Il lavoro a cottimo: il fenomeno e i rischi di sfruttamento

Cottimo tra retribuzione e sfruttamento: analisi normativa, forme applicative, casistica attuale e rischi di caporalato nella gig economy.

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Fare il punto sul cottimo sembra anacronistico ma in realtà trattasi di una situazione molto ricorrente e dalla casistica anche molto frequente oggi considerate le voci insistenti dei giovani nuovi precari del lavoro: “lavoro a cottimo, non devo sbagliare a fare i resti!! “Ma cottimo è sfruttamento allora? Non sempre, ma spesso! Per approfondimenti sul nuovo diritto del lavoro, abbiamo organizzato il corso di formazione Corso avanzato di diritto del lavoro -Il lavoro che cambia: gestire conflitti, contratti e trasformazioni.
(a cura della Dott.ssa Francesca Levato, ispettore del lavoro in servizio presso l’Ispettorato di area metropolitana  di Roma. Quanto contenuto nel presente articolo è frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non importa alcun coinvolgimento da parte dell’amministrazione di appartenenza)

Indice

1. Le varie forme di cottimo: natura


 Il cottimo rappresenta una delle possibili forme di retribuzione previste dall’art. 2099 cod. civ., oltre a essere quella più utilizzata dalle aziende dopo la retribuzione a tempo (la forma attualmente più diffusa). Pertanto, il lavoratore viene pagato a cottimo quando il compenso che percepisce è commisurato alla quantità di lavoro prodotto e non sulla base della durata della prestazione lavorativa. In Italia questo tipo di impiego serve per arrotondare oppure per avere un’importantissima fonte di sostegno, rappresentando quindi la propria occupazione principale: ad esempio i riders, chi si occupa diconsegne a domicilio, ma anche chi svolgelavori completamente online. Il lavoro a cottimo è una forma di retribuzione attraverso cui il lavoratore è remunerato in base al risultato ottenuto, e non in base alla durata del lavoro: quindi più produci, più verrai pagato. In base a quanto dichiara il diritto del lavoro italiano, il lavoratore può essere pagato tramite diverse modalità: a tempo; a cottimo; a provvigioni; con partecipazioni agli utili e ai prodotti. La forma ordinaria e più adottata di pagamento è la retribuzione a tempo; quindi, rapportata al tempo che il dipendente ha trascorso a lavorare (ore, giornate, settimane, mese, anni).La modalità di pagamento a cottimo, invece, prevede una serie di limiti. Per prima cosa, come già accennato in precedenza, lo stipendio a cottimo prevede una retribuzione versata al lavoratore sulla base di quanto ha prodotto. La variabile da prendere più in considerazione è quindi il risultato finale del lavoro. La Legge, inoltre, definisce il lavoro a cottimo come il sistema capace di generare una retribuzione base del dipendente, ma sempre aggiuntiva e integrativa rispetto all’ordinaria retribuzione a tempo (come gli operai che vengono pagati a tempo e in via integrativa a cottimo). La sola eccezione è il cottimo pieno, una retribuzione esclusivamente legata a quanto si produce (ad esempio il lavoro a domicilio). In Italia, pertanto, vale la regola generale del cosiddetto cottimo misto: retribuzione fissa mensile, stabilita dal contratto di lavoro e legata all’orario di lavoro, più l’eventuale retribuzione a cottimo, legata alla produttività specifica. Il cottimo può essere individuale o collettivo. Il primo si basa sul rendimento di un singolo lavoratore; il secondo quando viene valutato il rendimento di un gruppo di lavoratori. In base a quanto afferma l’art. 36 della Costituzione, il rapporto tra rendimento e retribuzione a cottimo non può essere totale. Si ha quindi un cottimo parziale con: una retribuzione base minima; una retribuzione a cottimo garantito, con una percentuale della paga base attribuita al lavoratore, a patto che sia stato raggiunto il livello minimo di produzione preventivamente stabilito, o che viene garantita se il mancato raggiungimento di quel minimo sia dipeso da cause non imputabili alla volontà e alla capacità del lavoratore; un utile effettivo di cottimo, con un ulteriore compenso progressivamente crescente, attribuito al lavoratore quando supera il livello minimo di produzione pattuito. Inoltre, esistono differenti forme di cottimo. Nello specifico: a pezzo – la determinazione della retribuzione avviene moltiplicando il compenso pattuito per il numero di unità prodotte in un dato periodo; a tempo – viene considerato il tempo risparmiato nello svolgimento della prestazione lavorativa, rispetto al tempo standard. Chi definisce il minimo di cottimo, ovvero la percentuale del minimo che l’azienda è tenuta a corrispondere in conseguenza del maggior rendimento? La contrattazione collettiva, quindi i contratti collettivi nazionali di lavoro Ccnl, che ne disciplinano anche le modalità di calcolo. È compito poi del datore di lavoro comunicare in anticipo, ai lavoratori pagati a cottimo, i seguenti dati: dati riguardanti gli elementi costitutivi della tariffa di cottimo, le lavorazioni da eseguirsi, il relativo compenso unitario; dati relativi alla quantità di lavoro eseguita e al tempo impiegato. La retribuzione a cottimo, secondo la Legge, diventa un obbligo quando, a causa della specifica organizzazione del lavoro, il lavoratore è obbligato a osservare un determinato ritmo produttivo, o se la valutazione della prestazione dell’operaio sia data dal risultato delle misurazioni dei tempi di lavorazione.

