Il funzionario di fatto: in particolare, la sorte degli atti adottati.

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Il funzionario di fatto è figura di creazione dottrinale con la quale si suole indicare l’esercizio dell’azione amministrativa da parte di un soggetto privo della relativa legittimazione. La cd. teoria del funzionario di fatto comporta il riconoscere legittimi gli atti compiuti dal funzionario di fatto e  “trova vita solo allorquando si tratti di esercizio di funzioni essenziali e/o indifferibili, che per loro natura riguardino i terzi con efficacia immediata e diretta”(CdS, sez. IV, 20 maggio 1999 n. 853) ed, inoltre,  è invocabile solo a vantaggio dei terzi medesimi. La figura, infatti, assolve alla duplice esigenza di salvaguardare la continuità della azione amministrativa e di tutelare l’affidamento del soggetto terzo (l’amministrato) che, in buona fede ed incolpevolmente, ha ritenuto legittimo l’esercizio della pubblica funzione.[i] E’ una ipotesi di acompetenza: l’atto o l’attività è posta in essere da un soggetto privo della qualità di organo, o perché l’atto di investitura è del tutto inesistente o perché il titolo risulta viziato o comunque inefficace.

Sorge quindi la necessità di verificare cosa accade agli atti posti in essere dal funzionario di fatto. Il regime degli atti non si presenta omogeneo, e per analizzarlo occorre partire dal richiamare le figure giuridiche riconducibili a tale ambito. Occorre distinguere: a) l’usurpatore di pubbliche funzioni, ossia colui che si appropria di poteri funzionali pubblici, fattispecie questa prevista e punita dal codice penale (art. 347 c.p.);  a tale figura viene equiparata quella dell’inesistenza dell’atto di investitura o della sua nullità (ovviamente, in tal caso, rispetto all’usurpazione, vi è mancanza di dolo) ; b) l’investitura formale poi caducata retroattivamente perché affetta da vizi di legittimità.

Nell’ipotesi di usurpazione il titolo di investitura è del tutto carente e perciò si ritiene in dottrina che gli atti adottati siano radicalmente nulli perché provenienti da soggetto ab origine privo della qualità di organo amministrativo e, prima ancora, in quanto espressione di un illecito penale.

Occorre poi distinguere l’ipotesi della mancanza originaria del titolo e quella sopravvenuta di carenza dello stesso. Nel primo caso il vizio è ab origine, mentre nel secondo caso l’investitura è fondata su un titolo che in origine è valido ma successivamente risulta viziato. Orbene, secondo un certo orientamento, sia che la legittimazione sia carente per vizio originario sia che per vizio sopravvenuto, gli atti emanati dal funzionario di fatto sarebbero nulli per carenza di potere in astratto. In sostanza, secondo questa posizione, non essendoci  nell’ordinamento una norma attributiva del potere ad un soggetto di emanare provvedimenti in nome e per conto della P.A., si configurerebbe una fattispecie assimilabile al difetto assoluto di attribuzioni di cui all’art. 21-septies l.241/90. Precipitato di tale conclusione è che a conoscere delle relative controversie sarà il giudice ordinario, atteso che non verrebbe in rilievo l’esercizio, neanche mediato, di un pubblico potere da parte della P.A..

Altro orientamento invece qualifica le predette ipotesi come carenza in concreto del potere.  Invero,  in astratto la legge prevede il potere, ciò che manca è il titolo di investitura. Quindi, l’atto posto in essere dal funzionario di fatto si traduce come “cattivo uso” di potere, soggetto all’annullamento ex art. 21octies  nel termine di decadenza di 60 giorni, con giurisdizione del G.A..

E’ fondamentale a questo punto ricordare, ancora una volta, che la teoria del funzionario di fatto può essere invocata solo a vantaggio del terzo e non quando essa comporti un danno al medesimo (da ultimo, ribadito anche dal Tar Lazio, Roma, sez.II, 15 marzo 2012, n.2550; ma ancor prima, CdS, sez. IV, 20 maggio 1999 n. 853). Occorre quindi distinguere il caso in ci il soggetto terzo risulti destinatario di un atto a lui favorevole da quello in cui ne sia invece pregiudicato.

Nel primo caso si avrà una situazione tipica di apparentia iuris che, come già anticipato in esordio, comporta la tutela del terzo il quale, in buona fede, incolpevolmente e ragionevolmente abbia fatto affidamento sull’attività del funzionario col quale sia entrato in contatto. Soluzione questa rafforzata, altresì, dal cd. principio di continuità dell’azione amministrativa che impone che le funzioni pubbliche non subiscano interruzioni. Alla luce dei richiamati principi, la giurisprudenza è orientata a fare applicazione del principio di conservazione: gli atti del funzionario di fatto vengono considerati efficaci.

