Il porto d’armi per gli appartenenti alle forze di polizia. Disciplina vigente e prospettive (esigenze) di riforma.

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SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. La disciplina normativa vigente. – 3. Evidenziazione di talune discrasie rilevate nella disciplina di riferimento. – 4. Conclusioni (ed un’auspicabile proposta di intervento normativo).
 
 
1.   Premessa.
Il nostro ordinamento legislativo attribuisce alla Polizia di Stato, all’Arma dei Carabinieri ed alla Guardia di Finanza peculiari compiti in tema di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica.
Nell’ambito di queste Forze di polizia – individuate dal primo comma dell’art. 16 della legge n. 121 del 1981 – lo stesso ordinamento distingue gli “Ufficiali di pubblica sicurezza”, dagli “Agenti di pubblica sicurezza” e attribuisce, ai primi, compiti e funzioni, di maggior rilievo e responsabilità, di direzione dei servizi di ordine pubblico, conferendo, invece, ai secondi, attribuzioni meramente esecutive da porre in essere, peraltro, alle dirette dipendenze dei primi.
Al di là del valore e delle finalità di dette attribuzioni, che la legge riconosce in forza di una precisa ratio che non si intende certamente mettere in dubbio, appare quanto mai opportuno, per contro, avviare delle riflessioni – ed è questo lo scopo precipuo del presente lavoro – in merito a talune discrasie rilevate nella legislazione che regola il porto delle armi da parte del predetto personale di Polizia ed in particolare con riguardo alla disciplina riferibile a tutti coloro che rivestono la qualifica di agenti di pubblica sicurezza.
 
2.   La disciplina normativa vigente.
a.   Secondo il dettato normativo dell’art. 42 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza[1] (d’ora innanzi: T.U.L.P.S.) “Il Questore ha facoltà di dare licenza per porto d’armi lunghe da fuoco e il Prefetto ha facoltà di concedere, in caso di dimostrato bisogno, licenza di portare rivoltelle o pistole di qualunque misura o bastoni animati la cui lama non abbia una lunghezza inferiore a centimetri 65”.
In dettaglio, per quanto di più diretto interesse per il presente lavoro, la licenza di porto d’armi comuni da sparo – delle quali è possibile detenerne tre corte e sei lunghe[2] – viene rilasciata dal Prefetto, o dal Questore[3], "in caso di dimostrato bisogno"[4] nei confronti dei soggetti che ne facciano richiesta a prescindere dalla qualificazione soggettiva degli stessi e, comunque, previo accertamento dei requisiti necessari per ottenerne la concessione[5].
b.   Esclusivamente ai fini della difesa personale, inoltre, l’art. 73 del R.D. 6 maggio 1940, n. 635 (Regolamento per l’esecuzione del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza) dispone, per quanto di diretto interesse:
(1) al primo comma, che gli ufficiali di pubblica sicurezza…sono autorizzati a portare senza licenza …” di cui al citato art. 42 del TULPS “armi lunghe da fuoco…rivoltelle o pistole di qualunque misura o bastoni animati…[6].
In tale categoria sono da includersi: gli appartenenti ai ruoli dirigenziali o direttivi del personale che svolge funzioni di polizia nella Polizia di Stato[7], compresi gli Ispettori sostituti u.p.s., nonché gli Ufficiali e i Marescialli Aiutanti, sostituti di pubblica sicurezza, dell’Arma dei Carabinieri;
(2) nel secondo comma che gli agenti di pubblica sicurezza (ordinari e riconosciuti come tali da norme di legge), “…portano, senza licenza, le armi di cui sono muniti (ovvero, solamente quelle in dotazione ufficiale), a termini dei rispettivi regolamenti.”.
La norma in esame fa espresso rimando agli artt. 17 e 18 del R.D. 31 agosto 1907, n. 690, concernente il “Testo unico della legge sugli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza” che contemplano, mutatis mutandis, in tale categoria:
..    gli appartenenti al ruolo degli Agenti, dei Sovrintendenti, degli Ispettori e alla qualifica più elevata del ruolo degli Assistenti della Polizia di Stato[8];
..    gli Ispettori (ad esclusione dei M.A.S.U.P.S.), i Sovrintendenti, gli Appuntati ed i Carabinieri semplici dell’arma dei Carabinieri[9];
..    gli Ufficiali, gli Ispettori, i Sovrintendenti, gli Appuntati e i Finanzieri del Corpo della Guardia di Finanza[10];
..    gli appartenenti al Corpo Forestale dello Stato[11];
..    gli appartenenti alla Polizia Penitenziaria[12];
(3) infine, nel terzo comma, che gli agenti di pubblica sicurezza (che potrebbero definirsi: a competenza limitata – ossia quelli che acquisiscono tali funzioni sulla base di un apposito decreto di riconoscimento), “…possono portare, senza licenza, le armi di cui al capoverso precedente (quelle in dotazione ufficiale), soltanto durante il servizio o per recarsi al luogo ove esercitano le proprie mansioni e farne ritorno, sempre quando non ostino disposizioni di legge.”.