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2. La retribuzione nel cottimo


L’obbligatorietà della retribuzione a cottimo scatta solo nel caso in cui al dipendente è richiesta un’attività più intensa di quella legata solamente alla retribuzione oraria. Quindi, riassumendo, la retribuzione a cottimo diviene obbligatoria in due casi:

  • in conseguenza dell’organizzazione del lavoro, se l’operaio è vincolato da un determinato ritmo produttivo;
  • se la valutazione della prestazione dell’operaio avviene in base al risultato delle misurazioni dei tempi di lavorazione.

Questa forma di retribuzione è stata creata perlopiù per il lavoro autonomo anche se, con il tempo, si è sviluppata anche nelle imprese per retribuire il lavoro subordinato. Nel primo caso, ovvero nel lavoro autonomo, il cottimo è caratterizzato fondamentalmente dal risultato finale del lavoro compiuto, mentre nel lavoro subordinato la retribuzione è costituita dal rendimento generale del lavoratore. Oramai la maggioranza delle retribuzioni a cottimo sono riconducibili alla Gig Economy, ovvero il modello economico basato sul lavoro a chiamata, occasionale e temporaneo, e non sulle prestazioni lavorative stabili e continuative, caratterizzate da maggiori garanzie contrattuali. La Gig Economy sta però riformulando le forme classiche di organizzazione del lavoro, sempre in continua evoluzione. Questo perché i lavoratori possono gestire il tempo in completa autonomia, svolgendo contemporaneamente anche altre professioni, proprio come i riders. Mestieri che sono oggetto anche di grandi polemiche e critiche da parte degli stessi lavoratori che denunciano la scarsità di diritti, di tutele sociali e bonus in caso, ad esempio, di maltempo o di altre problematiche che ostacolano l’esecuzione del lavoro. Il sistema previsto dai contratti collettivi non è mai a cottimo integrale, bensì misto, onde assicurare comunque al lavoratore un minimo di retribuzione. Ed infatti nel cottimo misto il compenso è determinato dai seguenti elementi: a) la paga base, che deve essere comunque corrisposta al lavoratore a prescindere dal risultato della prestazione lavorativa ;b) l’utile di cottimo garantito, consistente nella quota percentuale della paga base che viene attribuita al lavoratore a condizione che sia stato raggiunto il livello minimo di produzione preventivamente stabilito o che comunque il mancato raggiungimento di tale minimo sia dipeso da cause non imputabili alla volontà e alla capacità del lavoratore; c) l’utile effettivo di cottimo, che consiste in un ulteriore compenso progressivamente crescente attribuito al lavoratore allorché sia superato il livello minimo di produzione pattuito. A norma dell’art. 2101 del codice civile, i contratti collettivi disciplinano altresì i casi in cui le tariffe di cottimo non possono diventare definitive se non dopo un dato periodo di esperimento (assestamento). Una volta assestate, le tariffe possono essere modificate solo se intervengono mutamenti delle condizioni di lavoro e in funzione degli stessi. Ove i lavoratori siano retribuiti a