Il precetto come atto finale prima dell’esecuzione mobiliare o immobiliare

Bruno Cirillo 16/06/11
Scarica PDF Stampa

IL PRECETTO (Estratto dal volume B.Cirillo -L’attività dell’avvocato nel processo di escuzione mobiliare e immobiliare- Maggioli Editore)

Il precetto, come definito dal Legislatore, è un’intimazione che il creditore rivolge al debitore al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo risultante dal titolo esecutivo (art. 480 c.p.c.). È l’ultimo avvertimento che il creditore fa al debitore preannunciandogli che, in mancanza di spontaneo adempimento, si procederà a esecuzione forzata. Per la quasi unanime giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, il precetto è un atto di parte, preliminare, non processuale e, in quanto tale, non è atto iniziale dell’esecuzione che, invece, si instaura solo con il pignoramento ovvero, nell’esecuzione per consegna o rilascio, con l’accesso in loco dell’Ufficiale giudiziario. Di avviso contrario è la dottrina prevalente che, al contrario, propende per la tesi della natura processuale dell’atto di precetto definendolo l’atto introduttivo del processo esecutivo. La questione, invero assai dibattuta, non ha solo importanza teorica ma presenta dei risvolti pratico-operativi di grande rilievo. Infatti, in virtù della affermata natura non processuale, la giurisprudenza (Cass., sez. III, n. 7737 del 29 marzo 2007) ha stabilito che il precetto interrompe la prescrizione ma sen¬za effetti permanenti, anche nell’ipotesi in cui, a seguito della notifica dell’atto di precetto, il debitore proponga opposizione. In tal caso troverà, comunque, applicazione il secondo comma dell’articolo 2945 del codice civile qualora il creditore opposto, costituendosi in giudizio, compia attività processuale ai sensi del secondo comma dell’articolo 2943. La conseguenza è che dalla data della sua notificazione inizia un nuovo periodo di prescrizione, ai sensi del primo comma dell’articolo 2945. Ovviamente a conclusioni diametralmente opposte giunge la dottrina prevalente che abbraccia la teoria della natura processuale del-l’atto di precetto in virtù della quale quest’ultimo, atteso che instaura il giudizio di esecuzione, non solo interrompe ma sospende anche la prescrizione.

Il precetto, sotto pena di comminatoria della nullità, deve contenere l’indicazione delle parti; pertanto dovrà essere indicato sia il soggetto creditore, titolare del diritto che si intende portare a esecuzione, sia il soggetto contro cui si agirà mediante la minacciata esecuzione forzata. È evidente che, in caso di successione nel credito o nell’obbligo (ipotesi già ampiamente dibattuta nel paragrafo precedente), sarà proprio il precetto che dovrà dare conto di siffatta modificazione indicando chia¬ramente e specificamente il soggetto titolare dell’azione e il soggetto contro cui agire, qualora siano diversi da quelli indicati nel titolo esecutivo. Nell’espropriazione contro il terzo proprietario l’art. 603 c.p.c. dispone che il precetto (insieme al titolo esecutivo) deve essere notificato anche al terzo proprietario che, pertanto, va in esso indicato. Inoltre, in tale evenienza, il precetto deve fare anche espressa menzione del bene del terzo che si intende espropriare.

Oltre all’indicazione delle parti il precetto deve contenere, ancora a pena di nullità, l’indicazione della data di notificazione del titolo esecutivo, se questa è fatta separatamente, nonché, nei casi previsti dalla legge, la trascrizione integrale del titolo stesso. Ciò sarà necessario nei casi in cui il titolo circoli in originale essendo nella disponibilità del creditore (ipotesi in cui non è necessaria, come abbiamo già osservato, la spedizione in forma esecutiva). Per la cambiale e per l’assegno soccorrono le relative discipline mentre per le scritture private autenticate è l’articolo 474 che, all’ultimo comma, espressamente, prevede che il precetto deve contenerne la trascrizione integrale. Naturalmente spetta all’Ufficiale giudiziario certificare di avere riscontrato che la trascrizione corrisponda esattamente al titolo originale.

