Il dovere di diligenza delle imprese. Approvvigionamento responsabile dei minerali provenienti da zone di conflitto

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Introduzione e contesto

L’esercizio del dovere di diligenza delle imprese è fondamentale per assicurare un approvvigionamento responsabile di minerali provenienti da zone di conflitto[1].  

Per dare un breve introduzione, gli operatori del settore, a valle della catena di approvvigionamento, acquistando minerali o loro derivati, rischiano di sostenere i gruppi armati che finanziano le loro attività con i proventi dell’estrazione di minerali. Ci riferiamo, quindi, ad un meccanismo complesso che giunge molto rapidamente in un mercato globale, dove diventa difficile assicurare trasparenza e sicurezza nei relativi scambi commerciali.

Tale concetto figura nella versione aggiornata delle Linee guida OCSE sul dovere di diligenza destinate alle imprese multinazionali e segue perfettamente i Principi guida delle Nazioni Unite con riguardo alle imprese e ai diritti dell’uomo (OECD Due Diligence Guidance for Responsible Supply Chains of Minerals from Conflict-Affected and High Risk Areas).

Si mira, in particolare ad incoraggiare le imprese a verificare, tramite un processo di diligente verifica preliminare, che le loro attività commerciali non siano da supporto per gruppi criminali e pertanto in grado di alimentare conflitti[2].

La discussione in oggetto riguarda gli importatori responsabili di stagno, tantalio, tungsteno, dei loro minerali e di oro, interessando, per una soluzione condivisa e definitiva, tutta la comunità internazionale.

Ciò che interessa è, ovviamente, riuscire a limitare il finanziamento di gruppi armati, ma allo stesso tempo il vero obiettivo dei governi e delle organizzazioni internazionali, insieme alle comunità imprenditoriali e alle organizzazioni della società civile, è garantire un legittimo approvvigionamento da tali regioni evitando un’interruzione dei rapporti commerciali che provocherebbe una grave distorsione della concorrenza.

 

  1. 1.     QUADRI NORMATIVI GIÀ IN ATTO (2011-2015)

Analizzando quello che può essere il contesto politico, sono già in atto diversi quadri normativi che si ricollegano al dovere di diligenza delle imprese e i limiti, entro cui sussistono le responsabilità delle imprese, si stanno espandendo.

L’esigenza di andare oltre i processi interni e lungo le supply chain[3] hanno spinto i governi ad adottare un approccio più responsabile per proteggere concretamente ambiente, consumatori e diritti umani in tutto il mondo.

Pertanto, le imprese devono necessariamente iniziare a rispettare un numero di leggi in costante aumento, che richiedono loro di fornire informazioni precise e dettagliate in merito alla sicurezza dei prodotti, ai processi e alle procedure di progettazione, oltre che ai minerali utilizzati. Tutto ciò significa che le aziende per rientrare in tali standard saranno costrette ad un aumento di costi e tempo per non incorrere in ammende legali che potrebbero causare anche un danno di immagine irreparabile sul mercato.

Precursori di tale politica, nel luglio del 2010 gli Stati Uniti hanno adottato il Dodd-Frank Wall Street Reform and Consumer Protection Act. Ne fa parte anche l’articolo 1502 (the “Conflict Minerals Provision”) in base al quale le imprese quotate alla borsa statunitense sono obbligate a dichiarare,nel corpo del loro resoconto annuale, gli eventuali acquisti o utilizzi fatti per i loro prodotti dei cosiddetti “minerali dei conflitti”: alluminio, tungsteno, tantalio e oro provenienti dalla Repubblica democratica del Congo (RDC) e dai paesi limitrofi. Senza l’intenzione di penalizzare il settore minerario non collegato al conflitto che permette la creazione di posti di lavoro e lo sviluppo sostenibile, le disposizioni del Dodd-Frank Act relative ai “conflict minerals” prevedono che, le aziende che utilizzano queste risorse nei propri processi produttivi, redigano dei rapporti dettagliati nel caso in cui questi provengano dalla Repubblica Democratica del Congo o dagli stati confinanti.

