Il procedimento in materia di misure di prevenzione e la convenzione europea dei diritti dell’uomo

Montaruli Vito 08/12/11
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SOMMARIO: 1. LA “REVISIONE” DEI PRINCIPI STABILITI DALLE SENTENZE “GEMELLE” DELLA CORTE COSTITUZIONALE DEL 2007 NELLE PRONUNCE DEL CONSIGLIO DI STATO N. 1220/2010 E DEL T.A.R. LAZIO N. 11984/2010; 2. LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE N. 80/2011 SUL PROCEDIMENTO IN MATERIA DI MISURE DI PREVENZIONE; 3. LE OSSERVAZIONI DELLA DOTTRINA SULLA SENTENZA N. 80/2011; 4. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE.

1. La “revisione” dei principi stabiliti dalle sentenze “gemelle” della corte costituzionale del 2007 nelle pronunce del consiglio di stato n. 1220/2010 e del t.a.r. lazio n. 11984/2010.

Come è noto, le sentenze della Corte costituzionale n. 348 e nr. 349 del 2007, all’esito di una lunga diatriba giurisprudenziale sull’efficacia diretta della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo e sulla possibilità di disapplicazione da parte dei giudici della normativa interna con essa contrastante, hanno stabilito alcuni fondamentali principi, che di seguito sinteticamente si riportano (1):

  1. L’efficacia della C.E.D.U. nell’ordinamento interno non è disciplinata dall’art. 11 Cost., che consente le limitazioni di sovranità necessarie per promuovere e favorire le organizzazioni internazionali rivolte ad assicurare la pace e la giustizia fra le Nazioni ed è ritenuto pertanto, da un consolidato indirizzo giurisprudenziale, il fondamento dell’efficacia diretta della normativa comunitaria;

  2. La C.E.D.U. non rientra, allo stesso modo, nell’alveo dell’art. 10 Cost., che costituisce il “trasformatore automatico” nell’ordinamento italiano del diritto internazionale consuetudinario;

  3. Ne deriva che persiste la netta distinzione tra norme comunitarie e norme C.E.D.U., in quanto solo le prime possono avere “piena efficacia obbligatoria e diretta applicazione in tutti gli Stati membri, senza la necessità di leggi di ricezione e adattamento, come atti aventi forza e valore di legge in ogni Paese della comunità, sì da entrare ovunque contemporaneamente in vigore e conseguire applicazione eguale uniforme nei confronti di tutti i destinatari” (2);

  4. L’art. 117, c. 1, della Costituzione vincola sia il legislatore regionale che quello statale al rispetto degli obblighi internazionali, “tra i quali indubbiamente rientrano quelli derivanti dalla Convenzione europea per i diritti dell’uomo”;

  5. La C.E.D.U. rientra nel novero delle cosiddette “fonti interposte”, subordinate alla Costituzione, ma sovraordinate rispetto alle fonti primarie, “destinate a dare contenuti ad un parametro che si limita ad enunciare in via generale una qualità che le leggi in esso richiamate devono possedere” (3);

  6. Nell’opera di adeguamento della legislazione italiana alle norme della C.E.D.U. bisognerà tener conto della “funzione interpretativa eminente” riconosciuta alla Corte europea, che non configura però una competenza giurisdizionale sovrapponibile a quella degli organi giudiziari dello Stato italiano;

  7. Il vaglio sulla norma italiana sospettata di non conformità alla C.E.D.U. e, quindi, di violazione dell’art. 117 Cost., spetta alla Corte costituzionale e non ne è consentita la disapplicazione da parte del giudice ordinario, anche se quest’ultimo dovrà, prima di sollevare il giudizio di costituzionalità, verificare la possibilità di un’interpretazione “convenzionalmente orientata”;

  8. La Corte costituzionale, in caso venga sollevato l’incidente di costituzionalità, dovrà innanzitutto verificare la sussistenza del contrasto tra norma interna e norma convenzionale, così come interpretata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e, successivamente, la compatibilità della norma C.E.DU. con l’assetto costituzionale italiano, di cui viene pertanto riconosciuta l’assoluta primazia.

E’ bene sin da subito chiarire che le conclusioni di tale percorso ermeneutico sono tutt’altro che uniformemente accettate dalla giurisprudenza, sia ordinaria che amministrativa.

Due sono le strade attraverso cui si manifesta l’insofferenza nei confronti degli enunciati della Corte Costituzionale, la prima delle quali consiste in un uso abbastanza disinvolto dell’interpretazione “convenzionalmente orientata” della legislazione interna (4).

