Il Factoring

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Il factoring ricopre una posizione primaria nel panorama economico mondiale. Da presenza consolidata nelle realtà economiche più sviluppate a mero input nelle economie di più recente evoluzione, l’attività di factoring si pone come costante indiscussa. La funzione di finanziamento, affiancata ad una serie di attività parallele, rende il factoring uno strumento duttile, capace di rispondere alle diverse esigenze di coloro che vi fanno ricorso.

Il presente contributo si prefigge l’obiettivo si tracciare un’analisi della disciplina, a partire dalle sue origini storiche e rendendo conto delle differenti forme che ha assunto sotto il profilo comparatistico.

A seguito di tale ricostruzione si ripercorreranno i punti più salienti dell’applicazione della disciplina italiana, soffermandosi sulle problematiche di più recente emersione quali la cessione dei crediti futuri e le sue conseguenze. 

 

Sommario: 1. Il factoring e le sue origini storiche 2. La realtà degli Stati Uniti 3. Factoring in a comparative perspective 4. Legge 21 febbraio 1991, n. 52: attività bancaria o parabancaria? 5. La natura del contratto di factoring 6. La cessione in massa. La cessione pro solvendo e pro soluto 7. La cessione dei crediti futuri (Cass., 28 luglio 2014, n. 17054) 

 

1. Il factoring e le sue origini storiche

 

Con il termine factoring si suole fare riferimento a due differenti istituti giuridici: uno inquadrato come un’attività, l’altro inquadrato come contratto[i]. Nella prima accezione può indicarsi come «attività di acquisto dei crediti d’impresa» (art. 1, comma 1, lett. c), legge 21 febbraio 1991, n. 52), mentre più comunemente il termine factoring viene impiegato avendo riguardo della figura contrattuale attraverso la quale un imprenditore (cedente o fornitore) trasferisce o si obbliga a trasferire, a titolo oneroso, mediate cessioni di credito ad un altro soggetto (factor o cessionario, rappresentato da una società di factoring) la totalità o parte dei crediti, derivanti dall’esercizio dell’impresa, che siano vantati versi i propri clienti (debitori ceduti), ottenendone la controprestazione in servizi e/o denaro[ii].

Che il contratto di factoring abbia origini anglo-americane è un dato che si evince già dalla sua denominazione, ma ciò che appare meno chiaro è quale sia stata la prima apparizione di questo istituto. La maggior parte degli autori sono concordi nel ritenere che le prime forme di factoring siano da ricondurre al XIX secolo e da collocare nel Nord America[iii]. Sebbene questo dato appaia incontestabile, non meno privo di rilievo è l’assunto secondo cui la presenza di un simile istituto possa essere riscontrato in tempi ancor più risalenti, addirittura quattro secoli prima[iv].

Che i commerci transatlantici di materiali tessili inglesi abbiano ingenerato l’esigenza di un affinamento delle tecniche di commercio lo testimoniano le numerose fonti americane che permettono di intuire l’evoluzione dell’istituto del factoring[v]; ma al contempo, è interessante volgere lo sguardo alle origini dello stesso.

Durante il XIV secolo, il settore tessile inglese conobbe un periodo di massima fioritura. In breve tempo, quest’attività caratterizzata da una dimensione domestica ed artigianale divenne oggetto di sempre maggiori investimenti proprio grazie a quei commercianti itineranti che intuirono le potenzialità della lana inglese. Fu così che venne istituito un centro di commercio a Londra, il Blackwell Hall (1397), che oltre a gettare le basi per un’esponenziale evoluzione del mercato, divenne ben presto crocevia di commerci transfrontalieri.

Nel 1660, i factors di Blackwell Hall detenevano un vero e proprio monopolio di questi traffici e in ragione di ciò si avvertì l’esigenza di intervenire con una regolamentazione, nel 1678 si ebbe l’intervento di un Act del Common Council e nel 1696 di un Act del Parliament.

I factors di Blackwell Hall si occupavano: (1) di ricevere, immagazzinare e vendere i prodotti da parte dei produttori; (2) anticipare denaro e garantire la sicurezza di questi prodotti; (3) svolgere mansioni di intermediazione tra i produttori e gli acquirenti e rendere gli stessi edotti delle loro reciproche forme di responsabilità; (4) fare da garanti per la suddetta responsabilità di pagamento[vi].