 Uno degli aspetti più problematici riguarda proprio la necessità per le aziende di vincolare le risorse per raccogliere i dati richiesti. Anche se sono a rischio i contratti di fornitura e l’immagine pubblica, la raccolta dati rappresenta un impegno extra per le piccole e medie imprese, già messe sotto pressione dagli onerosi requisiti, sia in termini di costi sia di lavoro.

Resta, tuttavia, la certezza dell’aumento dei requisiti legislativi e il carattere non più aggiuntivo ma principale che assumono la raccolta dei dati e il controllo completo della supply chain nella gestione dell’impresa.

Sia che il Dodd-Frank Act riesca o meno ad avere un impatto positivo nell’area di conflitto della Repubblica Democratica del Congo, gli Usa hanno sicuramente implementato delle misure correttive concrete e la loro influenza, a livello globale, oggi pone degli obblighi imprescindibili sulle aziende che operano nel settore dell’elettronica.

La legislazione in atto, quindi, con il sostegno previsto delle aziende e dei consumatori può far rientrare lo status di “conflict-free” in un sistema normativo vincolante in ambito di etichettatura dei prodotti e di creazione di report.

In questo contesto il Parlamento europeo con una risoluzione del 2010 aveva invitato l’Unione europea a presentare un’iniziativa legislativa sul modello della legge statunitense sui minerali dei conflitti. Hanno fatto seguito due comunicazioni della Commissione, nel 2011[4] e nel 2012[5], nelle quali si dichiarava l’intenzione di riflettere sulle possibilità di migliorare la trasparenza della catena di approvvigionamento e successivamente tra dicembre 2012 e giugno 2013 ha avuto luogo un ampio processo di consultazione, tra cui anche una consultazione pubblica via Internet e numerosi incontri con gli operatori del settore.

La Commissione Europea, il 5 marzo 2014, ha quindi presentato un’iniziativa per risolvere il problema dei “minerali provenienti da zone di conflitto”. La proposta sviluppa due strumenti: in primis, uno strumento legislativo che instaura un meccanismo di “approvvigionamento responsabile” in minerali provenienti da zone di conflitto o “ad alto rischio” (progetto di regolamento)[6]; in secondo luogo, una comunicazione che delinea una serie di misure per supportare questo tipo di approvvigionamento (“misure di accompagnamento”).

Molto sorprendentemente, il regolamento proposto dalla Commissione è di tipo volontario: le società che importano in Europa dei minerali o dei metalli grezzi contenenti i 3T e l’oro possono decidere di verificare e di rendere conto, o no, dei rischi di finanziamento di gruppi armati attivi in zone di conflitto. Inoltre, il numero delle imprese potenzialmente interessate si rileva molto limitato.

Le principali argomentazioni utilizzate per giustificare l’evidente debolezza del meccanismo europeo fanno riferimento alla sezione 1502 della legge statunitense Dodd-Frank, i cui impatti nella Repubblica Democratica del Congo sarebbero, secondo i suoi critici, per lo più negativi. L’esperienza della RDC dimostrerebbe che voler stabilire, come fa la legge Dodd-Frank, delle misure obbligatorie sull’approvvigionamento in minerali per un gran numero di imprese porterebbe solo al fallimento.

Bisogna ancora aggiungere alcune considerazioni, in quanto può essere ancora troppo presto per affermare che la legge Dodd-Frank ha fallito e che un meccanismo di tipo volontario, come quello previsto dall’Unione europea, sarà più efficace. In ogni caso si può sicuramente sostenere che, per raggiungere i loro obiettivi, le iniziative legislative statunitense ed europea debbano essere accompagnate da provvedimenti che, con riferimento alla RDC, sostengano ed inquadrino meglio l’estrazione e il commercio dei minerali prodotti dal settore minerario artigianale.