D’altro canto, autorevole dottrina aveva già preannunciato che “non mancheranno nella prassi casi in cui il confine tra l’interpretazione conforme e la disapplicazione delle norme sarà labile e difficile da tracciare” (5).

Altra corrente giurisprudenziale invece, riprendendo un orientamento dei giudici ordinari e soprattutto della Corte di Cassazione di qualche tempo addietro (6), persegue, invece, direttamente l’obiettivo del ribaltamento dei principi stabiliti dalle “sentenze gemelle” del 2007, teorizzando la possibilità di disapplicare la norma interna ritenuta contrastante con la C.E.D.U..

E’ questo, ad esempio, il caso di una sentenza del Consiglio di Stato dello scorso anno (7), in materia espropriativa, che ha interpretato l’art. 389 c.p.c. nel senso di attribuire, a seguito di cassazione senza rinvio, al giudice che ha pronunciato la sentenza cassata, “la competenza a statuire sulle domande di restituzione e di ogni altra conseguente alla sentenza medesima – nel modo più conforme possibile alla tutela del diritto del ricorrente alla difesa effettiva, fondando questo assunto su un’esigenza di rispetto degli artt. 6 e 13 CEDU” (8).

Per il Consiglio di Stato, tali articoli della Convenzione, “divenuti direttamente applicabili, nel sistema nazionale, a seguito della modifica dell’art. 6 del Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009”, fonderebbero il principio della tutela effettiva, in aggiunta all’art. 24 Cost..

Ancora più esplicita è una successiva pronuncia del T.A.R. Lazio (9), che, nello statuire l’applicabilità retroattiva dell’art. 43 del Testo unico sulle espropriazioni al caso sottoposto al suo esame, ha avuto modo di affermare che il Trattato di Lisbona, nel novellare l’art. 6 del Trattato sull’Unione Europea, avrebbe causato “conseguenze di assoluto rilievo, in quanto le norme della Convenzione divengono immediatamente operanti negli ordinamenti nazionali degli Stati membri dell’Unione, e quindi nel nostro ordinamento nazionale, in forza del diritto comunitario, e quindi in Italia ai sensi dell’art. 11 della Costituzione”.

Il riferimento è al novellato art. 6 del Trattato sull’Unione europea e, in particolare, ai commi 2 e 3, che così recitano:

“L’Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell’Unione definite nei trattati.

I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali”.

Si è osservato, pertanto, che per il T.A.R. capitolino “il Trattato di Lisbona avrebbe conferito al sistema giuridico CEDU lo status proprio delle norme comunitarie, facendo cadere la distinzione, operata dalla Corte Costituzionale con le sentenze nn. 348 e 349/2007, tra norme comunitarie, aventi efficacia diretta nell’ordinamento giuridico italiano, e norme Cedu, aventi efficacia indiretta” (10).

La dottrina non ha mancato, sin da subito, di opporre obiezioni alle conclusioni dei Giudici amministrativi, pur precisando che nessuna delle due decisioni ha, in realtà, proceduto alla disapplicazione di normativa interna, facendo invece ricorso, nel caso del Consiglio di Stato, alla diretta applicazione di norme della Convenzione e, con riferimento al T.A.R. Lazio, all’interpretazione adeguatrice (11).

Per quanto attiene al comma 2 dell’art. 6 T.U.E., si osserva, “da esso può pacificamente dedursi solamente la rimozione degli ostacoli che, in precedenza, erano stati frapposti all’adesione dell’UE alla CEDU, e non certo la realizzazione dell’adesione…” che “non può che costituire l’accordo tra soggetti di pari rilevanza (nel nostro caso, l’UE e il Consiglio d’Europa), con la conseguenza che all’art. 6 non può che attribuirsi, in parte qua, un’efficacia limitata al solo piano interno dell’UE” (12).

Inoltre, in relazione al comma 3 dell’art. 6, l’adesione alla C.E.D.U., una volta avvenuta, dovrebbe comportare solo l’inserimento dei diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione nei principi generali del diritto dell’Unione (13).

Si è altresì osservato che l’art. 47 del Trattato U.E., novellato dal Trattato di Lisbona, statuisce che “l’Unione ha personalità giuridica” e che, pertanto, le norme C.E.D.U. sono riferibili a tale nuovo soggetto di diritto internazionale, se vi aderisca; ciò non comporta, però, la comunitarizzazione delle predette norme, che determinerebbe un’ulteriore cessione di sovranità in favore dell’Unione assentibile, tuttavia, esclusivamente dallo Stato italiano in forza di potestà ex art. 11 Cost., non delegabile ad altri soggetti (14). Il che viene dimostrato anche dall’esplicita attribuzione alla Carta di Nizza, fatta dall’art. 6 del Trattato, dello stesso valore giuridico dei trattati, che invece non è stato attribuito esplicitamente alla Convenzione.

