Il nuovo principio di non contestazione nella riforma del processo civile. Riflessioni a caldo sull’art. 115 c.p.c. come novellato dalla Legge 69/2009

Viola Luigi 08/10/09
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1.      La situazione ante novella
Prima della riforma della legge 69/2009, che ha novellato l’art. 115 c.p.c., dottrina e giurisprudenza si interrogavano sull’esistenza, o meno, nell’ordinamento processuale civile, del principio di non contestazione; più chiaramente: ci si chiedeva se la mancata contestazione di fatti, giuridicamente rilevanti, costituisse prova o meno, ai fini della decisione del giudice.
Invero, la pratica, per lo più, sembrava conoscere tale principio, ma la questione non era mai divenuta pacifica[1], a causa di continui dibattiti della dottrina[2], accompagnati da alcune perplessità giurisprudenziali.
La tesi negativa si fondava essenzialmente sui rilievi:
-che l’art. 88 c.p.c., suggerendo comportamenti di lealtà e probità, sembrava vietare di considerare la non contestazione come prova, tale da poter essere posta a fondamento della decisione; sarebbe stato contrario alla lealtà processuale “approfittare” della “dimenticanza” di una parte per farne prova di veridicità di quanto affermato;
-che il fatto non provato atteneva ad un comportamento umano che prescindeva del tutto dal reale accadimento fattuale, ponendosi su un piano del tutto diverso, sicchè l’equiparazione tra mancata contestazione e prova non era condivisibile; in pratica: nel processo, le parti dovrebbero provare le verità storiche, ma queste non possono ritenersi accertate per un’omissione di contestazione; le prove servono a dimostrare accadimenti storici, mentre la mancata contestazione non è prova di alcunché;
-che, laddove il legislatore ha inteso considerare la mancata contestazione come prova, lo ha fatto espressamente (si voluit, dixit), come ad esempio nei casi di cui agli artt. 215 comma 1 c.p.c. (riconoscimento tacito della scrittura privata) e 232 comma 1 c.p.c. (mancata risposta nell’interrogatorio), con la conseguenza che l’equiparazione tra mancata contestazione e prova doveva ritenersi eccezionale[3] e, come tale, non suscettibile di un’applicazione generalizzata ed estesa pure a casi non espressamente previsti, come quello dell’art. 115 c.p.c. ante novella del 2009; in pratica: l’equiparazione suddetta, avendo natura eccezionale, non poteva essere applicata ai casi non espressamente previsti, ex art. 14 Disposizioni sulla Legge in generale.
Anche parte della giurisprudenza[4] si era mostrata favorevole alla tesi negativa, mentre altra impostazione giurisprudenziale[5], pur di segno negativo, si era “aperta” alla sola possibilità che la mancata contestazione potesse divenire argomento di prova, ex art. 116 c.p.c.
La tesi positiva, che suggeriva un’equiparazione tra mancata contestazione e prova, si poggiava principalmente sui rilievi:
-che la parte ha l’onere di prendere tempestivamente “posizione sui fatti” posti da controparte, ex art. 167 c.p.c., con la conseguenza che, laddove non lo faccia tempestivamente, incorrerà in decadenze, che, nella sostanza, gli impediranno di provare fatti di segno opposto a quanto già affermato che, vorrebbe dire, ritenere pacifico il fatto[6]; in pratica: poiché il convenuto deve prendere “posizione” sui fatti affermati dall’attore, allora, vorrebbe dire che, in difetto, non potendo più dare prova di segno opposto, avrà tacitamente confermato i “fatti” dell’attore;
-che il processo civile è ispirato alle deduzioni processuali delle parti, lasciando al giudice un limitato “controllo” in itinere, per cui la mancata contestazione, in un processo essenzialmente inter partes, non può che attribuire rilievo al silenzio sui fatti posti da controparte;
-che il fatto di dover prendere “posizione” vorrebbe dire necessariamente dire qualcosa in positivo o in negativo, per cui se non si esprime in negativo, allora, vi sarà una sorta di ficta confessio; in pratica, con l’inciso “prendendo posizione”, ex art. 167 c.p.c., il legislatore affermerebbe la necessità di dire qualcosa e, se questo non avviene, la posizione di “silenzio” avrebbe rilievo giuridico di prova, non essendo ammesso “non dire alcunché”.
Anche la giurisprudenza[7] più recente si è espressa nel medesimo senso (con alcune specificazioni, per certi casi[8]), come pure quella del lavoro[9] (l’art. 416 c.p.c. relativo al rito del lavoro, tuttavia, ha un tenore diverso rispetto agli art. 167-183 c.p.c.).
 
