Il giudizio di liquidazione degli onorari del difensore in caso di attività svolta per più gradi del medesimo giudizio: le Sezioni Unite interrogate in merito ai criteri di individuazione del giudice competente

Redazione 28/11/19
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di Francesco Martire

Sommario

1. Cass. civ., Sez. 6, 17.06.2019 n. 16212

2. Vicenda e contenuto della decisione

3. Questioni poste in luce dal provvedimento

4. Il dibattito giurisprudenziale

5. Riflessioni conclusive

1. Cass. civ., Sez. 6, 17.06.2019 n. 16212

La Sezione sesta ha disposto la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, ravvisando la sussistenza di una questione di massima di particolare importanza in relazione al problema, sollevato dal ricorrente, concernente l’individuazione del giudice competente sulla domanda di liquidazione dei compensi agli avvocati che abbiano svolto la propria attività professionale per più gradi del medesimo processo.

2. Vicenda e contenuto della decisione

Il Tribunale, a seguito di ricorso proposto ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c. dal difensore interessato, ha dichiarato la propria incompetenza rispetto alla domanda di liquidazione dei compensi professionali per il patrocinio svolto in favore dell’assistito.

Ad avviso del Giudicante, infatti, essendo stato definito il giudizio dal medesimo Tribunale e, a seguito di impugnazione, anche con sentenza della Corte d’Appello, la richiesta aveva necessariamente ad oggetto i compensi per l’attività svolta in entrambi i gradi di giudizio. Conseguentemente, l’intera lite rientrava nella competenza del Giudice del gravame, poiché solo questi poteva liquidare un compenso adeguato, alla luce di una valutazione globale dell’attività svolta dal difensore.

Avverso la suddetta decisione l’avvocato ha proposto ricorso per regolamento di competenza sostenendo che il Tribunale avrebbe disatteso le indicazioni di Cass, civ., Sez. Un., 23.02.2018 n. 4485; in base a tale pronuncia, infatti, le Sezioni Unite avrebbero affermato che nei procedimenti exart. 14 d.lgs. 150/2011, quando le prestazioni del difensore sono svolte innanzi a più Uffici giudiziari, la liquidazione del relativo compenso deve essere richiesta attraverso la proposizione di domande autonome ai diversi Giudici che hanno conosciuto la controversia.

La Sezione rimettente, preso atto del quadro normativo esistente e degli orientamenti giurisprudenziali sviluppatisi in relazione ad esso, ha ritenuto sussistere un problema interpretativo rilevante e bisognoso di un intervento del Supremo Consesso, non riuscendo a pervenire a soluzioni univoche anche alla luce dell’evoluzione legislativa avvenuta in tale materia.

3. Questioni poste in luce dal provvedimento

Il procedimento di liquidazione degli onorari, dei diritti e delle spese sostenute dal difensore ai fini dello svolgimento dell’attività professionale a favore del proprio assistito trovava originariamente una compiuta disciplina nell’art. 28 l. 794/1942, riguardante gli «Onorari di Avvocato e di Procuratore per prestazioni giudiziali in materia civile». Tale disposizione stabiliva che la richiesta di liquidazione dovesse essere presentata dall’avvocato innanzi al capo dell’Ufficio giudiziario adito per il processo; unica eccezione alla suddetta regola di carattere generale consisteva nella ipotesi in cui l’interessato preferisse attivare, ai medesimi fini, la procedura di ingiunzione di cui agli artt. 633 ss. c.p.c.

L’art. 34, comma 16 lett. a) d.lgs. 150/2011, provvedimento riconducibile ai numerosi interventi legislativi volti alla semplificazione del processo civile e posti in essere nel solco della legge delega 69/2009, ha modificato l’art. 28, stabilendo che, ferma restando l’alternativa dell’ingiunzione, il procedimento attivabile ai fini della liquidazione è unicamente quello cui fa riferimento l’art. 14 del medesimo decreto. Tale disposizione stabilisce che al procedimento di liquidazione di cui alla legge 794/1942 e al giudizio di opposizione exart. 645 c.p.c. – nel caso in cui l’interessato preferisca avvalersi del procedimento ingiuntivo – si applicano le norme in tema di procedimento sommario di cognizione, da incardinarsi innanzi all’«Ufficio giudiziario di merito adito nel processo per il quale l’avvocato ha prestato la propria opera»[1].