Appare opportuno rammentare che è stato deciso che nell’espropriazione forzata, minacciata in virtù di ingiunzione dichiarata esecutiva ai sensi dell’articolo 654 c.p.c., nel precetto deve farsi menzione del provvedimento che ha disposto l’esecutorietà e dell’apposizione della formula con la conseguenza che la relativa mancanza comporta la nullità dell’atto di precetto. Quest’ultima non può essere rilevata d’ufficio dal giudice ma deve essere dedotta dal debitore intimato mediante opposizione agli atti esecutivi.
Inoltre è stato affermato che con il precetto può essere intimato anche il pagamento delle spese relative al precetto stesso (Cass. n. 5489 del 26 ottobre 1984) e, segnatamente, che il creditore, il quale intimi precetto per il pagamento di una cambiale e delle spese di precetto, non può rifiutare il pagamento della sola somma portata dal titolo (escluse le spese di precetto), fermo il diritto di procedere all’esecuzione per queste ultime (Cass. n. 1697 del 6 giugno 1968). Questa pronuncia è particolarmente significativa in quanto introduce la replica alla facile obiezione che, nel caso delle spese di precetto “auto liquidate” dallo stesso creditore istante, mancherebbe un titolo giudiziale per procede¬re all’esecuzione. Infatti, essendo il precetto la mera intimazione di adempiere l’obbligo risultante dal titolo esecutivo, va considerato in stretta connessione funzionale con quest’ultimo, di talché le spese del precetto assumono portata accessoria rispetto all’obbligazione recata nel titolo. Da ciò si ricava che sotto un profilo logico-giuridico non vi è distinzione tra le ipotesi di esecuzione per il pagamento di una somma e quelle per il rilascio di una res perché prevale, in ogni caso, il caratte¬re comunque accessorio del precetto rispetto al titolo esecutivo.

Quindi, anche in tema di esecuzione forzata di obblighi di fare o di non fare il pagamento delle spese di precetto – attinenti a una fase anteriore all’esecuzione – può essere chiesto con il precetto medesimo. Lo stesso dicasi per la procedura esecutiva per consegna o rilascio nell’ambito della quale è consentito al creditore istante di intimare, con il precetto, il pagamento delle spese a esso inerenti, senza preventiva liquidazione giudiziale e di procedere, in caso di inottemperanza, al pignoramento, fermo restando il diritto del debitore di proporre opposizione all’esecuzione limitatamente a tale obbligazione, accessoria rispetto a quella portata dal titolo esecutivo (Cass., sez. unite, n. 1471 del 24 febbario 1996).
Ancora, è stato correttamente osservato che l’indicazione degli interessi non costituisce un requisito di validità dell’atto di precetto, stante la possibilità per il debitore di controllare, attraverso l’esame della convenzione, l’esattezza degli importi pretesi dal creditore istante.

Ritornando all’esame degli elementi che il precetto deve menzionare, è anche previsto che il precetto contenga la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio della parte istante nel Comune in cui ha sede il giudice competente per l’esecuzione. La mancanza di tale indi¬cazione non determina, comunque, la nullità dell’atto ma comporta che le opposizioni al precetto dovranno essere proposte davanti al giudice del luogo in cui lo stesso è stato notificato e le notificazioni alla parte istante saranno fatte presso la Cancelleria del giudice.
A tale riguardo, la Cassazione, con ordinanza emessa il 15 aprile 1970, aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 480, terzo comma, considerato che, così come formulato, consen¬tirebbe alla parte istante di eludere la finalità voluta dal Legislatore, rimettendo alla sua libera scelta “la facoltà di dislocare ove più gli aggrada la propria sede di residenza o di domicilio”, anche in luogo non avente “nessun collegamento con quello ove sono i beni da espropriare, e ove quindi si procederà poi in concreto alla espropriazione”. In tale ipotesi, rimarrebbe frustrato “quel necessario rapporto di equilibrio tra i contendenti, cui tendono le ordinarie norme sulla competenza, nella ripartizione dei disagi che l’amministrazione della lite comporta, poiché alla libera iniziativa del creditore precettante di prescegliere – attraverso la elezione di domicilio – il giudice della causa di opposizione, nessun rimedio correttivo fa riscontro in favore del debitore, il quale rimane costretto ad adire un giudice che soltanto l’altra parte ha potuto predeterminare, con autonoma designazione, svincolata da un qualsiasi criterio obiettivo, precostituito dalla legge”.