Avendo riguardo all’importanza socio-economica dell’attività mineraria artigianale nella RDC e il suo ruolo nella dinamica della violenza che colpisce il paese, è possibile anche partire dalla stessa RDC per assicurare un approvvigionamento responsabile. Sicuramente l’UE e i suoi Stati membri non possono accontentarsi di appoggiare semplicemente un regolamento su base volontaria ma hanno il dovere di assicurare una certificazione necessaria e indispensabile. Si dovrebbe, innanzitutto, sostituire lo schema volontario di auto-certificazione con un regime obbligatorio, in modo che le imprese implicate rendano pubblicamente conto di ciò che hanno concretamente fatto per l’applicazione del dovere di diligenza alle loro catene di approvvigionamento, in linea con la guida OCSE. C’è inoltre necessita di ampliare il raggio delle imprese coperte dal progetto, ad oggi limitato ai soli importatori di minerali o di metalli grezzi, per potervi includere anche le principali società che commercializzano in Europa i 3Te l’oro sotto forma di prodotti semi-finiti o finiti.

 

  1. 2.     OBIETTIVI SPECIFICI DELL’UNIONE EUROPEA

Il progetto di regolamento prevede che le informazioni trasmesse agli Stati membri dell’UE dagli importatori che siano auto-certificati come “responsabili” siano inviati alla Commissione Europea che, su questa base, redigerà una lista di fonderie e raffinerie “responsabili” (articolo 8)[7]. Non è prevista nessuna sanzione penale per gli importatori che non aderiscono al meccanismo di autocertificazione o per quelli che decidono di aderirvi, ma in seguito non rispettano le disposizioni previste dal Regolamento.

Il principale punto di forza del progetto di regolamento proposto è che il suo campo di applicazione geografica è mondiale. In particolare, gli importatori “responsabili” dovranno effettuare dei controlli in tutte le zone d’approvvigionamento che si trovano in situazioni di “conflitto armato” o di “fragilità post-conflitto” o caratterizzate da condizioni di sicurezza deboli, inesistenti o provate da sistematiche violazioni del diritto internazionale, tra cui ovviamente la violazione dei diritti umani[8].

Il progetto di regolamento europeo si distingue, quindi, dalla legge statunitense Dodd-Frank Act, che si concentra esclusivamente sull’Africa centrale e sulla Repubblica Democratica del Congo in particolare. Un aspetto fondamentale e dunque non trascurabile, anche perché il fenomeno dei “minerali provenienti da zone di conflitti” è un problema globale che non si limita solo alla Repubblica Democratica del Congo.

I problemi del Regolamento proposto sono perciò essenzialmente due: in primo luogo, il carattere volontario del meccanismo di autocertificazione e, in secondo luogo il numero limitato di società potenzialmente interessate da questo meccanismo.

Sul primo aspetto, si può far notare che le norme volontarie della Guida OCSE[9] sono state proposte alle imprese nel 2010, ma sono ancora poche le società che vi hanno aderito. Un’indagine sui costi-benefici commissionata nel 2013 dalla Commissione europea ha rivelato che solo il 4% delle 330 aziende intervistate era pronto a preparare volontariamente un rapporto sulla messa in pratica del dovere di diligenza ragionevole. L’impatto della regolamentazione volontaria sul comportamento delle società è, dunque, molto limitato. In relazione al dovere di diligenza, si è dovuto attendere l’approvazione della legge Dodd-Frank, affinché le aziende cominciassero a cambiare le loro modalità d’approvvigionamento in minerali a partire dalla RDC.