È opportuno sottolineare, tuttavia, che l’art. 3 del medesimo decreto prevede che alle controversie in esame non si applichino i commi 2 e 3 dell’art. 702 ter c.p.c.: ciò significa che, nel caso in cui il difensore decida di avvalersi del rito sommario, quest’ultimo presenta, in funzione dell’oggetto della controversia, dei caratteri di specialità. Essi consistono, stante l’inapplicabilità di alcune delle disposizioni dell’art. 702 ter c.p.c., nell’impossibilità per il giudice di dichiarare l’inammissibilità della domanda ove ritenga che la causa non rientri tra quelle indicate nell’art. 702 bis c.p.c. e di disporre il mutamento del rito fissando l’udienza ai sensi dell’art. 183 c.p.c., laddove ritenga che le difese svolte dalle parti richiedano un’istruzione non sommaria. Il rito sommario cui fa riferimento tale normativa, dunque, non può considerarsi pienamente rientrante nel paradigma degli artt. 702 bisss. c.p.c., presentando caratteristiche fortemente peculiari, tanto da essere stato definito quale rito sommario «speciale».

Tanto premesso in punto di diritto positivo, si sottolinea come il problema ermeneutico costituente l’oggetto dell’ordinanza in commento sorge dalla necessità di mettere a sistema gli orientamenti giurisprudenziali formatisi in base all’originario disposto dell’art. 28 l. 794/1942 con le modifiche normative introdotte dal d.lgs. 150/2011. Sotto tale profilo, le principali difficoltà per gli interpreti discendono dalla assenza di indicazioni legislative sulla natura della competenza del giudice della liquidazione, non essendo chiaro se essa sia di carattere funzionale ed inderogabile oppure, al contrario, derogabile e suscettibile di subire gli effetti della connessione. A ciò deve aggiungersi che la soluzione di tale nodo interpretativo risulta di particolare importanza poiché si pone in rapporto di strumentalità con quello concernente la tipologia di rito applicabile; infatti, come poc’anzi accennato, il legislatore delegato ha essenzialmente attratto al rito sommario «speciale» tutte le controversie inerenti ai compensi professionali per la cui definizione il difensore intenda avvalersi del procedimento ex art. 28, in base ad una valutazione ex ante che, alla luce dell’oggetto della causa, ha ridotto la possibilità di scelta del rito attivabile in tali ipotesi. I due ordini di problemi, dunque, risultano necessariamente connessi, discendendo dalla individuazione della natura della competenza di cui all’art. 28 quella dei paradigmi procedimentali a disposizione della parte che intenda far valere i propri diritti di credito.

[1] Cfr. art. 14, comma 2 d.lgs. 150/2011

4. Il dibattito giurisprudenziale

Secondo l’orientamento prevalente della Suprema Corte nel periodo antecedente alla Novella del 2011 la competenza ex art. 28 l. 794/1942 aveva carattere funzionale ed inderogabile[2]; ciononostante, ad avviso della medesima giurisprudenza, tale circostanza non era considerata ostativa alla possibilità per il difensore, il quale avesse prestato la propria opera professionale in più gradi del medesimo giudizio, di instaurare un unico giudizio sulla liquidazione dei compensi presso il giudice che per ultimo avesse trattato il processo, ferma restando la necessità di proporre la domanda al capo dell’Ufficio giudiziario adito[3].

Al contrario, ad avviso di altro indirizzo minoritario, la natura inderogabile della competenza comportava anche l’impossibilità di proporre domande cumulative presso un unico Ufficio giudiziario, essendo necessario avanzare la relativa istanza ai diversi giudici ai fini della liquidazione delle spese e dei compensi del rispettivo grado di giudizio[4].

