell’art. 15, co. 9. Il debitore, infatti, può rivolgersi, alternativamente, o ad un organismo costituito sul territorio e con sede in uno dei comuni compresi nel circondario del Tribunale territorialmente competente ovvero direttamente al Tribunale. Nella prima ipotesi, sarà il Referente dell’organismo a nominare un gestore della crisi che svolga la funzione di ausilio del debitore sovraindebitato, come previsto dalla legge; in tale caso non è previsto alcun intervento del giudice, se non quello limitato ad autorizzare il gestore nominato, previa richiesta, all’accesso alle banche dati pubbliche. Nella seconda ipotesi, l’intervento del giudice si articola, da un lato, nella valutazione dell’istanza di nomina del professionista facente funzioni di OCC, laddove, dall’altro, nella valutazione dell’istanza, formulata dal professionista nominato, di essere autorizzato all’accesso alle banche dati pubbliche relative al debitore istante. Un intervento del giudice pur raro potrebbe ulteriormente ipotizzarsi qualora il ricorrente, a titolo esemplificativo e non esaustivo, formuli delle istanze specifiche, oltre che soggettivamente particolari (si pensi, alla richiesta di rateizzazione del fondo spese concesso dal giudice al professionista facente funzioni di occ all’atto della nomina).

Come detto, la preliminare fase di nomina del professionista facente funzioni di organismo di composizione della crisi esiste a condizione e nella misura in cui: (i) il debitore sovraindebitato decida di fare ricorso ad una procedura di accordo di composizione della crisi, di piano del consumatore o di liquidazione del patrimonio, non essendo prevista, invece, per la fase di esdebitazione conseguente alla chiusura della liquidazione; (ii) il debitore sovraindebitato decida di rivolgersi al Tribunale per ottenere la nomina del professionista facente funzioni di organismo di composizione della crisi, vuoi perché non ancora costituito un organismo nel comune di sua residenza o anche solo in un limitrofo comune compreso nel circondario di del Tribunale competente per territorio, vuoi perché ritenga di rivolgersi, pur in presenza di un occ costituito sul territorio, ad un gestore nominato direttamente dal Tribunale.

Terminata e conclusa la fase di nomina, ci si avvia e ci si addentra nel cuore delle procedure.

Procedendo con scrupoloso ordine, nella procedura di piano del consumatore e di accordo di composizione della crisi, tre sono le fasi che caratterizzano l’iter procedurale: la fase di apertura, durante la quale il giudice opera una prima valutazione in ordine all’ammissibilità della proposta di piano o di accordo ed all’assenza di atti in frode posti in essere dal debitore ai danni dei creditori, nonché, quanto alla sola procedura di piano del consumatore (essendo la procedura di accordo soggetta al meccanismo del c.d. automatic stay), in ordine all’eventuale istanza di sospensione di specifici procedimenti di esecuzione forzata avviati nei confronti del debitore, che potrebbero nelle more della convocazione dei creditori pregiudicare la fattibilità del piano; la fase di omologa, durante la quale il giudice, nell’ambito della procedura di accordo di composizione della crisi verifica nuovamente l’assenza di iniziative ed atti in frode ai creditori, il raggiungimento della percentuale dei consensi di cui all’art. 11 L. n. 3/2012 e l’idoneità del piano ad assicurare il pagamento integrale dei crediti impignorabili, nonché dei crediti di cui all’art. 7, co. 1, terzo periodo (derivanti più nello specifico da tributi costituenti risorse dell’Unione Europea, imposta sul valore aggiunto e ritenute operate e non versate), oltre che, in caso di contestazioni pervenute dai creditori non aderenti o esclusi o da qualunque altro interessato sulla (non) convenienza dell’accordo, la maggior convenienza dello stesso rispetto all’alternativa liquidatoria di cui alla sezione seconda, mentre nell’ambito del piano del consumatore verifica la fattibilità del piano, analogamente alla procedura di accordo verifica l’idoneità dello stesso ad assicurare il pagamento dei crediti impignorabili e dei crediti previsti dall’art. 7, co. 1, terzo periodo, svolge il giudizio sulla meritevolezza del consumatore e, in presenza di contestazioni da parte dei creditori ovvero di qualunque altro interessato sulla convenienza del piano, analogamente alla procedura di accordo valuta la maggior convenienza del piano rispetto all’alternativa liquidatoria disciplinata dalla sezione seconda; la – eventuale – fase di patologia del piano e dell’accordo, all’interno della quale il giudice si trova a decidere sulla revoca, sull’annullamento o sulla risoluzione dell’accordo (cfr. artt. 11, co. 4, e 14) ovvero sulla revoca e sulla cessazione degli effetti dell’omologazione del piano del consumatore (cfr. art. 14 bis).

Per completezza, appare opportuno menzionare anche la fase esecutiva dell’accordo e del piano, normata dall’13 durante la quale il giudice, a mente del terzo comma della disposizione menzionata, decide sulle contestazioni insorte in fase esecutiva e sulla sostituzione del liquidatore per giustificati motivi, nonché sulle istanze di autorizzazione allo svincolo delle somme pignorate e di cancellazione delle trascrizioni e iscrizioni pregiudizievoli. Vi è, ma di questo se ne parlerà in maniera più approfondita nel prosieguo, sempre nella fase esecutiva la possibilità che l’esecuzione del piano o accordo divengano impossibili per ragioni non imputabili al debitore. In tale ipotesi, l’art. 13, comma 4 ter, accorda al debitore la possibilità di modificare, con l’ausilio dell’occ, la proposta di piano o accordo. In tale ipotesi, il giudice delegato vaglierà l’ammissibilità della nuova proposta modificata, con conseguente applicazione di tutte le regole procedurali già espresse.

Apparentemente più semplice appare la procedura di liquidazione del patrimonio, la quale risulta articolata in sole due fasi: la fase di apertura, nella quale il giudice verifica l’ammissibilità della domanda e l’assenza di atti in frode posti in essere dal debitore ai danni dei creditori negli ultimi cinque anni; la fase propriamente esecutiva, durante la quale il liquidatore nominato dal giudice forma in prima battuta l’inventario dei beni da liquidare, predispone il progetto di stato passivo, elabora ed esegue il programma di liquidazione; in questa fase, l’intervento del giudice è piuttosto limitato e si concentra principalmente sull’approvazione dello stato passivo, ove sorgano contestazioni non superabili svolte dai creditori al progetto sottoposto dal liquidatore, nonché, in generale, sulla chiusura della procedura al termine del quadriennio decorrente dal deposito della domanda.

Infine, la procedura di esdebitazione conseguente alla chiusura della liquidazione del patrimonio si articola nella sostanza in due fasi: la prima, nella quale il giudice della procedura sente i creditori non integralmente soddisfatti e verifica la sussistenza delle condizioni di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 14 terdecies; la seconda fase, eventuale, nella quale il giudice si trova a dover valutare l’istanza di revoca formulata dai creditori ex art. 14 terdecies, co. 5.

Orbene, esaminate le singole fasi di ciascuna procedura di composizione della crisi, esaminiamo più da vicino quale potrebbe essere il contenuto dei decreti che il Presidente del tribunale o il giudice da lui delegato (nella fase di nomina anteriore all’avvio delle procedure) o dal giudice delegato (nel corso del cuore procedurale degli istituti avviati) verrebbe ad emettere.

