Il preavviso di rigetto dell’istanza di parte: tra la volontà del legislatore, l’applicazione restrittiva, il principio della conservazione degli atti ed i recenti arresti giurisprudenziali

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La tematica

Interessante appare il recente arresto giurisprudenziale in materia di “adeguata” applicazione dell’articolo 10-bis della legge sul procedimento amministrativo (L. n. 241/90) di cui alla pronuncia del Supremo Organo di Giustizia Amministrativa n. 01705 del 15.03.2019 della Quinta Sezione, con la quale si è stabilito che:

“Se è vero, infatti, che, per costante giurisprudenza, laddove il provvedimento negativo sia supportato da una pluralità di ragioni autonome, è sufficiente ai fini della legittimità dell’atto che anche una sola di esse resista al vaglio giurisdizionale (da ultimo, Cons. Stato, V, 13 settembre 2018, n.5362), è altresì vero che l’applicazione adeguata dell’art. 10-bis della legge sul procedimento amministrativo esige non solo l’enunciazione nel preavviso di provvedimento negativo delle ragioni che si intende assumere a fondamento del diniego, ma anche che le stesse siano integrate, nella determinazione conclusiva ancora negativa, con le argomentazioni finalizzate a confutare la fondatezza delle ragioni formulate dall’interessato nell’ambito del contraddittorio predecisorio attivato dall’adempimento procedurale in questione (Cons. Stato, VI, 27 settembre 2018, n. 5557; III, 5 giugno 2018, n.3396; VI, 2 maggio 2018, n. 2615; I, 25 marzo 2015, n. 80)”.

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La vicenda oggetto del giudizio

Tale precisazione in punto di applicazione, definita dai Giudici “adeguata”, del dettato normativo di cui all’art. 10-bis della Legge 7 agosto 1990, n. 241 (Norme sul procedimento amministrativo), su un tema sempre di stringente attualità così come molto dibattuto in dottrina e giurisprudenza in quanto inerente la produzione degli atti amministrativi, è stata formulata nel ricorso in appello innanzi al Consiglio di Stato proposto dalla Kuwait Petroleum Italia S.p.a. che ha impugnato la sentenza di primo grado pronunciata a favore della controparte, ANAS S.p.a., che aveva respinto l’istanza della società volta a ottenere il rinnovo della concessione di un impianto di carburanti situato dal 1979 lungo la strada statale n. 3 Flaminia, nel tratto ricadente nel territorio del Comune di Foligno, volturata a Kuwait nel 1992 e scaduta nel 2000, e diffidato il gestore alla chiusura degli accessi.

L’ANAS aveva motivato tale provvedimento sfavorevole a causa delle difformità[1] rilevate rispetto alle norme tecniche per gli impianti insistenti sulla tipologia di strada interessata (strade extraurbane principali “tipo B”), di cui alla circolare ANAS n. 35925 del 14 marzo 2013.

Quest’ultima Società aveva correttamente e tempestivamente inviato la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza ai sensi e per gli effetti dell’art. 10-bis[2] della richiamata L. n. 241/90, alla quale rispondeva la Kuwait Petroleum Italia S.p.a. con un progetto al fine di intervenire sull’impianto (tra l’altro già in essere al momento dell’adozione della predetta circolare e, pertanto, rivolta precipuamente ai nuovi impianti ma, nel contempo,  rappresentante un obbligo di adeguamento per quelli già attivi) adeguandolo e potenziandolo sotto il profilo degli standard di sicurezza degli accessi e conformandosi alle norme tecniche della predetta circolare n. 35925/2013.

Ebbene, ANAS S.p.a., confermava il rigetto della originaria domanda di rinnovo di concessione riprendendo puntualmente le medesime ragioni riportate nell’avviso di diniego (sette difformità rilevate da ANAS) ritenendo che lo stesso, nonostante le osservazioni dell’istante a corredo del progetto di adeguamento dell’impianto, non richiedeva l’assolvimento di un ulteriore e specifico onere motivazionale, oltre l’enunciazione dei profili di criticità, che erano già stati evidenziati, anche perché espressione di una valutazione prettamente tecnica avente di mira la garanzia di adeguati standard di sicurezza.