Peraltro, tale dibattito risultava connesso ad altro, concernente la possibilità di avvalersi dello speciale procedimento ex art. 28 nelle ipotesi in cui la controversia sulla liquidazione involgesse non solo la determinazione del quantum del compenso ma anche, in radice, l’an della pretesa creditoria. Ad avviso di un primo indirizzo[5], la contestazione dell’esistenza di un diritto di credito concretamente attivabile dal difensore impediva l’applicabilità del procedimento di liquidazione speciale, con la conseguente necessità per il giudice adito di dichiarare l’inammissibilità del ricorso e pronunciare ordinanza non impugnabile di mutamento del rito, previa verifica della regolare costituzione del contraddittorio. Altro orientamento[6], invece, sulla scorta di un’interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni di riferimento ed alla luce delle novità introdotte con il d.lgs. 150/2011, affermava che al dato normativo avrebbe dovuto essere attribuito un significato in senso nettamente opposto, dal momento che le disposizioni contenute nel decreto, stabilendo l’inapplicabilità al procedimento sommario ex art. 28 dei commi 2 e 3 dell’art. 702 ter c.p.c. e individuando ex ante le tipologie di rito applicabili a siffatte ipotesi, impedirebbero al giudice di dichiarare l’inammissibilità della domanda anche nel caso in cui la controversia sulla liquidazione involga contestazioni inerenti ai presupposti di esistenza del diritto dell’avvocato[7].

In tale contesto sono intervenute le Sezioni Unite con la sentenza 23.02.2018 n. 4485[8].

Il Supremo Consesso, investito delle questioni concernenti le tipologie di rito attivabili ai fini della liquidazione dei compensi ed il perimetro della situazione giuridica soggettiva suscettibile di accertamento da parte del giudice delle relative controversie alla luce del mutamento normativo avvenuto con la Novella del 2011, ha affermato che: «La prima questione posta dall’ordinanza di rimessione deve, dunque, risolversi con l’affermazione del seguente principio di diritto: “a seguito dell’introduzione dell’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, la controversia di cui all’art. 28 della L. n. 794 del 1942, come sostituito dal citato d.lgs., può essere introdotta: a) o con un ricorso ai sensi dell’art. 702-bis, cod. proc. civ., che dà luogo ad un procedimento sommario “speciale”, disciplinato dal combinato disposto dell’art. 14 e degli artt. 3 e 4 del citato d.lgs. e dunque dalle norme degli artt. 702-bise seg. cod. proc. civ., salve le deroghe previste dalle dette disposizioni del d.lgs.; b) o con il procedimento per decreto ingiuntivo ai sensi degli artt. 633 e segg. cod. proc. civ., l’opposizione avverso il quale si propone con ricorso ai sensi dell’art. 702-bis e segg. cod. proc. civ. ed è disciplinata come sub a), ferma restando l’applicazione delle norme speciali che dopo l’opposizione esprimono la permanenza della tutela privilegiata del creditore e segnatamente degli artt. 648, 649 e 653 cod. proc. civ. (quest’ultimo da applicarsi in combinato disposto con l’ultimo comma dell’art. 14 e con il penultimo comma dell’art. 702-ter cod. proc. civ.). Resta, invece, esclusa la possibilità di introdurre l’azione sia con il rito di cognizione ordinaria e sia con quello del procedimento sommario ordinario codicistico, di cui agli artt. 702-bis e segg. cod. proc.”. La seconda questione posta dall’ordinanza di rimessione va risolta con l’affermazione del seguente principio di diritto: “La controversia di cui all’art. 28 della L. n. 794 del 1942, tanto se introdotta con ricorso ai sensi dell’art. 702-bis cod. proc. civ., quanto se introdotta con ricorso per decreto ingiuntivo, ha ad oggetto la domanda di condanna del cliente al pagamento delle spettanze giudiziali dell’avvocato tanto se prima della lite vi sia una contestazione sull’an debeatur quanto se non vi sia e, una volta introdotta, resta soggetta (nel secondo caso a seguito dell’opposizione) al rito indicato dall’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011 anche quando il cliente dell’avvocato non si limiti a sollevare contestazioni sulla quantificazione del credito alla stregua della tariffa, ma sollevi contestazioni in ordine all’esistenza del rapporto, alle prestazioni eseguite ed in genere riguardo all’an[9]. Soltanto qualora il convenuto svolga una difesa che si articoli con la proposizione di una domanda (riconvenzionale, di compensazione, di accertamento con efficacia di giudicato di un rapporto pregiudicante), l’introduzione di una domanda ulteriore rispetto a quella originaria e la sua esorbitanza dal rito di cui all’art. 14 comporta – sempre che non si ponga anche un problema di spostamento della competenza per ragioni di connessione (da risolversi ai sensi delle disposizioni degli artt. 34, 35 e 36 cod. proc. civ.) e, se è stata adita la corte di appello, il problema della soggezione della domanda del cliente alla competenza di un giudice di primo grado, che ne impone la rimessione ad esso – che, ai sensi dell’art. 702-ter, quarto comma, cod. proc. civ., si debba dar corso alla trattazione di detta domanda con il rito sommario congiuntamente a quella ex art. 14, qualora anche la domanda introdotta dal cliente si presti ad un’istruzione sommaria, mentre, in caso contrario, si impone di separarne la trattazione e di procedervi con il rito per essa di regola previsto (non potendo trovare applicazione, per l’esistenza della norma speciale, la possibilità di unitaria trattazione con il rito ordinario sull’intero cumulo di cause ai sensi dell’art. 40, terzo comma, cod. proc. civ”)».

