Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo nella giurisprudenza

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Sommario: 1. Nozioni generali. – 2. Le novità della Riforma Fornero L. 92/2012. – 3. Casistica giurisprudenziale.

 

 

1. Nozioni generali

In base all’articolo 3 della Legge 604/1966, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è quello determinato da “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”.

In base a quanto precisato nel corso del tempo dalla giurisprudenza, le ragioni che legittimano il licenziamento individuale per giustificato motivo obiettivo sono riconducibili:

–         a specifiche esigenze aziendali che impongono la soppressione del posto di lavoro (c.d. esigenze obbiettive d’impresa);

–         oppure da comportamenti o situazioni facenti capo al prestatore di lavoro, purché costituiscano una ragione di risoluzione del rapporto (c.d. circostanze incolpevoli inerenti al lavoratore).

Per quanto concerne le prime si possono annoverare: la soppressione di posti di lavoro a causa di innovazioni tecnologiche (1), oppure a causa di riassetti organizzativi (2), oppure per una riorganizzazione dovuta alla necessità di contenere i costi aziendali.

Per quanto concerne le secondo si possono menzionare quei comportamenti o situazioni del lavoratore, pur incolpevole sotto il profilo giuslavoristico, che, comunque, non gli consentano di adempiere ai suoi obblighi contrattuali (3).

 

 

2. Le novità della Riforma Fornero L. 92/2012

 
Con la Legge n. 92/2012, entrata, come noto, in vigore nel nostro ordinamento in data 18 luglio 2012, sono state apportate delle modifiche in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Il legislatore ha previsto che nel caso di licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo, il datore di lavoro che abbia alle proprie dipendenze più di quindici lavoratori nella stessa unità produttiva o nello stesso Comune o comunque più di sessanta complessivamente, debba seguire una specifica procedura.

 

Procedura ex art. 7 L. 604/1966

1)    Il datore di lavoro prima di formalizzare il recesso dal contratto di lavoro, deve inviare alla Direzione territoriale del lavoro del luogo dove il lavoratore presta la sua opera, e, per conoscenza, al lavoratore , una comunicazione in forma scritta in cui siano indicati: intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo; specifici motivi alla base del licenziamento; eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato;

2)     entro il termine perentorio di 7 giorni decorrente dalla data di ricezione della comunicazione, la Direzione territoriale del lavoro dovrà convocare il datore di lavoro e il lavoratore per un incontro, ovvero un tentativo di conciliazione (4);

3)    l’incontro dovrà svolgersi e concludersi entro il termine di 20  giorni  dal momento in cui la Direzione territoriale del lavoro ha trasmesso la convocazione (5). Durante l’incontro, datore di lavoro e lavoratore potranno farsi assistere dalle organizzazioni di rappresentanza cui sono iscritte o abbiano conferito mandato, oppure da un componente della rappresentanza sindacale dei lavoratori, ovvero da un avvocato o da un consulente del lavoro

4)    al termine dei 20 giorni (6), se non si è trovato un accordo, il datore di lavoro potrà comunicare  il licenziamento al lavoratore nel rispetto delle seguenti condizioni: forma scritta; specificazione dei motivi che lo hanno determinato; rispetto del diritto del lavoratore a prestare il contrattuale periodo di preavviso oppure, in alternativa, a ricevere la relativa indennità sostitutiva.

 

 

3. Casistica giurisprudenziale

 
La giurisprudenza si è da sempre occupata con grande interesse del tema del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, con svariate pronunce che meritano attenzione, quale ad esempio quella della Cassazione, n. 11775 del 12 luglio 2012, che ha affermato che in caso di licenziamento per motivi attinenti all’attività produttiva, spetta al datore di lavoro, l’onere di provare la concreta riferibilità del licenziamento a iniziative collegate ad effettive ragioni di carattere produttivo – organizzativo sussistenti all’epoca della comunicazione del licenziamento, nonché l’impossibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni compatibili con la qualifica rivestita, in relazione al concreto contenuto professionale dell’attività cui il lavoratore stesso era precedentemente adibito.

 

Con sentenza n. 11465 del 9 luglio 2012, la Cassazione ha affermato che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva è scelta riservata all’imprenditore, quale responsabile della corretta gestione dell’azienda anche dal punto di vista economico ed organizzativo, sicché essa, quando sia effettiva e non simulata o pretestuosa, non è sindacabile dal giudice quanto ai profili della sua congruità ed opportunità. La suprema Corte rammenta la nozione di giustificato motivo oggettivo nel licenziamento: “deve ricondursi anche l’ipotesi  del riassetto organizzativo dell’azienda attuato al fine di una più economica gestione di essa, deciso dall’imprenditore non semplicemente per un incremento di profitto, ma per far fronte a sfavorevoli situazioni, non meramente contingenti, influenti in modo decisivo sulla normale attività produttiva, tanto da imporre una effettiva necessità di riduzione dei costi”.