Quando il traffico dei tessili inglesi raggiunse le coste nordamericane, fu difficile ipotizzare che un simile commercio potesse di fatto svolgersi senza la presenza della figura dei factors che avevano ormai conquistato una posizione di primato essenziale per l’attività di questo settore. I primi factors americani nacquero come dei mandatari dei factors inglesi, e che si presentavano più come degli odierni commissionari in quanto concludevano contratti di compravendita per conto dei mandanti inglesi. Da questo iniziale utilizzo dello schema del mandato, non passò molto finché non si avvertì l’esigenza di rendere lo schema contrattuale più sofisticato e rispondente ai bisogni degli affari, fino a che i commissionari ampliando il perimetro delle loro attività iniziarono ad assumere il rischio della solvibilità dei loro compratori e ad offrire anche una serie di servizi ulteriori ai propri committenti. Attraverso questa tecnica, i factors americani prendevano in consegna le merci inglesi presso i porti americani e con questo atto assumevano automaticamente il rischio fino al momento del pagamento da parte dei compratori. Con un ulteriore sviluppo si giunse a prevedere anche una garanzia sostitutiva, cosicché il factor finiva per assumere definitivamente su di sé il rischio della mancata solvenza dell’acquirente, il tutto a costi maggiori per il committente[vii].

Il factoring business non rimase più circoscritto al solo settore del commercio transatlantico, ma mise radici nel territorio americano ed ampliò il proprio ambito di operatività. Agli inizi del ‘900, si registra la presenza nel territorio americano di numerose factoring houses[viii] le quali rispondevano principalmente a due bisogni: quello di finanziamento e quello di promozione delle imprese, ma non venivano meno le attività tipiche dei commissionari. 

Questa evoluzione dello schema contrattuale del factoring indusse, dunque, soggetti fortemente patrimonializzati a scendere in campo: le banche, le quali contribuirono non solo ad accrescere la portata dei crediti ceduti, ma anche a rendere lo strumento più semplificato sotto il profilo della sua applicabilità[ix].

 

2. La realtà degli Stati Uniti

 

Il pragmatismo, tipico degli ordinamenti di common law, che impregna anche quello nordamericano ha contribuito ad uno sviluppo del factoring indicizzato alle esigenze soggettive di chi vi ricorreva. Negli Stati Uniti, le principali forme sono:

a)      colonial factoring: con il quale si designa la forma più primitiva di factoring. Si tratta di quell’attività esercitata da coloro i quali si occupavano del commercio delle materie prime provenienti dalla madre patria inglese. Proprio questo spiega l’impiego del termine “colonial” il quale si riferisce al luogo nel quale veniva svolta l’attività: le colonie inglesi nel nord America[x].  

b)      old line factoring: con il quale si definisce la forma di factoring che prevede l’acquisto dei crediti da parte del factor, l’assunzione di garanzia della loro solvibilità e la contestuale attività di finanziamento nei confronti del cedente.    

c)      new style factoring: formula impiegata per designare quell’attività di acquisto dei crediti ceduti dall’imprenditore alla quale si accompagnano gestione dei crediti, consulenza commerciale ed altri servizi paralleli che si caratterizzano per essere più rispondenti al tipo di economia che si è sviluppata negli ultimi decenni.  

Sotto il profilo della notificazione al debitore si distinguono le due forme di: notification factoring e non notification factoring.

Ulteriore elemento di distinguo è dato poi dalla contrapposizione tra il c.d. conventional factoring e il maturity factoring; quest’ultimo indicante una forma di acquisto del credito alla quale non si accompagna alcuna anticipazione delle somme spettanti al cedente (le quali gli saranno trasferite solo dopo che siano state riscosse) e che si caratterizza per una centralità dell’elemento gestorio. 

L’attuale disciplina relativa al factoring nel sistema statunitense è basata sulle previsioni del UCC (chapter 9-106) anche se le pronunce giurisprudenziali idonee a porsi come precedenti sopraggiunsero soltanto in epoca più recente.