Si vedrà, a breve, che le riportate osservazioni dottrinali sono state fatte proprie dalla sentenza della Corte costituzionale n. 80/2011, la quale, nel porsi su una linea di continuità con le sentenze “gemelle” del 2007, ha completamente disatteso le aperture del Consiglio di Stato e del T.A.R. Lazio.

 

2. La sentenza della corte costituzionale n. 80/2011 sul procedimento in materia di misure di prevenzione.

La Corte costituzionale, con la pronuncia in esame, ha deciso sulla questione di legittimità costituzionale, sollevata dalla Cassazione in relazione all’art. 117, c. 1, Cost..con riferimento all’art. 4 l. 1423/1956 e all’art. 2-ter l. 575/1965, nella parte in cui non consentono che il ricorso per cassazione in materia di misure di prevenzione possa essere trattato, su richiesta di parte, in udienza pubblica.

Va precisato che, con precedente sentenza n. 93/2010, la Corte costituzionale aveva dichiarato costituzionalmente illegittime le norme di cui sopra nella parte in cui non consentivano, su istanza degli interessati, l’udienza pubblica davanti al tribunale e alla corte d’appello, determinando di conseguenza l’inammissibilità delle relative questioni portate all’attenzione della Corte costituzionale nel giudizio di cui trattasi.

Gli artt. 7 e 10 del d. lgs. 159/2010, recante il Codice antimafia, hanno confermato che i giudizi di primo e secondo grado in materia di misure di prevenzione, a richiesta dell’interessato, possono essere tenuti in udienza pubblica.

La Consulta viene, innanzitutto, chiamata a decidere, preliminarmente, sulla propria competenza a decidere la controversia sottoposta al suo esame ovvero se la predetta debba ritenersi riservata al Giudice ordinario e, quindi, risolvibile con lo strumento della disapplicazione.

A tal proposito, la Corte precisa, subito, che nessun argomento utile per sostenere il mutato regime giuridico, in ambito comunitario, può essere tratto dal richiamo del Giudice remittente al novellato art. 6 del Trattato, evidenziando innanzitutto che la prevista adesione dell’Unione europea alla Convenzione non è ancora avvenuta.

Inoltre, ravvisando una sostanziale continuità con il precedente testo del citato art. 6 così come modificato dal Trattato di Lisbona, la Corte ribadisce l’impossibilità “nelle materie cui non sia applicabile il diritto dell’Unione (come nel caso sottoposto a questa Corte), di far derivare la riferibilità alla CEDU dell’art. 11 Cost. dalla qualificazione dei diritti fondamentali in essa riconosciuti come “principi generali” del diritto comunitario” (15).

D’altro canto non si verifica un’estensione delle competenze dell’Unione europea, anche considerando la “clausola di equivalenza”, di cui all’art. 52, par. 3, della Carta dei diritti fondamentali, secondo cui se quest’ultima “contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta Convenzione”; basti rilevare che, ai sensi dell’art.6, par. 1, del Trattato, “le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell’Unione definite nei trattati”.

La disposizione si fonda sul principio di attribuzione, ex art. 5, c. 2, del Trattato UE, secondo cui “l’Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Qualsiasi competenza non attribuita all’Unione nei trattati appartiene agli Stati membri” (16).

Il presupposto di applicabilità della Carta di Nizza è, pertanto, che “la fattispecie sottoposta all’esame del giudice sia disciplinata dal diritto europeo – in quanto inerente ad atti dell’Unione …e non già da sole norme nazionali prive di ogni legame con tale diritto” (17). Tale presupposto manca nell’applicazione delle misure di prevenzione personali e patrimoniali e, comunque, non era stato evidenziato dalla parte privata.

Ne consegue l’impossibilità, per il giudice, di disapplicare le norme interne ritenute incompatibili con l’art. 6, par. 1, della C.E.D.U..

La Corte costituzionale, nel prosieguo della sentenza, rigetta anche la questione di merito, in quanto “il principio affermato dalla Corte di Strasburgo nelle decisioni poste a fondamento della censura di costituzionalità è riferito esclusivamente ai giudizi presso i tribunali e le corti d’appello, senza che si faccia alcun riferimento al giudizio davanti alla Corte di cassazione” (18), in quanto il principio di pubblicità è rispettato dalla “procedura giudiziaria nazionale nel suo complesso”, che era stata nel frattempo emendata dalla sentenza n. 93/2010 della Consulta.