Nella fase di nomina del professionista facente funzioni di organismo di composizione della crisi, l’esperienza giurisprudenziale insegna come i provvedimenti emessi dal Presidente del Tribunale ovvero dal giudice da lui delegato sono essenzialmente di quattro tipi: (i) decreto di accoglimento dell’istanza di nomina formulata dal debitore ricorrente, con conseguente nomina, exart. 15, co. 9, L. n. 3/2012, del professionista con funzioni di organismo di composizione della crisi; (ii) decreto di diniego dell’istanza formulata dal debitore volta alla nomina dell’organismo di composizione della crisi (tale ipotesi potrebbe, a titolo di esempio, verificarsi [e, in effetti, si è in concreto verificata] qualora il giudice adito aderisse allo storico orientamento del Tribunale di Forlì (espresso con decreto del 8 giugno 2016) ed al conseguente orientamento della Suprema Corte[1], che ha ritenuto come, in presenza di un organismo di composizione della crisi costituito sul territorio, il debitore non potesse chiedere al tribunale la nomina di un professionista facente funzioni, ma dovesse necessariamente rivolgersi all’occ costituito); (iii) decreti aventi contenuto variabile a seconda dell’istanza formulata vuoi dal ricorrente vuoi dal gestore della crisi (ad esempio, richiesta di proroga o di autorizzazione alla rateizzazione del fondo spese concesso dal tribunale al professionista facente funzioni di occ, richiesta da parte del gestore di autorizzazione all’accesso alle banche dati relative al debitore ricorrente); (iv) decreto di archiviazione della procedura dopo la nomina del professionista ex art. 15 (tale ipotesi potrebbe verificarsi nell’ipotesi in cui, ad esempio, il debitore dopo la nomina appaia inerte e il professionista nominato si trovi costretto a richiedere l’archiviazione della procedura o se la proposta che il debitore intenda presentare appaia manifestamente inammissibile e il professionista ritenga di dover richiedere al giudice l’archiviazione della stessa[2]).

Nella fase di apertura della procedura di accordo di composizione della crisi, il giudice potrebbe emettere quattro tipologie di decreti: (i) un primo decreto (eventuale), con cui, ai sensi del comma 3 ter dell’art. 9, può concedere al ricorrente (e all’organismo di composizione della crisi) un termine perentorio non superiore a quindici giorni per apportare integrazioni alla proposta di accordo presentata e produrre nuovi documenti; (ii) un decreto, successivo o alternativo al primo (essendo solamente eventuale l’emissione del decreto di cui al comma 3 ter dell’art. 9), con il quale dichiara l’inammissibilità della proposta di accordo; (iii) un decreto, successivo o alternativo al primo, con il quale dichiara l’ammissibilità della proposta di accordo e per l’effetto fissa immediatamente l’udienza, disponendo la comunicazione ai creditori della proposta di accordo e del decreto, la pubblicazione e, se del caso, la trascrizione degli stessi ed adottando tutte le misure conservative e protettive previste dall’art. 10, co. 2, lett. c); (iv) un decreto (piuttosto raro, ma che, nella fattispecie, ha trovato vieppiù spazio nella proposta di piano del consumatore in materia di falcidia dei crediti derivanti da contratto di prestito personale con cessione del quinto dello stipendio, ma che potrebbe trovare applicazione anche in materia di accordo), con il quale, prima ancora di fissare udienza ex art. 10 ovvero in assenza di una richiesta di integrazioni o chiarimenti ex art. 9, co. 3 ter, invita il ricorrente a modificare la propria proposta di accordo sulla base di specifiche indicazioni, principi e criteri[3].

Nella fase di omologa della medesima procedura, il giudice delegato potrebbe emettere decreti, aventi tre possibili contenuti: (i) un primo decreto emesso ai sensi e per gli effetti del comma 3 dell’art. 10, con il quale, indipendentemente dal raggiungimento della percentuale dei consensi ex art. 11, co. 2, dispone la revoca del decreto di fissazione udienza di cui al comma 1 dell’art. 10, la cancellazione della trascrizione dello stesso ove disposta, nonché la cessazione di ogni altra forma di pubblicità disposta (tale ipotesi si verifica nel caso il giudice all’udienza accerti la presenza di iniziative o atti in frode ai creditori); (ii) verificata all’udienza fissata l’assenza di iniziative ed atti in frode, un decreto di omologa della proposta di accordo presentata (trattasi della casistica delineata dall’art. 12, co. 2); (iii) un decreto di rigetto dell’istanza di omologa (trattasi, in tale ipotesi, del verificarsi, a contrario ovviamente, della casistica di cui al menzionato secondo comma dell’art. 12).

Nella fase, per così dire, “patologica” della procedura, caratterizzata vieppiù da inadempimenti più o meno gravi, comportamenti fraudolenti del debitore ovvero da una impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa imputabile o non imputabile al debitore, il giudice può: (a) emettere il decreto di revoca ex art. 11, co. 5; (b) emettere il decreto di revoca (o di cessazione degli effetti di cui al comma 3 dell’art. 12) ex art. 12, co. 4; (b) emettere il decreto di risoluzione o annullamento ex art. 14.

La procedura di piano del consumatore presenta provvedimenti similari, ma non del tutto identici, rispetto a quelli emessi nella procedura di accordo di composizione della crisi.

Partendo dalla fase di apertura, pressoché identici (rispetto alla procedura di accordo) sono i provvedimenti emessi dal giudice delegato. Pressoché, in quanto l’unica differenza consta nel campo della sospensione delle procedure esecutive, che, nella procedura di piano del consumatore, ai sensi del secondo comma dell’art. 12 bis, non è automatica, né si accompagna necessariamente al decreto di fissazione udienza, ma può formare oggetto di autonomo decreto, di accoglimento/rigetto, formato sulla base di un’apposita istanza del debitore sovraindebitato cui spetta ex lege l’onere di dimostrare la circostanza che, nelle more della convocazione dei creditori, la prosecuzione di specifici procedimenti di esecuzione forza potrebbe pregiudicare la fattibilità del piano. Ora, il giudice, dice la disposizione citata, “con lo stesso decreto” (ma, nella prassi, può verificarsi che il decreto sia differente), qualora ricorrano gli indicati presupposti, può disporre la sospensione degli indicati procedimenti esecutivi sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo. Certo è che, se il giudice delegato non ritenesse ammissibile la proposta, non avrebbe motivo per sospendere alcuna procedura esecutiva; la procedura di chiuderebbe con un decreto di inammissibilità tout court della proposta. Diversamente, il giudice potrebbe, al contrario, dichiarare sì l’ammissibilità della proposta di piano, ma non ritenere sussistenti i presupposti indicati dal co. 2 dell’art. 12 bis per dichiarare la sospensione degli indicati procedimenti esecutivi pendenti. D’altronde, come poc’anzi precisato, ipotizzando che il giudice sospenda la procedura esecutiva pendente, il decreto di sospensione ben potrebbe essere contenuto in un differente ed autonomo provvedimento rispetto al provvedimento con cui dichiara aperta la procedura.