 

3. Factoring in a comparative perspective

 

Quando il factoring iniziò a diffondersi non si ebbe un’immediata risposta legislativa. Negli ordinamenti di civil law si profilò una maggiore difficoltà a recepire questo istituto. Del resto, se nel nord America il mercato del factoring era cresciuto in misura considerevole già a partire dagli inizi del secolo scorso, in Europa le prime apparizioni si ebbero nel dopoguerra, quando alcuni factor americani optarono per l’ampliamento delle proprie frontiere[xi]. I primi paesi dell’Europa continentale ad introdurre una forma di regolamentazione del factoring furono Italia, Francia e Belgio[xii]. La Francia emanò nel 1981 la loi Dailly che introdusse una forma semplificata della cessione di crediti futuri; mentre il Belgio si limitò ad apportare delle modifiche alle disposizioni in vigore allo scopo di permettere l’applicazione di un simile istituto.

In Italia, le prime timide apparizioni[xiii] di questo fenomeno si registrarono negli anni ’60, e la prima società di factoring italiana nacque nel 1965[xiv]. All’inizio degli anni ’80, appariva chiaro che l’attività di factoring avrebbe avuto uno sviluppo sostenuto per la preponderante presenza di medio-piccole imprese che necessitavano di liquidità e soprattutto perché l’attività veniva svolta principalmente da banche, le quali si facevano promotrici della diffusione di strumenti di finanziamento più sicuro come, per l’appunto, si presenta il factoring[xv]. Tali previsioni ottennero immediata conferma proprio perché a metà degli anni ’80 si ebbe un’accelerazione vertiginosa che rimase stabile fino ai tempi più recenti[xvi].

Nonostante l’ampia diffusione, l’attività di factoring fu oggetto di regolamentazione da parte del legislatore italiano soltanto agli albori degli anni ’90. La legge 21 febbraio 1991, n. 52, «Disciplina della cessione di crediti d’impresa» però, non contiene una definizione del contratto di factoring ma si limita ad indicarne esclusivamente la disciplina. Altre disposizioni che riguardano l’attività di factoring si rintracciano nel testo unico bancario (d. lgs. 1° settembre 1993, n. 385); mentre, una disciplina più di nicchia è stata inserita nella legge 14 luglio 1993, n. 260 che ratifica la «Convenzione Unidroit sul factoring internazionale tenutasi ad Ottawa il 26 maggio 1988», la quale riguarda i rapporti internazionali.

Anche la Germania, da tempo, era divenuta familiare con questo tipo di pratica. Il sistema tedesco, però, risulta piuttosto complicato se comparato con gli altri in quanto la struttura contrattuale prevede una pluralità di accordi: un primo fondamentale tra imprenditore e factor e una serie di successivi tra i singoli debitori del cedente e il cessionario; questa complessità ha minato la diffusione dell’istituto[xvii].

Clima di maggior favore è sicuramente da rintracciare nel Regno Unito, nel quale le uniche formalità richieste riguardano la notificazione (da effettuarsi in forma scritta).

La Convenzione Unidroit[xviii] si trovò di fronte una realtà molto eterogenea che le sottopose il difficile compito di trovare una definizione unitaria del contratto di factoring. Si giunse così alla nozione secondo cui si tratta di quel contratto sulla base del quale il cedente è obbligato a trasferire al factors i crediti (esistenti o futuri) derivanti dalla conclusione di contratti di vendita di beni o servizi che sono vantati nei confronti del cliente (debitore). Obiettivo dichiarato nel preambolo della Convenzione è quello di dar veste giuridica ad un fenomeno, qual è il factoring, che svolge un ruolo significativo nel commercio internazionale con l’ulteriore esigenza di mantenere «a fair balance of interests between the different parties»[xix]. La Convenzione, inoltre, prende atto di quanto era già avvenuto nella realtà contrattuale e aggiunge a quest’attività principale di acquisto dei crediti, anche attività parallele come l’attività di finanziamento, la tenuta di scritture contabili, la riscossione dei crediti e talvolta anche la garanzia dell’insolvenza del debitore ceduto[xx]. Secondo quanto stabilito in sede di Convenzione, il factor deve svolgere almeno due delle quattro attività parallele che sono previste. Requisito essenziale per l’applicazione della disciplina del factoring internazionale è l’internazionalità dei crediti ceduti.  La struttura del factoring subisce, spesso, delle alterazioni ove si muova in realtà internazionali, lasciando il posto ad uno schema quadri laterale: “two factors system” nel quale il factor che opera nel paese del fornitore cede il credito ad un factor che opera nello Stato del debitore ceduto[xxi]. I rapporti tra questi due soggetti, i factors, che procedono all’export e all’import di questi crediti, sono regolati da specifici accordi: «interfactors agreements». La disciplina internazionale, poi, si occupa nel dettaglio anche della notificazione e della cessione di crediti futuri, oltre che del regime delle opposizioni[xxii].