Su tale ultimo assunto, dunque, è intervenuto il Consiglio di Stato precisando che nella fattispecie è da ravvisare la non sussistenza di elementi a supporto del diniego laddove l’istante (Kuwait Petroleum Italia S.p.a.) preso atto dei motivi ostativi al buon esito della propria domanda di rinnovo, per il superamento degli stessi ha provveduto all’illustrazione di un progetto di adeguamento alle disposizioni regolanti la materia della sicurezza degli impianti in parola.

Orbene, ammesso che i profili di difformità erano stati tutti dettagliatamente affrontati e superati dal progetto di adeguamento predisposto dall’istante, l’impianto motivazionale del provvedimento finale di rigetto nel quale semplicemente ANAS riproduceva quelli del preavviso di rigetto e, quindi, di fatto facente riferimento ad una conformazione dello stato dell’impianto in se, e non a quello che sarebbe risultato dall’attuazione del progetto di adeguamento proposto da Kuwait.

Ecco il motivo per il quale il Collegio si spinge addirittura a definire “di fatto inintellegibile” il provvedimento conclusivo di rigetto di ANAS, visto che non è dato capire quali erano in concreto le difformità residue che si frapponevano all’accoglimento dell’istanza di rinnovo di concessione, avendo liquidato il progetto di adeguamento, realizzato, si ripete, proprio per eliminare i vizi strutturali riscontrati, affermando genericamente che non risolveva le non conformità evidenziate.

Quindi, di fatto esautorando la funzione partecipativa e risolutiva anche sotto il profilo deflattivo del contenzioso, dell’istituto del preavviso di rigetto.

Proprio su tale ultimo importante aspetto, il Consiglio di Stato statuisce che – volendo fare un’appropriata applicazione del dettato di cui all’art. 10-bis della L. n. 241/90 – nella parte motiva del provvedimento finale non solo si sarebbe dovuto procedere alla disamina della proposta progettuale sviluppata in aderenza al preavviso di provvedimento negativo, ma – qualora tutte le difformità non fossero state superate, pronunciarsi nel merito del progetto stesso, comportato ciò conseguentemente la modifica delle motivazioni del diniego, rendendo queste ultime, in difetto di una loro rinnovata esposizione, non più puntualmente rintracciabili nell’atto.

Inquadramento della sentenza tra gli orientamenti dottrinali e le diverse soluzioni giurisprudenziali

La pronuncia in esame, si colloca in maniera rilevante nella discussione che interessa da lungo tempo l’istituto del preavviso di rigetto con la cui introduzione il legislatore ha voluto aprire il procedimento amministrativo alla partecipazione dei cittadini interessati/privati, che si rivolgo alla P.A., in una fase pre-decisoria molto delicata e significativa come quella del rigetto della domanda presentata e prima della formale adozione di un provvedimento negativo”, riconoscendo agli stessi – nell’intento di scongiurarne la definizione sic et simpliciter“il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti”. Ciò che ha voluto evidenziare il Supremo Collegio Amministrativo è il dettato normativo secondo il quale: “Dell’eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale”.

Ebbene, da tale pronunciamento, si deve dedurre – a sommesso parere di chi scrive – che non solo va rispettato pedissequamente quanto previsto sotto il profilo della garanzia del contraddittorio tra l’istante e l’Amministrazione che si è dichiarata per l’adozione del provvedimento sfavorevole al cittadino interessato, invece, ad una decisione favorevole ed in tal senso è chiamato a portare il proprio apporto collaborativo, deduttivo od anche documentale in funzione dei motivi che ostano all’accoglimento della domanda posto a fondamento dalla P.A., ma che di quanto controdedotto dall’istante in risposta del preavviso di rigetto, va dimostrato di averne tenuta debita considerazione prendendo posizione, a tal riguardo, nella parte motiva del provvedimento conclusivo.

Va dato atto che ciò è stato statuito in un contesto normativo, dottrinale e giurisprudenziale in cui si tende costantemente ad escludere la sussistenza dell’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento ai sensi dell’art. 10-bis, L. n. 241/90, laddove l’Amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (per tutte: Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 28 giugno 2016 n. 2924). Questo alla luce della successiva specifica previsione di cui all’art. 21-octies, comma 2, della stessa legge sul procedimento amministrativo[3], secondo il quale “il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato” (in giurisprudenza, per citare solo le ultimissime pronunce in tal senso: TAR Sicilia – Catania, Sez. IV, n. 1544 del 24.6.2019; Consiglio di Stato, Sez. III, n. 4414 del 26.6.2019)