Anche la fase di omologa si caratterizza per la compresenza, pur con differenti presupposti, di due tipologie di provvedimenti, l’uno di omologa, l’altro di rigetto. Non compare il provvedimento di revoca del decreto di fissazione udienza, previsto dall’art. 10, co. 3.

Quanto alla fase patologica del piano del consumatore, pur con differenti nomenclature i provvedimenti di fatto sono similari a quelli previsti nella procedura di accordo. Il riferimento va, tuttavia, in questo caso all’art. 12 ter, co. 4, che, similarmente all’ipotesi prevista dall’art. 12 co. 4, contempla un decreto di cessazione degli effetti dell’omologazione del piano del consumatore particolare ed all’art. 14 bis, che, analogamente alla fattispecie di cui agli artt. 11, co. 5 e 14, contempla due tipi di decreto, l’uno denominato “revoca e cessazione degli effetti dell’efficacia dell’omologazione del piano del consumatore” (previsto dal primo comma), l’altro di cessazione degli effetti dell’omologazione del piano (secondo comma).

Venendo ora alla procedura di liquidazione del patrimonio, nella prima fase, quella di apertura, il giudice può emettere tre tipologie di decreto: il decreto di inammissibilità, di cui al quinto comma dell’art. 14 ter, emesso nel caso in cui la documentazione prodotta dal debitore non consenta di ricostruire compiutamente la sua situazione economica e patrimoniale; il decreto di apertura della procedura di liquidazione dei beni, laddove sussistano i presupposti previsti dal primo comma dell’art. 14 quinquies; il decreto di inammissibilità emesso, al contrario, laddove i presupposti di cui all’art. 14 quinquies non dovessero ritenersi sussistenti. Nella fase esecutiva, il giudice può emettere i seguenti provvedimenti: il decreto con il quale provvede, ai sensi del co. 4 dell’art. 14 octies, alla definitiva formazione del passivo; il decreto con cui, ai sensi del comma 2 dell’art. 14 novies, autorizza lo svincolo delle somme ed ordina cancellazione delle trascrizioni e iscrizioni pregiudizievoli; il decreto con cui, decorsi almeno quattro anni dal deposito della domanda, accertata la completa esecuzione del programma di liquidazione, dispone la chiusura della procedura.

Concludendo con la procedura di esdebitazione conseguente alla procedura di liquidazione, si può ipotizzare, non essendo ancora presenti precedenti sul punto, che i provvedimenti del giudice possano essere i seguenti: un primo decreto con cui, esaminata la domanda di esdebitazione, fissi un’udienza (si ritiene che tale decreto possa trovare la sua giustificazione nella enunciazione contenuta nel comma 4 dell’art. 14 terdecies, il quale ancora e condiziona la pronuncia di esdebitazione ad una preventiva interlocuzione con i creditori); inoltre, un secondo decreto, con cui, sempre ai sensi del quarto comma della citata disposizione, accolga o respinga la domanda di esdebitazione; un ultimo decreto, con cui decida, in punto accoglimento ovvero rigetto, sulla domanda di revoca del provvedimento di esdebitazione, formulata dai creditori nelle fattispecie indicate dal quinto comma dell’art. 14 terdecies.

Compiuta una articolata panoramica intorno ai provvedimenti che il giudice monocratico potrebbe emettere in ogni singola fase di ciascuna procedura, vediamo ora quali di questi provvedimenti possono di fatto essere oggetto di impugnazione e, nello specifico, ai fini che qui interessano, di reclamo.

In prima battuta, pur nell’assordante silenzio della legge (non essendoci riferimenti nel testo dell’art. 15), la giurisprudenza, di merito e di legittimità, sembrerebbe ritenere che, nella fase di nomina del professionista, tutti i provvedimenti possano essere oggetto di reclamo. O meglio ad avviso degli scriventi dal momento che l’unico soggetto legittimato alla presentazione del reclamo potrebbe di fatto essere il debitore istante, tutti i provvedimenti potenzialmente lesivi di un interesse o di un diritto di quest’ultimo. Non si vedrebbero ragioni per cui, pertanto, il debitore possa (o comunque abbia interesse) a reclamare il provvedimento di nomina del professionista facente funzione di organismo di composizione della crisi, conforme alla sua istanza o anche solo un provvedimento interlocutorio quale l’autorizzazione all’accesso alle banche dati. Diverso il caso in cui il Presidente del Tribunale o il giudice da lui delegato emetta un provvedimento di diniego o di archiviazione[4].

In secondo luogo, nella procedura di accordo di composizione della crisi e, più specificatamente nella fase di apertura della procedura, si ritiene anzi tutto che non vi siano appigli normativi per affermare la reclamabilità del decreto emesso ai sensi dell’art. 9, co. 3 ter; diverso il caso del decreto di inammissibilità del ricorso, nel qual caso si ritiene che la fonte da cui poter desumere la reclamabilità dello stesso possa essere individuata nel sesto comma dell’art. 10, disposizione questa di fatto dedicata al vaglio circa l’ammissibilità o meno della procedura (letteralmente si prevede che “si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Il reclamo si propone al tribunale e del collegio non può far parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento”). Quanto al decreto con il quale il giudice dichiara l’apertura della procedura e, dunque, l’ammissibilità della proposta ai sensi dell’art. 10, co. 1, e con la quale dispone la comunicazione, la pubblicazione ed eventualmente la trascrizione della proposta e del decreto, si ritiene in questa sede che lo stesso, aderendo ad un’attenta ed autorevole impostazione dottrinale, non possa essere reclamato, né dai creditori né tanto meno dal debitore ricorrente, che peraltro non avrebbe alcun interesse a proporre reclamo avverso tale decreto[5]. Quanto ai creditori, trattasi di un atto che non lede gli interessi di questi ultimi, i quali avranno il potere di esprimere il proprio dissenso, oltre che eventuali successive contestazioni sul successivo provvedimento di omologa.

I provvedimenti emessi nella fase di omologa dell’accordo sono tutti reclamabili per espressa disposizione normativa: quanto al provvedimento di cui al terzo comma dell’art. 10, in forza del sesto comma della stessa disposizione; quanto ai provvedimenti di omologa o rigetto pronunciati ai sensi dell’art. 12, in forza dell’art. 12, co. 2. Analoghe considerazioni valgano con riferimento ai provvedimenti emessi nelle fasi patologiche della procedura di accordo: la possibilità di reclamo è, infatti, espressamente contemplata dal quinto comma dell’art. 11, dal quarto comma dell’art. 12 e dall’art. 14, comma 5.