Nell’ambito di tale categoria, ai sensi dell’art. 43 del predetto R.D. n. 690 del 1907 – pure richiamato dalla norma in esame – sono da annoverarsi tutti i soggetti ai quali tale qualifica venga riconosciuta, dal Ministro dell’Interno (ovvero, con riguardo alla Polizia Municipale, dal Prefetto) in forza di disposizioni speciali, per l’esecuzione e l’osservanza di speciali leggi e regolamenti dello Stato.
Il riferimento è, a titolo meramente esemplificativo, come appena accennato, ai Corpi di Polizia Municipale e Provinciale, i quali esplicano funzioni ausiliarie di pubblica sicurezza con specifiche limitazioni di ordine territoriale[13], alle guardie cantoniere o di strade ferrate, alle guardie telegrafiche e alle guardie notturne dipendenti da amministrazioni pubbliche.
Ancora, per esigenze di carattere eccezionale e temporaneo – ai sensi della norma in commento – può essere conferita la qualifica di agente di pubblica sicurezza a conducenti di veicoli in uso ad alte personalità che rivestono incarichi istituzionali di Governo, al fine di consentire lo svolgimento di una più efficace azione di prevenzione e tutela dell’incolumità di tali personalità (vgs. D.L. n. 83 del 2002).
Si tenga presente, per chiarezza espositiva, che in base a quanto sancito dall’art. 38 dello stesso TULPS, i soggetti sopra segnalati sono, peraltro, esentati dall’obbligo di denuncia delle armi loro consentite.
c.   Le previsioni normative appena commentate devono, poi, essere messe in relazione con le disposizioni dettate dall’art. 77 della legge 1° aprile 1981, n. 121, secondo le quali l’appartenente – di ogni ordine e grado – alla Polizia di Stato… che porta in servizio armi diverse da quelle in dotazione è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa….”.
Secondo quanto chiarito dal Ministero dell’Interno con la Circolare n. 559/0.12878/10100.12(1)3, datata 28 marzo 1987, l’art. 77 in esame, non ha abrogato l’art. 73 del R.D. n. 635 del 1940, ma ne ha integrato il contenuto sancendo il divieto per tutti i soggetti ivi indicati (alcuni dei quali, come evidenziato, possono portare, fuori dal servizio, qualsiasi arma senza licenza) di portare, durante il servizio, armi diverse da quelle d’ordinanza. A parere di chi scrive, l’appena citata norma sanzionatoria trova applicazione, stando a quanto espressamente previsto dall’art. 20 della legge n. 395 del 1990, anche nei riguardi di tutti gli appartenenti alla Polizia Penitenziaria, ma non pare riferibile anche nei confronti degli appartenenti alle altre Forze di polizia.
In tutti i casi di porto abusivo di armi (durante o fuori dal servizio), si applica l’art. 699 del codice penale che espressamente punisce chiunque, senza la licenza dell’Autorità, quando la licenza è richiesta (circostanza quest’ultima che esclude di diritto tutti coloro che rivestono, nei termini sopra esplicati, la qualifica di “ufficiale di pubblica sicurezza”), porta un’arma fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa.
Considerato il carattere di specialità della disposizione sancita nell’art. 77 citato, rispetto al pure richiamato art. 699 c.p., è evidente che quest’ultima norma penale – con riguardo agli appartenenti alla Polizia di Stato (tenendo sempre esclusi gli “ufficiali di pubblica sicurezza”) e alla Polizia Penitenziaria – può trovare applicazione solo nelle ipotesi in cui detti soggetti portino, fuori dall’orario di servizio, armi diverse da quelle d’ordinanza, senza la licenza di cui al ripetuto art. 42 T.U.L.P.S.
Si consideri, inoltre, che la legge 2 ottobre 1967, n. 895, così come integrata dalla legge n. 497 del 1974, concernente “Disposizioni per il controllo delle armi”, punisce, con una specifica e diversa sanzione penale la condotta di chi “…illegalmente porta in luogo pubblico o aperto al pubblico…” armi comuni da sparo.