La proposta di un Regolamento europeo che si basa su di un sistema di carattere volontario è discutibile anche alla luce degli obblighi internazionale dell’UE e dei suoi Sati membri. La Carta internazionale dei Diritti Umani afferma l’obbligo degli Stati di proteggere i diritti umani. In base a tale obbligo, gli Stati hanno il dovere di garantire che le imprese che operano in zone di conflitto non siano coinvolte nella violazione dei diritti umani. Anche le società hanno il dovere di rispettare i diritti umani, per cui sono tenute ad applicare il dovere di diligenza alla loro catena di approvvigionamento in minerali provenienti da zone a rischio.

Con riguardo al secondo aspetto è chiaro che un sistema di auto-certificazione finalizzato ai soli importatori di minerali o grezzi contenenti i 3T e l’oro (fonderie, raffinerie, commercianti) non può che avere un impatto limitato. Infatti, il regolamento non è indirizzato anche agli “utilizzatori finali” dei 3T e dell’oro, cioè quelle imprese che li commercializzano sotto forma di prodotti finiti o semi-finiti. I minerali oggetto del regolamento entrano nell’UE anche sotto forma di componenti di un gran numero di prodotti elettronici, come telefoni cellulari o laptop.

La proposta della Commissione europea in tema di approvvigionamento responsabile contiene, come si è detto in precedenza, una comunicazione congiunta con il Servizio Europeo per l’Azione Esterna (SEAE) con la quale si propongono delle “misure di accompagnamento”. Tali misure permetteranno di migliorare l’impatto del Regolamento europeo e dovrebbero rispecchiare l’ “approccio integrato” dell’UE.

Tuttavia le azioni previste dalla comunicazione congiunta e dal quadro strategico dell’UE, oltre a quelle già in corso di attuazione nell’ambito del programma finanziato attraverso lo strumento di stabilità (IdS)[10], fanno dubitare che l’UE abbia veramente capito le problematiche dello sviluppo legate al settore minerario artigianale della RDC.

L’UE dovrebbe promuovere delle misure di accompagnamento specifiche per sostenere la formalizzazione del settore minerario artigianale affinchè, nella loro attività estrattiva, i soggetti locali (minatori, cooperative minerarie, servizi provinciali, aziende, organizzazioni società civile) siano sempre più capaci di rispettare le condizioni di lavoro conformi con le norme sulla diligenza ragionevole stabilita dall’OCSE.

Alcuni paesi della regione hanno infatti interesse ad entrare nel cerchio del commercio illegale dei minerali congolesi, notevolmente facilitato dalla situazione d’insicurezza e d’instabilità nell’est della RDC. I soggetti che traggono benefici da questo commercio nei paesi vicini sono persone fisiche, generalmente membri dell’élite locale, ma anche agenti dello Stato.

La situazione di conflitto nell’est della RDC è perciò in parte spiegata per il fatto che molti soggetti hanno più interesse che ci sia instabilità e insicurezza piuttosto che una situazione di pace di formalizzazione dell’economia.

Si cerca di organizzare e mantenere un’insicurezza costante, invece di contribuire a migliorare la situazione della sicurezza.

Questa situazione agevola, nello stesso tempo, lo sfruttamento illegale delle risorse naturali e il mantenimento del disordine in zone in cui possono prelevare tasse arbitrarie.

Uno studio del professor Stefaan Marysse[11], dimostra che il modo in cui funziona il settore artigianale è uno dei principali “buchi neri” della rendita mineraria nella RDC. Il valore delle esportazioni illegali di oro prodotto dal settore artigianale, corrispondente al 98% della produzione del 2013, oscillava tra 383 e 409 milioni di $. Nell’insieme del settore artigianale, il contrabbando creerebbe un deficit annuale per le casse dello Stato di circa 100 milioni di $. In aggiunta a ciò, considerando l’importanza, su scala mondiale, delle risorse congolesi di tantalio (25%) e di stagno (7%), nonché le stime di produzione artigianale congolese dell’oro, il prelievo e la ridistribuzione del reddito minerario artigianale costituiscono un’importante sfida per lo sviluppo del paese.

A questo punto sembra scontata e necessaria l’introduzione di una legislazione europea forte e ambiziosa.