Ordunque, appare corretto ritenere che tale trasversale atteggiamento salvifico della legittimità del provvedimento conclusivo per la mancata comunicazione del preavviso di rigetto risponde, in primis, al generale ed astratto principio “utile per inutile non vitiatur” e alla connessa conservazione degli atti giuridici[4] che trova applicazione sia nel diritto civile che in quello amministrativo (nel primo caso ne sono diretta declinazione ad es.: gli artt. 1419, 1420 e 1446 c.c. come di rilievo è la previsione dell’art. 1367c.c., e nel secondo caso ad esempio, proprio l’art. 21-octies, comma 2, così come il 21-nonies, comma 2).

Ma da più parti si è sempre affermato che, fissate e garantite le ragioni di una indiscussa utilità del preavviso di rigetto laddove sia effettivo strumento di confronto dialettico sulla proposta di rigetto, secondo le specifiche finalità collaborative e deflattive che contraddistinguono l’istituto in argomento, che come a norma dell’art. 7, comma 1, della L. 241/90, a proposito di comunicazione di avvio del procedimento, l’Amministrazione ha l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento stesso ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi nonché ai soggetti individuati o facilmente individuabili diversi dai suoi diretti destinatari, qualora da un provvedimento possa derivare loro un pregiudizio, ma ciò ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento[5].

Così costituisce jus recptum quello per cui anche l’obbligatorietà del preavviso di rigetto sussiste in relazione all’art. 10-bis, col temperamento, sul piano della legittimità del provvedimento conclusivo, nascente dal richiamato disposto dell’art. 21 octies, comma2, della L. 241/90. In virtù di questo combinato disposto normativo, è oramai diffusa l’applicazione restrittiva dell’art. 10-bis della legge 241/90 laddove si afferma che “ il mancato invio del preavviso di rigetto non comporta l’automatica illegittimità del provvedimento finale che, dunque, non è  annullabile qualora sia stato adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, avendo il giudice la facoltà di valutare il contenuto sostanziale dell’atto, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato” (per tutte: Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza n. 1001 del 3 marzo 2017; Consiglio di Stato, Sezione IV sentenza n. 1508 del 9 marzo 2018, ripresa e confermata dalla medesima Sezione del Consiglio di Stato, nella sentenza 4 settembre 2018, n. 5185 Presidente: Poli – Estensore: Verrico).

Osservazioni conclusive

Tutti sono d’accordo che l’intenzione del legislatore del 2005 (L. 11.2.2005 n. 15) che ha introdotto l’istituto del c.d. preavviso di diniego era sostanzialmente quella di provocare l’interlocuzione sui contenuti negativi dell’adottando provvedimento finale che l’Amministrazione rappresenta all’istante. Ciò secondo specifiche finalità collaborative e deflative del contenzioso che si sviluppano intorno alla proposta di rigetto che si cerca di superare con un confronto dialettico e partecipativo istante-Amministrazione, attuando in concreto l’esigenza di democraticità che pervade tutta la legge n. 241/90 e, ancor più in generale, ii principi di buon andamento e della trasparenza dell’azine amministrativa[6].

Tale istituto risponde infatti all’esigenza manifestatasi nella prassi, di rendere noto all’istante l’orientamento contrario dell’Amministrazione circa quanto richiesto dalle stesso, prima dell’adozione del provvedimento sfavorevole, onde permettere  non solo di confutare nel merito le ragioni ostative addotte dalla P.A. ma, se del caso, modificare l’istanza originaria o proponendo la stipula di accordi sostitutivi ex art. 11 della medesima Legge 241/90. Così facendo, la sede giurisdizionale o giustiziale non rappresenta più l’unico momento di confronto, come avveniva prima dell’introduzione del preavviso di rigetto, sul provvedimento esplicito e definitivo di diniego, con la proposizione di un ricorso[7].

Ordunque, richiamate le deroghe a tale istituto, normate dallo stesso legislatore, se il preavviso di rigetto costituisce un indefettibile presidio di legalità sostanziale, in quanto punto di esplicazione ed elemento di riscontro del legittimo esercizio del potere amministrativo, è di tutta evidenza la complementarietà che avvince la fase del contraddittorio procedimentale e quella della successiva elaborazione ed ostensione delle relative risultanze motivazionali finali, proprio circa le controdeduzioni presentate dal privato, trattandosi di momenti dell’azione amministrativa strettamente funzionali le une alle altre[8].

