Il neo nato decreto legislativo 163 del 2006 che entrerà ufficialmente in vigore il 1 luglio 2006, all’articolo 256, abroga esplicitamente, tra gli altri, anche l’articolo 345 della Legge 20 marzo 1865 n. 2248 allegato F: questo significa che le imprese i

Lazzini Sonia 18/05/06
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Legge 20 marzo 1865, n. 2248 (allegato F) – Legge sulle opere pubbliche
 
art. 345 – E’ facoltativo all’Amministrazione di risolvere in qualunque tempo il contratto, mediante il pagamento dei lavori eseguiti e del valore dei materiali utili esistenti in cantiere, oltre al decimo dell’importare delle opere non eseguite
 
di Sonia Lazzini
 
Da ultimo cfr Consiglio di Stato, con la decisione numero 2408 del 28 aprile 2006:
 
 
ma anche si legga: Consiglio di Stato, decisione numero 1534 del 24 marzo 2006
 
<4.3) La commisurazione in via equitativa del danno ai criteri contenuti all’art. 345 l. 20 marzo 1865 n. 2248, all. F in tema di recesso unilaterale della p.a. propria del contratto di appalto per l’esecuzione di opere pubbliche, è comunemente recepita come espressiva del criterio generale di quantificazione del margine di profitto dell’appaltatore nei contratti con l’amministrazione (T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 26 gennaio 2002, n. 4, T.A.R. Campania, sez. I, 4 ottobre 2001, n. 4485, T.A.R. Campania, sez. I, 7 febbraio 2002, n. 733). Non è pertanto illogica la sua applicazione in via di analogia a contratti di natura diversa, come quello di cottimo fiduciario da risarcire nella specie. E’ poi regola di comune esperienza che la fornitura di un mezzo meccanico comporta oneri che non si limitano all’acquisizione di un depliant contenente le specifiche tecniche, ma una serie di contatti e contrattazioni con impiego di tempo e di personale che vanno in ogni caso risarciti>
 
 
Così ad esempio in Consiglio di stato con la decisione numero 5500 del 10 agosto 2004:
 
<6.7- La più importante applicazione del ricorso a criteri presuntivi per la quantificazione del danno è rinvenibile nell’elaborazione giurisprudenziale in materia di valutazione del pregiudizio connesso a perdita di chance.
 
Si tratta dei casi in cui il ricorrente ha perso l’occasione di aggiudicarsi un appalto o di vincere un concorso per effetto dell’illegittima selezione di un altro concorrente o della propria indebita esclusione dal procedimento.
 
Si deve qui avvertire che, mentre non si pongono particolari problemi per la liquidazione del danno emergente (pari alle spese – documentate – sostenute per la partecipazione al procedimento), risulta più difficile la determinazione del lucro cessante.
 
A proposito di quest’ultima voce, occorre, anzitutto, chiarire che il suo contenuto cambia notevolmente se si accede alla qualificazione come precontrattuale della responsabilità dell’amministrazione per illegittima conduzione di una procedura ad evidenza pubblica.
 
Se si ravvisano, infatti, gli estremi della culpa in contraendo di cui agli artt.1337 e 1338 c.c., si deve, infatti, limitare l’area del pregiudizio risarcibile al solo interesse negativo: composto dalle spese sostenute per partecipare al procedimento ed alla perdita di occasioni di guadagno alternative, con esclusione, quindi, del mancato conseguimento dell’utile ricavato dall’esecuzione dell’appalto.
 
Se, invece, la violazione delle regole che presiedono alla corretta conduzione delle procedure ad evidenza pubblica viene ascritta allo schema astratto dell’illecito aquiliano, da valersi quale conclusione più plausibile della prima e maggiormente coerente con le pregnanti esigenze di tutela postulate dall’ordinamento comunitario in tema di competizioni concorrenziali per l’accesso agli appalti pubblici, si deve conseguentemente ritenere risarcibile anche l’interesse positivo e, cioè, nella voce relativa al lucro cessante, la perdita del guadagno (o della sua occasione) connesso all’esecuzione del contratto.
 
L’accesso a quest’ultima opzione, condivisa dalla Sezione, implica la necessità di provvedere alla determinazione di criteri valutativi astratti e presuntivi della misura del pregiudizio risarcibile, nella configurazione sopra tratteggiata.
 
La giurisprudenza amministrativa si è fatta carico di quest’onere ed ha individuato nell’art.345 della legge 20 marzo 1865, n.2248, Allegato F, un prezioso riferimento positivo, laddove quantifica nel 10% del valore dell’appalto l’importo da corrispondere all’appaltatore in caso di recesso facoltativo dell’amministrazione, nella determinazione forfettaria ed automatica del margine di guadagno presunto nell’esecuzione di appalti di lavori pubblici (cfr. ex multis Cons. St., sez.V, 8 luglio 2002, n.3796).
 
Ulteriore conferma positiva della validità di tale criterio presuntivo è stata, poi, rinvenuta nell’art.37 septies, comma 1, lett.c) della legge 11 febbraio 1994, n.109, laddove prevede, in materia di project financing, che, nelle ipotesi in cui la concessione sia risolta per inadempimento del concedente o revocata per motivi di interesse pubblico, al concessionario spetti un indennizzo, a titolo di risarcimento del mancato guadagno, pari al 10% delle opere ancora da eseguire.
 
Può, in definitiva, registrarsi il consolidamento di un indirizzo giurisprudenziale, ormai univoco e dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, che, sulla base delle predette indicazioni normative, riconosce nella misura del 10% dell’importo a base d’asta, per come eventualmente ribassato dall’offerta dell’impresa interessata, l’entità del guadagno presuntivamente ritratto dall’esecuzione dell’appalto.
 
Occorre, tuttavia, ancora distinguere la fattispecie in cui il ricorrente riesce a dimostrare che, in mancanza dell’adozione del provvedimento illegittimo, avrebbe vinto la gara (ad esempio perché, se non fosse stato indebitamente escluso, sarebbe stata selezionata la sua offerta) dai casi in cui non è possibile acquisire alcuna certezza su quale sarebbe stato l’esito della procedura in mancanza della violazione riscontrata.
 
Nella prima ipotesi spetta, evidentemente, all’impresa danneggiata un risarcimento pari al 10% del valore dell’appalto, ferma restando la possibilità di conseguire una somma superiore, in presenza della dimostrazione che il margine di utile sarebbe stato maggiore di quello presunto.
 
Viceversa, quando il ricorrente allega solo la perdita di una chance a sostegno della pretesa risarcitoria (e cioè quando non riesce a provare che l’aggiudicazione dell’appalto spettava proprio a lui, secondo le regole di gara), la somma commisurata all’utile d’impresa deve essere proporzionalmente ridotta in ragione delle concrete possibilità di vittoria risultanti dagli atti della procedura.
 
Al fine di operare tale decurtazione vanno valorizzati tutti gli indici significativi delle potenzialità di successo del ricorrente, quali, ad esempio, il numero di concorrenti, la configurazione della graduatoria eventualmente stilata ed il contenuto dell’offerta presentata dall’impresa danneggiata.>
 
 

Lazzini Sonia

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