Il principio del duplice ciclo causale

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Un approfondimento per inquadrare la tematica del “duplice ciclo causale” nell’ambito della responsabilità contrattuale, il quale altro non è che l’assolvimento dell’onere probatorio, visto dalla prospettiva sia del debitore danneggiante che del creditore danneggiato.

Per approfondimenti si consiglia: Manuale della responsabilità medica

Indice

1. Responsabilità contrattuale della struttura sanitaria

In tema di responsabilità contrattuale, emerge quella della struttura sanitaria ovvero dei sanitari, dalla corrente giurisprudenza sussunta nell’alveo dell’art. 1218, C.c., a mente del quale, a fronte dell’inesatto adempimento, il debitore è obbligato a risarcire il danno subito dal creditore, salvo che dimostri che l’inadempimento è derivato da una causa sopravvenuta ed inevitabile.
Sulla base delle coordinate ermeneutiche licenziate dalle Sezioni Unite del 2001 (Cass. Civ., Sez. Un., n. 13533 del 2001), in caso d’inadempimento, d’inesatto adempimento, di risoluzione, rescissione del contratto, d’invalidità, onde ottenere il risarcimento del danno subito, per il creditore sarà sufficiente allegare il titolo, giuridico ovvero negoziale che sia, e la circostanza dell’inadempimento.
Spetterà, poi, al debitore, dimostrare che l’inadempimento non è ad egli imputabile, poiché scaturente da una causa, imprevedibile ed inevitabile, alla stregua della diligenza.
I principi poc’anzi evocati, trovano, pertanto, applicazione anche con riguardo alla responsabilità sanitaria.
E, difatti, dalla pronuncia della Suprema Corte del 1999, n.589, e, di poi, delle Sezioni Unite del 2008, la giurisprudenza superiore ha affermato che “…In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio, l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare il contratto (o il contatto sociale) e l’aggravamento della patologia o l’insorgenza di un’affezione ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato. Competerà al debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante.”. (Cass. civ., Sez. Un., Sent. n. 577 dell’11 gennaio 2008; Idem, Sez. VI -3, Ord. n. 27612 del 3 dicembre 2020).
Pertanto, possiamo affermare che la responsabilità della struttura sanitaria e del medico, è di natura contrattuale, e ciò in forza del contatto sociale che s’instaura tra il paziente ed i predetti soggetti, che, indi, dalla giurisprudenza consolidata, sia di legittimità che di merito, vien qualificato come “contratto di spedalità”. (Cass. civ. Sez. Un., n.577/2008, cit; Trib Pesaro, Sent. n. 700 del 20 agosto 2019).
Del danno subito dal paziente, la struttura sanitaria sarà chiamata a risponderne sia per fatto proprio, ai sensi dell’art. 1218, C.c., laddove l’evento danno sia imputabile alle inadeguatezze della struttura, sia per fatto altrui, ai sensi dell’art. 1228, C.c., qualora esso sia imputabile alla condotta dei sanitari ivi operanti, e ciò a prescindere se tra questi ultimi ed il nosocomio sussista o meno un rapporto di subordinazione. (Trib Arezzo, Sezione Civile, Sent. n. 475 del 29 aprile 2022).
Riguardato sotto la rubrica degli artt. 1218, 2697, C.c., volgendo lo sguardo alla posizione del creditore danneggiato, trattasi del raggiungimento della prova che tra l’insorgenza della patologia e la condotta medica v’è un nesso di causalità.
Concentrandosi, poi, sulla posizione del debitore, questi potrà andar esente da responsabilità ove dimostri che non ricorre alcun legame causale tra il danno evento sofferto dal paziente creditore e la prestazione medica eseguita, ovvero che l’insorgenza della patologia sia riconducibile ad una causa esterna, interferente con l’esecuzione della prestazione medica.
In altri termini, il debitore danneggiante potrà andar esente da responsabilità ove dimostri che la prestazione sia divenuta impossibile per una causa sopravvenuta ad egli non imputabile, in quanto imprevedibile ed inevitabile.
Tuttavia, occorre dar conto che il debitore danneggiante sarà chiamato a dar prova dell’assenza d’un nesso causale tra l’insorgenza della patologia e la sua condotta negligente soltanto laddove il paziente abbia assolto all’onere di provare che il danno sofferto è eziologicamente riconducibile alla condotta della struttura sanitaria ovvero all’azione od omissione del sanitario.
In quest’ottica, assistiamo, per condividere le parole della giurisprudenza di merito, ad “una scomposizione del ciclo causale”, in due elementi, precisamente, il profilo causale attinente al creditore paziente e quello afferente al debitore struttura sanitaria. (Trib. Reggio Emilia, Sez. II, RG. N.1792/2021, Sent. del 17 febbraio 2022, estensore Dr. Morlini).