 
2.      Il nuovo art. 115 c.p.c.
Il legislatore, con la legge 69/2009, afferma oggi a chiare lettere il principio di non contestazione, nel sistema processuale civile.
La riforma ha disciplinato che pure i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita devono essere posti a fondamento della decisione del giudice; esattamente, il nuovo art. 115 c.p.c. recita che <<salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita>>.
In pratica, diventano prove sia quelle proposte dalle parti e sia le mancate contestazioni, affermando il Legislatore, con la congiunzione “nonché”, che pure queste ultime devono essere poste a fondamento della decisione del giudice.
 
 
3.      Deduzioni interpretative
Dalla mera lettera del novellato art. 115 c.p.c., emerge almeno che:
-il principio dell’equiparazione tra mancata contestazione e prova è limitato ai casi in cui le parti siano costituite, così escludendo le ipotesi di contumacia[10]; difatti, l’art. 115 c.p.c. è riferito alle “parti costituite” (eventualmente anche non comparse);
-il suddetto principio è applicabile sia al caso di mancate contestazioni del convenuto che alle mancate contestazioni dell’attore; infatti, la portata soggettiva della norma è riferibile ad entrambe le parti processuali, essendo stato usato l’inciso “parte costituita” e non “convenuto” oppure “attore”;
-la contestazione deve essere specifica[11]; in difetto di specificità, c’è il rischio che la genericità sia parificata alla mancata contestazione; è sia la mancata contestazione, che quella non specifica, a divenire prova;
-la contestazione deve essere riferita ai fatti, per cui la mancata qualificazione giuridica delle contestazioni è irrilevante; non è richiesto, in altri termini, di qualificare i fatti in modo diverso da quanto fatto da controparte;
-non è richiesto di spiegare le ragioni della contestazione, per cui è possibile limitarsi ad una contestazione specifica dei singoli accadimenti, ma senza darne la spiegazione subito; ci si può limitare a dire, ad esempio, non “è accaduto quanto affermato ai punti…”;
-la contestazione deve “colpire” tutti i fatti, sia principali che secondari[12], in modo specifico; la contestazione, in base alla lettera della legge, ex art. 115 c.p.c., riguarda “i fatti”, senza alcuna distinzione tra quelli principali e quelli secondari.
 