Partendo da tali premesse interpretative, la Sezione rimettente prosegue precisando che le Sezioni Unite hanno aderito alle tesi della natura derogabile della competenza, in quanto non diversamente qualificata da legislatore, e della possibilità di proposizione della domanda di liquidazione presso un unico Ufficio giudiziario – cioè il Tribunale ordinario – pur a fronte di una pretesa creditoria involgente prestazioni fornite dal difensore per più gradi del medesimo giudizio. In particolare, l’ordinanza interlocutoria fa riferimento alla parte motiva della sentenza 4485/2018 nella parte in cui i Giudici di legittimità affermano che «Il cumulo di domande proposte dal ricorrente sarebbe stato eventualmente introducibile con rito monitorio in presenza di un criterio di radicazione ai sensi del primo o del terzo comma dell’art. 637 c.p.c. Il fatto che qui il ricorrente non avesse utilizzato la forma monitoria e, dunque, non avesse utilizzato uno dei due riti introduttivi possibili, non incideva sulla possibilità che il detto tribunale potesse essere competente, atteso che, se il legale rinuncia ad avvalersi del procedimento monitorio ed introduce la controversia ex art. 28 direttamente con il rito sommario, sebbene non davanti all’ufficio presso il quale le prestazioni sono state espletate, non si può ritenere che il giudice adito non sia competente, qualora la sua competenza fosse sussistita se fosse stato adito con rito monitorio»[10].

Alla luce delle considerazioni suesposte, la Sezione rimettente ha disposto la trasmissione degli atti processuali al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, ritenendo che il quadro sistematico emerso dall’analisi combinata del dato positivo e di quello pretorio induca ad interrogarsi sulla possibilità attuale, a fronte delle modifiche legislative intervenute, di proporre domanda di liquidazione in via cumulativa al solo giudice che per ultimo abbia conosciuto della controversia, in coerenza con l’orientamento maggioritario formatosi nella vigenza dell’art. 28 ante riforma, oppure se, in base al coordinamento degli artt. 14, comma 2 d.lgs. 150/2011 e 637 c.p.c., il difensore possa scegliere solo tra la proposizione di più domande autonome per le spese di ciascun grado e la cumulazione delle stesse innanzi al Tribunale competente ai sensi dell’art. 637 c.p.c.[11]

[2] Sulla natura inderogabile della competenza ex multis si vedano Cass. civ., Sez. 2, 27.01.1995 n. 993; Cass. civ., Sez. L., 12.09.1995 n. 9628; Cass. civ., Sez. 2, 6.12.2013 n. 27402.

[3] Sulla possibilità di una richiesta cumulativa al giudice del gravame si veda ex multis Cass. civ., Sez. 2, 10.07.1987 n. 6033.