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2. Il principio del “duplice ciclo causale”

È proprio con tal definizione, “duplice ciclo causale”, in realtà, altro non si descrive che l’assolvimento dell’onere probatorio, visto dalla prospettiva sia del debitore danneggiante che del creditore danneggiato.
Tal definizione, nondimeno, abbisogna di ulteriori precisazioni, nel senso, cioè, che il raggiungimento della prova del nesso causale tra il danno subito dal paziente e la condotta del sanitario, non conduce, necessariamente, anche alla prova che il primo sia eziologicamente riconducibile all’azione od omissione del secondo.
Non è un caso, pertanto, che, nella letteratura giuridica formatasi nella materia in esame, si discetta d’un ciclo causale a monte e d’uno a valle, vale a dire uno relativo all’evento dannoso occorso al paziente e, l’altro, relativo all’impossibilità d’adempiere.
In tal direzione, si afferma che “Emerge così un duplice ciclo causale, l’uno relativo all’evento dannoso, a monte, l’altro relativo all’impossibilità di adempiere, a valle. Il primo, quello relativo all’evento dannoso, deve essere provato dal creditore/danneggiato, il secondo, relativo alla possibilità di adempiere, deve essere provato dal debitore / danneggiante…”. (Cass. Civ., Sez. III, Sent. n. 18392 del 26 luglio 2017; Cass. civ., Sez.III, Ord. n. 17240 del 15 giugno 2023).
Da un lato il creditore deve dimostrare che vi sia un nesso eziologico tra l’insorgenza della patologia, ovvero il suo aggravamento, e la condotta della struttura sanitaria o del medico, assolvendo, così, alla prova del fatto costitutivo del diritto invocato in sede giudiziaria, dall’altro, invece, il debitore danneggiante deve dimostrare che il danno subito non è causalmente ascrivibile all’esecuzione professionale della prestazione medica, bensì ad una causa sopravvenuta imprevedibile ed inevitabile, assolvendo, indi, per tal via, alla prova del fatto estintivo del diritto azionato dall’attore.
Ed anche di recente la Suprema Corte ha statuito che “…Mentre il creditore deve provare il nesso di causalità fra l’insorgenza (o l’aggravamento) della patologia e la condotta del sanitario (fatto costitutivo del diritto), il debitore deve provare che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile la prestazione (fatto estintivo del diritto) …”. (Cass. civ., Ord. n. 17240/2023, cit.).
Ciò esposto, le due precisazioni che occorre cogliere sono le seguenti. Anzitutto, dalla giurisprudenza in rassegna, cogliamo un dato fondamentale, e, cioè, che il debitore è chiamato a dimostrare che la prestazione è stata resa impossibile per via d’una causa imprevedibile ed inevitabile soltanto ove il creditore abbia provato che l’insorgenza della patologia è eziologicamente ascrivibile alla condotta del medico ovvero della struttura sanitaria.
Sarebbe irrilevante chiedere al debitore l’assolvere alla prova dell’impossibilità della prestazione qualora il danneggiato non sia riuscito a dimostrare che l’insorgenza della patologia sia riconducibile causalmente all’azione od omissione del sanitario.
Dunque, se il paziente non riesce a dimostrare il fatto costitutivo del diritto azionato, vale a dire il risarcimento del danno patito, sarebbe irrilevante onerare il danneggiante della prova del fatto estintivo di quel diritto.
E, da ultimo, la Suprema Corte statuisce che”…in tema di inadempimento di obbligazioni in materia sanitaria (…) è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità tra l’aggravamento della situazione patologica, o l’insorgenza di nuove patologie, e la condotta dell’obbligato, mentre è onere di quest’ultimo provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, la causa imprevedibile e inevitabile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione della prestazione…”. (Cass. civ., Sez. III, Ord. n. 5490 del 22 febbraio 2023).