 

Nel caso in cui le generiche espressioni contenute nella lettera di licenziamento non si prestino ad essere intese come specifica indicazione dei motivi posti a base del provvedimento espulsivo e tale specificazione non sia stata richiesta dall’interessato – nell’esercizio della facoltà attribuitagli dall’art. 2 della legge 604/66 – legittimamente le ragioni del recesso possono essere esposte dal datore di lavoro in sede contenziosa all’atto della sua costituzione in giudizio e devono essere valutate dal giudice di merito per stabilire la legittimità del licenziamento intimato. Legittimità che deve essere valutata anche sotto il profilo dell’assolvimento dell’onere di repechage con riferimento all’intero gruppo societario di cui il datore di lavoro è parte solo laddove il lavoratore abbia individuato al suo interno le possibili collocazioni in cui avrebbe potuto essere utilmente impiegato. (Cass. civ. sez. lav., 8 marzo 2012, n. 3629).

 

È correttamente motivata la sentenza di merito che abbia dichiarato l’illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, al cospetto del dato, incontestato tra le parti, che la modesta riduzione di lavoro appaltato dedotta a fondamento del recesso non aveva determinato la soppressione del posto di lavoro della lavoratrice licenziata, che, anzi, era stato ricoperto da un collaboratore assunto con contratto di lavoro a progetto. (Cass. civ., Sez. lavoro, 19 gennaio 2012, n. 755).

 

Non è sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto di lavoro cui era addetto il lavoratore licenziato, anche se la riorganizzazione sia attuata per una più economica gestione dell’impresa, e senza che la necessaria verifica dell’effettività delle scelte comporti un’indagine in ordine ai margini di convenienza e di onerosità dei costi connessi alla suddetta riorganizzazione, con il solo limite del controllo della reale sussistenza delle ragioni poste dall’imprenditore a fondamento delle proprie scelte e dell’effettività e non pretestuosità del riassetto organizzativo operato. (Cass. civ. 3 agosto 2011, n. 16925, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di C. Pederzoli, Licenziamento pretestuoso e motivo illecito: un’incerta linea di confine, 362)

 

Il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, quindi, lungi dal discendere da un generico ridimensionamento dell’attività imprenditoriale sussiste solamente laddove ricorra “la necessità di procedere alla soppressione del posto o del reparto cui è addetto il singolo lavoratore, soppressione che non può essere meramente strumentale a un incremento del profitto, ma deve essere diretta a fronteggiare situazioni sfavorevoli non contingenti. (Trib. Bari, 11 maggio 2009, in Lav. nella giur., 2009, 849) 

 

IN caso di licenziamento per giustificato motivo, il datore di lavoro che adduca a fondamento del licenziamento la soppressione del posto di lavoro cui era addetto il lavoratore licenziato ha l’onere di provare non solo che al momento del licenziamento non sussisteva alcuna posizione di lavoro analoga a quella soppressa, alla quale avrebbe potuto essere assegnato il lavoratore per l’espletamento di mansioni equivalenti a quelle svolte, ma anche di aver prospettato, senza ottenerne il consenso, la possibilità di un reimpiego in mansioni inferiori rientranti nel suo bagaglio professionale, purché tali mansioni siano compatibili con l’assetto organizzativo aziendale insindacabilmente stabilito dall’imprenditore. (Cass. n. 21579/2008).

 

Spetta al “datore di lavoro l’onere di provare la concreta riferibilità del licenziamento a iniziative collegate ad effettive ragioni di carattere produttivo – organizzativosussistenti all’epoca della comunicazione del licenziamento, nonché l’impossibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni compatibilicon la qualifica rivestita, in relazione al concreto contenuto professionale dell’attività cui il lavoratore stesso era precedentemente adibito. (Cass. n. 21282/2006; Cass. n. 12514/2004).

 

 

Manuela Rinaldi   
Avvocato foro Avezzano Aq – Dottoranda in Diritto dell’Economia e dell’Impresa Università La Sapienza, Roma, Proff. Maresca – Santoro Passarelli; Tutor di Diritto del Lavoro c/o Università Telematica Internazionale Uninettuno (UTIU) Docente prof. A. Maresca; Docente in corsi di Alta Formazione Professionale e Master e in corsi per aziende; già docente a contratto a.a. 2009/2010 Diritto del Lavoro e Diritto Sindacale Univ. Teramo, facoltà Giurisprudenza, corso Laurea Magistrale ciclo unico, c/o sede distaccata di Avezzano, Aq

 


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(1) Ad esempio, l’introduzione di sistemi di erogazione di banconote automatici.

(2) Ad esempio, la decisione di passare da una rete di vendita diretta ad una indiretta, affidandosi ad agenti.

(3) Ad esempio, perché la sua assenza per malattia ha superato i limiti di tempo previsti dalla contrattazione collettiva.

(4) Da svolgersi dinanzi alla commissione provinciale di conciliazione prevista dall’articolo 410 del codice di procedura civile.

(5) Salvo, naturalmente, che le parti non ritengano, di comune accordo, di proseguire i contatti nel tentativo di raggiungere un accordo.

(6) O di quel periodo  più lungo così come concordato tra le parti o del periodo di sospensione dovuto a legittimo e documentato impedimento del lavoratore.

Rinaldi Manuela

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