 

  1. 3.     MONITORAGGIO E VALUTAZIONE

Il progetto di regolamento europeo sembra anche aver tenuto conto di quello che può essere considerato un limite della sezione 1502 della legge Dodd-Frank, vale a dire un’interpretazione troppo stretta e geograficamente limitata della Guida dell’OCSE sul dovere di diligenza ragionevole. Infatti, la legge statunitense ha introdotto una procedura di etichettatura “conflict free” solo per i minerali congolesi quando, invece, il dovere di diligenza ragionevole è, prima di tutto, un processo di identificazione e di gestione dei rischi da applicare in tutti i Paesi del mondo produttori di minerali, ma colpiti da conflitti o ad alto rischio.

Tuttavia i limiti della Dodd-Frank non possono giustificare il carattere volontario dello schema previsto dall’UE. Le percezioni negative delle conseguenze sulla RDC, che l’approvazione della Dodd-Frank avrebbe causato, non riflettono che una realtà molto parziale degli insegnamenti che si possono dedurre sul luogo.

L’effetto più importante della legge Dodd-Frank è quello di aver costretto l’insieme degli agenti pubblici e privati coinvolti nel settore minerario artigianale, sia nella RDC che a livello internazionale, a prendersi le loro responsabilità. Essa ha spinto diversi stati (UE, Cina e Canada) e imprese (commercianti, fonderie e utilizzatori finali) a prendere una posizione e a definire una serie di azioni sul tema dei “minerali da conflitto”. Difatti, gli operatori delle catene d’approvvigionamento hanno deciso di impegnarsi o re-impegnarsi nella RDC, attraverso iniziative come la Conflict Free Tin Initiative[12](miniera di Kalimbi, nel Sud Kivu) per lo stagno, Solution for Hope[13] (miniera di Mai Baridi, Kisengo, e Luba, nel Katanga) o Making Africa Work (miniera di Kisengo, nel Katanga) per il tantalio. Queste iniziative alimentano un programma di “fonderie senza conflitti”[14](Conflict Free Smelters/CFS) istituito nel 2011 da EICC e GeSI (Conflict Free Sourcing Initiative). Questi progetti “a circuito chiuso (closed-pipe) consentono alle aziende coinvolte di lavorare insieme lungo tutta la filiera di approvvigionamento (dalla miniera al prodotto finale), per identificare e gestire i rischi anche lungo le rotte commerciali. È facile dedurre che queste iniziative non sarebbero mai state possibili senza l’approvazione delle misure obbligatorie previste dalla legge Dodd-Frank.

Ciò spiega il motivo per cui sono necessarie una legislazione europea che renda l’attuazione del dovere di diligenza obbligatoria e delle misure di accompagnamento che sostengano la formalizzazione del settore minerario artigianale e l’attività dei soggetti locali. Ad oggi il progetto di regolamento dell’UE si colloca al di sotto delle norme giuridiche già in vigore nella RDC, in altri Paesi della Conferenza Internazionale per la Regione dei Grandi Laghi (CIRGL) e negli Stati Uniti, che rendono il dovere di diligenza ragionevolmente vincolante per le imprese.

L’Unione Europea indebolisce visibilmente questi standard e non si impone di contribuire all’armonizzazione delle “regole sui mercati”. In effetti gli importatori che scelgono di non aderire allo schema di autocertificazione proposto dalla Commissione possono continuare ad accedere al mercato europeo.

 

-Conclusioni

Nonostante tutto ciò, è oggi possibile procurarsi minerali in modo responsabile anche nella RDC, grazie ai recenti progressi compiuti attraverso meccanismi di qualificazione e di certificazione dei minerali, due tappe chiave per garantire catene di approvvigionamento responsabili nella RDC. Infatti, la certificazione, la tracciabilità e il dovere di diligenza sono complementari e si rafforzano a vicenda. Senza un meccanismo affidabile per la certificazione e la tracciabilità, un approvvigionamento responsabile in minerali resterebbe ipotetico, considerando anche la mancanza di capacità (tecnico e finanziaria) delle autorità locali per regolamentare il settore minerario artigianale.