Nella realtà odierna, l’attività di factoring mantiene una propria centralità nel panorama socio-economico internazionale. La diffusione di questo strumento è legata alla funzione stessa dell’istituito che coincide con quella di offrire liquidità (rectius finanziare) e al contempo concedere un maggior lasso temporale nelle scadenze dei pagamenti[xxiii].

In ambito internazionale, la posizione di leader nel mercato del factoring è, oggi, occupata dall’Europa, globalmente intesa, ma il singolo paese che detiene il primato nella cessione dei crediti d’impresa è la Cina seguita dagli Stati Uniti. Le cifre sulle quali si aggira il mercato del factoring, nel 2015, segnano 61,79 miliardi di euro[xxiv].

Nella distinzione tra importer e exporter factors: gli Stati Uniti sono i maggiori importatori di crediti d’impresa mentre la Cina è il paese che esporta di più[xxv]. Interessante appare anche la crescita economica dei paesi dell’ex URSS che, in tempi recenti, grazie al ricorso al factoring hanno affinato i loro ordinamenti e reso l’economia più versatile e rispondente alle esigenze dei nuovi mercati[xxvi].

 

4. Legge 21 febbraio 1991, n. 52: attività bancaria o parabancaria?

 

L’ordinamento italiano è stato uno dei primi, nel panorama europeo, ad introdurre una forma di regolamentazione dell’attività di cessione dei crediti d’impresa. Con l’emanazione della legge 21 febbraio 1991, n. 52 l’attività di factoring, che aveva ormai fatto ingresso nella nostra realtà economica da alcuni decenni, ricevette la prima forma riconoscimento sul piano legislativo. La disciplina introdotta dalla legge si presenta alquanto scarna e priva di una definizione del contratto; mentre l’attività viene indicata come «la cessione di crediti pecuniari verso corrispettivo», (art. 1, comma 1). Secondo alcuni autori, aver indicato l’attività come «cessione di crediti» piuttosto che factoring risponderebbe al chiaro intento del legislatore speciale di dettare una disciplina di favore per alcuni factor, quali le banche e gli intermediari finanziari che due anni dopo saranno sottoposti alla disciplina del testo unico bancario[xxvii]. Sotto il profilo soggettivo, infatti, si è assistito ad una riduzione del contesto di coloro i quali possono svolgere attività di factoring. La legge n. 52/1991, inizialmente, era applicabile anche ai soggetti privati che nel loro statuto avessero inserito come oggetto sociale anche l’attività in questione, ma a seguito dell’emanazione del d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (testo unico bancario) divenne applicabile solo alle banche e agli intermediari finanziari che in esso avevano ricevuto regolamentazione, e più nel dettaglio agli intermediari finanziari di cui all’art. 106[xxviii]. Da qui deriva la distinzione tra factoring finanziario che può essere svolto soltanto dai soggetti indicati nel testo unico bancario all’art. 106, e factoring non finanziario che può essere esercitato anche da soggetti diversi.

Tali premesse, relative alla veste giuridica soggettiva che è richiesta per l’esercizio di tale attività, spiegano l’acceso dibattito che era sorto in seguito all’emanazione della disciplina in esame. Dibattito che continuò in tutto il proprio vigore anche a seguito di alcune pronunce giurisprudenziali che apparivano inizialmente in grado di sopirlo. Questione centrale aveva, infatti, assunto la contrapposizione fra chi rintracciava nell’attività di acquisto dei crediti d’impresa la natura di attività puramente bancaria, chi scorgeva i caratteri propri dell’attività industriale e chi la identificava come attività parabancaria e, più specificatamente, finanziaria[xxix]. A quasi vent’anni di distanza appare ancor più convincente l’idea di quanti avevano ritenuto di ricondurre la natura dell’attività di factoring agli schemi propri dell’attività finanziaria, e come tale distinta dall’attività bancaria pura e dall’attività industriale[xxx]

Altrettanto importante è l’inquadramento soggettivo del cedente, il quale deve avere la qualifica di imprenditore, e dei crediti, i quali devono avere natura pecuniaria e sorgere da contratti stipulati dal cedente nell’esercizio dell’impresa (art. 1, comma 1, lett. a) e b)). Il mancato rispetto dei requisiti indicati dalle lett. a) e b) dell’art. 1, comma 1, non comporta la nullità del contratto, bensì l’assoggettamento dello stesso alla disciplina codicistica propria della cessione dei crediti (artt. 1260 ss. cod. civ.)[xxxi].

