Il divorzio breve e la sua applicabilità all’accordo per negoziazione assistita

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Un problema che sorge in relazione all’efficacia dell’accordo raggiunto in sede di negoziazione assistita “matrimoniale” emerge per la determinazione del termine di decorrenza di tale efficacia.

Come abbiamo visto, il comma 3 dell’art. 6 riferisce all’accordo “raggiunto” fra le parti la produzione degli effetti, lasciando intendere che da tale momento essi dovrebbero decorrere. È dubbio, però, che così possa essere.

Il problema, come è facile intuire, assume particolare rilevanza ai fini della decorrenza della separazione, utile per la maturazione del periodo necessario per avanzare la domanda di divorzio (periodo che – come noto – la l. 6 maggio 2015 n. 55 ha ridotto da 3 anni ad un anno, in caso di separazione giudiziale, e a 6 mesi, in caso di separazione consensuale).

In proposito, l’art. 3, comma 1, n. 2, lett. b), appositamente integrato dal d.l. 132/2014, prevede che, in caso di separazione conseguita median­te la negoziazione assistita, tale periodo debba farsi decorrere “dalla data certificata nell’accordo”, implicitamente confermando che il momento de­terminante sembra essere quello appunto del raggiungimento dell’accordo fra i coniugi.

Seguendo una simile impostazione, ne deriverebbe che il prescritto nul­laosta da parte del procuratore della Repubblica, in caso di assenza di figli minori o maggiorenni con handicap, incapaci o economicamente non auto­sufficienti, o la sua autorizzazione, in caso contrario, così come la successiva trascrizione o annotazione da parte dell’ufficiale dello stato civile del contenuto dell’accordo, sarebbero soltanto attività amministrative successive, le quali, tuttavia, non sarebbero in grado di condizionare la produzione degli effetti dell’accordo.

Non solo.

Il mancato nullaosta o la mancata autorizzazione da parte del procuratore della Repubblica avrebbe come conseguenza la revoca degli effetti dell’accordo che, nel frattempo, avrebbero iniziato comunque a prodursi. Con inevitabili, rilevanti ripercussioni sul piano applicativo, che probabilmente il legislatore settembrino ha sottovalutato.

In realtà, la situazione non sembra essere molto diversa da quella della decorrenza degli effetti dell’accordo raggiunto in sede di separazione consen­suale. Anche in questo caso, infatti, alla base della separazione dei coniugi vi è un accordo concluso fra le parti, la cui decorrenza degli effetti, tuttavia, è espressamente sottoposta all’omologazione da parte del tribunale (art. 3, comma 2, l. div.). Ciò sta a significare che l’accordo, sebbene raggiunto fra le parti, perché possa produrre effetti necessita della prescritta omologazione.

Non molto diversa è la situazione che viene a determinarsi nel caso dell’ac­cordo raggiunto in sede di negoziazione assistita “matrimoniale”: esso co­munque è subordinato al nullaosta o all’autorizzazione del procuratore della Repubblica, che, mutatis mutandis, svolge in tale contesto la stessa funzione svolta dall’omologazione dell’accordo in sede di separazione consensuale. Pro­prio per questa ragione non dissimile dovrebbe essere la soluzione normativa: anche l’accordo raggiunto ai sensi dell’art. 6 d.l. 132/2014, affinché produca effetti, presuppone il verificarsi della condizione sospensiva del nullaosta o dell’autorizzazione del procuratore della Repubblica e solo all’avverarsi di tale condizione sospensiva esso è destinato a produrre effetti.

La condivisione di una simile conclusione, tuttavia, impone di intendere il riferimento che l’art. 6, comma 3, d.l. 132/2014 fa all’accordo “raggiunto” dalle parti e l’art. 3 l. div. alla “data certificata nell’accordo”, come riferito non alla data in cui le parti concludono l’accordo, ma a quella nella quale l’accor­do raggiunto è in grado di produrre gli effetti voluti e dunque alla data nella quale l’accordo ha ricevuto i prescritti nullaosta o autorizzazione.

Occorre anche rilevare che la citata l. 55/2015, nel ridurre il periodo di separazione per poter avanzare domanda di divorzio, distinguendo fra se­parazione giudiziale (1 anno) e consensuale (6 mesi), non prende in consi­derazione proprio l’ipotesi della separazione a mezzo negoziazione, facendo sorgere il dubbio su quale dei due periodi indicati debba trovare applicazione in quest’ultimo caso. Ma il dubbio può essere agevolmente superato ricorrendo all’applicazione analogica dell’esplicita previsione introdotta per la separa­zione consensuale, sul presupposto della già rilevata vicinanza a questa della separazione conseguita a mezzo di negoziazione assistita.

In proposito, peraltro, vale la pena di aggiungere un’ulteriore considerazio­ne che può assumere particolare rilevanza proprio ai fini della decorrenza del periodo di separazione necessario per poter avanzare domanda di divorzio.

Infatti, sebbene la nuova disciplina introdotta nel 2015 abbia ridotto tale periodo, ha comunque lasciato inalterata la previsione dell’art. 3, comma 1, n. 2, lett. b), della legge sul divorzio circa il presupposto della previa pronuncia di separazione (passata in giudicato) per poter chiedere il divorzio. Ne deriva che – ove le parti utilizzino i procedimenti di separazione giudiziale o consensuale – fino a quando non sia passata in giudicato la sentenza di separazione o non sia omologato l’accordo nella separazione consensuale, la domanda di divorzio non sarà proponibile, anche se fosse già decorso il periodo minimo previsto. Ciò a differenza di quanto accade, invece, per l’accordo raggiunto attraverso la negoziazione assistita, dove – come abbiamo visto – nel momento in cui esso riceve il nullaosta o l’autorizzazione da parte del procuratore della Repubblica è destinato a produrre i suoi effetti anche ai fini della proponibi­lità della domanda di divorzio, una volta decorso il periodo minimo stabilito.

Cannata Antonio

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