A tal riguardo, dunque, come più volte ribadito dalla Suprema Giustizia Amministrativa, l’Amministrazione è tenuta, nell’ipotesi di mancato accoglimento delle osservazioni di parte (che costituirebbero le memorie scritte di cui all’art. 10, lett. b) della L. 241/90[9]), ad un puntuale esame ed una dettagliata controdeduzione nel merito delle stesse. Diversamente si potrebbe ritenere che  l’omessa confutazione delle osservazioni rese in sede endoprocedimentale “declassa lo strumento partecipativo del preavviso a mero simulacro formale così integrando la sostanziale obliterazione di quello strumento che assicura l’attuazione del principio partecipativo anche nei procedimenti ad istanza di parte” (Cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 5 luglio 2000, n. 3709; Consiglio di Stato, sez. V, 23 maggio 2001, n.2849; Consiglio di Stato, sez.V, 28 maggio 2004, n. 3467; Consiglio di Stato, sez. IV, 14 giugno 2005, n. 3124).

Ma vi è di più, al fine di non frustrare la effettività della funzione garantistica dell’istituto del c.d. preavviso di diniego esaminata sopra, e non si risolva in un mero formalismo fine a se stesso prestandosi ad abusi o elusioni, parte della giurisprudenza ritiene illegittimo l’atto finale in caso di c.d. “asimmetria motivazionale”: “i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, come comunicati nel c.d. preavviso si ritrovino o, comunque, si presentino in linea di coerenza logica con la parte motiva del provvedimento negativo, che magari potrà anche risultarne arricchito con l’aggiunta di ulteriori rilievi conseguenti alle osservazioni presentate dall’interessato, ma non potrà contenere una motivazione del tutto estranea ai motivi in precedenza comunicati ex art. 10-bis” (TAR CAMPANIA-NAPOLI, SEZ. III – Sentenza 27 agosto 2016, n. 4111). Ciò in linea con una precedente pronuncia del TAR, Campania-Salerno, sez. I, n° 477 del 04/03/2015 che stabiliva, in maniera ancora più stringente: “La PA non può fondare il provvedimento finale su ragioni diverse ed ulteriori rispetto a quelle che sono state già rappresentate all’istante con la comunicazione ex art. 10 bis. L’inserimento, nel diniego, di motivi, assenti nel cd. preavviso di rigetto frustra lo scopo partecipativo dell’istituto e priva l’interessato di una fondamentale garanzia, tipica del “giusto” procedimento, ovvero della possibilità di articolare valide controdeduzioni alle argomentazioni ostative. In siffatta ipotesi viene, infatti, impedito all’istante di accedere alla facoltà di fornire alla PA procedente un utile contributo partecipativo, atto a mettere a disposizione della stessa ogni elemento valido anche ai fini di una eventuale rideterminazione dell’agire amministrativo”.

Conformemente e recentemente il Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 11 marzo 2019, n. 1613: “L’istituto del cd. preavviso di rigetto, di cui all’art. 10-bis, L. n. 241 del 1990, ha lo scopo di far conoscere alle amministrazioni, in contraddittorio rispetto alle motivazioni da esse assunte in base agli esiti dell’istruttoria espletata, quelle ragioni, fattuali e giuridiche, dell’interessato, che potrebbero contribuire a far assumere agli organi competenti una diversa determinazione finale, derivante, appunto, dalla ponderazione di tutti gli interessi in campo e determinando una possibile riduzione del contenzioso fra le parti”.

Sul punto però, la giurisprudenza più attenta ha precisato che per l’integrazione del vizio, le ragioni esplicitate per la prima volta solo nel provvedimento finale devono, tuttavia, significare elementi cardini su i quali si basa il provvedimento di rigetto ovvero la voluntas ultima della PA. a tal riguardo il principio di diritto condiviso dai più, è il seguente: “Pur non essendo richiesta una corrispondenza puntuale e di dettaglio tra il preavviso ex art. 10 bis, l. n. 241 del 2000 ed il provvedimento conclusivo, è però necessario che detto atto di diniego si inscriva nello schema delineato dal preavviso, non essendo consentito all’Amministrazione fondare il diniego definitivo su ragioni del tutto nuove, tanto da frustrare la funzione partecipativa propria del preavviso stesso” (T. A. R. Piemonte – Sez. I, 7/02/2007, n. 503).

