Il processo va riaperto anche in seguito ad una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo

Redazione 15/04/11
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Con una sentenza (la n. 113/2011 depositata il 7 aprile) che farà sicuramente discutere la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 630 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede un diverso caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di conseguire la riapertura del processo, quando ciò sia necessario, ai sensi dell’art. 46, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo.La Corte costituzionale, partendo dalla constatazione che l’attuale formulazione dell’art. 630 c.p.p. non consente di avvalersi, ai fini di adeguarsi ad una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, del “mezzo straordinario di impugnazione storicamente radicato nel sistema processuale penale, cioè, la revisione” procede alla declaratoria di illegittimità attraverso una sentenza additiva; in pratica la revisione deve essere consentita, pur nel silenzio della norma, anche per la “riapertura del processo … quando la riapertura stessa risulti necessaria, ai sensi dell’art. 46, paragrafo 1, della CEDU, per conformarsi a una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo”.La stessa Corte è consapevole del carattere dirompente della propria decisione. Nei successivi passaggi, infatti, precisa subito che “la necessità della riapertura andrà apprezzata – oltre che in rapporto alla natura oggettiva della violazione accertata (è di tutta evidenza, così, ad esempio, che non darà comunque luogo a riapertura l’inosservanza del principio di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 6, paragrafo 1, CEDU, dato che la ripresa delle attività processuali approfondirebbe l’offesa) – tenendo naturalmente conto delle indicazioni contenute nella sentenza della cui esecuzione si tratta”. Ancora la Consulta sottolinea come “occorre considerare, d’altro canto, che l’ipotesi di revisione in parola comporta, nella sostanza, una deroga – imposta dall’esigenza di rispetto di obblighi internazionali – al ricordato principio per cui i vizi processuali restano coperti dal giudicato. In questa prospettiva, il giudice della revisione valuterà anche come le cause della non equità del processo rilevate dalla Corte europea si debbano tradurre, appunto, in vizi degli atti processuali alla stregua del diritto interno, adottando nel nuovo giudizio tutti i conseguenti provvedimenti per eliminarli”.A conclusione delle sue argomentazioni, la Corte non manca di “inviare” un richiamo al legislatore, invitandolo ad intervenire per disciplinare la materia. Essa, dopo aver ribadito che “l’incidenza della declaratoria di incostituzionalità sull’art. 630 c.p.p. non implica una pregiudiziale opzione di questa Corte a favore dell’istituto della revisione, essendo giustificata soltanto dall’inesistenza di altra e più idonea sedes dell’intervento additivo”, sottolinea come il “legislatore resta pertanto e ovviamente libero di regolare con una diversa disciplina – recata anche dall’introduzione di un autonomo e distinto istituto – il meccanismo di adeguamento alle pronunce definitive della Corte di Strasburgo, come pure di dettare norme su specifici aspetti di esso sui quali questa Corte non potrebbe intervenire, in quanto involventi scelte discrezionali (quale, ad esempio, la previsione di un termine di decadenza per la presentazione della domanda di riapertura del processo, a decorrere dalla definitività della sentenza della Corte europea)”.

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