 
4.      Specificità ed incompatibilità
Che succede se la contestazione non è riferita in modo espresso ai fatti prodotti da controparte, ma, per così dire, questa è implicita?
Se vi è incompatibilità logico-funzionale tra i fatti narrati dall’attore e quelli del convenuto, potrà ciò costituire “mancata contestazione specifica” così da divenire prova?
In altri termini, se il convenuto narra alcuni fatti, logicamente incompatibili con quelli sostenuti dall’attore, è soddisfatto il requisito della contestazione specifica?
Se si opta per la tesi negativa, l’attore potrebbe già ritenere provati i fatti narrati, senza alcuna dimostrazione, per merito della mancata contestazione specifica, ex art. 115 c.pc.; se, al contrario, si opta per la tesi positiva, l’attore dovrà pur sempre provare i fatti narrati, non operando il meccanismo della mancata contestazione come prova, ex art. 115 c.p.c.
A favore della tesi negativa deporrebbero gli argomenti che:
-l’inciso “fatti non specificatamente contestati” sembrerebbe suggerire che la mancata ed espressa specificazione vale come mancata contestazione e, dunque, prova; ciò perché, la contestazione, per essere valida ai sensi dell’art. 115 c.p.c. deve essere specifica: non è specifica contestazione la narrazione di un fatto incompatibile con quanto già affermato da controparte; per certi versi, la narrazione incompatibile non sarebbe neanche una “contestazione”, al di là della necessità del requisito della specificità;
-la ratio della norma, tesa a “specificare” meglio la “struttura dialettica a catena[13]” verrebbe del tutto vulnerata; anzi, addirittura si opterebbe per un’interpretatio abrogans del novellato art. 115 c.p.c.
A sostegno della tesi positiva, invece, militerebbero gli argomenti che:
-in effetti, il Legislatore sembrerebbe richiedere il requisito della specificità della contestazione, ma con ciò non si può intendere la necessaria espressione di contestazione, essendo ammesse contestazioni implicite; più chiaramente, non viene richiesto che i fatti siano “espressamente” contestati, ma che la contestazione sui fatti sia specifica, con la conseguenza logico-deduttiva che, a rigore, dovrebbero essere ammesse le contestazioni implicite[14], purchè specifiche; ne segue, ancora, de plano, che la narrazione di un fatto incompatibile con le esplicitazioni avverse, se specificatamente riferibili a queste ultime, ancorché in modo implicito, dovrà ritenersi contestazione specifica; id est: il requisito della specificità non richiede che la contestazione sia espressa, così ammettendosi narrazioni incompatibili, purchè riferibili a fatti narrati dall’avversa parte processuale;
-inoltre, non sarebbe possibile considerare il fatto incompatibile tamquam non esset, privo di rilievo giuridico, in quanto la nullità, pure di parti di atti, può emergere solo nei casi di mancato raggiungimento dello scopo, ex art. 156 c.p.c., diversamente dall’ipotesi de quo; la narrazione di un fatto incompatibile, precisamente, permette a controparte una difesa congrua, così raggiungendo lo scopo, senza alcuna elusione; la materia processuale, in fondo, tende alla sostanza delle cose, che viene salvaguardata pure nei casi di narrazioni incompatibili;
-la ratio, poi, verrebbe comunque salvaguardata, in quanto la narrazione dei fatti dovrà essere riferibile specificatamente a quanto già dedotto dall’altra parte, seppur in modo implicito, così assicurando una maggiore specificità delle rispettive contestazioni.
Alla luce di tali rilievi, la narrazione di fatti incompatibili con le affermazioni della parte avversa, purchè riferibili in modo specifico, ancorché in modo non espresso, è compatibile con i requisiti di necessaria specificità della contestazione, oggi codificati nell’art. 115 c.p.c., perché tale impostazione è:
         coerente con il dato letterale (il Legislatore richiede la “specificità”, e non un richiamo “espresso”);
         coerente con i principi generali (in particolare, quello del raggiungimento dello scopo);
         coerente con la ratio sottesa alla novella del 2009;
          non infligge in alcun modo un vulnus al diritto di difesa, assicurando pur sempre un contraddittorio leale.
 