In questa riflessione, si potrebbe cogliere la luce del principio processuale della ragione più liquida (per chi volesse approfondire l’argomento su Diritto.it  “Il Principio processuale della ragione più liquida”, 28 aprile 2023 ), in virtù del quale, sulla base del principio dell’economia processuale nonché quello costituzionale della durata del processo, il Giudicante sarà orientato, tra più soluzioni giuridiche possibili, ad applicare quella che abbia il maggior impatto operativo sul caso di specie, piuttosto che quella più razionale, cosicché, per tornare al tema in esame, il medesimo rigetterà la domanda attorea ove quest’ultimo non abbia dimostrato il nesso di causalità tra la patologia insorta e la condotta del sanitario, ritenendo superfluo onerare il debitore della prova del fatto estintivo d’un diritto che il creditore non sia riuscito a provare.
Secondariamente, nella prospettiva del debitore danneggiante, la c.d. prova del fatto estintivo del diritto s’incentra sulla diligenza spesa nell’esecuzione della prestazione, giammai di quella professionale evocata dal secondo comma dell’art. 1176, C.c., bensì di quella ordinaria posta dal primo comma della norma da ultimo citata.
Dal formante giurisprudenziale in scrutinio, emerge che l’impossibilità d’adempiere attiene non già all’esecuzione della prestazione professionale medica, ad esempio l’intervento chirurgico, quanto, piuttosto, alla prova di non aver impedito che una causa esterna rendesse impossibile l’esecuzione della prestazione professionale.
Sicché “…C’è inadempimento se non è stata rispettata la diligenza di cui all’art. 1176 comma 2, c’è imputabilità della causa di impossibilità della prestazione se non è stata rispettata la diligenza di cui al comma 1”. (Cass. Civ., Sez. III, Sent. n. 18392 del 26 luglio 2017, cit.).
La colpa del sanitario consiste in ciò, e cioè di non aver impedito che una causa sopravvenuta, prevedibile ed evitabile, alla stregua della diligenza ordinaria, rendesse impossibile la prestazione professionale.
In altri termini, una causa esterna sopravvenuta può incidere sull’esecuzione della prestazione del sanitario, il cui contenuto è valutato sulla base della diligenza professionale, ma il rimprovero mosso a questi consiste nel non aver impiegato, a fronte d’una causa prevedibile ed evitabile, quell’ordinaria diligenza che gli avrebbe consentito di adottare le cautele volte a prevenirla.
E ciò in quanto “…qui non si rimprovera al debitore il mancato rispetto della regola di esecuzione esperta della prestazione professionale quale obbligazione di comportamento, ma la scelta di agire in un modo piuttosto che in un altro che sarebbe stato efficace ai fini della prevenzione della causa che ha reso impossibile la prestazione…”. (Cass. Civ., Sez. III, Sent. n. 18392 del 26 luglio 2017, cit.).

3. Conclusioni

La presente dissertazione ci ha consentito d’analizzare un aspetto della responsabilità sanitaria, positivamente regolata dall’art. 1218, C.c.
La presente indagine ci ha consentito di meglio comprendere che cosa sia il concetto del “duplice profilo causale”, definizione colla quale la giurisprudenza ha inteso scomporre il ciclo causale, vale a dire, per l’appunto, il profilo causale riguardante il creditore paziente e quello inerente al debitore danneggiato.
Cosicché, il dato giuridico saliente si concentra sul fatto che il debitore danneggiante sarà chiamato a fornir la prova che l’esecuzione della prestazione professionale è stata impossibile per via d’una causa sopravvenuta, imprevedibile ed inevitabile, soltanto ove il creditore danneggiato abbia provato che il danno era eziologicamente ascrivibile alla condotta della struttura ovvero all’azione od omissione del medico.
Di, poi, ed è questo l’altro dato giuridico interessante, che la colpa del debitore si ravvisa nell’impossibilità della causa sopravvenuta, nel senso, cioè, di non esser stato in grado di fornir la prova che, nonostante l’impegno d’una diligenza ordinaria, essa si sarebbe in ogni caso verificata.

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Giovanni Stampone

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