 

5. La natura del contratto di factoring

 

Il contratto di factoring viene ricondotto alla categoria dei contratti atipici[xxxii]. La Suprema Corte di Cassazione ha statuito che: «Il contratto di factoring, anche dopo l’entrata in vigore della disciplina contenuta nella l. 21 febbraio 1991, n. 52, è una convenzione atipica – la cui disciplina, integrativa dell’autonomia negoziale, è contenuta negli artt. 1260 ss. del codice civile»[xxxiii]. La dottrina è concorde nel ritenere centrale la cessione dei crediti[xxxiv], anche se diverse sono le tesi si prefiggono di offrire una ricostruzione della struttura contrattuale. Quanto alla causa, infatti, due sono le principali ricostruzioni offerte: una nel senso di ritenerlo avente causa vendendi e l’altra nel senso di ritenerlo una forma alterata del contratto di mandato[xxxv]. Aderire ad una piuttosto che all’altra interpretazione, comporta conseguenze significative. Chi vi individua una causa vendendi, lo configura come un contratto preliminare di vendita di crediti, con la conseguenza di un’acquisizione iure proprio da parte del factor del diritto di riscossione e l’identificazione degli anticipi versati dal factor all’impresa cedente con un pagamento parziale del corrispettivo per la cessione dei crediti[xxxvi]. Altri, invece, rintracciandovi la causa propria del contratto di mandato, lo riconduce più propriamente al mandato di gestione di crediti altrui in quale può essere collegato ad un contratto di finanziamento, con la conseguenza che la cessione dei crediti sarebbe funzionale alla gestione degli affari altrui propria del mandato e non si tratterebbe di trasferimento ma solo di un incarico di incasso e gestione[xxxvii].

Non rimane, infine, a mero scopo di completezza, che dare notizia di quella parte minoritaria della dottrina che ritiene il contratto di factoring un contratto tipico, la cui tipizzazione sarebbe avvenuta per opera della legge n. 52/1991.

 

6. La cessione in massa. La cessione pro solvendo e pro soluto

 

L’art. 3 della legge n. 52/1991 disciplina le diverse possibilità di cessione, fra le quali si prevede la «cessione in massa». Questa forma indica la cessione di tante masse di crediti e si riferisce quindi «tanto alla massa dei crediti vantati dal cedente verso uno specifico cliente/debitore quanto alla massa di tutti i crediti vantati dall’impresa cedente verso i propri clienti/debitori»[xxxviii].

Ai sensi dell’art. 4: «1. Il cedente garantisce, nei limiti del corrispettivo pattuito, la solvenza del debitore, salvo che il cessionario rinunci, in tutto o in parte, alla garanzia». Tale disposizione introduce la differenza tra cessione pro solvendo e cessione pro soluto. La formula base prevista dall’art. 4 introduce una forma di garanzia in capo al cedente che rimane obbligato in solido con il proprio debitore ceduto (cessione pro solvendo); ma fa salva la possibilità per le parti contraenti di prevedere anche un’esclusione di tale garanzia, con maggiori oneri in capo al cessionario, che costituisce per l’appunto la forma pro soluto[xxxix].

 

7. La cessione di crediti futuri

 

Sulla cessione di crediti futuri si attesta il maggior numero di pronunce che riguardano i contratti di factoring. L’art. 3 della legge n. 52/1991 prevede espressamente la possibilità della cessione di crediti «anche prima che siano stipulati i contratti dai quali sorgeranno» (comma 1); che questa [cessione] possa avvenire anche come cessione in massa ma che, ove si opti per quest’ultimo tipo di cessione, oggetto di cessione possano essere soltanto i crediti «che sorgeranno da contratti da stipulare in un periodo di tempo non superiore a ventiquattro mesi»; inoltre, al quarto comma si specifica che: «la cessione di crediti in massa si considera con oggetto determinato, anche con riferimento a crediti futuri, se è indicato il debitore ceduto, salvo quanto prescritto nel comma 3». Quest’ultimo comma è stato interpretato nel senso che l’indicazione del debitore ceduto assolva la funzione di sopperire alla forma di indeterminatezza data dall’effettiva inesistenza del credito che, per l’appunto, sorgerà in futuro[xl]. Per quel che concerne la notificazione dell’avvenuta cessione sarà sufficiente che il factor si limiti ad un’unica comunicazione che travolgerà l’intera catena di crediti ceduti.