Tale norma potrà trovare applicazione, per quanto di più diretto interesse, soltanto nei confronti di quanti – appartenenti a qualunque Forza di Polizia, ad eccezione degli “ufficiali di pubblica sicurezza” – portino, senza la licenza di cui al più volte richiamato art. 42 T.U.L.P.S., armi diverse da quelle d’ordinanza in un luogo pubblico o aperto al pubblico, diverso però dalle adiacenze della propria abitazione.
Sul punto, infatti, la Suprema Corte di Cassazione ha infatti chiarito che:
– l’art. 699 cod. pen. non è stato del tutto sostituito dalla susseguente normativa contenuta nella legge 2 ottobre 1967 n. 895 e nella legge 14 ottobre 1974 n. 497 ma, come esplicitamente chiarito dall’art. 40 della legge 18 aprile 1975 n. 110, continua ad avere vigore nella parte non diversamente regolata dalle successive disposizioni. Pertanto, nel caso di armi proprie, tra cui sono da ricomprendere quelle da sparo ai sensi dell’art. 585 cod. pen., capoverso, n. 1, il loro porto senza licenza allorquando avviene in luogo pubblico o aperto al pubblico è sanzionato dall’art. 12 (ed eventualmente dall’art. 14 nel caso di armi comuni) della legge n. 497 del 1974 citata, mentre se avviene in luogo privato, ma fuori dell’abitazione o delle sue appartenenze, è sanzionato dall’art. 699 cod. pen. Sez. I, sent. n. 5601 del 14-06-1984 (cc. del 06-03-1984), Scalvini (rv 164827);
– in materia di porto di armi comuni da sparo, l’ipotesi "residuale" tra l’originaria previsione dell’art. 699 cod. pen. (concernente il porto "fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa") e quella dell’art. 10 della legge n. 497 del 1974 (concernente il porto "in luogo pubblico o aperto al pubblico") è costituita dal porto delle armi in quei luoghi, diversi dall’abitazione o dalle sue appartenenze, che non siano né pubblici, né aperti al pubblico (quale, ad esempio, il fondo colonico recintato); porto che integra tuttora gli estremi del reato previsto dall’art. 699 cod. pen. (disposizione, quest’ultima che disciplina ancora, oltre l’ipotesi predetta, anche il porto delle armi bianche proprie, ossia degli strumenti da punta e taglio, la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona, come pugnali, stiletti e simili). Sez. I, sent. n. 1813 del 17-02-1987 (cc. del 15-12-1986), Stanchi (rv 175129);
– in materia di porto di armi comuni da sparo, l’ipotesi "residuale" tra la originaria prescrizione dell’art. 699 cod. pen. (concernente il porto "fuori della propria abitazione o dell’appartenenza di essa") e quella di cui all’art. 10 della legge 14 ottobre 1974 n. 497 (relativa al "porto in luogo pubblico o aperto al pubblico"), è costituita dal porto delle armi in quei luoghi, diversi dall’abitazione o dalle sue appartenenze, che non siano né pubblici né aperti al pubblico. (Nella fattispecie, la Suprema Corte ha ritenuto sussistente il reato previsto dall’art. 699 cod. pen. in relazione al porto di arma comune da sparo in un fondo rustico recintato). Sez. I, sent. n. 8539 del 17-09-1993 (cc. del 11-03-1993), Giuntoli (rv 195278);
– non ricorrono gli estremi del reato di porto abusivo di arma da sparo in luogo pubblico o aperto al pubblico di cui all’art. 12 della legge 14 ottobre 1974 n. 497 allorquando il fatto si verifica all’interno di un cortile munito di recinzione annesso all’abitazione dell’agente e di esclusiva proprietà di quest’ultimo. Poiché il cortile costituisce, a norma dell’art. 817 cod. civ., una tipica pertinenza del fabbricato al cui servizio è destinato, una siffatta condotta non realizza neppure l’ipotesi criminosa prevista dall’art. 699 cod. pen., riferibile, dopo l’entrata in vigore della speciale normativa sulle armi, ai soli casi di porto in luoghi privati diversi dalla dimora dell’agente e dalle sue appartenenze. Sez. I, sent. n. 9834 del 25-09-1995 (cc. del 28-06-1995), Romano (rv 202681).
 
3.   Evidenziazione di talune discrasie rilevate nella disciplina di riferimento.
Il quadro normativo sopra delineato, oltre a manifestare una eccessiva complessità, evidenzia talune problematiche che conducono, finanche, a rilevare un evidente trattamento ingiustificatamente discriminatorio tra soggetti che si trovano in medesime situazioni giuridiche come anche, invero, a trattare in maniera equivalente soggetti che si trovano in situazioni giuridiche e di fatto evidentemente diverse.