[4] Il precedente a tal proposito citato dal Giudice rimettente è Cass. civ., Sez. 2, 18.03.1997 n. 6493. La Sezione seconda, nel rigettare il ricorso, risolve nei seguenti termini la questione di diritto relativa al giudice competente: «Per quanto riguarda il primo motivo, la questione di diritto, che la Corte deve risolvere per decidere la controversia, è se, per i giudizi che si sono svolti in doppio grado, la competenza a liquidare gli onorari ed i diritti spettanti al difensore appartenga per intero al giudice d’appello, davanti alla quale il procedimento viene definito, ovvero se ciascun giudice sia competente a liquidare gli onorari ed i diritti relativi al processo svoltosi davanti a sé. Per la verità, non persuade l’argomento analogico addotto dai ricorrenti, secondo cui nel caso di giudizio, che si protrae per più gradi, in considerazione del carattere unitario dell’attività difensiva, gli onorari di avvocato vanno liquidati – in base alla tariffa in vigore nel momento in cui l’opera complessiva è condotta a termine – dal giudice del secondo grado, che si trova nelle migliori condizioni per valutare le prestazioni professionali dell’intero procedimento.
Il richiamo non sembra conferente. Anzitutto, questi principi, elaborati dalla giurisprudenza ma non ancorati ad una precisa disposizione di legge, riguardano la liquidazione degli onorari a carico della parte soccombente, mentre la fattispecie in esame attiene a tutte le competenze che l’avvocato richiede al cliente. Inoltre, l’analogia dedotta è soltanto apparente, in quanto nella specie in esame non si riscontra la stessa ratio, configurata dalla necessità di valutare unitariamente la prestazione professionale, posto che nella fattispecie si prescinde dal risultato conseguito e si ha riguardo soltanto alle singole prestazioni professionali compiute nel processo.
Ciò posto, la scarna disposizione di cui all’art. 28 della l. 13 giugno l942, n. 794 – secondo cui l’avvocato propone il ricorso davanti “al capo dell’ufficio giudiziario adito per il processo” – dalla giurisprudenza concorde viene interpretata come attributiva della competenza funzionale (e inderogabile) del giudice adito (Cass., Sez. Lav., 12 settembre 1995, n. 9628; Cass., Sez. Lav., 20 aprile 1995, n. 3381; Cass., Sez. II, 18 maggio 1994, n. 4824).
Pertanto, correttamente il Tribunale, per il caso dei procedimenti, che si sono svolti in più gradi, in quanto “giudice adito”, ha ritenuto di essere competente a liquidare gli onorari ed i diritti per la fase del processo, che si è svolta davanti a sé».