La Corte Costituzionale, investita della questione, con la sentenza n. 84 del 1973 chiarì che per risolvere la questione occorreva considerare la norma denunciata nel contesto delle disposizioni che disciplinano la competenza per le opposizioni alla esecuzione e agli atti esecutivi, prima dell’inizio della esecuzione.
L’art. 615, comma 1, c.p.c., dispone che quando si contesta il diritto della parte istante a procedere a esecuzione forzata, e questa non è anco¬ra iniziata, l’opposizione al precetto può essere proposta con citazione “davanti al giudice competente per materia o valore e per territorio a norma dell’art. 27”; l’art. 617, primo comma, a sua volta dispone che le opposizioni relative alla regolarità formale del titolo esecutivo e del precetto si propongono, prima che sia iniziata l’esecuzione, con atto di cita¬zione “davanti al giudice indicato nell’art. 480, terzo comma”.
Dal complesso di queste disposizioni, che si integrano e richiamano a vicenda, risulta con chiarezza che l’art. 480, terzo comma, non contiene una norma regolatrice della competenza: le sue disposizioni debbono essere interpretate e applicate con riferimento alle norme generali e inderogabili sulla competenza per territorio contenute nell’art. 26 (foro dell’esecuzione forzata) e nell’art. 27 (foro delle opposizioni al-l’esecuzione). 
Queste norme debbono essere osservate dalla parte istante per la dichiarazione di residenza o elezione di domicilio che è tenuta a fare, giusta il disposto dell’art. 480, “nel Comune in cui ha sede il giudice competente per la esecuzione”, ossia il giudice del luogo in cui si trova¬no le cose mobili o immobili sulle quali essa intende procedere a esecuzione forzata.
È incontestabile che la facoltà di individuare i beni, immobili o mobili, sui quali intende procedere alla esecuzione, debba competere alla parte istante: la parte istante ha il diritto di scegliere tra l’espropriazione immobiliare o mobiliare, e anche di ricorrere contem¬poraneamente o successivamente ai diversi mezzi di espropriazione previsti dalla legge, procedendo a pignoramento con l’osservanza delle disposizioni degli artt. 483 e segg., degli artt. 513 e segg., dell’art. 543, e dell’art. 555 c.p.c. e delle altre norme regolatrici dell’esecuzione.

Il Legislatore non ha imposto alla parte istante di indicare nel precetto le cose mobili o immobili sulle quali intende procedere a espropriazione forzata (mentre tale indicazione ha richiesto nel precetto per consegna o rilascio: si veda art. 605, comma 1, c.p.c.), e il diverso regime ha evidente giustificazione nella differenza tra i due tipi di esecuzione, oltre che nella esigenza di consentire alla parte istante di procedere alla esecuzione nel luogo ove si trovino beni mobili o immobili rispetto ai quali ritenga più spedita e agevole la soddisfazione del suo diritto, e di avvalersi alternativamente, cumulativamente e successivamente di diversi mezzi di espropriazione, anche su beni diversi e situati in luoghi diversi (o trasferiti dal debitore da uno ad altro luogo).
Pur nel doveroso rispetto di questa facoltà di scelta della parte istante, il Legislatore ha, tuttavia, ritenuto opportuno richiedere che il precetto contenga la dichiarazione di residenza o la elezione di domicilio laddove ha sede il giudice competente per l’esecuzione; predeterminan¬dosi così nel precetto il luogo della minacciata esecuzione, ancorché tale indicazione non sia richiesta a pena di nullità, né sia definitivamente vincolante.