 
5.      Continenza logica
Cosa succede, poi, se la contestazione riguarda solo un segmento delle deduzioni dell’altra parte processuale? Più chiaramente, se la contestazione si limita a criticare, ad esempio, il solo an, vorrà dire che una volta provato questo, automaticamente, si riterrà provato pure il quantum debeatur (non specificatamente contestato)?
Il problema si può porre perché, in effetti, l’art. 115 c.p.c., richiedendo una contestazione specifica, potrebbe indurre a pensare che, pur con riferimento al medesimo fatto, la mancata contestazione di singoli rilievi possa determinare la prova, idonea a giustificare una decisione basata su questa così acquisita.
Invero, la sola contestazione dell’an non può, a rigore, ritenere non contestato pure il quantum debeatur, perché:
-l’art. 115 c.p.c. richiede la contestazione dei fatti, e non quella delle qualificazioni giuridiche, con la conseguenza che va criticato l’accadimento, ma non la consequenziale quantificazione, che è operazione di “qualificazione giuridica”, seppur in termini monetari;
-prendendo posizione sul profilo dell’an, invero, si prende posizione pure sul quantum, considerandolo pari a zero; ciò in virtù di una sorta di continenza logica[15], in base alla quale nella “critica del più, sta anche il meno”; tale rilievo è, ovviamente, estensibile anche ad altri profili, come quelli del quomodo, ad esempio;
-optare per la tesi contraria, vorrebbe dire eludere la solidarietà processuale, desumibile dall’art. 88 c.p.c., letto in combinato disposto con l’art. 2 Cost., sconfinando in un abuso processuale[16].
 
 
6. Prove testimoniali di segno opposto
Può pure accadere che durante l’iter processuale, nonostante la mancata contestazione del convenuto, l’attore insista per provare quanto affermato, così procedendo a prove testimoniali (ammesse dal giudice, nonostante possa ipotizzarsi la non ammissibilità, per difetto di rilevanza), che si rivelano di contenuto opposto a quanto dedotto; il giudice, dovendo applicare l’art. 115 c.p.c., considererà prova la mancata contestazione, oppure dovrà appoggiarsi al contenuto della testimonianza, di contenuto opposto?
Dovrà, cioè, dare prevalenza alla mancata contestazione, che è vincolante, oppure alla testimonianza?
A rigore, potrebbe privilegiare la prevalenza testimoniale, in quanto, con la testimonianza di contenuto opposto a quanto affermato, viene meno proprio il fatto che doveva essere contestato, così che la mancata contestazione dovrebbe perdere di rilievo, non potendosi contestare ciò che è venuto meno.
In pratica, pur prevedendo l’art. 115 c.p.c. l’equiparazione tra mancata contestazione specifica e prova, quando il fatto narrato e non contestato “cade da solo”, tramite una testimonianza che lo smentisce (in una sorta di “autogol processuale”), dovrebbe conseguentemente “cadere” anche la mancata contestazione; id est: se cade il fatto a monte, perché smentito a valle, dovrebbe cadere anche la necessità di contestazione, con la conseguenza di liberare il giudice dal vincolo dell’art. 115 c.p.c.
 
 
  1. Conclusioni
Il novellato art. 115 c.p.c. è pieno di insidie[17], ma anche di opportunità, come spesso capita nelle dinamiche processuali; in fondo, con la novella si è consacrato un principio, quello della mancata contestazione, che già “viveva” nelle aule di giustizia, seppur con non poche oscillazioni e perplessità.
Poi, come sempre accade nel diritto, ogni novella, pur facendo passi in avanti enormi verso la sempre più agoniata certezza del diritto, trascina con sé nuove ombre interpretative…
 