[5] Cass. civ., Sez. 2, 27.03.2001 n. 4419

[6] A tal proposito un vero e proprio revirement giurisprudenziale è stato inaugurato da Cass. civ., Sez. 6, 13.10.2015 n. 4002. Infatti, dopo aver ricordato l’orientamento di segno contrario, la Corte sottolinea come «In senso contrario alla tesi in esame, si è peraltro osservato che il rito sommario di cognizione ex art. 702-bis ss., c.p.c., garantisce comunque una cognizione piena della posizione soggettiva dedotta in giudizio, seppur con una trattazione ed un’istruzione semplificate e mette in crisi la premessa da cui muoveva il predetto orientamento giurisprudenziale. È stato richiamato l’art. 3, 1° comma, D. Lgs. 150/2011, nella parte in cui esclude l’applicabilità dell’art. 702 ter, 2° comma, c.p.c., ai sensi del quale il Giudice, se “rileva che la domanda non rientra tra quelle indicate nell’art. 702 bis, la dichiara inammissibile. Nello stesso modo provvede sulla domanda riconvenzionale”. La predetta norma precluderebbe infatti al Giudice, adito ex art. 14, D. Lgs. n. 150/2011, di dichiarare inammissibile la domanda anche qualora l’oggetto del procedimento si estenda all’accertamento dei presupposti del diritto dell’avvocato al compenso professionale, così superando il precedente orientamento giurisprudenziale della Cassazione di cui si è sopra dato conto. Inoltre, l’art. 4 D.lgs. n. 150/2011 consente il mutamento del rito in ipotesi di controversia promossa con forme diverse da quelle previste, così sembrando riferirsi all’ipotesi dell’errore sul rito compiuto ab origine, e non alla opportunità/necessità, non derivante da errore iniziale, che la controversia, per effetto delle argomentazioni difensive del convenuto, proceda con rito diverso.
I sostenitori questa tesi rilevano che la norma potrebbe essere letta estensivamente ed applicata anche nelle ipotesi in cui la scelta del rito “incongruo” non sia dipesa da un errore del ricorrente (ossia dell’avvocato) ma dalle difese del convenuto, che hanno determinato l’inapplicabilità del rito sommario, con le contestazioni relative all’an e non solo al quantum debeatur. In sintesi, secondo la tesi in esame, il ricorso sommario proposto dall’avvocato sarebbe suscettibile di evolvere, previa conversione del rito ex art. 4 D.lgs. n. 150/2011 in rito ordinario, allorché il convenuto contesti anche l’an o proponga domanda riconvenzionale. Infine, secondo una terza tesi, l’intero giudizio di liquidazione dei compensi, comprensivo dei temi sull’an debeatur, dovrebbe essere trattato con il “nuovo” rito sommario.
Conseguentemente, nel caso in cui il giudizio in tale materia venga introdotto con rito ordinario e, dunque, con atto di citazione (o con atto di citazione in opposizione avverso il decreto ingiuntivo ottenuto dall’avvocato), il Presidente del Tribunale o della Sezione tabellarmente competente dovrebbe: disporre il mutamento del rito da ordinario in sommario ai sensi dell’art. 4 D.lgs. n. 150/2011; nominare il Giudice relatore; fissare l’udienza di comparizione partì avanti al Collegio per la trattazione.
La Corte ritiene di aderire a questa ultima tesi tenendo conto della pienezza della cognizione che, secondo la maggioranza della dottrina e la stessa relazione di accompagnamento, sarebbe assicurata da questo procedimento e nel rispetto dell’impianto generale del D.lgs. n. 150/2011, in cui la tipologia del rito è il frutto di una decisione legislativa senza possibilità di scelte discrezionali della parte o del giudice. Infatti, in tal modo è rispettata la rado che ha guidato il legislatore delegato secondo cui il controllo di concreta compatibilità della singola lite con le forme semplificate del rito, che nel procedimento sommario di cognizione facoltativo di cui agli artt. 702 bis ss. è rimesso alla valutazione discrezionale del giudice, è sostituito, nel procedimento sommario obbligatorio disciplinato dall’art. 3, D.lgs. n. 150/2011, da una verifica, astratta ed irrevocabile, compiuta a monte dal legislatore sulla base delle caratteristiche riscontrate in alcune specie di controversie che hanno ad oggetto determinate specifiche materie.
Una tale soluzione ha evidenti vantaggi di economia processuale e sarebbe conforme al principio di conservazione degli atti processuali, evitando la declaratoria di inammissibilità che è espressamente esclusa dall’art. 3, 1° comma, D. Lgs. 150/2011, nella parte in cui esclude l’applicabilità dell’art. 702 ter, 2° comma, c.p.c. […]. Tale soluzione è in linea con quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n 26-4-2014 n. 65 che, con riferimento alla dedotta violazione dei principi della legge delega riferita all’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2011, ed in particolare all’esclusione della convertibilità del rito sommario, ha rilevato che la norma in esame costituisce immediata applicazione del criterio direttivo di cui all’art. 54, comma 4, lettera b), numero 2), della legge n. 69 del 2009, il quale – nel ricondurre al modello del procedimento sommario quei procedimenti nei quali sono prevalenti caratteri di semplificazione della trattazione o dell’istruzione della causa – afferma che resta “esclusa per tali procedimenti la possibilità di conversione nel rito ordinario”».

[7] Per l’analisi di un più recente arresto giurisprudenziale in linea con il suesposto orientamento (Cass. civ., Sez. 6, 16.01.2019 n. 1023) cfr. Summa, L’azione per il pagamento dei compensi dell’avvocato è sempre soggetta al rito ex art. 14 d.lgs. n. 150/2011 , 2019.

[8] Per un’analisi più approfondita della pronuncia delle Sezioni Unite cfr. Minissale, La tutela del credito professionale dell’avvocato: la decisione delle sezioni unite, 2019; Martinoli, Le Sezioni Unite si pronunciano sull’alternatività dei riti nella procedura di liquidazione dei compensi degli avvocati ex art. 14, d.lgs. n. 150/2011 , 2018; Metafora, Le Sezioni Unite fanno il punto sui procedimenti esperibili per la liquidazione dei compensi degli avvocati, 2018.

[9] Per una critica di tale affermazione di principio si veda Carratta, Il rito sugli onorari dell’avvocato e un revirement delle Sezioni unite che non convince, 2018.

[10] Cfr. Cass. civ., Sez. Un., 23.02.2018 n. 4485 pag. 44.

[11] Un commento dell’ordinanza interlocutoria è fornito da Valerini, Onorario per il patrocinio in più gradi di giudizio: l’avvocato alle prese con il rebus della competenza, 2019.