Tra le molte questioni che fanno insorgere rilevanti dubbi sulla coerenza delle suddette disposizioni, vale la pena di evidenziare le seguenti:
a.      secondo il dettato normativo dell’art. 73 del R.D. n. 635 del 1940 citato e, soprattutto in base all’interpretazione e concreta applicazione delle previsioni in esso contenute, adottate da parte degli Organi competenti in materia (Prefetture-UTG, per quanto riguarda le armi corte e Questure per quelle lunghe), il personale delle Forze di Polizia con competenza piena (di cui all’art. 16, comma 1, della Legge n. 121 del 1981) che non riveste la funzione di “ufficiale di pubblica sicurezza” (è l’ipotesi di maggior interesse per il presente lavoro) porta senza licenza – e la “capacità tecnica” che, a norma di legge, deve essere accertata per il rilascio del porto d’armi, si dà per scontata[14] – le armi d’ordinanza[15], ma per portare altre armi comuni da sparo deve richiedere il rilascio della licenza di porto di cui all’art. 42 del T.U.L.P.S. e deve, pertanto, essere in grado di dimostrare il bisogno di difendersi!
Si pone in luce, per contro, in tutta la sua ragionevolezza, come il tipo di lavoro svolto e le funzioni attribuite ai predetti agenti di pubblica sicurezza (ad esempio: Ufficiale/Agente di polizia giudiziaria, Ufficiale/Agente di polizia tributaria, Ufficiale/Agente di polizia valutaria, ecc…) – come anche, molte volte, il solo fatto di appartenere ad un Corpo di Polizia unitamente alla frequente possibilità di trovarsi, anche fuori dall’orario di lavoro, in un determinato luogo, nel preciso istante in cui avviene un qualsiasi crimine – siano da considerarsi, di per se stesse, condizioni sufficienti ad attestare, nei termini prescritti dall’art. 42 del T.U.L.P.S., il bisogno di difendersi, oltre che durante l’orario di servizio facendo uso, se del caso, delle armi d’ordinanza, anche, e, in particolar modo, fuori dal servizio, nei termini, in ogni caso, consentiti dalla legge[16].
In particolar modo, sulla scorta di quanto recato dall’art. 57 del Codice di procedura penale, sono conferite – in via continuativa e non con riferimento al solo orario di servizio giornaliero – a tutti i soggetti in parola, anche le qualifiche di agente o ufficiale di polizia giudiziaria; attribuzioni queste che impongono in capo agli stessi – sanzionandone penalmente il mancato adempimento – l’obbligo di porre in essere, in presenza di qualsivoglia tipologia di illecito, gli adempimenti imposti dall’art. 55 del codice di procedura penale.
La disposizione appena citata impone, infatti, a detti soggetti di prendere notizia dei reati, di impedire che essi vengano portati a conseguenze ulteriori, di ricercarne gli autori, di compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale, mentre l’art. 328 del codice penale punisce il pubblico ufficiale che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia, deve invece essere compiuto senza ritardo. Nel concetto di pubblico ufficiale rientrano, a termini dello stesso codice penale (cfr. art. 357) coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa.
Che tale qualifica sia conferita ex lege a tutti gli appartenenti alle Forze di Polizia non vi sono dubbi; a norma dell’art. 357, secondo comma, del codice penale, infatti, la qualifica di pubblico ufficiale deve essere riconosciuta a quei soggetti che, pubblici dipendenti o semplici privati, quale che sia la loro posizione soggettiva, possono e debbono, nell’ambito di una potestà regolata dal diritto pubblico, formare e manifestare la volontà della P.A., oppure esercitare, anche indipendentemente da formali investiture, poteri autoritativi, deliberativi o certificativi, disgiuntamente e non cumulativamente considerati. (cfr., ex plurimis, Sez. V, sent. n. 7120 del 25-01-1999 (ud. del 22-12-1998), Di Sante (rv 212558)
b.      si pone in evidenza, per altro verso, l’incongruenza tra le anzidette previsioni e il contenuto dell’art. 75, comma 3, del più volte richiamato R.D. n. 635 del 1940, secondo cui “Agli ufficiali in servizio attivo permanente delle forze armate dello Stato che ne facciano domanda può essere concessa licenza gratuita di porto, di rivoltella o pistola quando vestano l’abito civile…”.
La suddetta disposizione appare ancor più illogica ove si consideri che il primo comma dello stesso art. 75 citato prevede, per tutti gli Ufficiali delle Forze Armate, la possibilità di “…essere autorizzati a portare, anche fuori servizio, la rivoltella o pistola di ordinanza o comunque di forma consentita dalla legge”.