Per completezza va comunque fatto presente un diverso e coevo orientamento interpretativo meno restrittivo secondo il quale non solo “la P.A. non ha l’obbligo di confutare puntualmente le osservazioni presentate dalla parte privata a seguito del preavviso di rigetto dell’istanza, poiché le ragioni ostative all’accoglimento delle medesime ben possono evincersi dalla motivazione del provvedimento negativo che chiude il procedimento” (TAR Toscana – Firenze, Sez. III, n. 956 del 26.6.2019), ma anche che “l’omessa confutazione delle osservazioni rese in sede endoprocedimentale non si traduce in un mero difetto motivazionale, ove si tratti di un diniego comunque assistito da una esaustiva ostensione delle ragioni a suo fondamento, quanto piuttosto in un sostanziale deficit partecipativo la cui ricaduta patologica è suscettibile di essere neutralizzata dal citato art. 21 octies”. Ed in conclusione ritenendo: “La mancata confutazione delle ragioni prospettate dall’interessato dopo la comunicazione del preavviso di diniego deve essere assimilata al difetto di quest’ultimo cosicchè entrambe le ipotesi astrattamente patologiche sono attratte all’alveo applicativo dell’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990” (Sentenza del Consiglio di Stato del 2.1.2019).

Dunque, in conclusione, va rilevato questo orientamento giurisprudenziale contrastante proprio circa il comportamento che la P.A. deve tenere rispetto alle argomentazioni articolate dalla parte istante rispetto ai motivi ostativi all’accoglimento rappresentati nel preavviso di rigetto. Ovviamente è fuori di dubbio che rientra nel medesimo atteggiamento salvifico di cui sopra, e cioè che “l’articolo 10 bis della L. 7 agosto 1990, n. 241, deve essere valutato dal Giudice avendo riguardo al successivo articolo 21-octies relativo alla non annullabilità degli atti per omessa comunicazione di avvio – cui è da assimilare, il mancato preavviso di rigetto – laddove l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto dispositivo dell’atto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato” (Consiglio di Stato, sez. VI, 27/07/2015, n. 3667)

Pertanto, così ragionando, se financo lo stesso inoltro del preavviso di rigetto è dequotabile lo è, vieppiù, l’omessa risposta analitica alle deduzioni proposte dell’istante, laddove potrebbe anche bastare che sia avvenuta la ponderazione delle stesse ed un sintetico ed anche implicito richiamo alle ragioni di non condivisibilità delle medesime.

A tali posizioni giurisprudenziali corrisponde un aggravamento della posizione dell’istante, che il legislatore voleva parte attiva del procedimento amministrativo, che dovrà dare in giudizio, in ipotesi di violazione dell’art. 10 bis, l. n. 241, prova della utilità della partecipazione in sede procedimentale e, in caso di omessa interlocuzione sulle osservazioni frapposte ai motivi ostativi di cui all’avvenuta notifica del preavviso di rigetto, si troverà nell’impossibilità di comprendere – ai fini delle strategie difensive – quali ed ulteriori elementi la P.A. avrebbe richiesto al fine del buon esito dell’istanza di parte in sede stragiudiziale, considerate le frasi stereotipate con cui viene liquidato l’apporto partecipativo dell’istante: “considerata la non condivisibilità delle osservazioni” …. “vista la  scarsità degli elementi ulteriori che ha fornito”… la parte istante.

Tutto ciò, disallineandosi dalla volontà dell’originario legislatore, che pur aveva previsto delle specifiche eccezioni, ed in particolare dall’impostazione del principio di partecipazione fattiva del privato cittadino nel procedimento amministrativo, ed in particolar modo proprio nella fase pre-decisoria, che viene in siffatto modo “disarmato” sulla base di valutazioni di superfluità crescenti che non trovano conforto nel quadro delle coordinate ermeneutiche innanzi tratteggiate.

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Note

[1] Difformità relative alle lunghezze delle corsie di accesso e alla distanza minima tra la corsia di accelerazione e la rampa di uscita dello svincolo successivo. Tant’è che la stessa Kuwait aveva dato atto della insufficienza della distanza della corsia di accelerazione dallo svincolo di Sant’Eraclio (m 53,80 anziché 300) e della insufficienza della lunghezza della corsia di accelerazione (m 88,10 anziché 260) e aveva proposto subito un progetto di adeguamento.

