Il falso del difensore: dubbi e interpretazioni

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La falsità del difensore, alla luce della novella del 2000 che ha espressamente sancito un potere investigativo dello stesso, si ipotizza nell’ambito delle attestazioni da costui compiute nel corso delle indagini preliminari.

Prima della riforma sulle indagini difensive, il problema della falsità degli atti compiuti dal difensore nello svolgimento delle funzioni inerenti al suo ufficio, si era posto in limitate ipotesi. Infatti l’avvocato non è un pubblico ufficiale né un incaricato di pubblico servizio, svolge un servizio di pubblica necessità, e per ciò solo, la possibilità per quest’ultimo di commettere un falso si era posta solo in relazione ad una particolare attività dallo stesso compiuta, ovvero, l’autentica della firma dell’assistito apposta in calce al mandato difensivo. Questa era l’unica ipotesi in cui l’atto del difensore assume il valore di atto pubblico. Si discuteva, infatti, in tali evenienze se venisse in rilievo una falsità ideologica ovvero, trattandosi di un esercizio privato di pubbliche funzioni dovesse applicarsi la norma di cui all’art. 481 c.p. Quest’ultima tesi fu quella prevalente in dottrina e giurisprudenza.

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Il servizio di pubblica utilità

Del resto, Il servizio di pubblica necessità a differenza dell’attività che compie il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, è svolto in genere da soggetti che devono compiere delle attività particolari di rilevanza collettiva. Questo aspetto rende allora necessario che i soggetti che svolgono tali funzioni, siano considerati idonei a farlo e a tal fine si richiede una specifica abilitazione il cui rilascio è subordinato all’accertamento positivo in ordine alla sussistenza di determinate qualifiche tecniche e di requisii di probità.

Il problema della falsità delle attestazioni del difensore si è riproposto quando la legge cui è fatta menzione, ha autorizzato lo stesso alle indagini investigative ai fini della prova processuale e quindi ha conferito allo stesso i poteri del p.m. In ragione di ciò si ha una piena parificazione tra i poteri investigativi del giudice e quelli del difensore e conseguenzialmente gli esiti delle indagini e le relative attestazioni assumono valore analogo a quelli della pubblica accusa e perciò solo, hanno valore di atto pubblico. Di qui allora il relativo quesito se continuare ad applicare l’art. 481 c.p. già utilizzato in passato per le false autentiche delle firma, perché si è in presenza di attestazioni che il difensore rilascia come esercente funzione di pubblica necessità ovvero sono attestazioni false punibili secondo le relative norme perché si tratta di atti che per effetto della novella sono fede facenti.

L’orientamento della giurisprudenza

La giurisprudenza, partendo dalla considerazione per cui la legge del 2000 ha parificato il difensore al p.m., equipara quest’ultimo ad un pubblico ufficiale, quindi le relative attestazioni sono atti pubblici e perciò solo è possibile che il difensore sia chiamato a rispondere di falso ideologico di cui all’art. 479 c.p., sebbene in modo occasionale e nelle limitate ipotesi in cui svolga un ruolo difensivo.

La soluzione appena prospettata lascia adito alla dottrina a non pochi dubbi: infatti, nonostante la ricomprensione degli atti difensivi nell’ambito degli atti pubblici il difensore non può utilizzare le risultanze che emergono dalle indagini difensive svolte perché sfavorevoli al suo assistito sicché a rigore, attraverso l’equiparazione effettuata dalla giurisprudenza, si deve arrivare ad ammettere che viene ad essere integrato con questa condotta un omissione di atti d’ufficio.

Proprio in questa ultima considerazione, risiede la critica più penetrante alla applicazione dell’art. 479 c.p. in merito alle false attestazioni del pubblico ufficiale perché se è vero che, coerentemente con l’ufficio svolto dal difensore, costui non ha l’obbligo di esibire ciò che può compromettere la posizione del proprio assistito è sempre vero che ciò non va ad integrare una condotta di favoreggiamento. Pertanto, questo dato è indice di una non piena parificazione tra atti del p.m. e difensore specie se si considera l’obbligo contrario del p.m. di riferire anche fatti e circostanze emerse dalle indagini e favorevoli all’indagato o all’imputato.

Avv. Fornaro Pasquale

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