Orbene, è chiaro come vi sia un’ingiustificata disparità di trattamento, volendo fare un esempio concreto, tra un Ispettore di polizia (P.S. o G.diF.) o, ancor più significativamente, tra un Ufficiale della Guardia di Finanza[17] e un Ufficiale delle Forze Armate che, stando al dato letterale dell’appena richiamata norma, può ottenere, a differenza degli altri, la possibilità – senza dimostrare obbligatoriamente il bisogno di difendersi – di portare liberamente, e unitamente all’arma d’ordinanza, anche armi comuni da sparo, quando vesta gli abiti civili;
c.      un’ulteriore incongruenza della normativa di riferimento è rappresentata dalla circostanza che, come già visto, in base alle disposizioni contenute nel richiamato art. 77 della legge n. 121/1981 viene prevista una specifica sanzione penale per l’appartenente alla Polizia di Stato o Penitenziaria che, seppur “ufficiale di pubblica sicurezza” o in possesso di licenza ex art. 42 T.U.L.P.S., porta in servizio armi diverse da quella d’ordinanza, mentre nulla viene stabilito per gli appartenenti alle altre Forze di Polizia che, pertanto, potrebbero portare – qualora in possesso della licenza ex art. 42 – armi diverse da quella d’ordinanza, anche durante il servizio;
d.      la Legge 21 febbraio 1990, n. 36, ha integrato, come noto, le disposizioni che regolano la materia de qua, ampliando la sfera dei soggetti autorizzati – ex art. 73 del R.D. 635 del 1940 – a portare armi comuni da sparo senza la licenza di cui all’art. 42 del T.U.L.P.S.
Recita, infatti, l’art. 7, comma 1, di detto corpus normativo: “Ai soli fini della difesa personale è consentito il porto d’armi senza la licenza di cui all’articolo 42 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, oltre che alle persone contemplate dall’articolo 73 del regio decreto 6 maggio 1940, n. 635, recante regolamento di esecuzione del citato testo unico, ai magistrati dell’ordine giudiziario, anche se temporaneamente collocati fuori del ruolo organico, al personale dirigente e direttivo dell’Amministrazione penitenziaria”.
Sulla scorta di detto orientamento, il D.M. 24 marzo 1994, n. 371, emanato in attuazione delle previsioni recate dal secondo comma del predetto art. 7, ha individuato le “…categorie di persone che, a causa della esposizione a rischio dipendente dall’attività svolta nell’ambito delle Amministrazioni della giustizia o della difesa, o nell’esercizio di compiti di pubblica sicurezza, sono esonerate dall’obbligo del pagamento della tassa di concessione governativa prevista per il rilascio della licenza di porto d’armi”.
Le disposizioni appena richiamate pongono ulteriori e rilevanti dubbi ermeneutici. Nel dettaglio:
(1)    parrebbe addirittura ipotizzabile (attraverso, invero, un’interpretazione, forse, troppo estensiva) che il suddetto art. 7, comma 1, della legge n. 36/90, così come formulato, vada ad affermare la possibilità, ai soli fini della difesa personale[18], di portare armi, senza la licenza di cui all’art. 42 del T.U.L.P.S., per tutti i soggetti elencati nell’art. 73 del R.D. n. 635 del 1940 (la norma, infatti, recita: …oltre che alle persone contemplate dall’articolo 73…, senza limitare il rimando operato al solo primo comma dell’articolo).
Nella pratica, come già evidenziato, così non è, in quanto per avere la possibilità di portare, fuori dal servizio, armi comuni da sparo diverse da quelle d’ordinanza, l’appartenente alle Forze di Polizia che non sia ufficiale di pubblica sicurezza deve obbligatoriamente richiedere, previa dimostrazione del bisogno di difendersi, la licenza di cui all’art. 42.
La Cassazione[19] differenza degli ufficiali di pubblica sicurezza, i quali – così come gli altri soggetti indicati nel primo comma del citato art. 73 del R.D. n. 635 del 1940 – possono portare senza licenza ogni genere di arma compresa fra quelle per le quali la licenza è ammessa dall’art. 42 del T.U.L.P.S., i semplici agenti di pubblica sicurezza di cui al successivo secondo comma dell’art. 73 citato, possono portare senza licenza soltanto le armi di cui sono muniti, a termini dei rispettivi regolamenti, e cioè unicamente le armi loro assegnate in dotazione., in particolare, ha sancito che a
La stessa Suprema Corte ha, inoltre, escluso che la legge n. 36 del 1990 in questione abbia incluso nell’alveo dei soggetti autorizzati a portare armi senza licenza, gli agenti della Polizia Penitenziaria (Cass., Sent. n. 4478 del 15 maggio 1997).