La procedura di piano del consumatore si allinea sugli stessi binari della procedura di accordo di composizione della crisi. Occorre segnalare solo alcune indicazioni operative. Quanto alla fase di apertura della procedura, richiamando quanto già argomentato in punto accordo, l’unica particolarità nell’ambito del piano riguarda il provvedimento, eventualmente autonomo rispetto al decreto che dispone la comunicazione della proposta e del decreto ai creditori, con cui il giudice della procedura valuta l’istanza, formulata dal debitore ricorrente, di sospendere gli specifici procedimenti esecutivi avviati nei confronti del debitore ed in corso al momento del deposito del piano, che, nelle more della convocazione dei creditori, potrebbero pregiudicare la fattibilità del piano stesso. Orbene, sul punto, si segnala come, in uno storico orientamento di legittimità[6], si sia dato atto di un reclamo – dichiarato comunque formalmente ammissibile pur rigettato nel merito – presentato da un debitore sovraindebitato avverso il decreto con cui il giudice di prime cure aveva rigettato, nell’ambito di una procedura di piano, la propria istanza di sospensione delle procedure esecutive in corso formulata ai sensi del secondo comma dell’art. 12 bis. Quanto alla fase di omologa del piano del consumatore, valgano anche in questo caso le medesime considerazioni già espresse in sede di disamina della procedura di accordo. In questo senso, l’espressa reclamabilità dei provvedimenti emessi è enunciata dal legislatore nell’art. 12 bis, comma 5, il quale espressamente richiama l’art. 12, comma 2, terzo e quarto periodo, i quali, si rammenta, sono dedicati specificamente alla fase di reclamo avverso i decreti emessi dal giudice in fase di omologa. Pure nella fase patologica della procedura di piano, il legislatore sceglie la modalità di richiamo alla procedura di accordo quale espediente normativo per affermare la reclamabilità dei provvedimenti emessi dal giudice: in particolare, quanto al provvedimento di cui all’art. 12 ter, co. 4, la reclamabilità dello stesso viene enunciata attraverso un richiamo, contenuto nella medesima disposizione, al disposto normativo di cui all’art. 12, co. 4 o ai provvedimenti emessi ai sensi dell’art. 14 bis, la reclamabilità degli stessi viene espressamente affermata attraverso un richiamo, contenuto nel sesto comma della medesima disposizione, al disposto di cui all’art. 14, co. 5.

Prima di passare all’esame dei provvedimenti emessi nell’ambito della procedura di liquidazione dei beni, un breve cenno, per completezza espositiva, merita essere speso con riferimento alla fase esecutiva dell’accordo e del piano, normata dall’art. 13. Ora, dal tenore letterale della disposizione citata, nulla viene affermato in ordine alla possibilità di presentare reclamo avverso i provvedimenti eventualmente emessi dal giudice. Si potrebbe, pertanto, ritenere che, analogamente alla previsione di cui all’art. 9, co. 3 ter, anche per tale ipotesi nulla avendo previsto il legislatore in punto reclamo (a differenza delle altre disposizioni), tale possibilità non sarebbe accordata alle parti. In fase esecutiva, tuttavia, è possibile che il debitore, nell’ipotesi in cui il piano o l’accordo o meglio l’esecuzione degli stessi sia divenuta impossibile per ragioni non imputabili al medesimo, con l’ausilio dell’organismo di composizione della crisi, possa, ai sensi e per gli effetti dell’art. 13, comma 4 ter, modificare la proposta e, all’uopo, precisa la norma “si applicano le disposizioni di cui ai paragrafi 2 e 3 della presente sezione”, vale a dire, nello specifico, tutte le disposizioni concernenti la procedura di accordo e di piano del consumatore, comprese, pertanto, quelle che disciplinano la fase di reclamo dei provvedimenti emessi dal giudice. Ne deriva, dunque, che anche i provvedimenti emessi in esito alla fase di modifica della proposta di accordo e di piano normata dal comma 4 ter dell’art. 13 potranno essere oggetto di reclamo.

Venendo ora alla procedura di liquidazione del patrimonio, non è chiara l’impugnabilità o meno, nulla avendo previsto il legislatore sul punto, del decreto emesso ai sensi del quinto comma dell’art. 14 ter: ove si ritenesse di seguire il medesimo ragionamento già svolto con riferimento ai decreti emessi ai sensi dell’art. 9, co. 3 ter e ai sensi dell’art. 13, il decreto, in assenza di una espressa previsione normativa, non dovrebbe poter essere reclamato. Diversa appare la situazione relativa ai decreti emessi ai sensi e per gli effetti dell’art. 14 quinquies, co. 1, la cui reclamabilità è espressamente affermata attraverso un richiamo, contenuto nel primo comma della disposizione citata, al sesto comma dell’art. 10 (relativo alla procedura di accordo di composizione della crisi). Analoghe considerazioni valgano con riferimento al decreto emesso nella fase esecutiva ai sensi del co. 4 dell’art. 14 octies, la cui espressa reclamabilità è nuovamente affermata attraverso il richiamo, contenuto nello stesso comma, al sesto comma dell’art. 10. Nulla viene invece previsto, al contrario, per i decreti emessi dal giudice ai sensi dell’art. 14 novies: potrebbe, a tal fine, valere lo stesso principio enunciato con riferimento al decreto di cui al quinto comma dell’art. 14 ter, il che porterebbe ad escludere l’autonoma impugnabilità dei decreti de quibus. E le stesse analoghe considerazioni potrebbero a questo punto valere con riferimento al decreto di chiusura della procedura, emesso ai sensi del quinto comma dell’art. 14 novies.

Per concludere con la fase di esdebitazione, tutti i provvedimenti emessi possono essere oggetto di reclamo. Il decreto di esdebitazione emesso ai sensi del quarto comma dell’art. 14 terdecies può essere reclamato da parte dei creditori non integralmente soddisfatti, come previsto dal secondo paragrafo della stessa norma. La possibilità di presentare reclamo avverso i decreti emessi in fase di revoca viene espressamente consentita dal sesto comma dell’art. 14 terdecies.

[1] Cass. Civ., Sez. 6, 8 agosto 2017, n. 19740

[2] Cass. Civ, Sez. 6, 9 aprile 2019, n. 9892; Cass. Civ, Sez. 6, 13 novembre 2018, n. 29014; Cass. Civ, Sez. 6, 26 ottobre 2018, n. 27287; Cass. Civ, Sez. 6, 1 giugno 2018, n. 14076; Cass. Civ, Sez. 6, 12 marzo 2018, n. 5997; Cass. Civ, Sez. 6, 23 febbraio 2018, n. 4500; Cass. Civ, Sez. 6, 3 novembre 2017, n. 26201.

[3] Trib. Monza, 26 luglio 2017; conforme, Trib. Torino, 3 aprile 2018.

[4] Cass. Civ, Sez. 6, 9 aprile 2019, n. 9892; Cass. Civ, Sez. 6, 13 novembre 2018, n. 29014; Cass. Civ, Sez. 6, 26 ottobre 2018, n. 27287; Cass. Civ, Sez. 6, 1 giugno 2018, n. 14076; Cass. Civ, Sez. 6, 12 marzo 2018, n. 5997; Cass. Civ, Sez. 6, 23 febbraio 2018, n. 4500; Cass. Civ, Sez. 6, 3 novembre 2017, n. 26201; Cass. Civ., Sez. 6, 8 agosto 2017, n. 19740.

[5] Crivelli, Fontana, Leuzzi, Napolitano, Rolfi, Il nuovo sovraindebitamento dopo il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, Bologna, 2019, pag. 91.

[6] Cass. Civ., Sez. 1, 1 febbraio 2016, n. 1869

2. I soggetti legittimati al reclamo

Compreso l’ambito applicativo oggettivo della fase di reclamo, occorre ora esaminare l’ambito soggettivo del procedimento in questione. Occorre, in altri termini, comprendere chi possa presentare un reclamo.