Problema diverso riguarda, invece, il momento traslativo che si configurerebbe soltanto con il sorgere del credito e non al momento della stipula del contratto, poiché il credito non esiste ancora[xli]. Resterebbe, in ogni caso, libertà delle parti convenire che il trasferimento del credito al factor non sia automatico, ma subordinato ad una comunicazione relativa al suo insorgere o ad un’accettazione.

Tale tematica acquista maggior valore se analizzata in connessione al regime dell’opponibilità ai terzi. L’art. 5 della legge n. 52/1991 statuisce: «1. Qualora il cessionario abbia pagato in o in parte il corrispettivo della cessione ed il pagamento abbia data certa, la cessione è opponibile: a) agli altri aventi causa del cedente, il cui titolo di acquisto non sia stato reso efficace verso i terzi anteriormente alla data del pagamento; b) al creditore del cedente, che abbia pignorato il credito dopo la data del pagamento; c) al fallimento del cedente dichiarato dopo la data del pagamento, salvo quanto disposto dall’art. 7, comma 1».

È proprio la questione relativa al creditore pignorante che ha investito la Suprema Corte in diverse occasioni. La questione che si è più volte prospettata riguarda la cessione dei crediti futuri e la sua opponibilità al creditore pignorante. Se, infatti, il problema non si pone per

 

«l’individuazione del momento in cui si determina l’effetto traslativo, essendo […] pacifico che tale effetto si produce soltanto quanto il credito viene effettivamente ad esistenza e che pertanto la cessione di cui si discute, a differenza di quella di crediti già esistenti, ha effetti meramente obbligatori. La questione che si pone è invece quella della opponibilità della cessione di crediti futuri rispetto ai terzi, questione che la sentenza impugnata ha risolto nel senso della insufficienza della notifica e della accettazione del contratto di cessione».

(Cass. civ., sez. I, 14 novembre 1996, n. 9997)

 

Ma punto fondamentale toccato dalla Corte è la distinzione introdotta fra due casi:

 

«Nel caso di crediti futuri ma probabili perché nascenti da un unico rapporto-base (come quelli di lavoro), il contratto di cessione, perfetto ab initio pur se con effetto reale differito, possa esser assimilato alla cessione del credito attuale e quindi debba prevalere sul pignoramento se notificato al debitore, già identificato grazie al rapporto base, o da questo accettato prima del pignoramento stesso. […] Per contro, nel caso di crediti solo eventuali e aleatori, la maggiore incertezza di essi, ossia l’effetto traslativo della cessione e (almeno di regola) la non attuale identificazione del debitore inducono ad affermare che la cessione posa essere con successo opposta al creditore pignorante solo se essi siano divenuti esigibili e vi sia stata la notificazione o l’accettazione del debitore prima del pignoramento».

(Cass., sez. lav., 26 ottobre 2002, n. 15141).

 

Del resto, anche in pronunce più recenti, la Corte ha mostrato il proprio favore quest’ultima impostazione, considerando come distinte le due ipotesi ha ribadito come la cessione dei crediti nascenti da un unico rapporto-base prevalga sul pignoramento, nell’ambito di un biennio, purché prima del pignoramento sia stata notificata ed accettata dal debitore ceduto; mentre, perché possa prevalere la cessione dei crediti soltanto eventuali è necessaria la notificazione o l’accettazione dopo che il credito sia venuto ad esistenza, ma prima del pignoramento (Cass. civ., sez. III, 28 luglio 2014, n. 17054).

Soltanto operando una simile distinzione si manterrà un terreno di parità tra cessionario e creditore[xlii].

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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[i] Cfr.: R. Vigo, Il «factoring», in I contratti per l’impresa, I. Produzione, circolazione, gestione, garanzia, a cura di G. Gitti, M. Maugeri, M. Notari, Bologna, 2012, 195.