 

3. Le osservazioni della dottrina sulla sentenza n. 80/2011.

La dottrina si è divisa sulla valutazione della sentenza della Corte Costituzionale in commento, secondo posizioni già consolidate all’indomani delle sentenze “gemelle” del 2007.

E’ abbastanza comune l’osservazione secondo cui la circostanza che il diritto dell’Unione gode della “copertura” dell’art. 11 Cost., non significa affatto che ne sia il destinatario esclusivo e che altre “realtà giuridico-istituzionali” non possano rientrare nell’alveo della disposizione, tanto più ove si consideri che la norma in questione è stata solo successivamente finalizzata a tale scopo (19).

Abbastanza frequentemente si rileva che rango “sub-costituzionale” della fonte CEDU nell’ordinamento italiano potrebbe essere elevato facendo ricorso alla “copertura” fornita da altri articoli della Carta Costituzionale e, in particolare, dagli artt. 2 e 3, superando in questo modo i ravvisati limiti dell’art. 11 (20).

Valutando più in generale la pronuncia della Corte costituzionale in esame, autorevole dottrina evidenzia la “prospettiva formale-astratta” del suo ragionamento, ponendo attenzione ai rapporti tra le fonti normative piuttosto che alla sostanza delle norme e alla loro utilità per la tutela dei diritti e della dignità della persona umana, il che ha condotto a privilegiare gli aspetti di separazione tra l’ordinamento italiano e quello convenzionale piuttosto che i profili di integrazione (21).

Sul versante opposto, altra dottrina, aderendo alle argomentazioni della Consulta, osserva come la sentenza in commento si ponga in netta, anche se non esplicita contrapposizione, con le citate pronunce del Consiglio di Stato n. 1220/2010 e del T.A.R. Lazio n. 11984/2010, che avevano prefigurato la possibilità di disapplicare la normativa interna contrastante con la CEDU, in conformità con le innovazioni apportate al Trattato UE dal Trattato di Lisbona (22).

 

4. Considerazioni conclusive

La pronuncia della Corte costituzionale in esame richiama in modo evidente le sentenze “gemelle” del 2007, non solo per l’analogia delle argomentazioni, ma anche perché la Consulta si è nuovamente contrapposta a quegli orientamenti giurisprudenziali volti a escluderla dal processo di adattamento dell’ordinamento italiano alle regole della CEDU.

Si ricordano, a tal proposito, le eloquenti osservazioni già a suo tempo sollevate, con riferimento alla normativa comunitaria, da un autorevole commentatore, secondo il quale “I Trattati di Roma hanno costituito delle gallerie in durissimo cemento attraverso le quali le norme comunitarie, come un esercito di térmiti, sono penetrate nell’ordinamento nazionale e lo stanno progressivamente svuotando. Per fortuna, a differenza di quello che accade in una casa di legno, le norme comunitarie non si limitano a distruggere ma costruiscono dall’interno un loro sistema che viene gradualmente a sostituire quello nazionale…Ma c’è sempre l’effetto della continua, inarrestabile e …tendenzialmente irreversibile erosione dell’ordinamento nazionale” (23).

Una delle vittime di questa “invasione” del diritto comunitario e, ora, convenzionale potrebbe essere proprio la Corte costituzionale, che, ove non ribadisse con autorevolezza il proprio ruolo di insostituibile guardiano dei valori fondamentali del nostro ordinamento, potrebbe essere ridotta al “rango di Corte “regionale”, chiamata a risolvere questioni di diritti solo nei (fatalmente sempre meno numerosi) interstizi nei quali il diritto convenzionale e quello comunitario non penetrano” (24).

Da un punto di vista più generale, è possibile osservare che, con ogni probabilità, i tentativi di equiparare il diritto convenzionale al diritto comunitario, sotto il profilo dell’efficacia diretta, costituiscono uno dei punti più avanzati del processo di integrazione, sinora ritenuto progressivo e irreversibile, tra ordinamento interno e ordinamenti sovranazionali europei.

La realtà sembra, al momento, smentire questo presupposto ideologico, in quanto la crisi economica ha, per convinzione comune, acuito le tendenze nazionalistiche all’interno dell’Unione europea, mettendo in luce tutte le fragilità di questa realtà istituzionale, probabilmente costruita senza che all’arditezza del progetto economico corrispondesse la solidità di un disegno politico sovranazionale unitario (25).

