A trent’anni dall’ultimo omicidio attribuito al presunto serial killer, l’articolo si propone di analizzare le vicende di uno dei casi irrisolti meno noti della storia giudiziaria e criminologica italiana.
Prima parte di una mini rubrica in 3 episodi che ricostruisce celebri casi giudiziari italiani, analizzati con rigore criminologico e prospettiva legale.
Indice
1. Gli omicidi del Mostro di Modena
Nel decennio intercorrente tra il 21 agosto 1985 e il 3 gennaio 1995, nella provincia di Modena furono commessi almeno otto femminicidi, ma tra gli studiosi vi è chi giunge ad ipotizzare addirittura dieci omicidi d’autore.
Il profilo vittimologico restituisce l’immagine di donne quasi tutte prostitute o tossicodipendenti. Le vittime furono, nella larga maggioranza dei casi, ritrovate nude o seminude.
Il modus operandi ricorrente fa supporre l’esistenza di un disegno criminoso attribuibile ad uno, o più, serial killer. Difatti, la maggior parte dei cadaveri mostra segni di violenza sessuale, strangolamento, lesioni da oggetti contundenti o coltellate. I medici legali e gli inquirenti suggeriscono altresì l’ipotesi che in molti casi le ragazze siano state adescate con la promessa di dosi di droga quale “prezzo” della prestazione sessuale. Da ciò si desume che il motivo latente della sottrazione della borsetta delle vittime non sia probabilmente da riconnettere allo scopo di lucro, considerato il valore di mercato degli stupefacenti offerti, quanto piuttosto alla volontà di conservare un oggetto feticcio. I corpi sono stati perlopiù rinvenuti in aree periferiche o in zone isolate, ad esempio: edifici abbandonati, fossi e canali della campagna modenese. Questo può denotare una certa familiarità dell’omicida con i luoghi di interesse.
2. Criminogenesi del caso
Tra i fattori sociali, va senza dubbio segnalato lo stato socioeconomico delle vittime, connotato da grave marginalità sociale e ristrettezza economica, che, congiuntamente alla carenza di supporto istituzionale, ha facilitato la realizzazione dell’intento omicidiario. In seconda istanza è utile considerare, nei fattori ambientali, la particolare conformazione urbanistica dei luoghi della provincia di Modena, come la fornace dismessa di Baggiovara, il bosco di Formigine o le cave di San Damaso, ove sono stati ritrovati i cadaveri: la bassa attività di sorveglianza e lo scarso afflusso di passanti ha agevolato l’opera dell’omicida. In accordo con la bipartizione di Hickey, pare dunque trattarsi di un serial killer territoriale.
Infine, occorre affrontare la valutazione della dimensione psicologica dell’autore di reato, che in questa circostanza è particolarmente ardua. La difficoltà sorge, ovviamente, dall’assenza del soggetto da esaminare; il caso rientra perciò nella più tipica ipotesi di offender profiling. La profilazione criminale consiste nell’insieme di tecniche volte alla traduzione psicologica della semiologia delittuosa, ovvero rappresenta quel procedimento induttivo che, partendo da un fatto noto (ad esempio: segni, tracce, “firma” lasciate sulla scena del delitto dall’autore di reato) tende a ricostruire, a conoscere, un fatto ignoto (nello specifico: la ‘configurazione mentale’, o ‘visione del mondo’, dell’indagato). Si tratta dunque di un ragionamento inferenziale, il cui esito pertiene ad una matrice descrittivo-congetturale.
Stante la ripetitività della modalità omicidiaria esibita si può concludere che non si sia al cospetto né di un omicida seriale di tipo “organizzato” né classificabile come “disorganizzato”. Invero, il modus procedendi presenta elementi di commistione di ambedue le categorie. L’elezione del mezzo omicidiario, laccio o pugnale nella quasi totalità degli episodi, induce a ritenere che le azioni siano premeditate e l’omicidio non sia il risultato di un dolo d’impeto. La duplicità dell’arma impiegata può altresì lasciar supporre l’esistenza di un serial killer bicefalo, ossia che il ‘mostro’ sia più propriamente costituito da una coppia di soggetti che agisce di concerto. Questo aiuterebbe a spiegare, da un lato, l’unitarietà della preferenza vittimologica e, dall’altro, l’alterità dello strumento offensivo utilizzato.