[ii] Cfr.: G. Desiderio, Il factoring, in L’attività delle banche, (a cura di A. Urbani), Milano, 2010, 267; raccolta di usi sul factoring della Camera di commercio di Milano, dal 1982 al 1991.

[iii] Cfr.: M. Bejatovic, M. Dukic-Mijatovic, I. Spasic, Factoring – Instrument of financing in business practice – Some important legal aspects, in Ekonomska istrazivanja, vol. 25 n. 1, 193.

[iv] Cfr.: W. H., Hilyer, Four centuries of factoring, in Quarterly Journal of Economics, United States, 305-311.

[v] J. E., Dalton, Factoring, in Harvard Business Review, Boston, 187.

[vi] Cfr.: W. H., Hilyer, Four centuries of factoring, cit., 307.

[vii] Cfr.: W. H., Hilyer, Four centuries of factoring, cit., 309.

[viii] J. E., Dalton, Factoring, in Harvard Business Review, Boston, 187. Le principali factoring houses erano: la William Iselin & Co, Inc., fondata nel 1808; la Rusch & Co., del 1827; la Fred’k Vietor & Achelis and Schefer, e la Schramm & Vogel, entrambe membri del Commercial Factors Corporation, fondate rispettivamente nel 1828 e nel 1838; la L.F. Dommerich & Co., del 1839.

[ix] Cfr.: M. Bejatovic, M. Dukic-Mijatovic, I. Spasic, Factoring – Instrument of financing in business practice – Some important legal aspects, cit., 193.

[x] J. Callender, Factoring: how to get unlimited funds without a loan: sell your invoices and get a cash tomorrow, Seattle, 2012.

[xi] Cfr.: G. Desiderio, Il factoring, cit., 266.

[xii] Cfr.: M. Bejatovic, M. Dukic-Mijatovic, I. Spasic, Factoring – Instrument of financing in business practice – Some important legal aspects, cit., 199..1 settembre 1993, no due delle quattro attività parallele che sono previste.dalnuta di scritture contabili, . In questo caso, l

[xiii] Alcuni autori ritengono di poter rintracciare la presenza di contratti di factoring già a partire dagli anni ’50 del secolo scorso, quando la First National Bank of Boston costituì a Zurigo la «International Factors A.G.» e dalla quale si assisterà al propagarsi di altre filiali. La prima società di factoring in Italia sarà costituita nel 1963 sotto il nome di Ifitalia (International Factors S.p.A.» le cui prime operazioni saranno datate 1965. Cfr.: P. Pierotti, L’evoluzione del factoring in Italia ed i problemi di inserimento dell’operazione sul mercato, in Il factoring per le piccole e medie imprese, (a cura di B. Cassandro), Milano, 1982, 45.

[xiv] Cfr.: B. Nativi, I servizi finanziari e di gestione offerti dalle società di factoring, in Il factoring per le piccole e medie imprese, (a cura di B. Cassandro), Milano,1982, 35. La Ifitalia, prima società di factoring italiana era partecipata da BNL, Efibanca e International Factors A.G.: P. Pierotti, L’evoluzione del factoring in Italia ed i problemi di inserimento dell’operazione sul mercato, cit., 45.

[xv] Cfr.: G. Magnifico, L’evoluzione del factoring e i suoi rapporti con l’attività bancaria, in Il factoring per le piccole e medie imprese, (a cura di B. Cassandro), Milano, 1982, 16.

[xvi] Cfr.: G. Desiderio, Il factoring, cit., 267.

[xvii] Cfr.: M. Bejatovic, M. Dukic-Mijatovic, I. Spasic, Factoring – Instrument of financing in business practice – Some important legal aspects, cit., 200.

[xviii] La Convenzione Unidroit sul factoring, Ottawa 26 maggio 1988, è stata ratificata oltre che dall’Italia, nell’ordine, da: Francia, Nigeria, Ungheria, Lettonia, Germania e Ucraina.

[xix] M. Bussani, M. Infantino, Il contratto di factoring, in Commentario del codice civile. Dei singoli contratti – leggi collegate, (a cura di D. Valentino), Torino, 2011, 437…ersi elementi analizzati…ranno…o nel senso di ritenere o con l’la Convenzione è quello di dar veste giuridica alla necessi

[xx] Cfr.: M. Bejatovic, M. Dukic-Mijatovic, I. Spasic, Factoring – Instrument of financing in business practice – Some important legal aspects, cit., 200.