[2] Il cui testo, introdotto dall’art. 6 della legge n. 15 del 2005, qui di seguito si riporta per come è stato modificato dal dall’art. 9, comma 3, della legge n. 180 del 2011: “Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l’autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. La comunicazione di cui al primo periodo interrompe i termini per concludere il procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo. Dell’eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle procedure concorsuali e ai procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali. Non possono essere addotti tra i motivi che ostano all’accoglimento della domanda inadempienze o ritardi attribuibili all’amministrazione”.

[3] Anche questo articolo è stato introdotto dalla novella legislativa  dell’11 febbraio 2005, n. 15 “Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull’azione amministrativa” pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 42 del 21 febbraio 2005.

[4] Per ogni approfondimento, tra gli altri: VIRGA P., Il provvedimento amministrativo, III ed., Giuffrè, Milano, 1968; VIRGA P., Diritto amministrativo, Atti e ricorsi, vol. II, Milano, 2001; F. CARINGELLA, in Corso di diritto amministrativo, tomo II, Milano, 2001; MAGRA S., Principio di conservazione del provvedimento amministrativo fra nullità, annullabilità e inesistenza, in www.overlex.com, 2006. In giurisprudenza, ex multis: Cass. civ., Sez.II, 9.1.2004, n.155; Tar Basilicata, Potenza, sez. I, 8 novembre 2012, n. 479. Tar Campania, Napoli, sez. I, 12 novembre 2014, n. 5844, Consiglio di Stato sez. IV, 26 luglio 2012, n. 4257, in www.giustizia-amministrativa.it.

[5] Infatti, la giurisprudenza di Palazzo Spada è orientata nel senso che ove non sussistano specifiche ragioni di urgenza da indicare nell’atto, l’Amministrazione deve dare comunicazione dell’avvio del procedimento al soggetto destinatario dell’ammonimento e ciò in quanto, in assenza di espressa deroga, devono trovare applicazione le garanzie di partecipazione procedimentale e deve essere concessa la possibilità all’interessato di palesare il proprio punto di vista (cfr., ex plurimis: Cons. Stato. sez. III, n. 5676/2011; n. 1069/2012; 4127/2015; 4187/2018; 1085/2019).

[6] TARULLO, S., L’art. 10-bis della Legge n. 241/90: il preavviso di rigetto tra garanzia partecipativa e collaborazione istruttoria, in www.giustamm.it,2005; BOTTINO, G., La comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di parte: considerazioni su di una prima applicazione giurisprudenziale del nuovo art. 10 bis, l. n. 241 del 1990, in Foro amm. – Sentenza TAR, 2005, 1554.

[7] Era il caso di chi presentava un’istanza priva di un requisito necessario, previsto come tale dalla normativa di riferimento, per una semplice dimenticanza o inerzia, che prima dell’istituto del preavviso di rigetto, non era messo in grado di prendere contezza di siffatta mancanza dovuta alla propria negligenza nel collazionare la documentazione necessaria al buon esito della propria domanda, e che ad oggi può, invece, sanare tale omissione senza dover ripresentare la stessa domanda ovvero incardinare un contenzioso inutile, a seguito del rigetto.

In dottrina, tra i moltissimi contributi, LUCCA, M., Il c.d. preavviso di rigetto tra buona fede e legittima aspettativa del privato, in www.LexItalia.it, n. 6/2005.

[8] TRIMARCHI Banfi, L’istruttoria procedimentale dopo l’articolo 10-bis della legge sul procedimento amministrativo, in Dir. amm., 2011, pag. 353 ss.

[9] Aggiunta dall’art. 21, comma 1, lett. l), Legge 11 febbraio 2005, n. 15 nella seguente formulazione:

Articolo 10.

(Diritti dei partecipanti al procedimento)

I soggetti di cui all’articolo 7 e quelli intervenuti ai sensi dell’articolo 9 hanno diritto:

a) di prendere visione degli atti del procedimento, salvo quanto previsto dall’articolo 24;

b) di presentare memorie scritte e documenti, che l’amministrazione ha l’obbligo di valutare ove siano pertinenti all’oggetto del procedimento.

Dott. Silvio Garofalo Quinzone

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