cottimo l’imprenditore deve comunicare loro: a) preventivamente, i dati riguardanti gli elementi costitutivi della tariffa di cottimo, le lavorazioni da eseguirsi, il relativo compenso unitario; b) successivamente, i dati relativi alla quantità di lavoro eseguita e al tempo impiegato. Il lavoro a cottimo può essere individuale collettivo. Quest’ultimo consiste in una forma di lavoro prevista da alcuni contratti collettivi in cui il tipo di lavorazione, i tempi necessari e la quantità da produrre sono riferiti ad un gruppo di lavoratori appartenenti ad una squadra (Cass. sent. n. 2481/1981.Cass. sent. n. 3917/1980.Cass. sent. n. 5558/1984). Sebbene il termine cottimo esista da ben più tempo una forma relativamente recente di questo sistema è data dal sistema Bedaux che consisteva sostanzialmente in una campionatura del lavoro e, più precisamente, nel cronometrare il tempo impiegato dall’operaio per ogni singola operazione; in seguito veniva fissata la quantità di lavoro che poteva essere effettuata in quella porzione di tempo e veniva stabilito un tempo standard necessario che determinava la paga base a pezzo. Prende il nome dall’ingegnere Parigino Charles Eugène Bedaux, che caratterizzò con questo metodo la disciplina del cottimo nel ‘900. Al principio degli anni Trenta, il sistema fu applicato anche in Italia, durante il fascismo, ed in particolare alla Fiat, iniziando dallo stabilimento del Lingotto di Torino; ciò provocò proteste e aggressioni ai controllori e venne abolito in Italia nel 1934, altre forme di cottimo rimasero in vigore nonostante che, con le contrattazioni collettive negli anni ’60 e ’70, si provò ad arginarle. Volendo dare una definizione a questo sistema di sfruttamento, facciamo riferimento a come Marx lo descrive e fa luce sulla sua natura: “La qualità del lavoro è qui controllata dall’opera stessa, la quale deve contenere bontà media, se il prezzo a cottimo dev’essere pagato in pieno. Il salario a cottimo diventa da questo lato fonte fecondissima di detrazioni sul salario e di truffe capitalistiche. Esso offre al capitalista una misura ben definita dell’intensità del lavoro”. Dobbiamo aggiungere quindi, che, come sappiamo, il datore di lavoro è a conoscenza dei ritmi e di conseguenza i tempi per effettuare lavorazioni più o meno semplici, il lavoratore è “forzato” a mantenere il rendimento fissato dal padrone; quindi, se il lavoratore non è in grado di fornire un determinato minimo di opera giornaliera, lo si licenzia o lo si forza a lavorare a ritmi più sostenuti, forse si può parlare di caporalato? si può parlare di sfruttamento? Con il termine cottimo si intende ad oggi, una forma di retribuzione calcolata in base alla quantità di merce prodotta in un tempo prefissato. Più si produce e più si viene retribuiti. Ma per legge il cottimo non può mai costituire l’unica retribuzione del lavoratore ma solo un’integrazione della normale retribuzione a tempo. Tuttavia, l’art 36 della carta costituzionale garantirebbe una retribuzione adeguata e sufficiente per la propria persona e la propria famiglia ad ogni lavoratore.