Oggetto della norma è appunto quello di consentire al debitore di individuare il giudice territorialmente competente al fine della notificazione al creditore della opposizione al precetto che egli intenda pro¬porre prima dell’effettivo inizio della esecuzione: essa consente bensì alla parte istante di indicare il luogo della esecuzione, qualora il debitore possegga una pluralità di beni mobili o immobili, siti in luoghi diver¬si, ma non rimette al suo arbitrio la determinazione del foro del-l’esecuzione, perché il giudice competente non può essere se non quello di un luogo in cui sia consentito dalla legge di procedere a
pignoramento, e trattasi di competenza territoriale inderogabilmente stabilita dalla legge.
Si deve ricordare a questo riguardo che il creditore non può proporsi di procedere a pignoramento mobiliare presso il debitore se non nella casa dello stesso o negli altri luoghi a lui appartenenti, giusta le puntuali disposizioni dell’art. 513 c.p.c. che disciplinano la ricerca delle cose da pignorare, e che incertezze non sono possibili nemmeno per il pignoramento immobiliare (art. 555 c.p.c.), o per il pignoramento presso terzi di cose mobili del debitore (art. 543 c.p.c.).
La dichiarazione di residenza è ovviamente prevista con riguardo alla eventualità che la parte istante abbia la propria residenza in quel Comune, nel quale, altrimenti, è tenuta a eleggere domicilio.
Qualora il creditore “dichiari una residenza o elegga un domicilio non aventi nessun collegamento con il luogo ove sono i beni da espropriare, e ove quindi si procederà poi in concreto alla esecuzione”, la legge assicura al debitore precettato un sicuro rimedio correttivo, qua¬lora intenda proporre opposizione prima dell’inizio dell’esecuzione.
Egli avrà, infatti, la possibilità di controllare immediatamente con sicurezza un’eventuale violazione della competenza per territorio, quale stabilita inderogabilmente dall’art. 26, comma 1, c.p.c.; e quindi, in man¬canza della dichiarazione di residenza o della elezione di domicilio pres¬so la sede del giudice competente (ossia del giudice di un luogo in cui sia dalla legge consentito il pignoramento, a norma dell’art. 513, dell’art. 543 e dell’art. 555 c.p.c.), avrà la facoltà di proporre opposizione – ai sensi dell’art. 615, primo comma, come dell’art. 617, primo comma – davanti al giudice del luogo in cui il precetto gli fu notificato, cioè di regola davanti al giudice del luogo in cui ha la residenza o il domicilio.
Ciò in base non solo all’art. 480, terzo comma, ma anche all’espresso disposto dell’art. 27 c.p.c., che per le cause di opposizione dichiara competente il giudice del luogo dell’esecuzione, salva la disposizione del-l’art. 480, terzo comma, ossia salva precisamente la disposizione conte¬nuta nella seconda parte del terzo comma.

Questa interpretazione dell’art. 480, terzo comma, non contrasta con il principio ripetutamente enunciato dalla giurisprudenza ordinaria, che quando l’esecuzione non è ancora iniziata, non potendosi conosce¬re con certezza il luogo in cui si trovano i beni che saranno sottoposti alla esecuzione stessa, la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio che il creditore è tenuto a fare nel precetto serve a stabilire in via presuntiva il luogo della minacciata esecuzione, ed è determinante al fine di radicare definitivamente la competenza del giudice che ivi ha sede a pronunciarsi sulle eventuali opposizioni del precettato.