 

1 Cfr. ************, Il permesso di soggiorno “in sanatoria” e l’applicabilità nell’ordinamento italiano della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo, in www.diritto.it, 2011

2 Corte costituzionale, sentenza nr. 348/2007, par. 3.3 del Considerato in diritto;

3 Corte costituzionale, sentenza nr. 348/2007, par. 4.5 del Considerato in diritto

4 V. MONTARULI, op. cit, che annota Consiglio di Stato, sez. VI, 15 giugno 2010, n. 3760;

5 M. CARTABIA, Le sentenze “gemelle”: diritti fondamentali, fonti, giudici”, in Giurisprudenza costituzionale, 2007, 5, 3564;

6 G. REPETTO, Il trattato di Lisbona ha attribuito alla CEDU un’efficacia diretta e prevalente nell’ordinamento interno? Consiglio di Stato e TAR Lazio alla ricerca di nuove e discutibili soluzioni, in https://diritti-cedu.unipg.it;

7 Consiglio di Stato, sez. IV, 2 marzo 2010, nr. 1220;

8 G. REPETTO, op. cit.;

9 T.A.R. Lazio, sez. II-bis, 18 maggio 2010, n. 11984;

10 F. D’ORO, La disapplicazione delle norme interne contrastanti con le norme Cedu: note a margine della sentenza T.A.R. Lazio, sez. II bis, 18 maggio 2010, n. 11984, in Giurisprudenza italiana, Giugno 2011, 1437;

11 F. D’ORO, op cit., 1441;

12 G. REPETTO, op. cit.; rivolge analoghe critiche alla pronuncia del T.A.R. Lazio F. D’ORO, op. cit, 1442;

13 F. D’ORO, op. cit., 1442; ritiene “errate” le conseguenze tratte dal nuovo quadro normativo nelle due pronunce dei Giudici amministrativi in questione anche ***********, Gli effetti delle sentenze della Corte di Strasburgo secondo la Corte costituzionale italiana, in Corriere Giuridico, 2010, 7, 963-964;

14 L. D’******, “Comunitarizzazione” dei vincoli internazionali CEDU in virtù del Trattato di Lisbona? No senza una expressio causae”, in www.forumcostituzionale.it”, maggio 2010;

15 Corte costituzionale, sentenza n. 80/2011, par. 5.3. del Considerato in diritto;

16 cfr. in proposito F. D’ORO, cit., 1443;

17 Corte costituzionale, sentenza n. 80/2011, par. 5.5 del Considerato in diritto;

18 Corte costituzionale, sentenza n. 80/2011, par. 6.1 del Considerato in diritto;

19 A. RANDAZZO, Brevi note a margine della sentenza n. 80 del 2011 della Corte costituzionale, www.giurcost.org; condivide lo stesso indirizzo interpretativo **********, ******** fa il punto sul rilievo interno della CEDU e della Carta di Nizza-Strasburgo (a prima lettura di Corte cost. n. 80 del 2011), in www.forumcostituzionale.it, marzo 2011, 5;

20 A. RUGGERI, op. cit.; si esprime in modo conforme A. RANDAZZO, op. cit., 7-8:

21 A. RANDAZZO, op. cit.;

22 O. POLLICINO, La Corte costituzionale, su un rinvio della Corte di Cassazione, richiama all’ordine il Giudice amministrativo in merito alla asserita diretta applicabilità della CEDU, in www.diritticomparati.it;

23 S. GIACCHETTI, “Profili problematici della cosiddetta illegittimità comunitaria”, in Giur. ********., 1992, 879, richiamato ed attualizzato con riferimento alla normativa convenzionale da ********, “Le térmiti comunitarie ed i “tarli” dei trattati internazionali, in www.lexitalia.it;

24 LUCIANI, Alcuni interrogativi sul nuovo corso della giurisprudenza costituzionale in origine ai rapporti fra diritto italiano e diritto internazionale, Corriere giuridico, 2008, 2, 205;

25 Con riferimento alle contraddizioni che scuotono attualmente le Istituzioni sovranazionali, C. JEAN – P. SAVONA, in “Intelligence economica – Il ciclo dell’informazione nell’era della globalizzazione”, Rubbettino editore, 2011, osservano che “I comunicati finali degli incontri internazionali, come i Summit dei G8 o G20, sono pieni di attestati favorevoli, se non proprio veri impegni, al libero mercato e alla cooperazione internazionale, ma alla prima occasione di una crisi settoriale il ricorso a misure protezionistiche è la norma più che l’eccezione”.

Montaruli Vito

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