3. Cottimo e sfruttamento


Il sistema di “sfruttamento a cottimo” non è altro che un metodo che usano i datori di lavoro per aumentare la produzione, quindi la produttività dei lavoratori. I problemi fisici e psichici che hanno i lavoratori sottoposti allo stress incessante di vedere il proprio salario direttamente legato alla produzione che riescono a garantire non possono essere equiparati al guadagno che riescono a ricavare. Il lavoro a cottimo è un anello fondamentale di questo sistema di sfruttamento, comandato da datori di lavoro pronti a tutto per aumentare i propri profitti. Per esempio, esistono ad oggi contratti che garantiscono un fisso mensile di poche centinaia di euro (di certo non sufficienti a garantire nulla al lavoratore, dato il costo della vita), a fronte delle provvigioni, che possiamo vedere come lavoro a cottimo mascherato con un altro termine. La retribuzione a provvigione si basa sulla percentuale di fatturato che il lavoratore riesce a produrre per l’azienda. Se un operatore telefonico (nei call center) riesce a far firmare tanti contratti o un venditore porta a porta riesce a vendere un certo numero di articoli per la casa, verrà elargito un importo supplementare. Questo tipo di lavoro porta “il padrone/datore di lavoro” a poter disporre in maniera indiscriminata della forza lavoro, sfruttando storture di ogni genere.
Casistica. Prendiamo il caso, come molti altri casi, di una lavoratrice anonima: il primo giorno di colloquio gli viene confermato un rimborso spese per il viaggio di andata e ritorno da e per il lavoro, gli viene detto che raggiungendo un totale di 15 contratti fatti in una settimana sarebbe scattato il premio in denaro (che niente altro è che lavoro a cottimo). La lavoratrice raggiunge 14 contratti nella settimana e decide di andarsene. Al momento di licenziarsi con la speranza di riuscire almeno a prendere una percentuale sui contratti portati a termine, ed un rimborso spese dei viaggi il datore la lascia senza un rimborso e senza un premio per il lavoro svolto proprio perché non ha raggiunto il livello minimo fissato inizialmente. Il datore si è assicurato così il profitto di 14 contratti stipulati grazie al lavoro della lavoratrice, ma non ha pagato nulla. Un altro esempio emblematico di cosa sia il lavoro a cottimo lo troviamo nella denuncia di lavoratrici nell’ambito delle pulizie nelle camere di alberghi. Queste lavoratrici hanno un contratto indeterminato da 40 ore settimanali. Al momento dell’accredito bancario del salario e dopo aver visionato la busta paga, si sono accorte di un taglio dello stipendio che varia di mese in mese. In pratica, ecco quello che succede: alle lavoratrici viene detratto dalla retribuzione, un ammontare fino a 200 euro. Questo avviene se le lavoratrici non riescono a sistemare il numero di camere prefissato, in un determinato tempo anch’esso prefissato. Il sistema sarà sicuramente configurato in una sorta di una contabilità parallela da cui emerge che la società rileva (magari su un programma informatico o sulla scorta dell’esperienza nel settore), il tempo con il quale le lavoratrici devono terminare il lavoro in ciascuna stanza. Nel caso specifico 5 ore e 50 minuti per sistemare 14 camere, con una media di 25 minuti a stanza. Anche in questo caso si tratta di una forma di cottimo, e costringe le lavoratrici a ritmi di lavoro sempre più intensi e frenetici. Ancora il divario aumenta in base alle caratteristiche delle stanze (suite, superior, classiche, minor)..con la possibile conseguenza di creare all’interno della azienda anche forme discriminatorie tra le dipendenti, a fronte di criteri non trasparenti ed arbitrari. Sarebbero da citare tanti altri esempi di lavoro a cottimo presenti oggi massicciamente in molti settori del lavoro, anche la recente lotta dei rider (Foodora, Deliveroo ecc…) si incentrava sul rifiuto del lavoro a cottimo, ovvero ad essere pagati a consegna, con tutte le ricadute su stress e rischi dovuto alla necessità di essere celeri nelle consegne.

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Francesca Levato

Ispettore del lavoro in servizio presso l’INL.

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