Pertanto, l’UE e i suoi Stati membri devono senza dubbio provvedere a prendere delle misure d’accompagnamento specifiche per sostenere la formalizzazione del settore minerario congolese, tra cui il processo di qualificazione delle miniere, il meccanismo di certificazione CIRGL e la capacità dei soggetti locali di rispettare le condizioni di attività mineraria secondo gli standard di diligenza previsti dalle Linee guida OCSE.

Sarà opportuno rafforzare l’adesione delle imprese europee al regime di autocertificazione della due diligence nella catena di approvvigionamento dei minerali, prevedendone la obbligatorietà ed estendendo l’accesso all’autocertificazione di “impresa responsabile”, attualmente prevista solo per le imprese importatrici, anche alle imprese che commercializzano prodotti finiti contenenti i minerali oggetto della proposta di regolamento e le imprese importatrici di altre risorse naturali, quali ad esempio, le pietre preziose e altri materiali come il coltan e il niobio della regione del Nord Kiwu nella RDC.

In ultima analisi, nell’inquadrare il ruolo dell’impresa, quale ente dotato di personalità giuridica, nella società, bisogna tenere in considerazione la nozione di “citizenship”: così come la persona fisica è soggetta ad una serie di obblighi e responsabilità per il fatto di essere soggetto di diritto, altrettanto deve ritenersi per l’impresa che opera in un determinato contesto e con esso si rapporta. In aggiunta, analizzando la letteratura giuseconomica si dovrebbero considerare, accanto a “responsabilità giuridiche” a carico dell’impresa, conseguenti alla violazione della normativa vigente, anche ulteriori dimensioni della responsabilità nell’agire imprenditoriale, fra le quali in primis la “responsabilità etica”, legata alla necessità di conformazione ai valori ed alle norme sociali, nonché all’obbligo di agire con equità, giustizia, imparzialità e la “responsabilità discrezionale”, quale prerogativa del modus operandi dei managers chiamati ad intraprendere precise scelte gestionali[15].

                                                                                                               Domenico Crisci

 

Bibliografia

 

ANDERSON, Creditors’ Rights of Recovery: Economic Theory. Corporate Jurisprudence and the Role of Fairness, Melbourne, 2006.

AUST, Handbook of International law, Cambridge, 2011.

COMBACAU-SUR, Droit International public, Paris, 2010.

CONTE, La responsabilità sociale dell’impresa, Bari, 2008.

CONTE, Vincoli giuridici, principi economici e valori etici nello svolgimento dell’attività d’impresa, Milano, 2006.

KACZOROWSA, Public International Law, London, 2010.

LIBERTINI, Impresa e finalità sociali. Riflessioni sulla teoria della responsabilità sociale dell’impresa.

 


[1] SWD/2014/052 final

[2] “Gruppi armati e forze di sicurezza” definiti nell’allegato II delle Linee guida OCSE sul dovere di diligenza (OCSE 2013), OECD Due Diligence Guidance for Responsible Supply Chains of Minerals from Conflict-Affected and High-Risk Areas: Seconda edizione, OECD Publishing.

[3]  La Supply Chain (o SCM, dall’inglese supply chain management) assicura l’approvvigionamento di Materie Prime, Semilavorati, Materiali, Macchine, Impianti e Servizi tramite la continua ricerca di fonti di approvvigionamento che valuta sia in termini economici che qualitativi. Inoltre è responsabile della programmazione delle produzioni, della gestione dei magazzini e della costante rotazione delle merci/prodotti per assicurare al consumatore finale le condizioni di consumo ideali.

[4] Mercati dei prodotti di base e materie prime, COM(2011) 25 final

[5] Commercio, crescita e sviluppo, COM(2012) 22 final.