Nel caso di atti pregiudizievoli per i terzi destinatario, ove si tratti di atti posti in essere dall’usurpatore o dal funzionario investito da un atto inesistente o nullo, viene in rilievo la nullità-inesistenza: l’atto risulta adottato  in difetto assoluto di attribuzioni con conseguente irrilevanza dei termini di decadenza a fini impugnatori.

Più complessa la ipotesi in cui vengono in rilievo atti emanati dal funzionario la cui nomina non sia nulla o inesistente originariamente, ma risulti viziata successivamente e quindi caducabile. Ebbene, rileva in questi casi il rapporto tra l’atto presupposto (id est, l’atto di investitura) e l’atto presupponente (id est, l’atto posto in essere dal funzionario di fatto).

Se tra l’atto di investitura e quelli posti in essere dal funzionario di fatto vi è un rapporto di presupposizione univoco, il venir meno dell’atto presupposto non comporta automaticamente la caducazione di quello presupponente. Quest’ultimo risulterà meramente viziato e quindi suscettibile di autonoma impugnazione nell’ordinario termine di decadenza di 60gg. Ne consegue che il terzo che voglia far valere l’illegittimità dell’atto per difetto di competenza può incorrere in preclusione laddove l’atto di nomina, seppur viziato  e non ancora caducato, sia divenuto inoppugnabile per decorrenza dei termini. Quando invece l’atto di nomina sia stato già impugnato la sua caducazione si ripercuoterà anche sull’atto adottato presupponente che, in quanto risultante viziato, sarà autonomamente impugnabile dal terzo (effetto cd viziante)

Qualora invece tra l’atto di investitura e gli atti posti in essere dal funzionario di fatto vi sia un rapporto biunivoco, e quindi l’atto presupposto risulti l’unico possibile antecedente del solo atto presupponente, si verifica un collegamento genetico e necessario tale che la caducazione del primo travolge anche l’altro che, evidentemente, non necessiterà di autonoma impugnazione da parte del terzo pregiudicato. L’annullamento (ex tunc) dell’atto presupposto, infatti, provocherà l’automatica caducazione dell’atto presupponente tale per cui non occorrerà l’autonoma impugnativa (effetto cd caducante).

In conclusione, merita un accenno anche la questione relativa alle pretese economiche del funzionario di fatto: ci si chiede se questi abbia diritto ad un compenso per l’attività prestata in favore della P.A. ove questa ne abbia tratto vantaggio. Anche in questo caso si rileva indispensabile distinguere l’ipotesi di titolo di investitura mancante ab origine da quella in cui lo stesso sia  successivamente caducato. Nel primo caso si prende in considerazione l’azione di ingiustificato arricchimento ex art 2041 cc. Occorre, ovviamente, per poterla proporre, che ricorrano i presupposti:1) mancanza di azioni tipiche data la vocazione sussidiaria dell’azione de qua,; 2) arricchimento senza causa della P.A.; 3) correlativa deminutio patrimonii del soggetto-funzionario di fatto. Occorre altresì un quid pluris per esperire l’azione di ingiustificato arricchimento contro la Pubblica Amministrazione e precisamente che la stessa abbia riconosciuto l’utilità dell’attività del funzionario di fatto. Tale riconoscimento, si ammette oggi in giurisprudenza, può essere anche implicito, ricavabile da un comportamento concludente della P.A. L’indennizzo ex art 2041 cc è costituito solo dal danno emergente e non anche dal lucro cessante. Da ultimo, per quanto di interesse, si è espressa anche la Cassazione a Sezioni Unite (Cass., Sez. un., 11 settembre 2008 n.23385) statuendo che “deve essere escluso dal calcolo per l’indennità richiesta per la diminuzione patrimoniale subita dall’esecuzione di una prestazione in virtù di un contratto invalido, quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace

Laddove, invece, l’atto di assegnazione sia stato successivamente caducato, si ritiene che il soggetto-funzionario di fatto abbia diritto alla retribuzione ex art. 2126 cc. E ciò in quanto in presenza di un atto di assegnazione, poi dichiarato nullo o annullato, il soggetto ha pur sempre effettuato delle prestazioni lavorative come tali retribuibili.

Di conseguenza, anche qualora la caducazione dell’investitura illegittima abbia effetto retroattivo, ricorrendo i presupposti o dell’art. 2126 c.c. o dell’art 2041 c.c., è preclusa alla Pubblica amministrazione di richiedere la ripetizione delle somme erogate.

 

 


[i] CdS, sez. IV, 20 maggio 1999 n. 853: “si fonda sull’esigenza di garantire i diritti dei terzi che vengono a contatto col funzionario medesimo e si sostanzia dunque nella tutela della buona fede del privato;ed in questa prospettiva gli effetti presi in considerazione dalla teoria in esame sono solo quelli favorevoli al privato. E’ stato anche affermato che la teoria del c.d. funzionario di fatto si fonda sul principio di continuità dell’azione amministrativa

Esposito Anna Pia

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