In merito alle conclusioni delle citate pronunce giurisprudenziali, pur condividendone pienamente le soluzioni di diritto adottate, resta soltanto da segnalare, ad ogni buon fine, come in entrambi i casi sottoposti a giudizio, nella ricostruzione giuridica attraverso la quale si giunge ad imputare ai responsabili il reato di porto illegale di armi da sparo, non si tenga assolutamente conto della circostanza che il dettato normativo dell’art. 7, comma 1, della legge n. 36/90 citata – nella parte in cui, in particolare, sancisce che “è consentito il porto d’armi senza la licenza …”, “…oltre che alle persone contemplate nell’art. 73…” del R.D. n. 635/40 – possa aver implicitamente modificato il testo di tale ultima disposizione che, pertanto, non va più letta autonomamente, ma in combinato disposto con le (innovative) previsioni contenute nello stesso art. 7, comma 1, della legge n. 36/90;
(2)    per altro verso, il richiamato D.M. n. 371/94, all’art. 1 elenca le categorie di soggetti esposti a rischio dall’attività svolta che possono ottenere la licenza di cui all’art. 42 senza pagamento della tassa, non includendo, tra questi, gli appartenenti alle Forze di Polizia.
Tale scelta legislativa, in linea con l’esegesi operata nel presente lavoro potrebbe essere – ad avviso di chi scrive – giustificata soltanto dalla affermazione del principio appena evidenziato, anche se (ingiustamente) sconfessato dalla Suprema Corte, secondo cui, agli appartenenti alle Forze di Polizia non è richiesto il pagamento della tassa di concessione governativa proprio in quanto non è previsto il rilascio della licenza di cui all’art. 42 citato.
A conferma di ciò, inoltre, l’art. 2 dello stesso decreto secondo cui le disposizioni dettate dall’art. 1 (possibilità di ottenere la licenza ex art. 42 senza pagamento della tassa) si applicano, altresì, – quando permane l’attualità e gravità dell’esposizione a rischio – nei confronti del personale delle Forze di Polizia, cessato dal servizio.
Questo a riprova del fatto che, soltanto in dette ipotesi (una volta cessato dal servizio) l’appartenente alle Forze di Polizia potrà richiedere la licenza di porto ex art. 42 del T.U.L.P.S. “sempre che sussistano gli altri requisiti e presupposti richiesti dalla legge” (Vgs.: il dimostrato bisogno di cui allo stesso art. 42)[20].
D’altronde sarebbe del tutto improponibile preferire un’interpretazione delle suddette norme in base alla quale si arrivi ad affermare che gli appartenenti alle Forze di Polizia debbano corrispondere, durante gli anni in cui sono in servizio attivo, la tassa di concessione per il rilascio del porto d’armi ex art. 42, mentre possano fruire della esenzione in parola una volta cessati dallo stesso, oppure – addirittura – sostenere che, durante il periodo del servizio attivo, questi non possano nemmeno formulare la richiesta per il rilascio del porto di cui all’art. 42.
La realtà dei fatti, come già ricordato, sembra non validare, infatti, queste ultime ipotesi!!!;
e.      ancora, è paradossale come nei confronti di chiunque[21] – beninteso, sempre in presenza dei requisiti previsti ex lege – sia prevista, dal più volte richiamato art. 42, la possibilità di ottenere, tra l’altro, la licenza di portare armi corte da sparo (che nella maggior parte dei casi sono connotate da un alto potere deterrente[22], mentre alcuni appartenenti alle Forze di polizia risultino ancora assegnatari di armi d’ordinanza dalle caratteristiche ormai desuete[23] e debbano, per le ragioni sopra dettagliatamente esposte, essere costretti a dimostrare – per ottenere la medesima tipologia di licenza – un bisogno di difendersi che l’arma d’ordinanza non può soddisfare!!!;
f.       inoltre, sempre con riferimento all’art. 42 in discorso, si vuole richiamare l’attenzione sulla circostanza che detta norma – sebbene apparentemente si ponga, soprattutto con riferimento alla locuzione: “…dimostrato bisogno”, in contraddizione con la condizione di quanti appartengono ad un Corpo di Polizia, che, per esigenze professionali, sono già dotati di un’arma d’ordinanza – espressamente non esclude la possibilità che la richiesta di porto d’armi per difesa personale possa essere avanzata anche da parte degli “agenti di pubblica sicurezza”.
Tale assunto risulta confermato anche dalla risposta fornita, sul sito della Polizia di Stato – area riservata alle F.A.Q. sulle armi – alla domanda n. 53, nella quale, ad un Sovrintendente della Polizia Penitenziaria in servizio, già in possesso dell’arma di ordinanza, interessato al porto di pistola per difesa personale, viene ribadito che “Il rilascio di licenza di porto d’armi per difesa personale, in favore di appartenenti alle Forze di Polizia, è subordinato alla dimostrazione di avere esigenze di difesa che non possono essere soddisfatte con l’arma di ordinanza”.
