Il licenziamento disciplinare costituisce un’ipotesi di disoccupazione involontaria a fini dell’ASpI? Chiarimenti dal Ministero

Redazione 28/10/13
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Biancamaria Consales

Con interpello n. 29 del 23 ottobre 2013, il Ministero del lavoro ha fornito chiarimenti, richiestigli dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del lavoro, in merito al diritto del lavoratore a percepire l’ASpI ed il conseguente obbligo del datore di lavoro di versare il contributo di cui all’art. 2, comma 31, della L. 92/2012, nell’ipotesi di licenziamento disciplinare per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa.

In particolare, l’istante chiede se il licenziamento disciplinare possa costituire un’ipotesi di disoccupazione “involontaria”, per la quale è prevista la concessione della predetta indennità.

L’art. 2 della L. 92/2012 ha introdotto l’Assicurazione sociale per l’Impiego (ASpI), con l’intento di fornire un’indennità di disoccupazione ai lavoratori colpiti da disoccupazione involontaria, nonché un contributo a carico del datore di lavoro per i casi di interruzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, dovuto nelle stesse ipotesi che darebbero diritto all’ASpI (art. 2, comma 31, L. 92/2012).

Dal dettato della citata normativa, può evincersi che le cause di esclusione dall’ASpI e del contributo a carico del datore di lavoro sono tassative e riguardano i casi di dimissioni (con l’eccezione delle dimissioni per giusta causa ovvero delle dimissioni intervenute durante il periodo di maternità tutelato dalla legge) e di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.

Dunque, non sembra potersi escludere che l’indennità ed il contributo di cui sopra in ipotesi di licenziamento disciplinare. Caso similare, ed estensibile alla fattispecie in oggetto, è quello affrontato dalla Corte Costituzionale, con sentenza n. 405/2001, con cui si è stato statuito che, in caso di licenziamento disciplinare, va ugualmente corrisposta l’indennità di maternità, poiché una sua esclusione violerebbe gli artt. 31 e 37 della Costituzione.

“La fattispecie in argomento – ha chiarito il Ministero – è suscettibile di essere analizzata con il medesimo metodo di ragionamento adottato dalla Corte Costituzionale atteso che, analogamente a quanto argomentato dalla Corte a proposito della corresponsione dell’indennità di maternità, anche nel caso di specie il licenziamento disciplinare può essere considerato un’adeguata risposta dell’ordinamento al comportamento del lavoratore e, pertanto, negare la corresponsione dell’ASpI costituirebbe un’ulteriore reazione sanzionatoria nei suoi confronti. Sotto altro profilo va evidenziato che il licenziamento disciplinare non possa ex ante essere qualificato come disoccupazione “volontaria”. Ciò in quanto la sanzione del licenziamento quale conseguenza di una condotta posta in essere dal lavoratore, sia pur essa volontaria, non è “automatica”, senza contare l’impugnabilità dello stesso. In tali casi potrebbe risultare, peraltro, iniquo negare la protezione assicurata dall’ASpI nell’ipotesi in cui il giudice ordinario dovesse successivamente ritenere illegittimo il licenziamento impugnato”.

In conclusione, non sembrano esservi margini per negare il contributo a carico del datore di lavoro previsto dall’art. 2, comma 31 della L. 92/2012, in quanto lo stesso è dovuto per le causali che, indipendente dal requisito contributivo, darebbero diritto all’ASpI.

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