La preparazione delle dosi di droga da elargire, la cura nella scelta dei luoghi e delle tempistiche, il furto post-mortem della borsetta della vittima, appaiono dunque come le fasi di un macabro rituale premeditato, studiato e calcolato nel dettaglio. L’inesatto occultamento dei cadaveri nonché la presenza di numerosi indizi sulla scena criminis fa parimenti propendere per un pattern comportamentale connotato da alcuni fattori disorganizzati. Tuttavia, è opportuno precisare che questi elementi di apparente caoticità potrebbero rappresentare una decisione ponderata dell’omicida. Tale linea interpretativa può essere corroborata dal fatto che l’autore dei crimini non si sia mai interessato di smentire pubblicamente, in nessuna forma, l’epiteto di “mostro” affibbiatogli dai media. Ciò potrebbe supportare l’idea che il soggetto tragga in qualche modo godimento dalla notorietà, dalla fama, e che il riconoscimento della paternità dell’opera omicidiaria lo diverta o gli sia comunque di giovamento. L’atto di denudare, completamente o parzialmente, la vittima, può in questo senso simboleggiare una malcelata volontà di potenza dell’omicida. La possibilità di restare nascosto, nell’ombra, e al contempo la capacità di guadagnarsi visibilità mettendo in mostra l’intimità altrui senza deturparla, l’abilità nello spogliare l’altro della sua riservatezza in funzione del proprio gusto e arbitrio, porta a pensare ad una personalità narcisistica di tipo covert.
3. Analisi criminodinamica
Dalla consumazione del rapporto sessuale antecedente al femminicidio è possibile desumere che:
- il piacere non derivi dalla mera uccisione, bensì si inserisca in un quadro più ampio di dominio sulle vittime, in un climax ascendente di signoria sul corpo altrui, che va dalla sessualità alla distruttività;
- è presente un aspetto fusionale di ‘Eros e Tanathos’, di ‘vita e morte’, che rimanda ad una dimensione dell’indifferenziato propria dell’età infantile;
- in questo scenario, l’arma omicidiaria può assumere la funzione di oggetto transizionale della dinamica antisociale, favorendo l’espressione concreta di immagini fantasmatiche popolate da onnipotenza e annichilimento. Ciò sarebbe confermato dalla sottrazione della borsetta quale ulteriore oggetto-feticcio;
- la componente crimino-impellente non pare in grado di produrre ex se uno scompenso psicotico nell’omicida, come dimostrato dalla pressoché assenza di afterkilling e overkilling;
- dalla condotta manifestata e dai possibili elementi personologici raccolti non sembra emergere una cornice sintomatologica riconducibile ad una franca psicopatologia.
4. Vicenda giudiziaria e conclusioni
Periodicamente i familiari delle vittime richiedono la riapertura del caso: l’ultima petizione risale al giugno 2025. In virtù delle più avanzate biotecnologie, in particolare quelle concernenti l’analisi del materiale genetico ritrovato sulle scene del crimine, sarebbe difatti possibile approfondire e arricchire la vicenda giudiziaria. Basti pensare che accanto al cadavere di una ragazza fu individuato addirittura un mozzicone di sigaretta, forse appartenuto all’omicida, mentre l’istituzione e il funzionamento della Banca Dati del DNA sono stati disciplinati solo con il d.p.r. 87 del 2016.
A latere, è opportuno poi evidenziare il bias investigativo che probabilmente investì le Forze dell’Ordine impegnate nelle indagini dell’epoca. Allorquando si tratta di delitti coinvolgenti gruppi marginalizzati (prostitute, tossicodipendenti, omosessuali, minoranze etniche, ecc.), la polizia giudiziaria può tendere infatti, ora come allora, a sottovalutare taluni elementi nella ricerca delle prove, a sottostimare la rilevanza dei fattori comuni a più delitti concomitanti o susseguenti, a porre minor attenzione nella catena di custodia delle fonti probatorie.
Oggi l’auspicio è di riuscire ad attribuire un’identità a questo potenziale serial killer che, per numero di persone uccise, è preceduto solamente dal “Mostro di Firenze” e dal “Mostro di Udine” (16 vittime, tutte ‘coppiette’, il primo; 14 donne uccise, quasi sempre prostitute, il secondo).
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