Del resto, ciò che accade nella realtà è la conferma di quanto appena evidenziato! Diversi sono, infatti, gli appartenenti alle Forze di Polizia, di vari ordini e gradi, che – sebbene in possesso di armi d’ordinanza “portabili”, durante e fuori dal servizio – risultano titolari del porto d’armi in questione poiché hanno “esigenze di difesa che non possono essere soddisfatte con l’arma di ordinanza”!
Quello su cui si vuol far riflettere è l’inopportunità – soprattutto per questioni legate alla corretta gestione del personale (con particolare riguardo a quanti non fanno parte della Polizia di Stato) – per un appartenente alle Forze di Polizia che abbia “esigenze di difesa che non possono essere soddisfatte con l’arma di ordinanza (in quanto, per esempio, oggetto di pesanti minacce o ritorsioni a causa del servizio prestato), di richiedere, previa dimostrazione di detta esigenza, il rilascio della licenza ex art. 42 T.U.L.P.S. direttamente alla Prefettura/Questura senza l’esplicita previsione di un obbligo, in capo allo stesso, di attivare (o, quanto meno, coinvolgere), per il soddisfacimento di detta esigenza, la stessa Amministrazione di appartenenza.
Si ritiene, infatti, che esigenze di detta tipologia debbano obbligatoriamente essere portate a conoscenza della propria Amministrazione attraverso un dettagliato rapporto che esplichi approfonditamente l’intera questione in modo da permettere alla stessa di valutare la necessità di dotare detto personale di armi da sparo maggiormente adeguate al soddisfacimento di detta esigenza.
È chiaro come, in presenza di problematiche di questo tipo, la richiesta di porto secondo le modalità di cui all’art. 42, prodotta da un appartenente alle Forze di Polizia, non sia assolutamente adeguata a mettere l’Amministrazione di appartenenza (ad esempio: Guardia di Finanza e Carabinieri) in condizioni tali da conoscere tali problematiche ed adottare gli eventuali provvedimenti ritenuti opportuni.
4.      Conclusioni (ed un’auspicabile proposta di intervento normativo).
Da quanto esposto in precedenza, appare evidente come il delineato quadro normativo che disciplina la materia – soprattutto con riferimento alle disposizioni che regolano la possibilità di andare armati da parte degli appartenenti alle Forze di Polizia (con competenza piena) che non rivestono la qualifica di “ufficiale di pubblica sicurezza” – necessiti di appropriate misure correttive di sistemazione e razionalizzazione.
È chiaro, infatti, che, per tali soggetti, la difesa della propria persona non sempre può essere soddisfatta con l’arma d’ordinanza in dotazione e l’acquisto personale di armi comuni da sparo dalle specifiche tecniche più evolute in tema di portabilità ed efficienza ben potrebbe soddisfare in misura più concreta detta esigenza in tutte quelle circostanze – ammesse dalla legge – nelle quali gli appartenenti alle Forze di Polizia, liberi dal servizio, possano verosimilmente venire a trovarsi nell’adempimento degli obblighi istituzionali imposti dalla legge.
Tra queste, in particolare, risulterebbe maggiormente coerente con la particolare situazione che sta attraversando la giustizia italiana e con l’elevato tasso di criminalità che si registra nel nostro Paese, concedere – alle Forze di Polizia, con competenza piena, di cui all’art. 16, comma 1, della legge n. 121 del 1981 – la possibilità di portare, fuori dal servizio, qualsiasi arma comune da sparo.
Allo scopo di contemperare detta “agevolazione” con l’esigenza di evitare eventuali distorsioni patologiche che potrebbero derivare da tale (comunque discriminato) “allargamento”, si potrebbe disporre che l’attribuzione di tale concessione avvenga tuttavia previa acquisizione della licenza ex art. 42 in discorso – e, per il tramite, della competente Amministrazione di appartenenza –, ma senza l’obbligo di dover dimostrare, come previsto per i privati cittadini, il bisogno di difendersi.
Ciò consentirebbe, ad esempio, ad un Carabiniere, ad un Poliziotto o ad un Finanziere – muniti della “ingombrante” BERETTA Mod. 92 – di difendere la propria persona, fuori dal servizio, dotandosi di un’arma corta da sparo più piccola e di più facile occultamento, del tipo “sub-compact”, ovvero, per coloro che sono assegnatari di armi corte desuete e meno affidabili, di dotarsi, sempre al di fuori del servizio, di armi comuni da sparo dalle caratteristiche più evolute in fatto di tecnologia ed efficienza.