[6] Bruxelles, 5.3.2014. COM(2014) 111 final, 2014/0059 (COD).

[7] Articolo 8 – Elenco delle fonderie e delle raffinerie responsabili: 1) Sulla base delle informazioni fornite dagli Stati membri nelle relazioni di cui all’articolo 15, la Commissione adotta e pubblica una decisione in cui sono elencati i nomi e gli indirizzi delle fonderie e delle raffinerie responsabili per i minerali contemplati dal presente regolamento. 2)       La Commissione inserisce nell’elenco di cui al paragrafo 1 le fonderie e le raffinerie responsabili che si approvvigionano, almeno in parte, nelle zone di conflitto e ad alto rischio. 3) La Commissione adotta l’elenco stilato secondo il modello figurante nell’allegato II e conformemente alla procedura di regolamentazione di cui all’articolo 13, paragrafo 2. Il Segretariato dell’OCSE è consultato. 4)  La Commissione aggiorna tempestivamente le informazioni contenute nell’elenco. Essa cancella dall’elenco i nomi delle fonderie e delle raffinerie che non sono più riconosciute come importatori responsabili dagli Stati membri conformemente all’articolo 14, paragrafo 3, o i nomi di quelle che intervengono nella catena di approvvigionamento di importatori che non sono più riconosciuti come importatori responsabili.

[8] Guiding Principles on Business and Human Rights, UN Human Rights Office of the High Commissioner, New York and Geneve 2011 (Principi guida su imprese e diritti umani, Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per I diritti umani, New York e Ginevra 2011).

[9] Guida OCSE nei quadri normativi dei paesi terzi: a) rafforzare la capacità dei paesi nell’attuare le norme di diligenza ragionevole; b) rafforzare il dialogo politico nei paesi tra le autorità (centrali e locale), la società civile e il settore privato; c) dare visibilità alle azioni intraprese e ai risultati ottenuti dai paesi; d) progetti comuni sull’estrazione sostenibile e il buon governo, tenendo in particolare considerazione la specificità dell’attività mineraria artigianale.

[10] Regolamento (CE) n. 1717/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 novembre 2006, che istituisce uno strumento per la stabilità [Gazzetta ufficiale L 327 del 24.11.2006]. L’Unione europea (UE) conduce azioni di cooperazione esterna volte a sostenere la stabilità dei paesi terzi. Pertanto le misure finanziate dallo strumento per la stabilità devono contribuire alla preparazione e alla risposta alle crisi di origine naturale o umana, oltre che alla riabilitazione dei paesi in seguito ad una crisi o ad una situazione di instabilità.

[11] MARYSSE, STEFAAN, Anversa/Parigi, L’Harmattan, 2003, pp. 207-

233, disponibile su www.ua.ac.be/objs/00111793.pdf.

[12] Aziende partecipanti sono: IM Metals & Alloys, Alpha, Apple, BlackBerry, Fairphone, HP, ITRI, Malaysia Smelting Corporation Berhad (MSC), motorola Solutions, Nokia, The Netherlands Ministry of Foreign Affairs, Pacts, Royal Philips, Tata Steel, Traxys.

[13] Aziende partecipanti sono: AVX, BlackBerry, Coopérative Des Artisanaux Miniers du Congo (CDMC), F&X, FairPhone, Flextronics, Foxconn, Global Advanced Metals (GAM), HP, Intel, Mining Minerals Resources (MMR), Motorola Mobility, Motorola Solutions, Nokia.

[14] Il programma CFS ha finora convalidato 85 fonderie e raffinerie di tutto il mondo come “libere da conflitti” e altre 110 sono già state coinvolte nel processo di valutazione del programma.

[15] Carrol, A. B., A three-dimensional conceptual model of corporate social perfomance, in Academy of Management Review, 1979, 4, 497-505.

Avv. Crisci Domenico

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