 
di Luigi Viola*
 


*Avvocato, specialista in Diritto Civile, Professore a contratto di Diritto Processuale Civile, Università degli Studi eCampus di Roma.
[1] SASSANI-TISCINI, Prime Osservazioni sulla legge 18 giugno 2009, n. 69, in Judicium.it, 2009.
[2] Per approfondimenti, si veda COMOGLIO, Le prove civili, Torino, 2004.
[3] CARRATA, Il principio della non contestazione nel processo civile, Milano, 1995, 206. Per approfondimenti sulla mancata contestazione in ambito societario, si veda DE VITA, La mancata contestazione del convenuto nel rito societario dopo l’intervento della Consulta, in Giur. It., 2008, 8-9.
[4] Cass. civ. Sez. III, 28 ottobre 2004, n. 20916, in Guida al Diritto, 2004, 47, 61, afferma <<affinché un fatto allegato da una parte possa considerarsi pacifico sì da essere posto a base della decisione ancorché non provato, non è sufficiente la sua sola mancata contestazione, non esistendo nel nostro ordinamento processuale un principio che vincoli alla contestazione specifica di ogni situazione di fatto dichiarata da controparte>>.
[5] Secondo Cass. civ. Sez. III, 4 febbraio 2005, n. 2273, in Mass. Giur. It., 2005 <<non sussistendo nel vigente ordinamento processuale un onere per la parte di contestazione specifica di ogni fatto dedotto "ex adverso", la mera mancata contestazione in quanto tale e di per sé considerata non può avere automaticamente l’effetto di prova; tuttavia ove il giudice valuti tale comportamento "ex" art. 116 c.p.c. non semplicemente di per sé (e quindi solo in quanto omessa contestazione), ma come espressione significativa del comportamento processuale della parte, da inquadrare nell’ambito di quest’ultimo e valutata in relazione all’intero complesso di tesi difensive esposte, assume la rilevanza prevista da detta norma e può quindi costituire perfino unica e sufficiente fonte di prova>>.
[6] Secondo Cass. civ. Sez. V, 24-01-2007, n. 1540, in Giur. It., 2008, 3, 777 <<nell’evoluzione giurisprudenziale l’onere di contestazione (col relativo corollario del dovere, per il giudice, di ritenere non abbisognevole di prova quanto non espressamente contestato), è divenuto principio generale che informa il sistema processuale civile, poggiando le proprie basi non più soltanto sul tenore dei citati artt. 416 e 167 c.p.c., bensì anche sul carattere dispositivo del processo – comportante una struttura dialettica a catena -, sulla generale organizzazione per preclusioni successive – che, in misura maggiore o minore, caratterizza ogni sistema processuale -, sul dovere di lealtà e probità posto a carico delle parti dall’art. 88 c.p.c. – che impone ad entrambe di collaborare fin dalle prime battute processuali a circoscrivere la materia realmente controversa, senza atteggiamenti volutamente defatiganti, ostruzionistici o anche solo negligenti – ed infine, soprattutto, sul generale principio di economia che deve sempre informare il processo, vieppiù alla luce del novellato art. 111 Cost.. In particolare, giova sottolineare che la struttura ontologicamente dialettica del processo civile (nonchè di quelli ad esso assimilati) comporta che soprattutto il momento probatorio sia dominato da un generale onere di "attivazione" delle parti (o comunque di "reazione" alle attività della controparte) anche in funzione di una sollecitazione semplificatoria, come evincibile persino dalle disposizioni del codice civile in materia di prova (si pensi, ad esempio, in relazione alle produzioni della controparte, alla previsione della querela di falso nelle ipotesi disciplinate dagli artt. 2700 e 2702 c.c., al generale onere di contestarne la conformità previsto, per riproduzioni meccaniche e copie fotografiche, dagli artt. 2712 e 2719 c.c. ovvero all’onere di espresso disconoscimento previsto, con riguardo agli atti di ricognizione o rinnovazione, dall’art. 2720 c.c. – per un’applicazione specifica nel processo tributario dell’art. 2712 c.c.>>.