In tale ottica – considerata peraltro la necessità di uniformare, nei riguardi di tutte le Forze di Polizia, il divieto di porto, durante l’orario di servizio, di armi diverse da quella d’ordinanza –, a parere di chi scrive, sarebbe necessario un intervento legislativo teso alla modifica dell’art. 7 della legge 21 febbraio 1990, n. 36, al quale si potrebbe aggiungere il seguente quarto comma:
Agli agenti di pubblica sicurezza appartenenti alle Forze di Polizia di cui all’art. 16, comma 1, della legge 1 aprile 1981, n. 121, che ne facciano richiesta, è concessa licenza gratuita di porto delle armi di cui all’art. 42 del Regio Decreto 18 giugno 1931, n. 773, concernente il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (T.U.L.P.S.), quando siano liberi dal servizio. L’istanza, in bollo, deve essere corredata da un certificato, a firma del responsabile dell’Ufficio o Comando da cui il richiedente dipende, attestante l’assenza di cause ostative al rilascio della licenza. Si applica, in ogni caso, l’art. 77 della legge 1 aprile 1981, n. 121.”.


[1] Approvato con il R.D. 18 giugno 1931, n. 773.
[2] Vgs. art. 10, comma 6, della legge n. 110 del 1975.
[3] La licenza di porto di fucile per difesa personale viene, infatti, rilasciata dalla Questura competente.
[4] Delle armi comuni che non siano da caccia o sportive se ne possono detenere solo tre (lunghe o corte).
[5] Cfr. art. 9 della legge 18 aprile 1975, n. 110, e art. 11 del TULPS.
[6] Il primo comma dell’art. 73 in esame fa rimando all’art. 42 della “Legge”; locuzione che deve essere riferita al R.D. 18 giugno 1931, n. 773 (T.U.L.P.S.) citato.
[7] Vgs., in tal senso, l’art. 2 del R.D. n. 690 del 1907, l’art. 3 del D.Lgs. n. 297 del 2000 e l’art. 39 della legge n. 121 del 1981.
[8] Vgs., in tal senso, l’art. 39 della legge n. 121 del 1981.
[9] Vgs. il D.lgs. n. 297 del 2000.
[10] Vgs. art. 76 del D.Lgs. n. 199 del 1995.
[11] Vgs. il D.lgs. n. 155 del 2001 e la legge n. 36 del 2004.
[12] Vgs. la legge n. 395 del 1990.
[13] Vgs. la legge n. 65 del 1986 e il D.M. 4 marzo 1987, n. 145.
[14] Cfr. art. 8, comma 7, della legge 18 aprile 1975, n. 110.
[15] Dotate, peraltro, di particolare, e più deterrente, munizionamento. Si pensi, ad esempio, ai proiettili PARABELLUM utilizzati per le pistole Beretta Mod. 92 in uso a Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza.
[16] Ci si riferisce alle disposizioni, relative all’uso legittimo delle armi, dettate dagli artt. 51, 52 e 53 del codice penale.
[17] Che per le ragioni sopra esposte, in mancanza della licenza di cui all’art. 42 del TULPS, potrebbe portare soltanto l’arma d’ordinanza.
[18] Ma, d’altronde, anche le armi d’ordinanza – secondo il disposto dell’ultimo comma dell’art. 73 del R.D. n. 635 del 1940 – possono essere portate soltanto “ai fini della difesa personale”.
[19] Cass., Sent. N. 3940 dell’11 aprile 1995.
[20] Così recita l’ultimo periodo del primo comma dell’art. 1 del D.M. n. 371 in esame.
[21] Nella prassi le persone che possono ottenere una licenza di porto d’armi secondo l’art. 42, sono:
– persone che portano sovente valori, quali rappresentanti di gioielli, impiegati addetti a prelevare o versare somme rilevanti;
– persone che hanno in negozio valori, quali gli orefici;
– commercianti che per necessità del loro commercio si trovano a dover portare con sé grosse somme di danaro;
– persone soggetto a rischio di sequestro;
– persone che svolgono attività che le espongano a particolari rischi di aggressione o vendetta (ad esempio ufficiali giudiziari, tassisti).
[22] Si pensi alla possibilità che i titolari della licenza ex art. 42 hanno di acquistare potentissime armi come: Smith & Wesson, Colt o Taurus.
[23] Si pensi alla BERETTA Mod. 85BB e 84BB in dotazione agli appartenenti alla Guardia di Finanza.

Sacchetti Lorenzo

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