5. Riflessioni conclusive

Il problema interpretativo sottoposto dall’ordinanza interlocutoria all’attenzione delle Sezioni Unite, come più volte ribadito, discende dalle difficoltà che gli operatori del diritto hanno incontrato nell’armonizzare l’evoluzione giurisprudenziale sviluppatasi prima dell’introduzione del d.lgs. 150/2011 con le novità introdotte da quest’ultimo provvedimento. Il legislatore delegato, infatti, ha innovato la disciplina di settore modificando il sistema degli strumenti di tutela attivabili dal professionista, attraverso la definizione a monte dei modelli procedimentali utilizzabili dal soggetto interessato, il quale ha attualmente la possibilità di scegliere alternativamente tra il procedimento di liquidazione di cui al citato art. 28, parzialmente riconducibile al rito di cui agli artt. 702 bisss. c.p.c., e quello per decreto ingiuntivo di cui agli artt. 633 ss. c.p.c.

A fronte di tali modifiche sul piano del diritto positivo, sia la giurisprudenza che la dottrina si sono interrogate sulla possibilità per il difensore di far valere le proprie pretese creditorie, involgenti compensi per un’attività sviluppatasi per più gradi di giudizio, innanzi ad un unico giudice. Tale opzione ermeneutica, infatti, pur essendo coerente con l’orientamento maggioritario formatosi in relazione all’art. 28 prima della Novella, sembra porsi in irrimediabile contrasto con la lettera della medesima disposizione, così come risultante dalle modifiche normative, in quanto l’art. 14 del più volte citato decreto afferma espressamente che competente a decidere sia «l’ufficio giudiziario di merito adito per il processo nel quale l’avvocato ha prestato la propria opera».

Le Sezioni Unite, già chiamate a decidere su una problematica parzialmente sovrapponibile, hanno ritenuto possibile la proposizione della domanda di liquidazione innanzi al Tribunale ordinario, sebbene essa abbia ad oggetto i compensi professionali derivanti dall’attività svolta in più gradi del medesimo giudizio. Ad avviso del Supremo Collegio, infatti, la competenza contemplata dall’art. 28 così come modificato dall’art. 14 ha carattere derogabile ed è suscettibile di subire gli effetti della connessione, non essendovi qualificazioni legislative di segno contrario, di modo che essendo il Tribunale competente rispetto alla domanda ex art. 637 c.p.c., tale competenza deve necessariamente ritenersi sussistente anche nel caso in cui il soggetto interessato opti per l’attivazione del rito speciale, sebbene il petitum includa il corrispettivo di prestazioni espletate innanzi ad un diverso giudice.

I Giudici rimettenti, dunque, preso atto del consolidamento di tale indirizzo, prendono da esso le mosse per proporre un nuovo quesito, concernente in questo caso la possibilità di proposizione della domanda di liquidazione in via cumulativa non al Tribunale ordinario ma al giudice che per ultimo abbia conosciuto della controversia, cioè quello di appello.

Tale ricostruzione risulta coerente con la pregressa giurisprudenza, in base alla quale il Giudice del gravame dovrebbe ritenersi competente con riferimento alla liquidazione di tutti i compensi, in quanto unica autorità giudiziaria di merito in grado di valutare l’attività svolta dal professionista nella sua globalità. Tuttavia, non è chiaro se essa possa ritenersi conforme anche al nuovo dato normativo.

In attesa della pronuncia delle Sezioni Unite, dunque, si ritiene opportuno sottolineare che una presa di posizione di carattere estensivo non appare in astratto incompatibile con la volontà del legislatore delegato per come ricostruita dalla Suprema Corte, alla luce dei principi fissati nella legge delega e della natura derogabile della competenza del giudice della liquidazione, ed allo stesso tempo risulterebbe conforme al principio di economia processuale. Tuttavia, essa potrebbe in concreto porsi in contrasto con la ratio di fondo delle disposizioni relative alla liquidazione dei compensi professionali, le quali si caratterizzano per la individuazione ex ante dei paradigmi procedimentali utilizzabili dal soggetto interessato, attraverso una tecnica legislativa che riduce fortemente il ventaglio degli strumenti processuali a disposizione del professionista.

Perciò, se la proposizione di una domanda cumulativa ex art. 28 innanzi al Tribunale appare corretta, a fronte della competenza della medesima autorità giudiziaria ai sensi dell’art. 637 c.p.c., non è certo che analogo ragionamento possa farsi con riferimento alla competenza del giudice di appello, in assenza di indicazioni normative in tal senso.

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