[7] Secondo Cass. civ. Sez. III Sent., 5 marzo 2009, n. 5356, in Mass. Giur. It., 2009 <<l’art. 167 cod. proc. civ., imponendo al convenuto l’onere di prendere posizione sui fatti costitutivi del diritto preteso dalla controparte, considera la non contestazione un comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione dell’oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato acquisito al materiale processuale e dovrà, perciò, ritenerlo sussistente, in quanto l’atteggiamento difensivo delle parti espunge il fatto stesso dall’ambito degli accertamenti richiesti>>.
[8] Secondo Cass. civ. Sez. I Sent., 27 febbraio 2008, n. 5191, in Mass.Giur. It., 2008 <<in materia di prove, l’onere del convenuto, previsto dall’art.416 cod. proc. civ. per il rito del lavoro, e dall’art.167 cod. proc. civ. per il rito ordinario, di prendere posizione, nell’atto di costituzione, sui fatti allegati dall’attore a fondamento della domanda, comporta che il difetto di contestazione implica l’ammissione in giudizio solo dei fatti cosiddetti principali, ossia costitutivi del diritto azionato, mentre per i fatti cosiddetti secondari, ossia dedotti in esclusiva funziona probatoria, la non contestazione costituisce argomento di prova ai sensi dell’art.116, secondo comma, cod. proc. civ.>>.
[9] Secondo Cass. civ. Sez. Unite, 17 giugno 2004, n. 11353, in Foro It., 2005, 1, 1135 con nota di FABIANI <<nel rito del lavoro la non contestazione dei fatti allegati in ricorso, tendenzialmente irrevocabile, rende gli stessi non controversi, e dunque non bisognosi di prova, pur trovando tale principio applicazione con riferimento ai soli fatti da accertare nel processo e non anche con riferimento alla determinazione della dimensione giuridica di tali fatti ed ai fatti dedotti in esclusiva funzione probatoria>>.
[10] Per approfondimenti sul rapporto tra contumacia e notificazioni, si veda TRAVAGLINO, Notificazione e contumacia della parte in appello, in Il Corriere Giuridico, 2008, 7; si veda anche DE SANTIS, Contumacia del convenuto e litisconsorzio facoltativo nel rito societario, in Le Società, 2007, 5; FIFI, Oscillazioni giurisprudenziali in tema di legittimo impedimento e contumacia, in Giur. It., 2006, 6; SALETTI, Contumacia e prima udienza di trattazione: ovvero del diritto alla lentezza del processo, in Giur. It., 2001, 4; CONSOLO, La Suprema Corte interpreta l’ambiguo art. 180 c.p.c. e (non senza coerenza) lega le mani al giudice anche nel caso di contumacia del convenuto, in Corriere Giur., 2000, 10, 1317.
[11] BUFFONE, Il principio di non contestazione, relazione tenuta al seminario di formazione professionale, presso il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Catanzaro, il 14.7.2009.
[12] Sulle differenze tra fatti primari e secondari, si veda Cass. civ. Sez. Unite, 23 gennaio 2002, n. 761, in Corriere Giur., 2003, 10, 1335 con nota di FABIANI.
[13] Parla di struttura dialettica a catena, tipica del processo civile, Cass. civ. Sez. Unite, 09-10-2008, n. 24883, in Giur. It., 2009, 2, 406 con nota di VACCARELLA – SOCCI.
[14] In materia di contestazione implicita, si vedano Cass. civ. Sez. lavoro, 26-02-2007, n. 4395; Cass. civ. Sez. III, 1 marzo 2000, n. 2301, in Mass. Giur. It., 2000; Cass. civ. Sez. III, 26 novembre 1998, n. 11980, in Mass. Giur. It., 1998.
[15] Si parla di continenza logica, ad esempio, in Cass. civ. Sez. I, 7 maggio 1997, n. 3984, in Mass. Giur. It., 1997. In dottrina, si veda BEI, Sulle delibere implicite, con particolare riferimento al compenso degli amministratori, in Società, 2009, 1, 28; PASSARO, Intermediazione finanziaria e violazione degli obblighi informativi: validità dei contratti e natura della responsabilità risarcitoria, in Nuova Giur. Civ., 2006, 9, 897.
[16] In materia di abuso processuale, si veda KOFLER, Il forum destinatae solutionis nelle azioni di accertamento negativo del credito e di nullità del contratto, in Corriere Giur., 2004, 2, 207; DONDI, Spunti di raffronto comparatistico in tema di abuso del processo (a margine della l. 24.3.2001, n. 89), in Nuova Giur. Civ., 2003, 1, 62; NICOTINA, Questioni processuali controverse in materia di clausole abusive nei contratti con i consumatori, in Giur. It., 1999, 11.
[17] Interessanti le riflessioni di MINARDI, Le insidie ed i trabocchetti della fase di trattazione nel processo civile di cognizione, Lexform ed., 2009.

Viola Luigi

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