[xxi] C. Della Moretta, Factoring internazionale, in IlSole24Ore, 2014.

[xxii] Cfr.: M. Bejatovic, M. Dukic-Mijatovic, I. Spasic, Factoring – Instrument of financing in business practice – Some important legal aspects, cit., 201.

[xxiii] Cfr.: I. Benea, F. Duma, Financing with Receivables: Factoring, Securitization and Collateral, Craiova, 2013, 81.

[xxiv] https://fci.nl/en/about-factoring/statistics

[xxv] Factors Chain International (2015).

[xxvi] I. Benea, F. Duma, Financing with Receivables: Factoring, Securitization and

Collateral, Craiova, 2013, 81.

[xxvii] R. Vigo, Il «factoring», cit., 195.

[xxviii] R. Vigo, Il «factoring», cit., 196, cita R. Clarizia, Contratti di factoring, in I contratti del mercato finanziario, (a cura di E. Gabrielli e R. Lener), nel Trattato dei contratti, diretto da P. Rescigno ed E. Gabrielli, 1, Torino, 2004, 385; I. Mecatti, Le società di factoring, in Le società finanziarie a cura di V. Santoro, coll. Il diritto privato oggi, Milano, 2000, 590-591.

[xxix] I. Mecatti, Le società di factoring, cit., 586.

[xxx] I. Mecatti, Le società di factoring, cit., 589-590, cita P. Ferro Luzzi (1996): «solo chi ha la patente di banchiere ha la licenza di raccogliere tra il pubblico risparmio cosiddetto inconsapevole per erogare, mentre chi può svolgere soltanto attività finanziaria, a certe condizioni e limiti può anche raccogliere, ma in principio eroga, e forse meglio dire investe». Per la distinzione tra attività di factoring e attività bancaria: Cass. S.U. 10 gennaio 1992, n. 198.

[xxxi] I. Mecatti, Le società di factoring, cit., 608.

[xxxii] G. Desiderio, Il factoring, cit., 270; I. Mecatti, Le società di factoring, cit., 583: «contratto che avendo le caratteristiche particolari tali da distinguerlo da altre operazioni economiche, è considerato comunemente “atipico” e quindi non riconducibile a figure contrattuali espressamente regolate dal legislatore»; R. Vigo, Il «factoring», cit., 197; Cass. civ., sez. III, 11 maggio 2007, n. 10833.

[xxxiii] M. Loi, Cessione di crediti futuri, le condizioni per l’opponibilità al creditore pignorante, in IlSole24Ore, 2014, cita: Cass. civ., sez. III, 8 febbraio 2007, n. 2746.

[xxxiv] S. Costa, Il contratto di factoring, in Il fallimento e le altre procedure concorsuali, I, Torino, 2014, 498-515.

[xxxv] S. Costa, Il contratto di factoring, cit., 503.

[xxxvi] S. Costa, Il contratto di factoring, cit., 503.; F. Galgano, Trattato di diritto civile, vol. 2, Milano, 2010, 731; Trib. Firenze, 2 giugno 1995, in Giur. it., 1996, I, 2, 272; Cass. Civ., sez. I, 2 ottobre 2015, n. 19716.

[xxxvii] G. Desiderio, Il factoring, cit., 270; Cass. civ., sez. III, 11 maggio 2007, n. 10833.

[xxxviii] G. Desiderio, Il factoring, cit., 276. Per la tesi contraria, v. AA.VV., Il manuale del factoring. Aspetti contrattuali, contabili e fiscali, 1, Torino, 2006, 29: «il comma 4° parla di “debitore ceduto”, al singolare, e sembrerebbe far propendere per una lettura della cessione in massa come cessione di tutti i crediti verso quel cliente/debitore».

[xxxix] V. Cuzzola, A. Mafrica, I finanziamenti ai privati. Dal credito al consumo alla cessione del quinto, Matelica (Macerata), 2006, 39.

 

[xl] G. Desiderio, Il factoring, cit., 276.

[xli] R. Vigo, Il «factoring», cit., 199.

[xlii] R. Vigo, Sul conflitto tra factor cessionario di crediti futuri e il creditore pignoratizio, in Riv. Banca Borsa Titoli di credito, vol. LXVIII, parte II, settembre-ottobre 2015, 5, 528-530.

Gilda Sophie Prestipino

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