È, infatti, appena il caso di osservare che la competenza per territorio per le cause di opposizione all’esecuzione è sempre inderogabile (art. 28 c.p.c.), e che, pertanto, l’eventuale elezione di domicilio in luogo ove non sussista la possibilità di procedere a pignoramento, mobiliare o immobiliare, non potrebbe mai ritenersi operante ai sensi dell’art. 480, terzo comma, né comunque idonea ad attribui¬re al giudice di quel luogo una competenza inderogabilmente stabilita dalla legge.
Anche nel caso in cui l’esecuzione possa svolgersi, a scelta della parte istante, sopra beni mobili o immobili siti in luoghi diversi, competente sarà sempre e soltanto il giudice del luogo in cui la legge, in base a criteri obiettivi, permette di pignorare i beni prescelti per l’esecuzione, e, pertanto, la norma in questione non consente arbitraria sottrazione del precettato al giudice precostituito per legge.
In virtù dell’ultimo comma dell’art. 480 c.p.c., il precetto deve essere sottoscritto a norma dell’articolo 125 c.p.c. Per la giurisprudenza, conformemente alla già più volte ribadita natura non processuale del precetto, non trova applicazione il secondo comma dell’art. 125 c.p.c. e, per l’effetto, la sottoscrizione da parte di un procuratore legale privo di procura in calce al precetto ne determina la nullità che non può essere sanata anche se la procura sia rilasciata successivamente alla notifica dell’atto.

Inoltre, sempre in base all’ultimo comma dell’articolo 480 c.p.c., il precetto va notificato alla parte personalmente a norma degli articoli 137 e seguenti del c.p.c. Il precetto, pertanto, è un atto recettizio e come tale va portato a conoscenza del destinatario. Al fine di realizzare siffatta conoscenza sono richiamate le norme del libro I relative alle notificazioni prevedendo, in particolare, che sia l’Ufficiale giudiziario a eseguirla mediante consegna al destinatario di copia conforme all’originale munita della formula esecutiva.
Al riguardo l’articolo 479 prevede che, salvo le eccezioni espressamente previste dalla legge, l’esecuzione forzata deve essere preceduta dalla notificazione del titolo in forma esecutiva e del precetto; sia il titolo che il precetto devono essere notificati personalmente alla parte. L’ultimo comma aggiunge che il precetto può essere redatto di seguito al titolo esecutivo ed essere notificato insieme con questo (salvo che nella già commentata ipotesi disciplinata dall’art. 477). È il caso di rammentare che il vizio di notificazione dell’atto di precetto si traduce in un vizio di nullità del pignoramento e, di conseguenza, va dedotto mediante il meccanismo dell’opposizione agli atti esecutivi (Cass., sez. III, n. 5231 del 6 maggio 1993).
Abbiamo visto che il primo comma dell’art. 479 usa l’espressione “se la legge non dispone altrimenti”, richiamando, in tal modo, l’attenzione dell’interprete sull’esistenza di ipotesi in cui non è necessaria la no¬tifica del titolo esecutivo e/o del precetto. Si pensi all’ipotesi frequente contemplata nell’articolo 654, comma 2, c.p.c. che stabilisce che ai fini dell’esecuzione non occorre una nuova notificazione del decreto esecutivo ma è sufficiente che nel precetto si faccia menzione del prov-vedimento che ha disposto l’esecutorietà e dell’apposizione della formula.