In primo luogo, Il reclamo, nell’ambito delle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento in esame, può essere certamente presentato dal debitore ricorrente, allorquando il provvedimento emesso dal giudice della procedura leda i suoi interessi.

Si pensi, a titolo esemplificativo e non esaustivo, al decreto che dichiari l’inammissibilità della procedura già in fase di apertura o anche solo che, nella fase immediatamente successiva, rigetti l’istanza di omologa di una proposta di accordo o di piano o che dichiari inammissibile la domanda di liquidazione del patrimonio. O al decreto che, nell’ambito della procedura di piano del consumatore, rigetti l’istanza di sospensione della o delle indicate procedure esecutive in corso. Come anche al decreto che dichiari l’annullamento, la risoluzione, la revoca, la cessazione degli effetti dell’omologazione, vuoi dell’accordo vuoi del piano omologati. Oppure, al decreto che dichiari la revoca del provvedimento di esdebitazione seguente alla chiusura della procedura di liquidazione o ancor prima al provvedimento che neghi l’esdebitazione successivamente alla chiusura della liquidazione del patrimonio.

Le ipotesi sono piuttosto chiare, come piuttosto chiare appaiono anche le ipotesi che conferiscono analogo potere ai creditori.

Trattasi, nella sostanza di tutti i provvedimenti di segno contrario rispetto a quelli su menzionati. Decreti che nello specifico ledono gli interessi dei creditori.

Proprio sull’identificazione dei creditori legittimati a presentare un reclamo occorre svolgere qualche breve seppur incisiva riflessione. In particolare, mentre, nella procedura di esdebitazione conseguente alla chiusura della liquidazione del patrimonio, l’art. 14 terdecies, comma 4, consente espressamente ai soli creditori non soddisfatti integralmente la possibilità di presentare un reclamo avverso al decreto che dichiari inesigibili nei confronti del debitore i crediti non soddisfatti integralmente (l’esdebitazione), nella procedura di accordo di composizione, come anche in quella di piano del consumatore, il richiamo alla possibilità di presentare un reclamo avanti al collegio è piuttosto generica e non si sofferma in alcun modo sull’individuazione dei soggetti legittimati al ricorso. Il tema che occorre affrontare attiene all’esame della questione relativa alla possibilità o meno dei creditori che nulla abbiano opposto o contestato nel corso del giudizio di omologa di presentare un reclamo avverso il decreto di omologa della proposta di accordo o di piano.

Sul punto, nel silenzio della legge, appare interessante segnalare un recente orientamento giurisprudenziale del Tribunale di Udine, che, in applicazione analogica dell’art 180, co. 3, della legge fallimentare (contenuta nel r.d. n. 267/1942), ritiene che legittimato al reclamo sia solo il creditore che abbia svolto osservazioni e si sia opposto all’omologazione del piano. L’articolato ragionamento posto alla base del decreto – si precisa, in una procedura di piano del consumatore, vero, ma applicabile, ad avviso di chi scrive, anche alla procedura di accordo, in quanto sorretta dalla medesima ratio – si fonda su quattro argomentazioni: “a) in mancanza di specifiche disposizioni nella legge n. 3 del 2012, pare corretto applicare, per analogia, il principio espresso nell’art. 180, comma 3, legge fall. con riferimento all’omologazione del concordato preventivo (“se non sono proposte opposizioni, il tribunale, verificata la regolarità della procedura e l’esito della votazione, omologa il concordato con decreto motivato non soggetto a gravame”) ; b) non osta al riconoscimento della eadem ratio (rispetto alla disposizione relativa al concordato preventivo) il fatto che, nel caso del piano del consumatore non c’è alcuna votazione dei creditori e non deve essere raggiunta alcuna maggioranza favorevole; infatti, il procedimento per l’omologazione del piano del consumatore prevede comunque il previo necessario coinvolgimento di tutti i creditori interessati, con la fissazione di un’apposita udienza e un termine a comparire minimo di trenta giorni; c) ne consegue che il reclamo, un rimedio di natura impugnatoria, presuppone necessariamente che il reclamante abbia visto in qualche modo disattese le sue richieste nella fase precedente oppure lamenti di non avervi potuto partecipare per un vizio procedurale; d) ciò appare coerente rispetto all’obiettivo di un equo contemperamento tra l’interesse del debitore ad una rapida stabilizzazione degli effetti della procedura di sovraindebitamento e quello dei creditori a potere interloquire sulla sussistenza dei presupposti di legge per la composizione del sovraindebitamento, presupposti che – come nel caso dell’omologazione del concordato preventivo – devono essere in ogni caso verificati dal giudice anche d’ufficio[7].

[7] Trib. Udine, 2 maggio 2019

3. Forma e contenuto del reclamo

Tutte le disposizioni, contenute nella L. n. 3/2012, che di reclamo si occupano dettano alcuni principi espressi: in primo luogo, il reclamo si propone al tribunale e del collegio non può far parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento; in secondo luogo, si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile e, con specifico riferimento alla sola fase di reclamo, l’art. 739 c.p.c. (cfr. artt. 10 co. 6, 11 co. 5, 12 co. 4, 12 bis co. 5, 12 ter co. 4, 13 co. 4 ter, 14 co. 5, 14 bis co. 6, 14 quinquies co. 1, 14 octies co. 4, 14 terdecies co. 4 e co. 6).

Ora, dal combinato disposto delle disposizioni citate contenute nella L. n. 3/2012 e dell’art. 739 c.p.c., emerge che, contro i decreti del giudice delegato, si può proporre reclamo con ricorso al tribunale in composizione collegiale, che pronuncia in camera di consiglio.

Il ricorso, secondo una parte della giurisprudenza di merito, deve essere necessariamente presentato tramite un difensore e dunque il reclamante, qualora fosse non abbiente, può essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato. Ed infatti, secondo l’orientamento citato, nell’ambito delle procedure di composizione della crisi, “vi sono parti del procedimento in cui certamente è obbligatoria la presenza del difensore (quali i reclami ex art. 737 c.p.c.)” e, in tale ipotesi, la normativa sul patrocinio a spese dello Stato, in applicazione del generale principio sancito dal terzo comma dell’art. 24 Cost., non potrebbe non trovare applicazione[8].

Chiariti gli aspetti formali relativi al reclamo, è interessante osservare come, in seno alla giurisprudenza, si siano sviluppati due distinti orientamenti in ordine ai limiti contenutistici del ricorso e, in particolare, in ordine al regime delle preclusioni. Secondo un primo orientamento, nova in fase di reclamo sarebbero certamente improponibili[9]; un contrapposto e più recente orientamento ritiene invece che “nel procedimento di reclamo, che è regolato dall’art. 737 c.p.c., non vi sono preclusioni alla deduzione di fatti nuovi ed alla produzione di nuova documentazione”[10].

Da ultimo, un breve accenno e spunto di riflessione in ordine alla disciplina applicabile al procedimento. Ora, la legge, in effetti, fa un riferimento in generale alla disciplina camerale di cui agli artt. 737 c.p.c. Sennonché, una interessante sentenza della Suprema Corte di Cassazione, riprendendo i termini indicati dalle disposizioni di cui agli artt. 10 e 12 (“si applicano, in quanto compatibili, gli artt. 737 ss. c.p.c. Il reclamo, anche avverso il provvedimento di diniego, si propone al tribunale e del collegio non può far parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento”), ha osservato come le disposizioni de quibus contengano, a ben vedere, due indicazioni. In primo luogo, secondo la sentenza qui citata, affiora il dubbio se l’applicazione della disciplina camerale sia riferibile (anche) al provvedimento che decide sul reclamo dell’omologa o se a quest’ultimo non sia invece riservato un destino a sé stante. In secondo luogo, appare utile sottolineare in maniera forte come, in ogni caso, l’applicazione della disciplina camerale non sia automatica, ma frutto (per sé eventuale), di “riscontri specifici e ragionati, in quanto espressamente subordinata al rispetto del limite dell’effettiva sua compatibilità con le caratteristiche della procedura del sovraindebitamento”[11].

[8] Trib. Torino, 16 novembre 2017

[9] Trib. Torino, 11 aprile 2017

[10] Trib. Torino, 5 luglio 2019; conf. Trib. Sulmona, 21 luglio 2017

[11] Cass. Civ., Sez. 1, 23 febbraio 2018, n. 4451

4. I termini del reclamo

Affrontata la questione relativa alla forma ed al regime delle preclusioni in fase di reclamo, non rimane che esaminare la questione relativa al termine entro il quale il reclamante possa presentare un reclamo avverso un decreto nell’ambito di una procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento.

Ora, l’applicabilità, espressamente ed in più parti richiamata dalla L. n. 3/2012, delle disposizioni di cui agli artt. 737 ss. e c.p.c., rende agevole la risposta a tale quesito. Ed infatti, ai sensi del secondo comma dell’art. 739 c.p.c., “[…] il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di dieci giorni dalla comunicazione del decreto se è dato nei confronti di una sola parte, o dalla notificazione se è dato in confronto di più parti“.

La disposizione sopra citata mette in luce due aspetti fondamentali. Da un lato, evidenzia che il termine entro il quale si può presentare reclamo è di dieci giorni ed è perentorio. Dall’altro, con forza segnala quale debba essere il dies a quo per il ricorso al rimedio impugnatorio: la comunicazione (se il decreto è dato in confronto di una sola parte) o la notificazione (se è dato in confronto di più parti).

Orbene, dal momento che, generalmente, il decreto è dato quasi sempre in confronto di più parti, si ritiene che il termine decorra dalla notificazione del decreto.

Per concludere, appare interessante, sulla base della recente giurisprudenza resa in materia, segnalare due ulteriori aspetti processuali.

L’uno, relativo all’applicazione o meno della sospensione feriale dei termini; l’altro, relativo all’applicazione o meno della disposizione di cui art. 13, co. 1 quater d.P.R. 115/2002, in caso di declaratoria di inammissibilità del reclamo.

Con riferimento alla sospensione feriale dei termini, nel silenzio della legge 3 del 2012, il Tribunale di Novara[12] ha statuito che alle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento si applichi la sospensione feriale ai sensi degli artt. 1 e 2 L. 742/1969 e 92 R.D. 12/1941. Sennonché, è però opportuno segnalare che, al contrario, il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza che, giova rammentarlo, troverà applicazione a far data dal 15 agosto 2020, esclude espressamente l’applicabilità della sospensione feriale dei termini alle procedure ivi previste e, dunque, anche alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento. In particolare, a mente della disposizione citata, “la sospensione feriale dei termini di cui all’articolo 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742 non si applica ai procedimenti disciplinati dal presente codice, salvo che esso non disponga diversamente”. Tale indicazione nasce dall’esigenza, individuata dalla relazione illustrativa, di dare attuazione dei principi di riduzione della durata e costi, nonché di semplificazione delle procedure concorsuali di cui rispettivamente alle lettere l) e h) dell’art. 2, co. 1, legge delega n. 155/2017.

Con riferimento alla seconda questione, sempre nel silenzio della legge n. 3/2012, è di recente intervenuto il Tribunale di Udine[13], il quale ha ritenuto che, nell’ambito della fase di reclamo presentato nelle procedure in esame, “sussiste il presupposto per applicare […] l’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, come introdotto dal comma 17 della legge n. 228/2012, laddove si dispone che «quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiara inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1 bis»”.

[12] Trib. Novara, 3 agosto 2019 o.

[13] Trib. Udine, 2 maggio 2019

5. Il reclamo nel Codice della crisi di impresa. Brevi cenni

Anche il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, come anticipato, contiene al suo interno una compiuta disciplina delle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento. La disciplina delle stesse è, nello specifico, contenuta rispettivamente nel Titolo IV, Capo II, Sezioni 1, 2 e 3, nonché nel Titolo V, Capo IX e X e nel Titolo IX, Capo IV. A partire dal 15 agosto 2020, data di entrata in vigore del codice, non si parlerà più di piano del consumatore, bensì di ristrutturazione dei debiti del consumatore. Il concordato minore prenderà il posto dell’accordo di composizione della crisi, come anche la liquidazione controllata del sovraindebitato rispetto alla liquidazione del patrimonio. L’esdebitazione conseguente alla procedura liquidatoria sarà nella disciplina di domani “di diritto” e soggiacerà a requisiti e presupposti molto meno stringenti rispetto a quelli odierni. La novità sarà altresì l’introduzione di una particolare ipotesi di esdebitazione, la c.d. esdebitazione del debitore incapiente, che consentirà al debitore, appunto incapiente, ma meritevole, di accedere, per una volta sola nella vita, all’esdebitazione, pur con l’impegno di devolvere, nell’arco di un determinato periodo di tempo, eventuali risorse al ceto creditizio che possano portare ad una soddisfazione apprezzabile delle loro legittime ragioni.

Ora, anche nella nuova disciplina si parla espressamente di una fase di reclamo nell’ambito delle procedure in esame. Al momento, solo le indicazioni normative e provenienti dalla più attenta dottrina possono essere in un certo senso d’aiuto.

Nella ristrutturazione dei debiti del consumatore, ad esempio, la procedura sarà articolata in due fasi: l’una di apertura, l’altra di omologa della proposta. Nella fase di apertura, la dottrina si è, in particolare, interrogata sulla reclamabilità o meno dei decreti emessi dal giudice della procedura. Quanto al decreto di apertura, la dottrina ritiene che sia “oltremodo evidente che ciò non sia possibile […] allorché lo stesso sia positivo, non essendo atto a ledere i creditori, il cui interesse si incentrerà semmai sul potere di contestazione e successivo provvedimento di omologa, e tantomeno sarà atto a ledere l’interesse del debitore, la cui domanda almeno implicitamente è stata dichiarata ammissibile[14]. Più problematico, secondo la dottrina, appare il tema della reclamabilità del decreto di inammissibilità. Tale ipotesi potrebbe in termini verificarsi, sotto l’impero della nuova riforma, allorché il giudice accerti la non sussistenza delle condizioni di ammissibilità (nella specie, lo stato di sovraindebitamento, la qualifica di consumatore del ricorrente, l’assoggettabilità del medesimo ad altre differenti procedure concorsuali, l’aver beneficiato dell’esdebitazione negli ultimi cinque anni ovvero l’aver beneficiato, senza limiti di tempo, dell’esdebitazione per due volte) e/o delle condizioni di merito (nella specie, la meritevolezza, l’assenza di atti in frode o la fattibilità) della proposta di ristrutturazione.

In tale ipotesi, il decreto di inammissibilità sarebbe certo atto a ledere l’interesse del debitore, “almeno ove si acceda alla ricostruzione secondo cui non è ammessa la riproposizione senza limiti della domanda relativa al medesimo procedimento”[15].

Talché, secondo la dottrina citata, “[…] se si valorizza allora quanto è stato detto a suo tempo in ordine al rientrare le procedure in esame fra quelle soggette al rito dei procedimenti in camera di consiglio, e soprattutto il richiamo delle norme di procedura di cui al Titolo III risulterà evidente la possibilità di reclamo dei provvedimenti di inammissibilità in parola ai sensi dell’articolo 47 C.C.I. e non invece ai sensi dell’art. 124 C.C.I., posto che quest’ultima disposizione presuppone l’apertura del procedimento. Certo la disposizione in esame fa riferimento alla competenza della corte d’appello, ma qui quella del collegio è da ritenersi in base alla clausola di compatibilità di cui all’art. 65, 2 comma, C.C.I. Come previsto dall’art. 47 il procedimento è regolato dagli artt. 737 e 738 c.p.c.[16]. L’alternativa, secondo l’orientamento dottrinale citato, sarebbe quella di escludere certamente la possibilità di reclamo, riconoscendo tuttavia senza limitazione alcuna la possibilità per il debitore di riproporre ad libitum la domanda in termini identici: “[…] il che pare francamente eccessivo nonostante il testo dell’art. 69 C.C.I., a fronte di una ratio che non è certo quella di consentire il mero ripetersi di domande all’infinito, ma invece di censurare comportamenti caratterizzati da grave imprudenza“, la quale verrebbe “dimostrata dal nuovo accesso dopo una esdebitazione di poco anteriore”[17].

Anche nella ristrutturazione dei debiti del consumatore, il giudice, su istanza del debitore ed ove ne ricorrano i presupposti, può concedere misure protettive e conservative, con decreto. Misure che, esattamente come possono essere concesse, possono anche essere revocate, sempre con decreto. Ora, sul punto la più attenta dottrina precisa che “[…] tanto il decreto che le dispone quanto quelle che le revoca siano soggetti a reclamo, questa volta ai sensi dell’art. 124 C.C.I., trattandosi dello strumento di impugnazione delle misure cautelari e protettive stabilito dal Titolo III (cfr. art. 55, 3 comma, C.C.I.)[18]. Sennonché, mentre non parrebbero esservi dubbi in ordine all’individuazione del soggetto legittimato alla proposizione del reclamo avverso il decreto che decide sulla revoca delle misure cautelari e protettive (nella specie, il debitore qualora il giudice accolga l’istanza di revoca ovvero il creditore nell’ipotesi opposta), maggiori criticità sembrerebbero sorgere in ordine all’individuazione del legittimato a presentare l’impugnazione avverso il provvedimento di sospensione o di divieto di azioni esecutive o cautelari. Secondo la dottrina, “indubbiamente in caso di reiezione dell’istanza potrà farlo il debitore, ma in caso di accoglimento è verosimile che possa reclamare il creditore che sia colpito dall’istanza, con termine decorrente a partire dalla notizia che ne avrà”[19].

Nella fase successiva all’apertura, il giudice potrà rigettare o accogliere l’istanza di omologa. Nel primo caso, emetterà un decreto di diniego dell’omologazione, che, ai sensi dell’art. 70, co. 12, potrà essere reclamato ai sensi dell’art. 50. Diversamente, l’omologa, a differenza del rigetto, andrà disposta con sentenza, la quale, a norma dell’ottavo comma dell’art. 70 potrà essere impugnata ai sensi dell’art. 51 del codice.

Come per il piano del consumatore, anche la procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore può subire delle vicende patologiche, che possono portare alla revoca nelle ipotesi di cui all’art. 72 del codice. In tali ipotesi, il sesto comma dell’art. 72 prevede che, in caso di accoglimento dell’istanza di revoca, il giudice provveda con sentenza “reclamabile ai sensi dell’articolo 50”.

Le indicazioni che la normativa e la dottrina hanno fornito in tema di concordato minore sono similari rispetto alla procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore. Appare unicamente interessante segnalare una riflessione operata dalla dottrina, in tema di reclamo avverso il decreto di diniego dell’omologazione della proposta di concordato minore cui sia seguita una sentenza di apertura della liquidazione controllata ai sensi dell’art. 270 del codice. Ora, è interessante riportare un passaggio della dottrina: “alla luce del dettato di cui all’art. 270 l’apertura della procedura di liquidazione dovrà essere operata con separata sentenza. Il comma 7 dell’art. 80 – a mente del quale il decreto di rigetto dell’omologa è reclamabile ai sensi dell’art. 50 (e cioè innanzi alla Corte d’appello, con applicazione delle previsioni di cui agli artt. 737 e 738 c.p.c.) – deve quindi essere interpretato nel senso della reclamabilità diretta del decreto solo ove non sia stata contestualmente pronunciata la sentenza che apre la liquidazione controllata, giacché in quest’ultimo caso – secondo l’insegnamento della Cassazione che appare tuttora applicabile – a dover essere impugnata sarà la sentenza, peraltro con possibilità piena di dedurre nell’impugnazione i vizi che affliggono il decreto”[20].

Nella procedura di liquidazione controllata del sovraindebitato, la dottrina ha messo in luce alcune questioni interessanti. In primo luogo, si pensi al debitore che, in via subordinata rispetto alla domanda di omologa del piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (formulata in via principale), abbia chiesto, come detto in via subordinata, l’apertura della liquidazione controllata del sovraindebitato. Ora, si consideri il caso in cui la domanda di omologazione del piano venga rigettata. Si pone, al riguardo, il problema se – il debitore – sia legittimato al reclamo avverso il decreto di diniego dell’omologazione. Secondo la dottrina, in ordine a tale aspetto “la risposta dovrebbe essere positiva, in quanto egli avrebbe comunque espresso la sua preferenza per l’omologazione del piano, rispetto alla cui richiesta sarebbe rimasto soccombente”[21]. Si consideri ancora l’ipotesi in cui, nelle more di una procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore, i creditori o il PM abbiano richiesto l’apertura della liquidazione controllata del sovraindebitato. Ora, immaginiamo il seguente scenario: la domanda di omologazione del piano viene rigettata (nel qual caso il debitore sarebbe legittimato al reclamo), così pure la domanda di apertura della liquidazione controllata del sovraindebitato (nel qual caso sarebbero legittimati al reclamo i creditori ed il PM). Ci si troverebbe di fronte a due reclami, che secondo la dottrina “saranno riunite in appello per essere istruite in simultaneus processus”. Ipotesi contraria: se, invece, la proposta di ristrutturazione dei debiti del consumatore venisse omologata, nonostante la richiesta del PM o dei creditori di apertura della liquidazione controllata, questi potranno impugnare la sentenza di omologa ai sensi dell’art. 51 C.C.I. Da ultimo, non si dimentichi di considerare anche l’ipotesi più semplice, consistente nell’apertura della procedura liquidatoria: in tal caso, la sentenza sarà impugnabile ai sensi degli artt. 51 e ss. del codice.

Proseguendo l’analisi, un ulteriore spunto di riflessione da trattare riguarda il regime di impugnazione dello stato passivo. Interessante, il commento della dottrina sul punto: “[…] non si comprende, inoltre, per quale motivo l’unica impugnazione prevista contro il decreto motivato del giudice delegato sia un non meglio specificato «reclamo»: si tratta del reclamo cautelare o del reclamo disciplinato nell’ambito dei procedimenti camerali di cui agli artt. 737 e ss. c.p.c.? O si tratta, ancora, del reclamo generico contro gli atti del giudice delegato di cui all’art. 124 del codice? La soluzione preferibile dovrebbe essere l’ultima testé prospettata, visto che è l’unica che richiama un modello procedimentale, oltre che snello, compiuto ed «endoconcorsuale», seppure mutuato dalla disciplina della liquidazione giudiziale. Ne consegue che il reclamo dovrebbe essere proposto entro dieci giorni dalla comunicazione del decreto motivato[22].

Per terminare, non rimane che affrontare la reclamabilità dei provvedimenti resi nella fase di esdebitazione di diritto successiva alla chiusura della procedura di liquidazione controllata del sovraindebitato e nella fase di esdebitazione del debitore incapiente di cui all’art. 283 del codice. Orbene, con riferimento alla prima fase, il decreto che dichiara l’esdebitazione potrà essere impugnato ex art. 124 dai creditori e dal PM entro trenta giorni dalla comunicazione. Pur nel silenzio del codice, si ritiene che, in caso di diniego, anche il debitore sia legittimato a proporre reclamo, al fine di evitare il rischio, correttamente enunciato anche dalla dottrina, di “non creare ingiustificate disparità di trattamento con l’imprenditore sottoposto alla liquidazione giudiziale”[23] Contro il decreto, invece, che concede l’esdebitazione del debitore incapiente ex art. 283, i creditori potranno presentare delle opposizioni. Sulle opposizioni decide il tribunale in composizione collegiale con un decreto motivato, il quale sarà reclamabile in Corte d’appello ai sensi dell’art. 50.

[14] Crivelli, Fontana, Leuzzi, Napolitano, Rolfi, Il nuovo sovraindebitamento dopo il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, Bologna, 2019, pag. 91.

[15] Crivelli, Fontana, Leuzzi, Napolitano, Rolfi, Il nuovo sovraindebitamento dopo il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, Bologna, 2019, pag. 91.

[16] Crivelli, Fontana, Leuzzi, Napolitano, Rolfi, Il nuovo sovraindebitamento dopo il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, Bologna, 2019, pag. 91.

[17] Crivelli, Fontana, Leuzzi, Napolitano, Rolfi, Il nuovo sovraindebitamento dopo il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, Bologna, 2019, pagg. 91 e 92.

[18] Crivelli, Fontana, Leuzzi, Napolitano, Rolfi, Il nuovo sovraindebitamento dopo il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, Bologna, 2019, pag. 97.

[19] Crivelli, Fontana, Leuzzi, Napolitano, Rolfi, Il nuovo sovraindebitamento dopo il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, Bologna, 2019, pag. 97.

[20] Crivelli, Fontana, Leuzzi, Napolitano, Rolfi, Il nuovo sovraindebitamento dopo il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, Bologna, 2019, pag. 203; Cass. Civ., sez. un., 15 maggio 2015, n. 9935, in Foro It., 2015, I, 2323 (con nota di Fabiani, Di un’ordinata decisione della Cassazione sui rapporti fra concordato preventivo e procedimento per dichiarazione di fallimento con l’ambiguo addendo dell’abuso del diritto) e in Giur. comm., 2017, II, 21 (con nota di Girolamo, Le sezioni unite e il principio di prevalenza del concordato preventivo rispetto al fallimento); Cass. Civ., 25 gennaio 2018, n. 1893, in Fall., 2018, 710; Cass. Civ., 26 ottobre 2018, n. 27301.

[21] Crivelli, Fontana, Leuzzi, Napolitano, Rolfi, Il nuovo sovraindebitamento dopo il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, Bologna, 2019, pagg. 233 e 234.

[22] Crivelli, Fontana, Leuzzi, Napolitano, Rolfi, Il nuovo sovraindebitamento dopo il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, Bologna, 2019, pagg. 259 e 260

[23] Crivelli, Fontana, Leuzzi, Napolitano, Rolfi, Il nuovo sovraindebitamento dopo il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, Bologna, 2019, pag. 270.

6. Considerazioni conclusive

La fase di reclamo, ad avviso di chi scrive, presenta non poche criticità, sia nella disciplina attuale che in quella che entrerà in vigore a far data dal 15 agosto 2020.

Nella disciplina attuale, la principale criticità appare icto oculi evidente nell’aver individuato il dies a quo dal quale computare il termine di dieci giorni per la proposizione del reclamo nella notificazione del decreto di omologa. Al di là della farraginosità della procedura, stante l’imposizione de facto di procedere, non soltanto con la pubblicazione e la comunicazione ai creditori del decreto, ma anche, giusto per rimanere dentro i binari delineati dalla disciplina camerale, la notifica ai creditori, si rende evidente che il termine per la proposizione del reclamo sarà variabile, a seconda della data di ricezione della notifica da parte del creditore. Talché, se il debitore pensa che il termine entro il quale la propria omologa possa dirsi definitiva, invero sbaglia, dovendo attendere il perfezionamento della notifica rivolta all’ultimo creditore. Non solo. Imporre la “notificazione”, anziché la sola comunicazione del decreto (generalmente demandata all’occ), di fatto svuota di contenuto il dibattito intorno all’obbligatorietà o meno della difesa tecnica, rendendosi in tutta evidenza necessario un difensore per procedere ad un adempimento, la notificazione, di non facile comprensione, seguendo la stessa regole processuali ben precise e dettagliate. Sarebbe forse stato opportuno che il legislatore individuasse con forza il dies a quo per la computazione del termine per la proposizione del reclamo o nella comunicazione, demandata all’occ, ai creditori, o, ancor meglio, al fine di garantire univocità del termine, nella pubblicazione del decreto sul sito del tribunale o di ampia diffusione.

Nella futura disciplina, invece, si segnala che l’assenza di una modalità e di un termine unico condurrà ad una situazione di inevitabile confusione e, dunque, ad un aggravamento del contenzioso, che vedrà sempre più sovente l’esplodere di eccezioni preliminari di inammissibilità del reclamo per mancato rispetto di forme e termini. Forse sarebbe stato più opportuno prevedere, in tal senso, anche in considerazione dell’intento del legislatore delegato di fornire un quadro normativo snello ed efficace, una disciplina più chiara e semplice, con un unico termine entro cui proporre reclamo ed una unica modalità.

Redazione

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