A norma dell’articolo 481, il precetto non ha un’efficacia illimitata ma, al contrario, diventa inefficace se, nel termine – perentorio – di novanta giorni dalla sua notificazione non è iniziata l’esecuzione (al riguardo si parla di perenzione dell’atto di precetto).
Ovviamente l’espressione “non è iniziata l’esecuzione” va coordinata con i vari tipi di esecuzione disciplinati.
Nell’espropriazione forzata il primo atto è il pignoramento (art. 491); nell’esecuzione per consegna il primo atto è l’accesso del-l’Ufficiale giudiziario (art. 606); nell’esecuzione per rilascio il pri¬mo atto è la notifica dell’avviso da parte dell’Ufficiale giudiziario (art. 608); nell’esecuzione forzata di obblighi di fare il primo atto è il deposito del ricorso presso la Cancelleria del Giudice dell’esecuzione (art. 612).
La richiamata disposizione normativa trova applicazione anche con riferimento alla disciplina speciale prevista in materia di riscossione coattiva delle entrate patrimoniali (r.d. n. 639/1910) con l’effetto che l’inosservanza del termine perentorio comporta la nullità del pignoramento eseguito; nullità che deve essere dedotta dal debitore mediante l’opposizione agli atti esecutivi.
Il suddetto termine è di “decadenza” e, quindi, una volta che sia stato rispettato, consente di instaurare altre procedure espropriative con il solo limite del divieto del cumulo eccessivo.
Il Legislatore, a tutela del creditore, stabilisce che se contro il precetto è proposta opposizione, il termine rimane sospeso e riprende a decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza che ha definito il processo di opposizione o dal momento di estinzione di esso.
Appare opportuno mettere in evidenza che ai sensi dell’articolo 283
c.p.c. il giudice d’appello può sospendere parzialmente l’esecutività di un titolo esecutivo giudiziale. Qualora sia ancora pendente il termine perentorio di efficacia del precetto si realizzano due scenari: a) con riguardo alla parte di pretesa rispetto alla quale non è stata disposta la sospensione l’esecuzione può iniziare entro il termine di novanta giorni; b) con riguardo alla parte di pretesa rispetto alla quale è stata disposta la sospensione, l’esecuzione può iniziare dal momento che il titolare del diritto ha ricevuto comunicazione della cessazione dell’efficacia della sospensione e, in tal caso, va tenuto conto del residuo termine di efficacia del precetto stesso.

Coerentemente alla dichiarata natura non processuale dell’atto di precetto, la giurisprudenza è concorde nel ritenere che al termine di novanta giorni non si applichi la sospensione feriale dei termini processuali ex art. 1 della legge n. 742 del 7 ottobre 1969.
L’articolo 482 prevede un termine dilatorio allorché dispone che non si può iniziare l’esecuzione forzata prima che sia decorso il termine indicato nel precetto e, in ogni caso, non prima che siano decorsi dieci giorni dalla notificazione di esso.
L’inizio dell’esecuzione forzata senza il rispetto del suddetto termine determina la nullità sia del precetto che del pignoramento eseguito. Al contrario, l’indicazione nell’atto di precetto di un termine ad adempiere inferiore ai dieci giorni non ne determina la nullità qualora l’esecuzione rispetti, comunque, il suindicato termine. È evidente che se è indicato un termine maggiore di dieci giorni è questo maggior termine a dover essere necessariamente rispettato.
Anche al termine previsto dall’art. 482 non si applica la sospensione feriale dei termini processuali.

Va detto che il creditore procedente, se ha fondato motivo di ritenere che il rispetto del termine di dieci giorni possa pregiudicare la fruttuosità della futura esecuzione forzata, può, con istanza motivata, chiedere al Presidente del tribunale competente per l’esecuzione (che può a sua volta delegare un giudice) di essere autorizzato all’esecuzione immediata, ovvero senza il rispetto del predetto termine. L’istanza, così come il precetto, atteso che incide sui soli effetti del precetto, può essere sottoscritta sia personalmente dalla parte che da un suo rappresentante sostanziale. L’autorizzazione, che può prevedere anche la presta¬zione di una cauzione, è data con decreto scritto in calce al precetto e trascritto a cura dell’Ufficiale giudiziario nella copia da notificarsi. In nessun caso l’autorizzazione all’esecuzione immediata può essere contenuta in un atto anteriore all’intimazione del precetto.
Contro il decreto che decide sull’istanza non è previsto alcun mezzo di impugnazione ma l’istanza può essere riproposta. 
 

 

 

Bruno Cirillo

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento